Autrice: Daegaer (
daegaer)
Traduttrice: Yulin (
bastet-x-cat)
Beta: Tabata (
melting-lullaby)
Titolo: Flights of Angels
Fandom: Good Omens
Personaggi: Aziraphale, Crowley
Rating: G
Conteggio Parole: 4400 (W)
Note:
qui potete trovare la storia orginale.
Dall'autrice: le wing-fic sono canon per Good Omens. Questa è l'equivalente di una wing-fic per Good Omens: una wingless-fic.
Era proprio una bella giornata: soleggiata e splendente, ma non troppo calda. C’era una brezza deliziosa che manteneva la temperatura molto piacevole. In breve, c’era un tempo perfetto per volare. Aziraphale non volava da tempo, ma non era una cosa che uno poteva dimenticare, dopo tutto. Sarebbe stato come svegliarsi avendo dimenticato come si cammina - si poteva essere fuori allenamento e rimanere facilmente senza fiato, ma non si poteva dimenticare. Questo era il motivo per cui Aziraphale si sentiva al sicuro e senza paura nonostante si trovasse sul limitare del suo tetto, sul punto di lanciarsi nel vuoto. Inspirò profondamente l’aria calda che sapeva di Londra e fece un passo avanti. E subito cadde per due piani, ritrovandosi in un mucchietto sconvolto e dolorante nel vicolo dietro il negozio.
***
Crowley si attaccò al clacson della Bentley e deviò bruscamente da una corsia all’altra. La M25 poteva essere un segno del male supremo - e lo era, avrebbe dovuto saperlo - ma non lo avrebbe sconfitto. Si lanciò attraverso il minuscolo spazio lasciato dalle ambulanze e dalle macchine della polizia che si stavano occupando dell’ultimo incidente e fu lontano prima che qualcuno potesse registrarlo come niente più che un vago senso di terrificante merda-che-cazzo-era-quell’enorme-cosa-nera? Il suo telefonino stava ancora suonando. Lo tirò fuori dalla tasca e controllò il numero. Ancora Aziraphale. Era la terza volta in un quarto d’ora. Bene. Avrebbe fatto meglio ad essere importante. Sfoggiò il suo miglior sibilo.
“Cosa?”
“Crowley,” disse Aziraphale, suonando scosso e spaventato. “Crowley.”
“Sì? Stai aspettando il Signore del Piano di Sopra? Che vuoi?”
“Cowley. Non riesco a volare, Crowley.”
“E allora prendi un treno.”
“No. Intendo… Intendo che non riesco a volare. Non ho le ali, Crowley.”
“Ti sei dato ancora a quell’orrendo whisky?” Lo prese in giro.
“Non sto scherzando. Non. Ho. Le. Ali. Ho bisogno che tu venga a trovarmi. Per piacere, Crowley. Per piacere.”
“Va bene. Sarò lì appena posso. Cerca di non farti prendere dal panico al volo prima di allora,” Crowley disse con un sorriso meschino.
Riagganciò e calcolò la distanza fino alla prossima uscita. Troppo lontana. Bene, ne aveva passata una che faceva al caso suo nemmeno tre minuti prima. La Bentely fece una graziosa ed elegante inversione a U e spaventò a morte tutti i guidatori che gli venivano incontro.
***
Si fermò di fronte alla libreria ed entrò nel negozio con tutta la calma del mondo. Aziraphale stava aspettando, facendo un buco nel parquet con il suo andirivieni.
Crowley era a malapena sulla porta quando dovette scrollarsi l’angelo di dosso.
“Smettila di arrampicarti su di me. Non è dignitoso,” disse infastidito. “Qual è il problema?”
“Non riesco a trovare le mie ali,” rispose Aziraphale nel tono calmo di chi sta per avere una crisi isterica. “Prima sono saltato dal mio tetto e…”
“Non immaginavo fossi il tipo da tentare il suicidio.” Ridacchiò Crowley.
“Volevo volare,” affermò con gran dignità. “Ma le mie ali non si sono spiegate. Non si sono spiegate perché non erano lì. Non so cosa fare.”
