Titolo: Erase and Rewind
Fandom: originale - romantico
Personaggi:
Parte: 5/?
Rating: arancione
Conteggio Parole: 2870
Riassunto: Matthew Harris è un ingegnere che lavora per l'FBI. Un giorno si risveglia in un letto d'ospedale e scopre di aver perso la memoria in seguito ad un misterioso incidente. Non ricorda più nulla degli ultimi quattro anni, e le persone intorno a lui sembrano volergli nascondere qualcosa. Scopre di aver partecipato ad un progetto scientifico che non è andato a buon fine e che ha avuto degli effetti negativi sulla sua personalità. Matt vuole rimettere assieme le tessere del puzzle, ma i suoi amici e famigliari si sono allontanati da lui; perfino la moglie, Celia, è stranamente fredda nei suoi confronti e Lilia, la figlia di due anni di cui non ricorda nulla, sembra essere spaventata da lui. Con l'aiuto di uno psicoterapeuta tenterà di ricostruire cosa sia successo in quei quattro anni e di recuperare la fiducia e l'amore della sua famiglia...
Capitolo uno Capitolo due Capitolo treCapitolo quattro Capitolo cinque
Lo studio del dottor Westergaard non era molto distante dagli uffici in cui Matt lavorava, così decise di fare un salto là per salutare i vecchi colleghi.
Non aveva idea dell'accoglienza che avrebbe ricevuto, ma non sarebbe riuscito a stare seduto tranquillo nella saletta d'attesa per mezzora, a rodersi per il desiderio di sapere che cosa Celia stesse dicendo al dottore. Aveva bisogno di distrarsi.
Le guardie all'ingresso dell'edificio lo riconobbero subito e lo lasciarono passare senza problemi, dopo avergli chiesto come stesse. Prese l'ascensore e salì al piano dove lui aveva lavorato per tre anni prima dell'avvio del Progetto Iron Man; non era molto diverso da come se lo ricordava, ma quando si diresse alla sua vecchia postazione, vi trovò uno sconosciuto.
“Scusi” gli chiese, “sa dove posso trovare Robert Wood?”
“Aveva una riunione fino a mezzogiorno. Se vuole può lasciargli un messaggio.”
“No, grazie. Ripasso un'altra volta.”
“Matt, Matt Harris?” si sentì chiamare all'improvviso da una voce femminile. Si voltò e vide Laurie, una delle sue vecchie colleghe.
“Ciao!” la salutò con un sorriso, lieto di vedere una faccia amica. Fu allora che diverse teste si sollevarono dagli schermi del PC, e presto si ritrovò al centro dell'attenzione di mezzo ufficio.
“Sapevamo che ti avevano dimesso, ma non pensavamo di rivederti così presto!” esclamò un altro vecchio collega.
“Ciao, Cliff! Ciao Samir! Priya, Diane, Stuart, che bello rivedervi!”
I colleghi si avvicinarono per salutarlo, felici di rivederlo ma anche un po' titubanti: lo guardavano come si studia una cavia da laboratorio, il che faceva anche parte del loro lavoro. Molti di essi avevano collaborato al Progetto Iron Man e tutti erano sicuramente al corrente dei suoi effetti disastrosi sulla personalità di chi aveva il microchip.
“Sei proprio tu, Matt?” gli chiese Cliff. “Sei tornato il vecchio Matt di un tempo?”
“Sì, o almeno lo spero. Ma come saprete ho un buco di circa quattro anni, e una bella cicatrice in testa.”
“Abbiamo saputo. Ci è dispiaciuto tanto” mormorò Laurie con rammarico. “Se solo avessimo immaginato che era quel microchip a renderti diverso, forse avremmo potuto aiutarti...”
“Non pensarci, era una cosa impensabile, neanche io lo avrei mai capito.”
“E tua moglie, come sta? Siamo stati tanto in pena anche per lei.”
“Sta bene, grazie...” rispose Matt, leggermente perplesso. Perché i suoi colleghi sembravano così preoccupati per Celia? Ecco un'altra domanda da aggiungere alla lista. “Ora siamo in terapia da uno psicologo, speriamo di rimettere a posto le cose.”
