*Autore: Rota
*Titolo: Foglie
*Fandom: Saiyuki Reload
*Personaggi: Gaty Nenehawk/Gato, Hazel Glos
*Prompt/Sfida COW-T: Autunno/Sesta settimana
*Genere: Triste, Romantico
*Avvertimenti: One shot, Missing moment, Shonen ai, Lime
*Rating: Giallo
*Parole: 1232
*Dedica: A Iria e a Aphrodite, perché sono tanto, tanto care e mi sopportano (L)
*Note autore: Questa coppia mi piace davvero molto e l'ho riscoperta di recente, mentre leggevo per l'ennesima volta il manga.
Il prompt del COW-T penso che calzi a pennello, considerando quale sia il rapporto tra i due. E niente, spero vi possa piacere (L)
Spira il vento leggero, d'autunno.
La prima foglia morta dell'albero vibra attaccata a stento al ramo. È gialla, di un dimenticato rosso sangue che si dilunga opaco tra le vene spente.
Fa qualche spirale, un metro più a Ovest, ed è per terra nell'erba ancora verde.
-Hazel!-
Il sacerdote sobbalza, richiamato dalla voce profonda del compagno - lascia la presa su quello che tiene tra le dita, ritirando la mano in maniera del tutto istintiva. La porta davanti a lui scricchiola e va all'indietro per reazione; al di là dell'ingresso, il sacerdote vede con la coda dell'occhio un uomo che si sporge dal bancone con un'aria più che incuriosita.
Hazel rivolge uno sguardo pieno di rimprovero a Gato, che non prova neppure a scusarsi ma continua a scrutarlo, cercando nella sua figura risposte che non è sicuro di ottenere dalla sua bocca.
-Stavi fissando il vuoto...-
Senza neanche rispondere, il giovane si fa avanti nella locanda e arriva al suo proprietario con un bel sorriso sulle labbra: non può trattar male un uomo che gli ha offerto gratis il vitto e l'alloggio per i giorni a venire, andrebbe contro ogni buon senso e la logica comune delle cose.
Così la sua voce si fa dolce, a tratti suadente, anche se conserva tutta quella strana intonazione della gente dell'Est. Abbassa persino il cappello, intrappolandolo con le dita contro il petto.
-Buonasera a lei, buon uomo...-
Quello sorride, neanche stesse assistendo al più grande dei miracoli.
Hazel stende e rilassa i propri muscoli sul materasso morbido del letto. É la prima volta in quella giornata che lo fa e sente resistenza per ogni singolo tendine.
Sospira e guarda di lato - la finestra da sul cortile ed è all'altezza giusta perché i rami del grande albero che vi si trova in mezzo picchino, alla brezza del vento, contro i suoi vetri. Da quella postazione vedrà sicuramente il Sole tramontare.
Il sacerdote si porta quindi le mani al collo, togliendosi con un sol gesto il pendente sacro che sempre lo accompagna per poi poggiarlo, con una discreta grazia, sul comodino che ha di fianco. Anche quel giorno ha dispensato salvezza e vita, anche quel giorno ha professato la grazia divina che colpisce solamente i meritevoli esseri umani; una città come un'altra, in attesa di un riscatto che non avrebbe osato richiedere in altre situazioni, è stata testimone del miracolo.
Guarda un'ultima volta l'oggetto immobile, poi comincia a spogliarsi. Toglie prima i guanti bianchi, lasciando che la pelle delle dita respiri aria nuova - il cappello non lo ha più rimesso da quando è entrato in quel luogo, per educazione verso chi lì lavora. Il mantello sulle spalle, la tunica nera che gli avvolge tutto il lungo corpo, infine le calzature.
A quel punto, quando si alza dal letto per dirigersi verso il bagno, guarda la porta d'ingresso per qualche attimo, soppesando il silenzio. Gato è lì fuori, lui che non ha bisogno né di cibarsi né di riposarsi, a fare la guardia perché nessuno possa disturbare il suo “padrone”; è tanto silenzioso che non pare neanche essere vivo.
Nel momento stesso in cui pensa quelle cose, Hazel si irrita maggiormente e con uno sbuffo entra nel piccolo luogo per farsi una doccia. Magari il rumore dell'acqua sarà capace di sovrastare quello della sua stanchezza che gli pulsa nella testa.
Non ha mangiato molto: il suo stomaco non ha retto più di qualche cucchiaio di minestra calda e mezza bistecca di carne. Tuttavia si sente il ventre gonfio e pesante, le membra molli.
