Titolo: He Was Caught In The Middle Of A Desperate Fight, And She Couldn't Find How To Pull Through
Autrice:
lisachanoando (
lizonair)
Beta: Nessuno \o\
Capitolo: 1/1.
Fandom: Marvel's Avengers: Age Of Ultron
Personaggi/Pairing: Pietro Maximoff/Wanda Maximoff, Steve Rogers, Clint Barton.
Genere: Drammatico, Introspettivo.
Rating: NC-17.
Avvertimenti: Het, Incest, Angst, Lemon, What If?.
Wordcount: 2192
Riassunto: "La casa è piccola, ma pulita e ordinata. Pietro non ha mai vissuto in una casa come questa, una casa tutta per lui e per Wanda, con lo steccato bianco, da film, e il giardino di fronte, un po’ incolto, ma basterà curarlo un pochettino per farlo diventare splendido, con l’erba verde smeraldo e rada ma soffice, e la terra che puoi sentire friabile e un po’ umida sotto le piante dei piedi quando cammini scalzo al mattino, diretto verso la cassetta della posta - chissà cos’avrà lasciato il postino per loro?"
Note: Ora, io potrei dire di aver scritto questa storia per la terza settimana delle
Badwrong Weeks, a tema incest, su prompt Avengers: Age Of Ultron, Pietro Maximoff/Wanda Maximoff, "Crea un'illusione per me", e ciò sarebbe idubitabilmente vero, ma la vera verità sarebbe che I'M NOT OVER PIETRO ma per niente proprio, tipo che è passato un mese da quando ho visto Age of Ultron e da allora l'ho pure rivisto ma nulla, non riesco ad essere over questa cosa. Pertanto, denial. Ecco. Questa storia è stata scritta perché DENIAL. Poi le persone che l'hanno letta hanno sofferto uguale, ma questo non è dipeso da me \o\
HE WAS CAUGHT IN THE MIDDLE OF A DESPERATE FIGHT, AND SHE COULDN’T FIND HOW TO PUSH THROUGH
La casa è piccola, ma pulita e ordinata. Pietro non ha mai vissuto in una casa come questa, una casa tutta per lui e per Wanda, con lo steccato bianco, da film, e il giardino di fronte, un po’ incolto, ma basterà curarlo un pochettino per farlo diventare splendido, con l’erba verde smeraldo e rada ma soffice, e la terra che puoi sentire friabile e un po’ umida sotto le piante dei piedi quando cammini scalzo al mattino, diretto verso la cassetta della posta - chissà cos’avrà lasciato il postino per loro? Cartoline, lettere, pubblicità, la bolletta della luce e quella del gas? A Pietro andrebbe bene anche questo. Aprirebbe la busta e leggerebbe l’importo e tornerebbe in casa borbottando quello stupido arricciacapelli, Wanda, quello stupido arricciacapelli sempre acceso, neanche ti stanno bene i boccoli, ti preferisco liscia, sei tanto più bella al naturale, sei tanto più bella così come sei, vieni qui, dammi un bacio, dammene un altro, tutto perdonato, la bolletta non è poi così cara, arriccia i capelli tutte le volte che vuoi, amore mio, sai che sei bellissima sempre, sempre, sempre.
Wanda riderebbe come fa sempre, sei così stupido, gli direbbe, suonerebbe come “ti amo” ed a Pietro esploderebbe il cuore dalla gioia come ogni volta, ogni singola volta. Non potrà mai abituarsi. A quell’esplosione improvvisa. Al groppo di amore che lo soffoca.