“Te lo auguriamo tutti, Matt” disse Stuart.
“E non appena mi sarò rimesso in carreggiata, spero di ritornare al lavoro!”
“Oh, non pensare a quello, goditi le ferie pagate!” esclamò Laurie.
“Davvero vuoi tornare a lavorare all'FBI? Ma come agente speciale?” gli chiese invece Samir.
“Certo che no! Non riesco a credere di aver maneggiato armi e aver partecipato ad operazioni antiterroristiche. Preferisco tornare a lavorare dietro a un computer, l'azione non fa per me.”
“Eh sì, sei proprio tornato ad essere il vecchio Matt!” sogghignò Cliff.
“Ora devo tornare allo studio del dottore, è quasi il mio turno per la terapia. Però voglio organizzare una rimpatriata con voi: vi inviterò tutti a casa mia per un barbecue, non appena farà più caldo!”
“Buona idea! Così finalmente vedremo il villone che ti sei comprato con lo stipendio da super agente!” esclamò di nuovo Cliff.
“Vuoi dire che nessuno di voi è mai stato a casa mia, negli ultimi quattro anni?” chiese Matt, sorpreso. “Ho davvero tagliato i ponti con tutti voi? Rob mi aveva accennato a quanto fossi diventato stronzo, ma non pensavo fino a questo punto...”
“Non ti preoccupare” lo rassicurò Diane. “Quello che è stato è stato. Ti dirò, a me fa strano vederti qui ora, sorridente e gentile con tutti come lo eri un tempo, quando per gli ultimi quattro anni, le uniche volte che passavi di qui era per dare ordini e trattarci come plebaglia, ma adesso sappiamo tutti che non eri in te. Siamo scienziati, sapremo accettare in fretta questa situazione così strana. L'importante è che adesso tu stia bene.”
“Ora corri dallo strizzacervelli” lo esortò scherzosamente Cliff.
“Ok. Salutatemi Rob, ditegli che ripasserò un altro giorno!”
Arrivò allo studio medico giusto in tempo per vedere Celia uscire con un'espressione cupa in volto.
“Ehi, tutto bene?” le chiese Matt sfiorandole il braccio, ma lei si ritrasse.
“Sì” rispose senza guardarlo. “Ti aspetto qui.”
Matt entrò nello studio e il dottor Westergaard lo fece accomodare di nuovo sul divanetto.
“Posso chiederle com'è andata con mia moglie?”
“Dovrebbe sapere che non le posso rivelare cosa viene detto durante le sedute individuali.”
“Sì, ma Celia è così introversa, e tende a chiudersi in se stessa quando c'è un problema...”
“È per questo che stiamo facendo questa terapia” lo rassicurò il medico. “Quando sua moglie sarà pronta ad aprirsi con lei, saprà ogni cosa.”
“Se non recupero la memoria da solo, lei è l'unica che può dirmi cosa ho fatto in questi quattro anni. Sento che mi sta tenendo nascoste tantissime cose, e non riesco in alcun modo a comunicare con lei. Mi tratta in modo gelido, come se mi odiasse... anzi, sono certo che mi odia. Il problema è che io non so perché, e non posso in alcun modo porvi rimedio. Mi sento così impotente.”
“Il percorso che entrambi dovrete affrontare è lungo e faticoso. Non deve avere fretta. Lei è tornato a casa da appena un giorno, e sua moglie non è più abituata al vero Matthew. Ha bisogno di tempo. Ora, le va di raccontarmi com'è stato il rientro a casa?”
“Pessimo, è stato pessimo” rispose Matt scuotendo la testa sconsolato. “Mia figlia ha paura di me, mia moglie a malapena mi rivolge la parola. Ho dovuto dormire da solo, stanotte, ma non riuscivo a prendere sonno, così ho dato un'occhiata ai messaggi e alle foto sul mio cellulare. Ho scoperto di aver tradito Celia, e credo che lei lo sappia. Non la biasimo se mi odia, ma lei sa che non ero veramente io, e allora perché mi tratta così?”
