Titolo: Sacrament
Fandom: Poetry for the Poisoned? Fanfiction ispirata ad una canzone? Kamelot!verse? (Admin, mica possiamo avere una tag per i video musicali/canzoni? *fa occhioni dolci*)
Personaggi: Incubus, ragazza senza nome - chiunque siano i personaggi interpretati da Roy Khan e Simone Simons nella canzone
Poetry for the Poisoned, insomma.
Rating: NC17
Conteggio Parole: 3370 (Word)
Note: Het, dub-con, rapporti con una minorenne... Ciao, mia sanità mentale. E' stato bello credere di averti avuta, almeno per un po'. Ma se i Kamelot mi sfornano concept song del genere e mi chiamano Simone per un duetto, io che posso farci? (Le altre note più serie si trovano a fine storia.)
Questa storia partecipa alla Maritombola di
maridichallenge.
Sacrament
58. Medioevo
"The word "incubus" means "to lie on", and it was believed that any heavy feeling in bed, such as a weight pressing down on your chest, especially accompanied by nightmares, was a sure sign that an incubus had attempted to have nocturnal intercourse with you. Given the religious fervor of the Middle Ages, it is not altogether surprising that the idea of a demon lover was believed to account for this phenomenon"1. Sanctuary
A volte, l’Incubus sogna.
Rimane immerso in quel vuoto senza fondo che è abituato a chiamare casa e si lascia cullare. Sa che non sono veri sogni. Forse sono ricordi. Sono schegge di qualcosa. Allunga una mano e li sfiora quando gli passano accanto. C’è un ragazzo, in queste visioni, con un sorriso candido, forse un po’ arrogante, di chi sa di essere invincibile. L’Incubus piega la testa e studia quell’immagine evanescente. Ha imparato a non farsi domande, a non soffermarsi troppo su ciò che non capisce, perciò apre le dita e lascia scorrere via quel bagliore. Socchiude gli occhi. Per un attimo gli sembra di aver riconosciuto - no, non è importante. Aspetta. Il buio davanti a lui si torce violento e lui sente il respiro affrettato, sofferente, di chi non ha più aria e cerca di ingollarne il più possibile prima di soffocare. Nel vuoto non esiste rumore, ma qualcuno ride e sussurra una canzone stranamente familiare. La voce è bassa, dolcissima. L’Incubus ascolta. Vieni con me, dice la voce - un’eco passato. Lascia che ti mostri…
L’Incubus si copre la testa con le braccia. Non sa da chi cerchi protezione, oltre a lui non c’è nessuno. Sprofonda di nuovo.
2. Dark world, dark path
La ragazza è bella. Sarebbe potuta diventare bellissima, col tempo, se solo non avesse attirato la sua attenzione. L’Incubus rimane a guardarla mentre scende i primi gradini della chiesa, accanto a sua madre. Tiene le mani strette attorno allo scialle che le copre le spalle, guarda verso il basso, i suoi occhi sfiorano le pietra. È giovane. Le donne di questo paese invecchiano in fretta, il tempo le graffia senza pietà e loro curvano la schiena per sopportare meglio i colpi. La ragazza ha la testa china, è vero, ma ha una fierezza che rende i suoi passi sicuri. La guarda stringere le dita attorno al crocefisso d’argento che porta al collo. La messa domenicale è appena finita. La folla ora si disperde oltre la soglia e la ragazza si tiene vicina alla madre, di tanto in tanto la guarda come se temesse di perderla. Imboccano un vicolo laterale e l’Incubus le segue. Si ritrova dentro una casa stranamente pulita, luminosa, non troppo grande. La ragazza e sua madre vivono lì, sole, orfana e vedova di un uomo che probabilmente ha lasciato loro abbastanza denaro da non temere di morire di fame, forse persino una dote degna di questo nome. L’Incubus ha visto come molti sguardi abbiano seguito con attenzione i passi della ragazza ed abbiano indugiato sull’orlo del vestito che sfiorava appena le pietre del selciato. La ragazza è abbastanza grande da poter essere chiesta in moglie da uno di quelli che la guardavano in silenzio. Forse qualcuno di loro si è già fatto avanti.
La ragazza si gira per controllare che la porta e le finestre siano chiuse. Un soffio d’aria stranamente gelida l’ha fatta rabbrividire e lei ha subito pensato a sua madre, che d’inverno soffre terribilmente per via del freddo, non importa per quanto stia vicino al fuoco, le sue ossa sono poco più di bastoncini secchi. È una figlia premurosa, attenta. Ha perso suo padre ed ora tiene al sicuro sua madre dal mondo esterno. L’Incubus le gira attorno, vagamente incuriosito da tutta quella premura, ma dopo poco perde interesse. Ha visto quello che doveva. Non c’è bisogno di restare oltre. Passa accanto alla ragazza, ma prima di uscire si concede un momento per toccarla. Il calore lo attraversa da parte a parte, come una freccia, e non lascia dentro di lui che una traccia fumosa. Solo allora se ne va.