Si sedette pesantemente sulla sedia dietro al bancone. Crowley era già pronto a disgustarsi per averlo visto piangere quando si accorse che gli occhi dell’angelo erano asciutti. Stava fissando il vuoto, e sembrava che stesse cercando di ricordare qualcosa di importante.
“Mi sono rotto la gamba,” disse improvvisamente, “faceva davvero male. Anche quando mi sono curato, faceva male.”
“Non essere stupido,” disse Crowley a disagio. “Era solo la tua immaginazione. Vuoi che te la controlli?”
Aziraphale scosse la testa.
“Ti faccio una tazza di the,” disse cercando di allontanarsi da quell’Aziraphale così insolitamente calmo e triste.
Entrò e uscì dal cucinino. Ovviamente l’angelo doveva aver fatto qualche errore, e ora si era convinto di quell’insensata storia della mancanza di ali. La gente non perdeva gli arti durante la notte. Ciò che occorreva fare era ficcargli in testa un po’ di buon senso. Riportò la tazza di the e la fece bere ad Aziraphale.
“Ora,” disse “Perché non cominci dall’inizio? Hai deciso di farti una volatina, e…?”
“E non avevo le ali,” concluse senza tono. “Voglio le mie ali, Crowley.”
Crowely non poteva farci niente. Lanciò uno sguardo alla campana sopra la porta e la fece suonare.
“Quando senti una campana suonare…*” iniziò allegramente.
La tazza di the lo colpì in faccia.
“Non ridere di me, bastardo!” Urlò Aziraphale.
Crowley rimase agghiacciato sul posto. Aziraphale gli aveva lanciato in faccia del the bollente. Aziraphale aveva imprecato. Ad Aziraphale sembrava non importare che i libri sul bancone si fossero bagnati con il the che non era finito addosso a Crowley. Questa era una cosa seria.
“D’accordo,” disse. “D’accordo. Usciamo fuori. Non riesco a pensare se sono circondato dagli acari dei libri”.
Rimuginò fino allo sfinimento e trascinò Aziraphale fuori verso la macchina. Guidò tranquillamente fino a Mayfair e accompagnò gentilmente Aziraphale fino all’appartamento. Fece sedere l’angelo su una poltrona con tanti cuscini e gli disse di non muoversi. Sapeva esattamente come calmarlo ed era piuttosto sicuro che nel freezer ci fosse una grossa torta gelato al cioccolato - calma angeli. Quando tornò in salotto con una grossa fetta di torta tentatrice, Aziraphale se n’era andato. Crowley appoggiò con cura il piattino sul tavolino da caffè - non c’era alcun motivo per farlo cadere in maniera melodrammatica, non in presenza di un tappeto bianco - e si aggirò predatorio fino all’ingresso. La porta del bagno era chiusa. A chiave.
“Stai bene?” chiamò. “Ti senti male?”
Non ci fu alcuna risposta. Appoggiò un orecchio alla porta.
“Aziraphale?”
Poteva sentire qualcosa. Un mormorio basso e ritmico. Non sembrava inglese. Si concentrò e colse la parola “sacro” e “angelo” e, poteva giurarci, un “venite, da questa parte.”
Non c’era alcun motivo per aspettare, pensò, e sfondò la porta con un calcio. Aziraphale era inginocchiato all’interno di un cerchio disegnato sulle mattonelle, con candele di vario tipo posizionate tutte intorno a lui. Crowley corse dentro, calciò via le candele e cancellò il cerchio con un piede. Sapone. Il bastardo lo aveva disegnato col sapone. Trascinò fuori dal bagno Aziraphale che si stava lamentando debolmente.
“Come osi cercare di contattare il paradiso nel mio bagno!” sibilò furiosamente.
“Volevo solo una guida,” rispose abbattuto. “Mi sento così… incompleto.”
Crowley alzò gli occhi al cielo, lanciò uno sguardo ad Aziraphale e meditò sul da farsi. Pensò che poteva iniziare col levarsi gli occhiali e alzare ancora gli occhi al cielo. Decise di spingere di nuovo l’angelo sulla poltrona e dargli la torta.
