Titolo:My lifekeeper
Fandom: Horitsuba Gakuen
Personaggi: Shaoron/Yuui
Rating: arancione
Riassunto: Un bimbo abbandonato, un vampiro solo al mondo. Insieme, per caso o per destino.
Note: angst, partecipa al Bridge Challenge di
fanfic_italia e Criticoni
(oggi internet mi tradisce ç_ç)
La pioggia cadeva torrenziale, rendendo inutili gli ombrelli che pochi coraggiosi tentavano di utilizzare per le strade. I tombini erano pieni fino all'orlo, i marciapiedi sembravano letti d'acqua, le vie non esistevano più. C'erano fiumiciattoli, al loro posto. Le auto erano tutte nascoste dentro i garage, in un silenzioso tentativo di salvarle dalle intemperie, nel caso fosse giunta la grandine.
Il vento soffiava, ululando minaccioso nel passare tra le case, gettandosi infine per le piazze, come un demone in preda ad una rabbia omicida. Rami spezzati galleggiavano funerei per le strade, accompagnati da foglie d'ogni colore, panni strappati ai loro padroni, oggetti sconosciuti, altri di uso comune, carte, scatole di latta, sporadiche bottiglie di vetro ancora chiuse dal loro tappo di sughero.
Il cielo era nero, d'un nero secondo solo alla notte. Fulmini illuminavano di tanto in tanto quell'oscurità minacciosa, scaricandosi in punti fin troppo vicini, all'apparenza.
Nessuno aveva notato quel povero fagotto abbandonato vicino al cassonetto della spazzatura. Un'ombra aveva assistito all'abbandono, disprezzando la donna che aveva commesso un simile delitto. Scese dal suo rifugio, veloce e silenziosa, andando a prendere in braccio la bionda creatura intirizzita dal freddo e dalle intemperie.
L'avvolse nel suo mantello, cercando di donarle un po' di calore.
« Ci penso io a te... » sussurrò l'ombra, sparendo tra il rumore del tuono e la luce del lampo.
Viveva da tempo in quella casa, servendosi di ben poche cose, nonostante amasse continuare la sua vita da comune essere umano. Natura che gli era stata strappata molto, molto tempo addietro. Guardò il calendario ingiallito su cui era fissata la data del suo compleanno, ma un mugolio appena accennato tra le sue braccia colse la sua attenzione, strappandogli un sorriso. Lo posò sul letto accanto al caminetto, tra i cuscini più morbidi, per poi coprirlo con la coperta in velluto bianco. La creaturina aveva sì e no qualche mese, ma Shaoron non sapeva come determinarne l'età. Poteva avere tre mesi, o tre settimane. Non aveva mai visto un neonato, né l'aveva visto crescere. Era del tutto inesperto, da quel punto di vista.
Si sedette a fianco del bambino, sistemandogli la frangetta appena accennata.
Fu così che notò la targhetta, sulla quale era inciso un nome in caratteri italici: Yuui.
« Che senso ha abbandonarlo con questa addosso? » chiese nervosamente il ragazzo, sentendosi montare la rabbia come una marea. Quella madre non meritava di vivere: il solo pensiero di ferire quegli occhi azzurri come il cielo d'estate era qualcosa di abominevole.
Digrignò i denti, sentendo la sua aura espandersi per tutta la stanza.
Come un'onda, ricolma di rabbia, vagava per ogni angolo, ogni mobile, continuando per il resto della casa.
Danzava con le fiamme del fuoco, si diffondeva tra l'aere fuori dal caminetto, vagava fino al cielo, raggiungeva i confini della città.
Mille anni.
Mille anni d'immortalità che s'inchinavano al gemito tremante di un piccolo uomo: Yuui.
In quella casa abbandonata, davanti ad un fuoco acceso più per atmosfera che per calore, Shaoron pulì con una pezzuola bagnata le gote sporche del biondino ritirando il suo immenso potere.
Si appallottolò attorno al suo infante padrone, narrandogli la favola del re degli Elfi.
Piano, sussurrando, mentre la pioggia cadeva sui tetti.
Fuori imbruniva.
Ogni lampione si accendeva a poco a poco, accompagnato dalle luci delle case.
Incantato, il biondo stava seduto sul divanetto accanto alla finestra, osservando tutto con aria affascinata.
Shaoron non riusciva a fare a meno di guardarlo, mentre gli preparava un po' di latte caldo.
Stavano insieme da due anni, eppure il piccolo non aveva ancora detto la sua prima parola, né mosso il suo primo passo.
Gattonava, comunicava a gesti, in un modo così dolce che il moro tante volte si era trovato a stringerlo a sé con una risata, incapace di resistere a quella tenerezza innata che l'altro palesava con ogni suo comportamento.