“Gliel'ho detto, ha bisogno di tempo. In fondo lei ha vissuto per quattro anni con un uomo che si comportava in un certo modo, e ora si è ritrovata con la stessa identica persona, ma con un carattere completamente diverso.”
Matt sospirò. Il dottore aveva ragione.
“Tutto ciò è molto frustrante.”
“Che tipo di rapporto aveva con sua moglie, prima? Vi confrontavate spesso, parlavate?”
“Ma certo che parlavamo, anche se non era facile, con lei. Come le ho detto, Celia è molto introversa. Tende a reagire ai problemi in modo aggressivo. Si arrabbia, mette il muso. Ma io avevo imparato come prenderla, e riuscivo sempre a calmarla. L'ascoltavo, la facevo ragionare.”
“E allora cerchi di fare di nuovo così. Tiri fuori tutto del vecchio Matthew, in modo che sua moglie la possa riconoscere.”
Il dottore lo fece parlare ancora di quali fossero state le sue sensazioni al suo risveglio e di cosa avesse provato scoprendo di essere stato una cavia per il Progetto Iron Man, e il resto della mezzora trascorse in fretta. Si salutarono e Matt uscì dallo studio, trovando Celia ad aspettarlo.
“Ti dispiacerebbe darmi un passaggio alla sede centrale del Bureau?” le chiese. “Potrebbe essere una cosa lunga, quindi non serve che mi aspetti, torno in taxi.”
“Va bene” rispose la donna. “Così intanto vado a prendere Lilia e andiamo a fare la spesa.”
Matt intendeva mettere subito mano ai fascicoli di cui gli aveva parlato l'agente Gray, e se possibile, portarseli a casa per studiarli meglio. Venne scortato da un'addetta all'archivio, ma scoprì che i fascicoli in questione erano davvero tanti, e alcuni molto riservati, perciò poteva consultarli solamente sul posto, così se ne prese solo alcuni, i primissimi in ordine cronologico, e poi andò in centro a piedi, alla ricerca di una libreria.
Voleva procurarsi anche alcuni manuali di puericultura, perché oltre a Celia, c'era il problema di come conquistarsi la fiducia di Lilia, e lui non aveva idea di come approcciarsi a una bambina di quell'età, né quali fossero le sue esigenze, o cosa le piacesse fare. Così acquistò “Come essere bravi genitori”, “Puericultura per idioti”, “Il bambino tra 0 e 6 anni”, “Giochi per bambini da 0 a 3 anni” e un paio di altri libri.
Quando tornò a casa, nel primo pomeriggio, non c'era nessuno, e Matt mangiò un veloce spuntino mentre iniziava a spulciare i fascicoli del Progetto Iron Man: c'erano le relazioni di tutte le ricerche e di tutti i test, cose che per lo più conosceva già. Poi c'era un resoconto di tutti gli esami a cui si era dovuto sottoporre prima dell'impianto del microchip, ed un altro relativo all'operazione stessa.
Sembrava che tutto fosse sempre andato liscio, e da quei dati non avrebbe saputo dire dove avessero sbagliato. Ma del resto lui aveva lavorato solo alla costruzione del microchip, e gli serviva l'aiuto di un neurologo per studiare meglio gli effetti che esso aveva avuto sul suo cervello. Avrebbe dovuto studiare quei fascicoli insieme ai suoi colleghi, ma era certo che loro fossero già al lavoro per trovare una risposta.
Si rilassò un po' sul divano, e trascorse un'altra ora e mezzo, ma ben presto la televisione lo stufò, e così Matt iniziò a ciondolare per casa, visitando le stanze che non aveva ancora visto.
C'erano in totale tre bagni, ognuno di essi grande tre volte quello del loro vecchio appartamento; due camere per gli ospiti, uno studio, una lavanderia, due garage. In uno di essi era parcheggiata una meravigliosa automobile sportiva, e ne dedusse che fosse la sua macchina personale. Ci girò attorno, ammirandola, e non vi trovò alcuna ammaccatura o graffio.