“Ecco, mangia,” disse. “Comportati a modo, d’accordo?”
Aziraphale iniziò a cincischiare con la torta fino a ridurla ad un pasticcio di cioccolato. Era una cosa molto seria, pensò Crowley. Portò di nuovo via il piatto.
“Oh, d’accordo. Mostrami queste benedette ali.”
Aziraphale si alzò piano e sembrò che si stesse concentrando profondamente.
“Stavo per suggerirti che forse avresti voluto toglierti la maglietta, prima,” disse Crowley.
Aziraphale gli lanciò uno sguardo molto amareggiato.
“Qual è il problema? A quanto pare non ci sono ali che possano rovinarmela.”
Crowley gli si mise dietro e fece scorrere una mano lungo le scapole. Era tutto normale, se per te la normalità significava “non in possesso di un dannato paio di grandi ali.”
“Non so che dire,” commentò. “E te ne sei accorto solo oggi? Quand’è stata l’ultima volta che hai volato?”
Aziraphale sembrò colpito.
“Non lo faccio da un po’ di anni. Oh, cielo. Non so da quanto tempo se ne siano andate.”
“Hmm. Beh, cercando i lati positivi: sei ancora capace di curarti, no? Hai detto che ti sei curato la gamba. E sei ancora immortale, credo. Quindi, non sei stato trasformato in un essere umano mentre non stavi guardando. Hai solo perso le ali. Hai solo un handicap a livello alare. Sei…”
Una tazza fumante di the apparve nella mano di Aziraphale, ed era tenuta in maniera molto minacciosa.
“Non è che io sia insensibile nei confronti della tua perdita,” si giustificò spaventato. “E tu hai appena confermato la mia teoria sulle tue abilità rimaste.”
Aziraphale sorseggiò il the e lo scrutò.
“E quand’è stata l’ultima volta che tu hai volato, Crowley?” chiese in tono velenoso.
“Piuttosto di recente,” mentì Crowley. “Vuoi berci su del whiskey?”
Aziraphale gli porse la tazza e gliela fece riempire con una massiccia dose di Glenfiddich.
“Torno subito,” disse Crowley con calma ed entrò con noncuranza nella stanza da letto, dove si tolse freneticamente la giacca e la camicia e spiegò le ali. Oh, merda. Niente. Chiuse gli occhi, e pensò alla sensazione del vento che gli accarezzava le ali. Niente. Cercò di immaginare la sensazione provata nello stendere le ali e scuoterle per bene.
“Ora non stiamo ridendo, vedo,” commentò acido Aziraphale dalla porta.
Aveva lasciato perdere il the, notò Crowley, e stava bevendo il whisky direttamente dalla bottiglia. L’angelo entrò nella stanza e camminò intorno a Crowley.
“Cielo, Crowley,” disse. “Sembra che tu non abbia le ali.”
Crowley tese il braccio in cerca della bottiglia. Ubriacarsi subito sembrava un’ottima idea.
***
“Non folavo da anni,” farfugliò Crowley, gettando speranzoso un’occhiata nella bottiglia di Hennessey’s. “La bashtarda è vuota,” decretò solennemente.
“Tieni,” disse Aziraphale passandogli la bottiglia di Irish Mist che stava coccolando.
“Quella roba è piscio del diavolo,” disse Crowley. “E non chiedermi come fasho a shaperlo.”
Aziraphale iniziò a ridacchiare, e cascò lentamente sul tappeto. Agitò debole una mano e Crowley la interpretò come una richiesta d’aiuto. Rimise in piedi l’angelo. Aziraphale fissò lo sguardo sull’ Irish Mist come meglio poteva e fece pochi, mistici passi.
“Che tu shia curato,” ridacchiò, e prese un sorso.
“In cosa l’hai trashformato?” Chiese Crowley.
“Absholut Peppar.”
“Pashiabile, dammelo”
Dopo che ebbero svuotato il mobiletto degli alcolici di Crowley un paio di volte, crollarono.