Forse nella cassetta della posta non ci sarebbero bollette né pubblicità, però. Niente di così impersonale e freddo, ci sarebbe una lettera, una lettera dei loro genitori, sono così lontani, lui e Wanda hanno chiesto loro così spesso di trasferirsi negli Stati Uniti, sarebbero più vicini, sarebbe più facile, cominciano ad essere anziani, ormai, no, Wanda, no, così la tiri troppo, la tiri troppo e se la tiri così tanto si spezza, i loro genitori non ci sono più, non ci sono più da sempre, e questa è un’illusione alla quale Pietro non può credere, perciò Wanda frena bruscamente, torna indietro, indietro, Pietro non ha bisogno di una felicità perfetta, gli serve una felicità imperfetta, realistica, lontana dalla cassetta della posta, è a metà strada adesso e Wanda è lì, in cima alle scale sul porticato, di fronte alla porta smaltata color panna, lo chiama, Pietro, dove vai?, vieni qui, il postino non è ancora passato, e Pietro si volta e la vede, avvolta nella camicia da notte corta e bianca, semplice, da bambina, le bretelle sottilissime che le scivolano giù per la curva delle spalle, la punta dei capezzoli in rilievo attraverso il cotone sottile.
Calamita la sua attenzione e Pietro torna indietro, muovendosi lento verso di lei. Per un secondo gli sembra che tutti i suoi movimenti siano lenti, così inusualmente lenti da frustrarlo, ma si riprende subito quando la raggiunge, la tocca, le accarezza i capelli. Sei bellissima, le dice, gli sembra di sentire la propria voce ma non le proprie labbra muoversi, è così bizzarro, sente un solletico sotto la pelle come se volesse muoversi e non ci riuscisse, ma quando guarda le proprie mani percepisce il movimento, le dita che si stendono e si ritirano, che scorrono sulla pelle di Wanda, e lei che sorride con quelle labbra rosse e piene, e tutto si anima, dentro di lui, ogni cellula, ogni molecola, ogni particella, il suo corpo risponde a quello di Wanda a un livello subatomico, l’eco di risonanza che parte dal suo sorriso riverbera in quello di Pietro, lo fa più largo, più sincero.
Vieni dentro, dice Wanda, la sua voce riecheggia un po’, è così strano, sono fuori in giardino e Pietro ha come l’impressione di trovarsi sotto una cupola enorme e vuota, una cupola di cui non vede l’orizzonte, di cui non percepisce la curvatura. Il cielo sembra cielo anche se è cielo solo in trasparenza.
La segue in casa, dove tutti i mobili sono in legno chiaro, come nella casa dei loro genitori. Il tavolo, la credenza, i mobili della cucina, perfino lo sportello del frigorifero. Dalle finestre entra la luce dorata del sole, passa attraverso le tendine ricamate e proietta forme vagamente geometriche sulla parete di fronte, regolari ma allungate. Ondeggiano un po’ contro le assi ricoperte di venature e Pietro, ipnotizzato, le segue con le dita. Le ombre restano proiettate sul dorso della sua mano, come tatuaggi temporanei. Come lui sfiora la parete, Wanda sfiora la sua pelle. Non hai fame?, gli chiede, ho fame, ho fame, risponde Pietro, non solo di cibo, ma anche di quello. Gli brontola lo stomaco e allo stesso tempo lo sente stretto in una morsa dolorosa, la voglia che lo scuote da dentro, gli stritola le viscere.
Wanda gli dà le spalle, adesso, tutta impegnata a mescolare qualcosa in una ciotola gigante di un verde così brillante che Pietro fa una smorfia solo a vederlo. La plastica è traslucida e quando i raggi del sole la attraversano tutta la stanza diventa verde, anche se è una tonalità più tenue, più scura, come il colore del prato all’esterno. Pietro si sente rassicurato, ripensa al giardino, a tutto il lavoro che ci sarà da fare. Sorride.
Cosa fai, le chiede, la sua voce non riecheggia come quella di Wanda, ha una consistenza diversa, ma va bene così, è come se Wanda gli parlasse attorno, circondandolo, inglobandolo, è come se lui le parlasse dentro.
Lei risponde pancake, e lui fa un’altra smorfia. E chi ti ha insegnato a farli?, le chiede, Rogers, risponde lei, le labbra che si arricciano agli angoli in un sorriso da monella. Pietro aggrotta le sopracciglia, le stringe le dita attorno ai fianchi, quando si è avvicinato?, non ricorda di averlo fatto, ma è stato veloce, e questo va bene, sentire il corpo che risponde agli stimoli, le gambe che girano, girano, come il motore di una macchina, preciso, compatto, da zero a cento in un decimo di secondo.