Incidente un paio di palle, pensò stizzito.
Fece il giro della casa per due volte, sbirciando qua e là, sentendosi un ospite in quella casa che ancora non sentiva sua.
Le ore passavano e lui era annoiato: non sapeva che fare o chi chiamare. Era un po' preoccupato che Celia e Lilia non fossero ancora tornate, ma non aveva il coraggio di telefonare a sua moglie per chiederle dove fosse finita. Non voleva sembrarle pressante o possessivo.
Così, se ne ritornò mogio mogio sul divano e iniziò a leggere uno dei libri che aveva comprato.
Verso le sei udì finalmente il rumore dell'auto di Celia sul vialetto e sospirò, confortato.
“Ciao” le salutò andando loro incontro quando varcarono la soglia di casa. Celia aveva la bimba in braccio e così la aiutò a portare dentro le buste della spesa. “Siete state via molto.”
“Sì, scusa, ci siamo fermate un po' troppo da mia madre” si giustificò la donna, ma il suo tono non era sulla difensiva né sembrava infastidita dall'osservazione, e Matt si sentì rincuorato per questo. “Ora sistemo queste cose, faccio il bagno a Lilia e poi preparo la cena.”
“Se vuoi cucino io” si propose Matt.
“Come preferisci” rispose Celia, stringendosi nelle spalle. Indifferente, come sempre.
“Mi sono annoiato tutto il pomeriggio, mi fa piacere rendermi utile. Tu vai pure su con Lilia, faccio io qui.”
Matt non era un cuoco provetto, ma era abbastanza bravo a cucinare la pasta, così preparò il suo cavallo di battaglia: il sugo all'arrabbiata, che lui scherzosamente chiamava sugo alla Celia, riferendosi al temperamento irascibile della moglie. Diminuì solo le dosi dell'aglio e del peperoncino, che di sicuro erano sapori troppo forti per Lilia, ma sapeva che con quella ricetta, cucinata così tante volte in passato, avrebbe fatto contenta Celia.
Quando le due tornarono giù, era già tutto pronto a tavola, e la donna, riconoscendo uno dei suoi piatti preferiti, si paralizzò per qualche istante con lo sguardo sbarrato, a fissare la pentola di pasta.
“Sono spaghetti all'arrabbiata?” chiese.
“Sì” rispose Matt, scrutandola per cercare di capire la sua reazione. “Pensavo che ti avrebbe fatto piacere.”
“Sono anni che non li mangio” commentò lei in un sussurro, mentre metteva la bambina a sedere. “Scusami un attimo” disse, dandogli le spalle prima di dirigersi in fretta verso il bagno, dove si chiuse a chiave. Matt avrebbe giurato di aver visto i suoi occhi colmarsi di lacrime.
Non sapeva se andare da lei e chiederle cosa avesse, ma ricordò che a Celia non piaceva farsi vedere così vulnerabile, inoltre non pensava che avrebbe gradito averlo accanto mentre piangeva, visto che probabilmente era lui la causa delle sue lacrime.
Così decise di darle il tempo di sfogarsi e riprendersi, posticipando a dopo la cena, dopo che Lilia fosse andata a letto, il momento in cui le avrebbe chiesto di parlare a carte scoperte.
Dedicò la sua attenzione alla figlia, che lo osservava silenziosamente dal suo seggiolone.
“Ti piace la pasta, Lilia?” le chiese dolcemente.
Lei fece cenno di sì con la testa.
“Grandioso! Anche a me piace tanto. Lilia, sai che non devi più avere paura di me, vero?”
La bambina fece di no con la testa.
“Beh, è così. Il papà cattivo non c'è più, ora c'è solo il papà buono, e il papà buono ti vuole tanto tanto bene” mormorò Matt accarezzandole i capelli e una guancia paffuta. “Se ti faccio una domanda, mi dici la verità?”
Cenno positivo.