***
Crowley si svegliò con l’impressone che l’Orda d’Oro si fosse accampata nella sua bocca. C’era un chiaro sapore di yurta. Gli piacevano i khan, pensò confusamente. Gran senso dell’umorismo. Nonostante il latte fermentato di giumenca. Quello non era un granchè. Si accorse di esser sdraiato su qualcosa di bitorzoluto. E di esser sul pavimento. Il suo tappeto non avrebbe dovuto essere bitorzoluto. Si riaddormentò. Un po’ più tardi si svegliò con il terribile bisogno di andare immediatamente al bagno, e la terribile consapevolezza che se avesse anche solo sollevato un sopracciglio l’orda avrebbe iniziato a galoppargli per tutta la testa. La cosa bitorzoluta mugolò e cercò di strisciare via. Crowley aprì un occhio e sussultò quando iniziò la furia dei Mongoli.
Sembrava che fosse sopra Aziraphale, il quale non dava segno di aver capito perché non stesse andando molto lontano.
Crowley rotolò via e decise che muoversi non era stata una grande idea. Non c’era da meravigliarsi se lo chiamavano drink del demone. In tutta sincerità, voleva morire.
“Asssssrefel,” gracchiò. “Sto morendo. Uccidimi, subito. O curami.”
“Urgh.”
Gli crollò una mano sulla faccia.
“Guarisci subito,” mormorò Aziraphale.
Come medicazione era una po’ melensa ma utile, almeno un po’. Crowley si alzò barcollando e guardò confusamente giù, in direzione dell’angelo sporco di drink. Aziraphale lo stava guardando implorante, ma Crowley aveva improvvisamente cose molto più importanti di cui preoccuparsi.
“Torno subito,” rantolò e corse verso il bagno.
Quando ritornò, sembrava che Aziraphale stesse cercando di lavorare sulla posizione fetale partendo dalle basi. Crowley lo rimise in piedi senza troppi complimenti ed eliminò gli effetti dell’alcol. Entrambi ondeggiarono e poi si precipitarono in cucina.
“Dimentico sempre quanto odio i postumi,” bofonchiò Aziraphale con la bocca piena di tartufo al cioccolato.
“Uh- huh,” concordò Crowley, ingurgitando una vangata di cocktail di gamberetti.
“Hai del pane? Voglio un toast.”
Crowley indicò con la mano il paniere. Aziraphale sollevò un sopracciglio per ciò che conteneva.
“Il sole ha seccato la focaccia al pomodoro? Non hai niente che assomigli a del pane?”
Crowley materializzò del pancarrè e glielo passò. Aziraphale infilò il pane in un tostapane che non c’era fino a pochi secondi prima.
“Che facciamo?” Domandò.
Crowley scrollò le spalle.
“Non sono sicuro che ci sia molto che possiamo fare,” rispose. “Non è che questo cambi molto la nostra vita quotidiana. Tutto ciò che possiamo fare è andare avanti.”
“Io voglio davvero volare,” disse Aziraphale malinconicamente.
“Solo perché non puoi. Prima eri del tutto tranquillo mentre camminavi o prendevi un ascensore.
Non avresti volato per cento metri se avessi potuto evitarlo.”
Aziraphale assunse un’espressione stoica e coraggiosa.
“Sì, hai certamente ragione. Dovremo farne a meno. Immagino sia la nostra croce da sopportare.”
Crowley fece una smorfia.
“Per piacere, non usare quell’espressione davanti a me,” disse.