Controllò che il liquido non fosse troppo caldo, calcolando che il bambino aveva un modo totalmente diverso di sentire e percepire le cose. All'iniziò, ricordò, si era trovato piuttosto in difficoltà, sotto quel punto di vista: la paura di fargli del male era tale da renderlo fobico di ogni cosa, anche di quella più assurda.
« Latte pronto, piccolo! » annunciò, girandosi verso Yuui.
S'impietrì all'istante, vedendolo in piedi, una rosea manina che si reggeva al divano per non cadere.
Il biondino si mordeva il labbro inferiore come un ossesso, concentrato a compiere quello che finora aveva fatto solo con l'aiuto del suo tutore. Mosse un passo, poi un altro.
Un altro, un altro ancora.
« Babà! » esclamò emozionato il bambino, stupito lui stesso da quello che stava facendo, mentre correva traballante verso Shaoron.
L'altro lo prese subito al volo e lo strinse a sé, ridendo dalla gioia.
« Dopo andiamo a prendere il rum, piccolo... » sussurrò in risposta, annusando estasiato il profumo del bimbo.
Nella sua solitudine, per molte notti si era chiesto se mai qualcosa avrebbe potuto cambiare la sua vita.
L'arrivo di Yuui era stato la risposta.
« Shaoron, non hai portato niente da mangiare! »
Il vampiro sbuffò, trascinandosi in casa con alcune casse di vino: « Non sono un mago, Yuui. »
« Ma io ho fame! » protestò il bambino.
Lasciandosi scappare un sorriso sardonico, il moro gli scompigliò i capelli, gentilmente: « Fuori dalla porta c'è quello che cerchi... »
Yuui lo fissò ad occhi sgranati, per poi correre fuori a guardare.
Trovò una borsa di viveri ed una scatola.
Perplesso, si voltò verso Shaoron, senza capirne il contenuto.
L'altro se ne stava posato alla porta con una spalla, rivolgendogli un'occhiata sorniona: « Domani cominci la scuola privata, pensavo ti servisse una divisa. »
Correndo ad abbracciarlo, Yuui rise felice: « Grazie! Grazie! »
Il sorriso di Shaoron s'incrinò, mentre gli baciava il capo: « Non posso più tenerti rinchiuso nella mia gabbia di cristallo... »
Sei anni erano passati da quando l'aveva celato al mondo.
Il diciottenne parlò con scioltezza, incantando tutti.
Le luci dell'enorme sala erano soffuse, solo quelle alle sue spalle risplendevano di tutto il loro fulgore, per concentrare su di lui l'attenzione. Non c'era nessuno che non ascoltasse quel giovane.
Era un genio, la sua cultura e il suo charme avevano un velato mistero dietro di sé.
Nessuno, certo, sospettava che l'origine di quell'abilità fosse un regalo ricevuto dal tutore che aveva cresciuto lo stesso ragazzo.
Shaoron sorrise soddisfatto al vedere come tutti, vecchi e giovani, rimanessero incantati ad ascoltare Yuui.
Conclusa la scuola col massimo dei voti, quella era la sua ultima serata come semplice studente.
Per quello, nonostante la riluttanza, il vampiro si era prodigato a venire ad ascoltarlo.
Non aveva fame, dato che da tempo aveva imparato a nutrirsi di cibi ben diversi dal sangue, ma il rischio di ricadere in quel brutto vizio di specie era sempre presente, cosa che non gli piaceva affatto.
Rilassando le spalle, Shaoron cercò di trovare un po' di tristezza di cui cibarsi, trovandone una fonte poco distante da lui: una tristezza copiosa, mista a contentezza, ad aspettativa, a sollievo.
Come potevano simili sentimenti stare insieme, mentre Yuui parlava offrendo a tutti la saggezza della sua filosofia?
Seccato, il moro aprì gli occhi, guardando verso quel rimescolio di pensieri.
Vide prima un moro, alto quanto bastava da coprire chi aveva a fianco, poi una zazzera di capelli biondo platino, tagliati disordinatamente poco sotto l'orecchio.
Occhi azzurri come il cielo.
Pelle bianca come la neve.
« Kurosama, è lui! Il mio fratellino! » parlò quel giovane, usando la voce di Yuui.
Un nodo alla gola serrò il respiro al vampiro, mentre si voltava a guardare il suo protetto, cercando una minima differenza.
Il giovane, notando il suo sguardo, fece per sorridergli.
Ma quando vide Shaoron voltarsi e scappare dalla sala, le parole gli morirono in bocca, riempiendolo di un sentore di panico.
Lo stesso che avvolgeva la creatura in fuga.