La ragazza si ferma, disorientata, le dita strette attorno alla maniglia della porta. È stato come se qualcuno le avesse appoggiato una mano sul braccio, ma davanti a lei non c’è nessuno.
L’Incubus rimane per molto tempo fermo accanto alla finestra. La ragazza sta dormendo - i suoi sogni sono permeati di una calma soffice, innocente, molto diversa dal buio che lui è abituato a provare. L’Incubus tentenna. Guarda prima la ragazza, poi la notte priva di luna. Potrebbe andarsene e lasciarla in pace. Scegliere qualcun’altra, una preda più facile. Poi ricorda la fame, il breve calore che ha provato quella mattina, e decide di restare. Tocca brevemente la fronte di lei, scostandole i capelli che le sono scivolati davanti agli occhi. Sono morbidi, dello stesso colore delle foglie autunnali, lunghi e ondulati come l’acqua appena increspata. Non si è accorto di che colore fossero finché la ragazza non si è sfilata lo scialle dalla testa. È un’usanza delle donne di questo paese, lo sa, ma è un peccato nascondere dei capelli così belli. La ragazza ha un brevissimo sussulto quando l’Incubus si china a baciarle gli occhi, sigillandoglieli - non si sveglierà, così. È un favore che non ottengono tutti. Dammi ogni cosa, le dice, dammi tutto. Lo voglio per me.
La ragazza si lamenta. L’Incubus può solo immaginare che sogni orribili abbiano schiacciato quel nulla in cui prima si era abbandonata, ma non gli interessa saperlo. Le tappa con dolcezza la bocca. Passa la lingua sul filo di quelle ciglia frementi - una ragazza giovane, troppo bella e troppo giovane, che nessuno ha ancora toccato, dammi tutto, dammi tutto di te, fammi sentire com’è essere vivi. Le raccoglie con la mano libera i lembi della camicia da notte che le si sono impigliati sotto la schiena. La stoffa è così leggera da non essere nulla fra le sue dita, la pelle della ragazza è così bianca da sembrare trasparente. È sicuro di sentire delle lacrime scivolargli sotto il palmo, mescolarsi alla saliva di lei. Quel pianto silenzioso lo infastidisce. Toglie la mano. Il suo ginocchio le ha schiacciato il petto, prima, l’ha sentita dibattersi per respirare. Ora lei è soffocata fra il peso di lui ed i propri incubi, serra le mani attorno alle lenzuola. Il dolore svanirà, le dice in un mormorio, stringendole appena un labbro fra i denti. Poi la schiena della ragazza freme con un ultimo sussulto ed il collo si piega sul cuscino. Tutta l’aria che le è rimasta le esce in un sospiro profondo, stupefatto. L’Incubus rimane a guardarla mentre riprende a respirare a fatica, mentre un singhiozzo nascosto le si insinua nel respiro come se fosse un filo di ferro. Le asciuga con delicatezza le lacrime ed il sangue sulle gambe. Quando le sistema le lenzuola attorno sente dentro di sé uno strappo dolorosamente familiare, come se qualcuno avesse fatto con lui la stessa cosa migliaia di volte. Ma non lo ricorda, se pure è successo. È stato un brutto sogno, dice alla ragazza. Le sfiora le palpebre con le dita. Si rannicchia nell’angolo più buio della stanza ed aspetta il mattino.
La ragazza, quando si sveglia, si tocca la testa. L’Incubus la guarda strofinarsi le braccia, come se avesse freddo. Sembra disorientata, ma la sua confusione svanisce non appena i suoi piedi toccano il pavimento. Sta bene. Non pensa al sogno che ha avuto stanotte, perché non lo ricorda. Ha molte cose da fare. Chiude la finestra, gira per la stanza mentre raccoglie i propri capelli in una treccia. È piena di forza - lui ne è sorpreso. A volte le sue vittime faticano ad alzarsi già dalla prima volta, ma questa ragazza no. L’Incubus pensa che sia stata proprio quell’energia - nascosta, ambigua - ad attirarlo, più che la bellezza di lei. Tornerà ancora. Sarà tutta quella vita ad alimentare la sua.