***
Non gli aveva cambiato molto la vita, pensò. A parte il bisogno di arrampicarsi in alto e poi buttarsi giù. Non cedeva a quel bisogno troppo spesso, perché non era poi così appagante doversi trasformare in un uccello quando ciò che avrebbe voluto, invece, era sentire le proprie ali. Non poteva farle apparire. Poteva diventare una creatura con le ali, certo. Ma non poteva assumere la sua vera forma. Aziraphale la stava prendendo molto male, lo sapeva. C’erano libri d’arte religiosa (nascosti, stipati) in tutto il suo negozio, con segnalibri infilati dentro. Crowley non si era preoccupato di guardarne più di uno. Perché crogiuolarsi nella sofferenza? Ad Aziraphale piaceva molto crogiuolarsi. Alla fine, Crowley esplose quando passò a trovarlo e vide che aveva decorato il negozio con quelli che sembravano i peggiori biglietti di Natale degli ultimi cinquant’anni. Quelli più pacchiani erano sicuramente stati comprati ad una copisteria ed erano stati ingranditi fino ad una misura A3.
“Basta così!” Ruggì Crowley. “Smettila con l’autocompatimento! Non abbiamo le ali! Fattene una ragione!”
L’unico cliente del negozio fuggì. Aziraphale chiuse immediatamente la porta a chiave nel caso che qualche altro amante di libri avesse osato entrare.
“Mi piace l’arte,” si difese.
“A nessuno piacciono queste opere d’arte. Non avere pena per te stesso. Abbine per me, piuttosto, tanto per cambiare.”
“Mi sembrava che avessi detto che dovrei passare oltre? Io dovrei passare oltre mentre tu no?”
“Sei patetico,” sibilò Crowley. “Dannatamente patetico. Lo sei sempre stato. Hai perso la tua spada, le tue ali - ultimamente hai controllato di avere l’aureola? Perché non provi ad affogare i tuoi dolori in un paio di litri di gelato al cioccolato?”
Uscì furiosamente dalla porta, quasi scardinandola. Era troppo arrabbiato per salire in macchina, così si mise a camminare furibondo lungo la strada. Sentì dietro di lui dei passi di corsa. Che il bastardo chiedesse pure scusa per esser un frignone, non gli importava. Aziraphale stava urlando qualcosa.
Si accorse sobbalzando che si trattava di coordinate. Il bastardo stava gettando fuoco. Su di lui. Si girò e saltò sull’angelo prima che potesse concludere l’evocazione. La gente li sbirciava mentre si azzuffavano. Entrambi fecero subito un passo indietro, tremendamente imbarazzati.
“Mi spiace,” mormorò Crowley.
“Sì. Anche a me,” disse Aziraphale, guardandosi i piedi.
“E’ un po’ di stress,” propose Crowley.
“Um. Non avrei comunque dovuto cercare di annientarti.”
“Avanti. Abbiamo bisogno di cambiare aria.” Disse Crowley.
Mise l’angelo sulla macchina e non smise di guidare finchè non raggiunsero il Distretto dei Laghi.
“Che hai intenzione di fare?” chiese Aziraphale, mentre Crowley stava prenotando l’ostello.
“Passeremo un po’ di tempo qui. E passeggeremo. Molto. E staremo in questo ostello merdoso - senza offesa, signorina - e poi, quando saremo completamente stufi di questo posto, ce ne andremo a casa e saremo grati per i benefici della civilizzazione come i motori a combustione interna e una decente industria alimentaria.”
“Oh. Possiamo comprare dei souvenir?”
“Sì. Certo, puoi se vuoi.”
Nel corso della settimana sucessiva cacciò l’angelo su e giù per le colline e le valli finchè Aziraphale fu pronto a far piovere fuoco su ogni sventurato narciso in cui si imbatteva. Quando Aziraphale si lamentava che stava diventando tardi, Crowley gli ricordava che non avevano bisogno di dormire e che comunque Crowley poteva vedere al buio. Fu lieto di scoprire che, dopo aver camminato per tutta la notte, Aziraphale diventava molto docile. Il panorama era meraviglioso e a nessuno dei due era rimasta una sola briciola di energia da dedicare all’autocompatimento.
Dopo la prima settimana, Aziraphale non si stava più lamentando né frignava più tra sé. Crowley non credeva nelle conversioni, così continuò ad obbligare l’angelo a camminare per le colline.
Dopo un’altra settimana, Aziraphale lo stava seguendo su per le colline e rideva di cuore quando voleva una pausa. Gli stava facendo bene, pensò Crowley mentre guardava Aziraphale allegro e con le gote arossate. L’angelo agitò un comune fiore selvatico sotto il suo naso, e Crowley concordò che sì, era molto bello.