Passi un sacco di tempo con Rogers, no?, le chiede ruvido, e Wanda ride, gli si rigira fra le braccia liquida come acqua, tanto che lui sente il bisogno di stringerla d’improvviso, premersela contro per sentirla. Ti ho persa per un secondo, le sussurra contro il collo. Lei gli accarezza i capelli, il suo corpo si adatta alle sue forme. Scusa, dice, non succederà più. Vuoi giocare ancora?
Pietro chiude gli occhi e scuote il capo. Non è geloso, non davvero, vuole solo sentirla, adesso, non importa nient’altro. In quella cucina di legno, nel calore del sole, sullo sfondo delle ombre proiettate contro la parete di fronte, le ombre che ondeggiano e fanno sembrare la stanza come lo sfondo in plastica di un acquario, e loro sospesi come pesci nell’acqua dolce e tiepida che li rallenta, li avvolge.
Le sfiora una coscia con le dita, dal ginocchio a salire, prima l’esterno, poi l’interno. Wanda schiude le gambe e le scappa dalle labbra un sospiro tremulo dolce come il miele. Pietro le bacia via lo zucchero di dosso, le sue labbra sono così morbide. La solleva a sedere sul ripiano, proprio accanto alla ciotola gigante. La sposta e l’onda verde trema per un secondo, poi torna a posto e Pietro bacia sua sorella sulla bocca come un uomo, e lei serra le gambe dietro la sua schiena come una donna, nuda sotto la camicia da notte, cremosa e soffice, umida di voglia.
Pietro la sfiora con la punta delle dita e lei geme, inarcando la schiena e spingendosi verso di lui. Lui la bacia ancora, scariche di piacere che si diffondono per tutto il suo corpo quando lei gli passa le dita fra i capelli e il bacio si fa affamato, confuso, una collisione di labbra e denti e morsi e cose che fanno male ma sono così belle, come Wanda, come loro. Pietro le appoggia una mano alla base della schiena per tenerla ferma e la masturba con l’altra, affonda dentro di lei, nel suo calore bagnato mentre la accarezza col pollice, e Wanda trema, arresa, gettando indietro il capo, l’onda rossa dei capelli che brilla nella luce del sole.
Pietro le si avvicina ancora, le si avvicina fino a sentirla tutta, potendo le si avvicinerebbe ancora di più, oltrepasserebbe i confini del suo corpo, le cadrebbe dentro, come si cade dentro una buca, come si cade giù da un burrone, come si salta giù da un palazzo, sentendo il vuoto sotto i piedi, l’aria che ti gonfia i vestiti, ti accarezza la pelle. Wanda si chiuderebbe come una porta sopra la sua testa, lo terrebbe dentro, lo terrebbe al sicuro, non lo lascerebbe più andare. Come le sue gambe strette attorno ai fianchi, le sue gambe che lo invitano a spingersi avanti, a lasciarsi andare.
Pietro si spinge i pantaloni giù per le gambe, il sesso duro, rosso di voglia. Può sentire il sangue rombargli dentro, risvegliare ogni singola terminazione nervosa sotto la sua pelle. Tutto il suo corpo formicola. Tutto il suo corpo è vivo. Tutto il suo corpo sente dolore, come fosse stato frantumato in mille pezzi.
Per un secondo la consapevolezza è troppo vivida, è tutto troppo reale, ma Wanda gli stringe le braccia intorno alle spalle, gli accarezza piano la schiena lungo la curva della spina dorsale, pensa solo a me, senti solo me, il dolore si allontana, si ritira, sconfitto, ha perso la battaglia, perderà anche la guerra.