“Allora me la diresti una cosa? Per caso il papà cattivo ti ha mai fatto del male?”
Cenno negativo. Matt sospirò, decisamente sollevato.
“E alla mamma, invece?”
Lilia si tirò indietro, contro lo schienale del seggiolone, come se volesse sfuggire da dei brutti ricordi. Matt sentì una stretta al petto.
“Va bene, non ci pensare più, Lilia. Ti prometto che non farò più del male alla mamma, mai più.”
Si scostò un po' dalla bambina sentendo Celia ritornare: si era lavata la faccia, ma aveva ancora gli occhi un po' gonfi.
“Hai fame?” le chiese Matt, facendo finta di niente, come lei avrebbe voluto.
“Moltissima” rispose lei con finto entusiasmo, senza guardarlo negli occhi. “Hanno un aspetto delizioso.”
Si sedettero e cominciarono a mangiare. Matt tentò di intavolare una conversazione, ma visto che Celia gli rispondeva a monosillabi e con scarso interesse, rivolse tutta la sua attenzione a Lilia, che mangiava con entusiasmo i suoi spaghetti, tagliati a dovere e ridotti a vermicelli, aiutandosi con il cucchiaio e pasticciando un po' su tutto il tavolo, ma senza chiedere l'aiuto della madre.
Matt mangiava a sua volta, ma senza staccare gli occhi dalla bambina, studiando ammirato ogni sua mossa e ogni sua espressione.
Questo attirò l'attenzione di Celia, che allo stesso tempo si mise ad osservare il marito con un'aria perplessa.
“Perché la stai fissando?” gli chiese.
“Perché l'ho incontrata per la prima volta ieri, voglio imparare a conoscerla” spiegò lui con uno sguardo innocente e dolce.
Lei non aggiunse altro, ma continuò a guardarlo per un po' con un'espressione imperscrutabile sul volto, che Matt non riuscì a decifrare. Non sembrava infastidita dal suo interesse nei confronti della bambina, semmai stupita e un po' scettica. Attribuì questa reazione al fatto che fino ad ora era stata abituata a vederlo, da ciò che aveva capito, quasi completamente indifferente verso sua figlia.
Quando terminarono di mangiare, Celia si mise a lavare i piatti mentre Matt portò la bambina in salotto a guardare un po' di tv insieme.
“Dove sono i tuoi giocattoli?” le chiese dopo un po'.
“In camera” rispose la bambina.
“Ti va se andiamo a giocare?”
“Sì!” esclamò Lilia con entusiasmo.
“No, adesso è l'ora della nanna” s'intromise Celia raggiungendoli dalla cucina. Ignorando le deboli proteste della bambina, la prese in braccio e la esortò dolcemente a dare la buona notte al padre.
“Buenas noches, papá” pigolò Lilia.
“Buona notte, piccolina” la salutò lui tristemente. Era convinto che Celia sarebbe ritornata giù non appena fosse riuscita a far addormentare la figlia, ma trascorse più di un'ora e lei non si fece viva, così, stanco di guardare la televisione, spense tutto e andò al piano di sopra. Passando davanti alla camera degli ospiti, avvicinò l'orecchio alla porta per capire se Celia fosse lì, ma da dentro non proveniva alcun rumore. Provò a bussare delicatamente, ma senza risposta, così dischiuse leggermente la porta. La stanza era quasi completamente al buio, ma sul letto riconobbe immediatamente le sagome addormentate di Celia e Lilia.
Avrei voluto parlare con lei, pensò deluso mentre richiudeva la porta il più piano possibile per non svegliarle.
Trascorse un'altra notte insonne.
Note: non so come funzioni la psicoterapia, ma mi sembra di aver sentito che il medico non dovrebbe dare al paziente consigli su cosa fare e come comportarsi, quindi perdonatemi se in questo capitolo sembra poco credibile e poco professionale che il dottor Westergaard dia dei suggerimenti a Matt =)
Ah, i manuali di puericultura citati in questo capitolo sono totalmente inventati, ma è possibile che ce ne siano diversi dai titoli simili.