Dopo un mese, Crowley era pronto ad andare a casa. L’aria fresca non aveva lo stesso confortevole odore di petrolio dell’atmosfera londinese. Affrontò l’argomento a cena.
“Sei pronto a tornare a Londra?” Domandò.
Aziraphale si adombrò e smise di raccontare la sua storia sugli usi medicinali della famiglia delle margherite.
“No,” rispose.
Crowley sorseggiò il the. L’angelo sembrava irremovibile. Non c’era modo di convincerlo. Cambiò discorso.
“Ti va di fare una nuotata domani?”
“Non essere stupido,” Aziraphale disse sorpreso. “In questi laghi? Congeleremmo.”
Era partito, pensò Crowley mentre Aziraphale iniziava a dargli lezioni sulla temperatura dell’acqua e quella dell’aria, l’ importanza del fattore vento fresco e sul perché le foche riuscivano a nuotare nell’Antartico. Aziraphale tornava il vecchio se stesso quando aveva qualcosa su cui cianciare ma sembrava che il discorso sul tornare a casa fosse stato completamente tagliato fuori.
***
Alla fine della sesta settimana Crowley decise di rassegnarsi alla vita rurale. L’aria fresca aveva un suo fascino, e gli faceva pensare agli anni in cui era la norma. Le occasioni per tentare ed opporsi al bene non erano nemmeno tanto male, soprattutto d’estate. Sebbene, una volta finita la stagione turistica, probabilmente avrebbe dovuto dirigersi verso qualche cittadina per tenere alta la sua media. Potrei lasciarlo qui, pensò, starebbe bene. Ci pensò su per un intero giorno finchè non realizzò che lui e Aziraphale non sarebbero stati in contatto. Se ne sarebbe andato in giro, vagolando, e non era il caso di suggerigli di prendere un cellulare. Crowley sarebbe stato nei guai se avesse dovuto riferire che non sapeva dove si stesse nascondendo l’agente del Paradiso. E, ovviamente, l’Accordo sarebbe andato alla malora. No, decise, abbandonare Aziraphale sarebbe stata una brutta idea.
Di certo, era difficile non abbandonare Aziraphale quando insisteva nel girovagare fuori dal percorso, fermandosi ad esaminare i fiori o le lumache o le mosche. Era come se si stesse preaparando ad un’audizione per un programma sulla natura a basso costo, pensò Crowley mentre si girava a vedere dove fosse andato a finire Aziraphale.
“Aziraphale! Muoviti!” Urlò Crowley.
L’angelo alzò lo sguardo dalla sua ultima scoperta, lo guardò attraverso la luce del crepuscolo e lo salutò allegramente.
Crowley ghignò e fece un passo indietro. Farlo correre per raggiungerlo gli avrebbe fatto bene. Il piede scivolò sull’erba bagnata e sentì la caviglia storcersi sotto di lui. Il dolore era forte, ma niente che non potesse curare con il pensiero di un momento. Purtroppo per lui, la sua concentrazione svanì con la caduta che seguì il suo tentativo di compensare spostando il peso sull’altro piede. Con niente di più che un senso di sorpresa -perlomeno all’inizio- Crowley si ritrovò a scivolare giù lungo la scarpata sempre più rapidamente. Dietro di sé poteva sentire Aziraphale urlare il suo nome.
Si riposò contro un affioramento di roccia. Per esser precisi, pensò confusamente, aveva abilmente frenato la caduta colpendo l’affioramento con la testa. C’era qualcosa che doveva fare, ma non riusciva a ricordarsi cosa. Aveva un brutto mal di testa e voleva farsi un sonnellino. Si sentì al caldo e al sicuro chiudendo gli occhi.
Ci fu un gran rumore di scivolata e qualcuno lo stava chiamando. Aprì un occhio per ritrovare Aziraphale accovacciato su di lui, senza fiato e con un aspetto più stupido del solito.