Dentro, Wanda è calda come l’inferno. La sua voce gli esplode dentro come una bomba, inattesa e distruttiva. Pietro ne segue l’onda sonora, spingendosi con forza dentro di lei. Tutto si muove intorno a loro, il lettino cigola, quale lettino?, la cucina è solida, non si romperà. La corda si tende, si tende, poi schiocca, Pietro apre gli occhi e urla, il soffitto è bianco, le luci al neon gli feriscono gli occhi, si sente addosso i buchi, prova a contarli, Wanda lo bacia e sono di nuovo a casa, una domenica mattina, l’impasto dei pancake riempie l’aria di un odore zuccheroso che si mescola a quello del sesso, a quello dei loro corpi, all’odore di Wanda che trema fra le sue braccia e sorride a bassa frequenza, le ciglia che lo sfiorano ogni volta che sbatte le palpebre, come il battito d’ali di una farfalla.
Attraverso la finestra, Pietro vede ancora il prato. L’erba alta, la cassetta della posta sembra lontana mille chilometri e una foresta.
Avrò bisogno di un tagliaerba, dice. Wanda ride, Wanda piange ma Pietro ne sente solo l’eco, come si trovasse in un mondo diverso.
*Clint osserva i gemelli al di là del vetro doppio. Non può sentire niente, ma anche se non vede le lacrime sa che Wanda piange, piegata sul corpo di suo fratello, il viso premuto contro il suo petto. Si è svegliato solo per pochi istanti. È già la terza volta. Ha urlato così forte che per un secondo Clint ha sentito tremare la finestra.
- Non sapevo che fossi qui, - dice Steve, avvicinandoglisi con un sorriso caldo, - Natasha non mi ha avvertito.
- Gliel’ho chiesto io, - risponde lui, - Sono solo di passaggio.
- Che tristezza, - scherza lui, - Da quando sei diventato un padre di famiglia non ci vediamo quasi più.
Clint si concede un sorriso divertito.
- Ero un padre di famiglia fin da prima che ci conoscessimo, - gli fa notare.
Steve scrolla le spalle.
- Dettagli.
Per qualche istante restano entrambi a guardare i gemelli. Wanda si è calmata, ha raddrizzato la schiena, stringe con una mano una mano di suo fratello, con l’altra gli accarezza la fronte, scintille rosse che scoppiettano sotto le dita.
- Sarà sicuro? - domanda Steve, - Per quello che sappiamo potrebbe finire col peggiorare le cose.
- Per quello che sappiamo potrebbe essere l’unica cosa a tenerlo in vita. - risponde Clint.
Steve annuisce lentamente, pensieroso.
- Dicono che non ha speranze, - dice, - I medici.
- Lei lo sa?
- Gliene ho parlato, - sospira lui, - Ma non le importa. Guarda dritta davanti a sé, quando si entra in argomento. Come se nemmeno ti ascoltasse.
- Tu ti ascolteresti?
Steve ride piano, scuote il capo.
- Mi manderei a fanculo.
- Moderiamo il linguaggio, adesso.
- Quand’è che torni a casa? Posso chiamarti un taxi.
Ride anche Clint, appoggiando una mano al vetro. Wanda si volta verso di lui, gli offre un sorriso stanco. Clint le fa un cenno di saluto e lei risponde. Poi torna a guardare suo fratello in un movimento frettoloso, ansioso, come avesse paura di aver già perso fin troppo tempo. Riprende ad accarezzargli la fronte.
- Se dovesse migliorare…
- Te lo farò sapere.
- Voglio-
- Lo so. Non credo che si aspetterebbe un ringraziamento, ma lo so.
Clint annuisce, allontanandosi dal vetro.
- Devo passare a prendere i bambini da scuola. - dice.
- Sei in ritardo? - domanda Steve, - Ti serve un passaggio?
- Sull’Helicarrier? Ai bambini esploderebbe la testa.
- E il parcheggio è un tale problema.
- Facciamo un’altra volta.
Steve sorride, annuisce, lo saluta. Clint si allontana piano, fatica ad interrompere il contatto visivo con Wanda e Pietro al di là del vetro. Sono fragili, fragili e in pezzi, ma possono ancora rimettersi insieme.