Picchiava l'albero con tutto sé stesso, lo graffiava, lo calciava, immaginando di avere davanti le due persone che aveva visto dentro alla sala. Il ragazzo aveva la stessa età, lo stesso aspetto...
Erano venuti a prendere Yuui, non poteva essere altrimenti.
Come aveva potuto anche solo pensare che tutto sarebbe continuato in quel modo perfetto?
Lui era un vampiro, una creatura maledetta dagli dei!
Le lacrime, se avessero potuto, sarebbero cadute copiose dal suo viso.
Sbatté la testa contro la dura corteccia della quercia, poi si lasciò cadere ai suoi piedi, nascondendo la testa tra le braccia.
« … Shaoron...? »
Un brivido freddo percorse la schiena del moro, consapevole ora di avere Yuui dietro di sé.
Cosa doveva dirgli?
Cosa NON doveva dirgli?
Se fosse rimasto in silenzio, portandolo via da quel posto, avrebbero potuto vivere ancora a lungo, finché Yuui non avesse preso la decisione di...
Grugnì, disgustato da sé stesso.
« Qualcuno è venuto a prenderti. » disse, senza sapere se ciò fosse vero o meno.
I pensieri erano troppo confusi per essere espressi in altro modo.
Soavi musiche di violini stavano in sottofondo, come colonna sonora dell'evento.
Shaoron stava sotto un albero di quercia, senza parlare, lo sguardo volto lontano, verso l'orizzonte.
« Che cosa vuol dire “qualcuno è venuto a prenderti”? » chiese il biondo, una mano stretta a pugno all'altezza del cuore.
« Devo forse dedurre che non sei in grado di comprendere il senso di una frase simile? » chiese il vampiro, sprezzante.
« Non ne capisco il senso! »
Una mano coprì il volto del moro, celando la sua espressione sofferta.
Yuui non riusciva a capire che gli stesse capitando. Shaoron era sempre stato gentile, nonostante il suo spiccato sarcasmo e la sua natura sovrumana. E allora perché quel tono, perché quella freddezza?
Diciotto anni passati insieme non erano pochi, non erano “niente”.
Come poteva qualcuno venirlo a prendere, se Shaoron l'aveva trovato quand'era stato abbandonato da piccolo?
« Non ti voglio più vedere. »
Voce secca, dura, tagliente.
Il biondo sollevò lo sguardo sul vampiro, boccheggiando.
« Sparisci dalla mia vista. »
« … Shaoron! »
Quello affondò un pugno nella corteccia dell'albero, voltandosi a guardarlo con un'espressione sul volto che pareva il ritratto della rabbia più nera. Tutto divenne più buio, quando incontrò lo sguardo del moro: l'occhio sinistro era nero come la notte, il destro freddo come il ghiaccio. Sembravano voler distruggere con lo sguardo ogni cosa, ogni persona. Persino lui.
Esitante, tremante, Yuui fece un passo verso di lui, ma Shaoron ringhiò subito al suo indirizzo, mostrandogli tutta la sua essenza di vampiro.
« Vattene. »
Ora era un sibilo, appena trasportato dal vento, che lo riempiva nell'animo, come un ordine inderogabile.
La volontà del biondo vacillò, mentre cercava di avvicinarsi di un altro passo.
« Dimenticami. »
Un comando, nella mente, una programmazione a cui non si poteva opporre.
Lo sguardo di Yuui si fece spento.
« Torna nella sala, troverai tuo fratello. Tornerai a casa con lui, dimenticandomi. Dirai che hai vissuto in un orfanotrofio e poi nel dormitorio della scuola. »
Una mano si alzò, tentando di opporsi.
« Dimenticami, piccolo... Dimenticami. »
Le dita sfiorarono il viso del vampiro, facendolo esitare.
« Yuui... »
La voce tremava, perdendo il suo potere a poco a poco.
« Non voglio... » gemette il biondo, cercando in tutti i modi di resistere « Tu mi hai cresciuto... Io ti... »
« Perdona questo vecchio vampiro, piccolo mio... »
Due dita gli sfiorarono la fronte, procurandogli un capogiro.
Yuui cadde a terra, privo di sensi, mentre un vento boreale gli raggelava le ossa.
Quando riaprì gli occhi, si chiese che ci facesse lì per terra, invece di stare dentro a festeggiare con tutti quanti la propria laurea.
Chissà perché era uscito.
Con quel tempo, per di più.
Guardò il nero delle nuvole palesare i primi lampi, confuso.
Doveva tornare, qualcosa gli diceva che c'era qualcuno ad attenderlo, all'interno.
Un'ombra aveva assistito a quel breve spettacolo, prima di scomparire nell'oscurità della notte