“Ciao,” salutò mezzo addormentato.
“Idiota! Stupido! Cretino!” Disse Aziraphale posandogli una mano sulla fronte.
Il senso di confusione scomparve e sentì molto più feeddo. Si sedette, accigliandosi alla vista della chiazza di sangue sulla roccia. Sarebbe stato un modo imbarazzante di andarsene. Sarebbe stato ancora più imbarazzante continuare a rotolare giù fin dentro al lago più in basso. La caviglia non gli faceva più male, e in effetti avvertiva quella sorta di freddo formicolio che indicava che Aziraphale ci aveva lavorato su. Crowley guardò su verso la collina e fischiò. Fu grato di non aver avuto il tempo di accorgersi quanto fosse ripida mentre stava cadendo.
“Come sei arrivato quaggiù?” Chiese.
“Sono scivolato, e mi sono arrampicato dove dovevo. Idiota, perché non hai guardato dove stavi andando? Avresti potuto ammazzarti. L’hai quasi fatto.”
Crowley spazzò via il discorso muovendo la mano con nonchalance, e poi si fermò a pensare.
La luce non era per niente buona, e Aziraphale non poteva vedere al buio. L’angelo si era arrampicato lungo un pendio che riusciva a malapena a vedere. Al pensiero, Crowley dapprima si spaventò e poi si arrabbiò.
“Lascia perdere me, tu sei un idiota per essere sceso qui con questa luce. Sei pazzo?”
“Beh, se fossi stato in grado di volare sarei sceso più velocemente e con meno rischio. Mi dispiace di essermi precoccupato,” disse seccato.
“Perché non sei diventato un dannato gufo o qualcosa del genere?” chiese Crowley.
“Il mio primo istinto mi ha detto di non trasformarmi in qualcosa che avesse in bocca il sapore di topo,” rispose freddamente. “Perché non ti sei trasformato in un uccello e non mi hai risparmiato il disturbo?”
Crowley aprì la bocca e poi la richiuse. Ripensò alla sensazione del suo piede che cedeva e alla caduta che stava iniziando. Inutili istinti, pensò.
“Perché il mio primo istinto è stato quello di aprire le ali e volare,” disse lentamente.
E nel momento in cui lo disse qualcosa scattò dentro di lui. Comprese che non aveva mai creduto che le sue ali fossero sparite. Aveva pensato che sarebbero state lì quando ne avrebbe avuto bisogno, che lo avrebbero sostenuto su nel cielo a cui apparteneva. Stupido, stupido. Non gli avevano impedito di cadere. Il pensiero lo colpì duramente. Aziraphale lo stava guardando da vicino.
“Stai piangendo,” disse.
“Vento negli occhi,” disse Crowley, improvvisamente molto stanco. “Tutto qui.”
“Ho volato sul Sahara una volta, a mezzanotte,” disse piano Aziraphale. “Il cielo era di un blu molto pallido e il deserto era quasi bianco. Ero la sola creatura vivente, la sola cosa che si muovesse. Stavo volando al massimo della velocità ma era come se non mi stessi muovendo. Era come… mi sentivo… pensavo quasi…,” balbettò. “Ora non ha alcuna importanza,” disse.
Si strinse nelle braccia e iniziò a piangere. Crowley distolse lo sguardo. Doveva materializzare un nuovo paio di occhiali da sole, pensò. Avrebbero impedito al benedetto vento di entrargli negli occhi. Si nascose il viso fra le mani e tremò per la perdita.
***
Finalmente tranquilli, si sedettero sulla cima della collina. Crowley lanciava spesso occhiate furtive ad Aziraphale, ma l’angelo sembrava sempre completamente perso nella contemplazione del cielo. Crowley si chiedeva se stesse cercando altri angeli, o se stesse semplicemente osservando le stelle. Il cielo si stava schiarendo quando Aziraphale, infine, parlò.
“Dovremmo tornare a Londra,” disse. “O in qualche altro posto con delle persone. Stiamo trascurando il nostro lavoro.”