Mentre si stende sotto le lenzuola del letto da un'ultima occhiata al giardino fuori dalla finestra - l'albero che si erge in mezzo ai giochi dei bambini. Tutto tace, aspettando il lento trascorrere del tempo come ineluttabile condanna.
Hazel si addormenta di malumore, consapevole che non sarà una bella notte.
C'è qualcosa che la sua bocca si rifiuta di pronunciare, e lui lo sa.
Lo insegue tra le foglie appassite del grande albero, gli si avvolge addosso e lo lascia senza fiato, incapace di spiccicare parola.
Lo sveglia il suono inesistente delle pistole di Gato, che nel vuoto si dimenticano di fischiare. Non è sudato, ma respira come se non lo facesse da tempo, e ha i capelli tutti in disordine.
Sgrana gli occhi quando qualcosa entra nella sua stanza.
-Hazel...-
Gato lo guarda a lungo prima di decidere di chiudersi la porta alle spalle e avanzare di qualche passo verso di lui.
Il sacerdote lo ferma, con una mano e poche parole sbrigative.
-Sto bene, non ho nulla!-
Il gigante si blocca e lo scruta, ma non ha intenzione di lasciargliela vinta tanto facilmente. Non è difficile neppure per uno come lui capire come stia mentendo.
Al solito, le sue domande sono insinuanti - lo sono perché sono le uniche che lo costringono alle posizioni radicali: o la verità o la ancor più palese bugia.
-Perché allora sei sveglio?-
Hazel recupera l'autocontrollo sufficiente per sorridergli con sufficienza. Si mette ritto contro lo schienale del letto ma non lo guarda in faccia.
Di risposte per ogni evenienza ormai ne sa abbastanza.
-Ogni volta che finisce la fase rem ci si sveglia, è una cosa naturale.-
Il gigante lo guarda e replica piano, perché non ha altro da fare.
-Non avrai problemi ad addormentarti, allora.-
-No, direi di no.-
Hazel torna in posizione orizzontale, Gato prende posto accanto alla porta - questa volta però resta dentro, perché sa perfettamente cosa accadrà nel giro di qualche minuto.
E anche se fa male all'orgoglio, anche se lui ha tentato davvero di addormentarsi e di scordare tutto per qualche ora, anche se il letto è tanto caldo e lo sguardo del gigante tanto fastidioso, dopo esattamente duecentosettanta secondi la voce di Hazel si fa di nuovo sentire.
-Gato, vieni qui. Ora.-
Non è una foglia morente quella che tocca - se lo ripete prima che Gato arrivi da lui, perché dopo non pensa proprio a niente.
Non è l'estremità fragile che si concede al martirio per il bene altrui, laddove la sostanza si modifica nella forma e la vita si annichilisce nella discrezione di un albero spoglio. Gato glielo ricorda, quando volta il suo viso con le mani grandi e gli da il primo bacio.
L'Autunno che stende il sonno su tutto, avvicinando il concetto di Morte a quello di Vita, gli è estraneo, distante, quasi nemico: come un pino sempreverde, ha aghi pronti a difenderlo anche dalla neve più ghiacciata, in ogni situazione. Sente la forza di Gato persino nelle carezze che vorrebbero essere dolci, persino nei tocchi che vorrebbero dare gentilezza.
Il malessere che gli attorciglia l'intestino si scioglie di poco a quel calore, eppure Gato ha la delicatezza di pretenderlo tutto per sé, senza lasciare nulla indietro - neppure l'immaginazione, la fantasia o la mente.
Mescola la propria esistenza con la sua e arriva a credere che è giusto così.
Quando si sveglia la seconda volta è già mattina. Solo nel letto, trova Gato appoggiato alla porta in un silenzio che pare di sonno.
Gli basta però fare un poco di rumore sotto le lenzuola per vedere il suo sguardo alzarsi da terra, serio come sempre, e posarsi con decisione sulla sua figura.
Sorride: sono ancora entrambi vivi.
Spira il vento leggero, d'autunno.
La seconda foglia morta dell'albero vibra attaccata a stento al ramo. È ancora rossa, eppure le punte sono giallastre e sembrano tanto le macchie di un appestato.
Fa qualche spirale, un metro più a Ovest, ed è per terra nell'erba ancora verde.
Hazel si china a raccoglierla, la guarda con un sorriso triste, poi la butta di nuovo via e la calpesta con i piedi, cercando di dimenticarla assieme al resto.