Passa le notti e le giornate assieme alla ragazza, quando gli è possibile. È con lei mentre sistema la casa, mentre gira per la strada, mentre si siede vicino alla madre per filare. È accanto a lei quando si addormenta e rimane a guardare le ombre che sfiorano quel viso bianco e rosso senza toccarlo. Le lecca le dita di una mano abbandonata sul cuscino ed una vampa di calore gli offusca la vista. Affonda il viso nei capelli di lei e gli sembra di sentire l’odore dell’erba appena tagliata. A volte dimentica perché si trova lì, non si muove finché la fame non torna a tormentarlo. Nessuna delle sue vittime ha mai resistito così tanto. Ancora si domanda il perché ed il come. Un pomeriggio la ragazza si addormenta, nella sua casa vuota, rannicchiata sulla poltroncina accanto al focolare. Un secondo prima aveva gli occhi aperti e quello dopo li ha chiusi, senza motivo. L’Incubus aggrotta le sopracciglia. Quella stanchezza è troppo improvvisa. Appoggia una mano sul collo di lei e ne sente il battito caldo. Anche se è troppo rischioso - è solo pomeriggio, probabilmente non è forte abbastanza, lei potrebbe svegliarsi in qualsiasi momento - lui le stringe le braccia attorno alla vita, allenta appena i lacci che le chiudono la camicia. La ragazza piega la testa di lato, lentamente, ma non si sveglia. L’Incubus appoggia la fronte contro il petto di lei e respira a fondo. È una sensazione strana. Calda, pensa, che non ha nulla a che fare con ciò che reclama dalle sue vittime. Non è sicuro che gli piaccia. Lo fa sentire vulnerabile.
Una sera - non sa bene quando succeda, perché per l’Incubus il tempo ha smesso di esistere - la ragazza apre gli occhi. È chino su di lei, è in procinto di andarsene quando si ritrova quegli occhi puntati addosso, azzurri ed appannati. Ha la certezza che lei stia ancora dormendo ma è altrettanto certo che lo stia guardando, che sappia che non è sola.
«Chi sei?» gli chiede la ragazza, «Perché mi fai questo?».
L’Incubus è sorpreso. Non è mai successo che una delle sue vittime sia riuscita ad accorgersi di lui fra gli strati del torpore notturno. Nessuna l’ha mai guardato. Non è mai successo, mai.
«Nessuno» le dice. «Questo non sta succedendo davvero, tesoro. È solo un sogno».
«Un sogno» ripete la ragazza, piano. Le ciglia di lei fremono, lo sguardo fisso, ma non c’è nessuna resistenza quando l’Incubus allunga la mano verso le sue palpebre e gliele abbassa. Il viso della ragazza affonda nel cuscino e lei torna a dormire con un sospiro sereno. L’Incubus arretra fino a ritrovarsi con la schiena contro la parete. Quella ragazza ancora bambina è riuscita a vederlo e a parlargli, ancora non ci crede - è una cosa che gli fa quasi paura, se solo si ricordasse esattamente che cosa sia. Si copre gli occhi. È troppo pericolosa. Non la vedrà ancora.
Le sta lontano, come si è ripromesso. Si reca dall’altra parte della città, dove è già stato in passato e sa che può trovare altre vittime per placare la fame. Nessuna di loro è così giovane e così bella da impensierirlo. Durano poco. Dopo poche notti, quando tocca loro la gola con la punta delle dita, la loro pelle è gelida. Muoiono senza accorgersene, scivolando in un sonno senza pensieri - l’ultimo regalo per la vita che si prende con così tanta violenza. L’Incubus si ritrova a pensare alla ragazza. Non vuole, ma pensa a lei quando si rinchiude nella propria frattura di tenebra - invece delle visioni è lei che vede, così come la ricorda. Quelle scene lo tormentano, invece del riposo ha solo tortura.
Non la sta cercando, ma un giorno la vede al mercato. Riconosce il profilo chino sotto la cuffia e si ferma a guardarla mentre la madre parla con il macellaio. La ragazza tiene le spalle leggermente curve, come se volesse farsi più piccola; è pallida, dimagrita, il sorriso con cui saluta l’uomo dietro il bancone di legno è tirato. L’Incubus se ne chiede il motivo. Sua madre sembra stare bene. Forse ha avuto notizia della morte di qualcuno che conosceva, di un parente? Non saprebbe dirlo. Lei prende con entrambe le mani il cestino che la madre le porge e la segue docilmente. L’Incubus le osserva allontanarsi. Non osa seguirle - non ora. Aspetta che arrivi la sera prima di scivolare fino alla finestra della ragazza e gettare un’occhiata veloce all’interno. Lei ha i capelli sciolti, prega inginocchiata ai piedi del letto. È strano, pensa l’Incubus, perché l’ha sempre sentita pregare in un sussurro e stavolta riesce a sentire quasi distintamente ciò che dice.