La sua voce era triste ma calma. Crowley lo scrutava furtivo.
“Stai bene?” Chiese.
“Sì,” disse Aziraphale. “Sto bene. Tu?”
“Yeah.”
Rimasero di nuovo in silenzio. Il viso di Aziraphale era tranquillo, pensò Crowley. L’angelo sembrava aver raggiunto un certo equilibrio interiore. Crowlet sentì immediatamente il bisogno di strapparglielo via.
“Bel tempo per volare,” disse.
“Sì. Lo sarebbe.”
Crowley si sentì in colpa per aver detto una cosa così meschina, vedendo come fosse cambiata quell’espressione calma. Aziraphale meritava di meglio, pensò, e cercò il modo di scusarsi sottilmente.
“Le tue ali erano sempre un disastro,” disse in tono amichevole e scherzoso. “Almeno non dovrai più preoccuparti di lisciartele.”
Aziraphale gli lanciò uno sguardo vagamente esasperato, e poi scosse la testa per una sorta di divertimento personale.
“Non avevo nessuno che lo facesse per me,” disse.
Crowley annuì. Era difficile lisciarsi da soli le ali, e gli angeli se lo facevano l’un l’altro. Riemerse il fantasma di un ricordo, la sensazione delle dita di qualcuno che scorrevano fra le sue piume, la risata oltre alle sue spalle per qualcosa. Non si ricordava il perché di quelle risate, o la faccia o il nome dell’angelo che lo stava lisciando. Era passato. Le sue ali erano sempre state perfettamente lisciate dal momento in cui era caduto. Nessun demone assennato avrebbe permesso a qualcun altro di avvicinarsi alla propria schiena indifesa. I demoni usavano spazzole e pettini e avevano ali ben lisciate. Gli angeli usavano le loro dita e non sembravano così in ordine. Però, avevano amici. Appoggiò la mano sulla spalla di Aziraphale.
“Io l’avrei fatto per te,” disse.
Aziraphale gli regalò un sorriso riconoscente, e gli prese l’altra mano.
“E io avrei lisciato le tue,” disse.
“Grazie,” disse Crowley.
Sorrise, perlopiù a se stesso. Era stato un modo di scusarsi piuttosto indolore.
“Non le apprezzavamo,” disse Aziraphale.
“Scusa?”
“Non lo facevamo. Per tutto il tempo camminavamo o usavamo la tua machina. Forse è per questo che le abbiamo perse. Ci mancano ora che non ci sono più, ma non le abbiamo mai apprezzate quando le avevamo.”
“Gli umani scrivono canzoni su queste idee, Aziraphale. Sto per sentirti alla radio?”
Aziraphale sorrise, e gli strinse forte la mano.
“Apprezzo la tua amicizia, Crowley,” disse. “Non voglio perderla. Sei un tipo a posto.”
Crowley sbuffò e preparò una risposta pungente. Si fermò. Non c’era nessun altro ad ascoltare e gli sarebbe dispiaciuto perdere il suo compagno di bevute. E l’Accordo, ovviamente. Battè una pacca sulle spalle dell’angelo.
“Anche tu mi piaci,” disse con un tocco di scherno nella voce.
Si sentiva piuttosto strano ad averlo detto ed avvertì un senso molto forte di deja vu. Lo liquidò come una cosa di nessuna importanza e battè un’altra pacca sulle spalle di Aziraphale, ottenendo in risposta un'altra stretta di mano. Buon vecchio Aziraphale, non così male, per essere un angelo.
In quel momento il cielo era molto chiaro e bioccoli di nuvole si stagliavano pallidi sopra di loro. La luce riempiva la valle sotto di loro e brillava sull’acqua del lago. Questo è il giorno, Crowley pensò, senza permettersi di finire quel pensiero.
“Sarà una bella giornata. Questo è un bel mondo,” disse. “Dovremmo essere grati per questo.”
“Sì,” disse Aziraphale, sorridendogli senza riserve. “Oh, sì.”
* Citazione da “La vita è una cosa meravigliosa”: quando suona una campana, un angelo mette le ali.