«Ti prego, fa’ che torni. Non so se sia uno dei tuoi angeli o un demone, ma io non stavo sognando, lo so. Devo parlargli ancora. Ti prego» dice la ragazza. Tira su col naso. «Ti prego, fa’ che stasera torni. Ti prego».
L’Incubus si tappa le orecchie. Non vuole lasciare quella casa ma non vuole sentire una parola di più. Vorrebbe dire alla ragazza di smetterla, che non sa quello che dice, ma la situazione è così innaturalmente familiare da confonderlo. Striscia fino al tetto e si abbraccia le ginocchia mentre cala la notte. Fino al mattino non riesce a fare altro che a guardare l’oscurità e a chiedersi perché il cuore umano sia così facile da distruggere.
Due notti dopo, la ragazza si rigira sotto le coperte, amareggiata ed insonne. L’Incubus vede con quanta forza trattiene le lacrime - sono di rabbia, non di dolore - e graffia il cuscino con una mano. Lui entra nella stanza. La ragazza non riuscirebbe a distinguerlo dalle ombre che gettano i mobili sulle pareti nemmeno se lo volesse, ma può sentirlo. Si inginocchia vicino al letto e le tocca con delicatezza la spalla nuda. Lei si immobilizza e trattiene il respiro.
«Volevi che tornassi. Eccomi».
La ragazza si gira lentamente. L’Incubus vede i suoi occhi frugare con impazienza il buio davanti a lei. «Sei tu? Qui?».
«Puoi vedermi solo mentre dormi. Ora che sei sveglia ed è notte puoi solo riuscire a toccarmi e a sentire la mia voce. Niente di più».
«Che cosa sei? Un demone?».
Lui sorride. «Meno di un demone e meno di un uomo».
«Un angelo?».
«No. Forse voi ci avete dato un nome, ma io non lo conosco».
«Sapevo di non stare sognando» dice la ragazza.
«In un certo senso è questo che sono. Un sogno».
«Ma io sono sveglia».
«Ci sono cose, sulla mia natura, che non riesco a spiegarmi. Questa è una delle tante».
Lei apre la bocca per dire qualcosa, poi la richiude. Allunga la mano e l’Incubus sente le sue dita sfiorargli le labbra. Lei ritira subito la mano, sorpresa.
«Ti ho sentito».
«Sì».
«Eri tu che…».
«Sì».
«Vedo solo buio, ora».
«Sono anche il buio».
La ragazza tace ancora. Dopo un po’ si rannicchia fra le coperte, in posizione fetale.
«Potrò vederti solo quando starò dormendo?».
«Sì».
«Va bene. Dormirò, allora».
«Perché dovresti volermi vedere?».
Lei sorride e chiude gli occhi.
La ragazza lo aspetta sempre sveglia, ora. Non appena lo sente toccarla, lei mormora «Sei tu» con un sorriso che le increspa le labbra e cerca a tentoni la sua mano da tenere stretta mentre si lascia scivolare nel sonno. L’Incubus la asseconda come asseconderebbe un qualunque capriccio di poco conto. La ragazza sta tornando pian piano ad essere la stessa persona che ha attirato la sua attenzione la prima volta, come se fosse lui l’elemento che le mancava per stare bene. Il suo corpo non si ribella più, è morbido e caldo e docile, e l’Incubus non sa spiegarsi perché, a volte, senta le braccia di lei circondargli le spalle e le labbra di lei cercare le sue. Il confine tra amore e desiderio è sottilissimo, spesso sfumato. La ragazza non distingue le due cose - è troppo giovane per poterlo fare. Le unisce.
«Perché soffrivi quando non c’ero?» le chiede una sera. Lei sbatte le palpebre, intorpidita, e riflette.
«Soffocavo. Niente di quello che mi circondava aveva senso. Quando tu c’eri, io prendevo a respirare». Allunga una mano sfibrata verso di lui. «Me lo hai mostrato tu… cosa si prova ad essere vivi».
Una mattina lei non riesce più a muoversi.
L’Incubus la guarda aprire gli occhi ma rimanere immobile nel suo letto. Dalla gola non le esce altro che una sorta di mugolio che non riesce ad articolare per via delle labbra sigillate. Le pupille della ragazza si muovono terrorizzate da una parte all’altra della stanza, cercando aiuto. Lui non può aiutarla ad alzarsi, può solo guardarla.
Dopo qualche minuto la ragazza riesce a mettersi seduta. Ha bisogno di altro tempo per riuscire ad appoggiare i piedi a terra e a camminare. Quando la vede aggrapparsi alla porta per non cadere lui distoglie lo sguardo. Le tocca i capelli per dimostrarle che è ancora lì. Capisce che è cominciata.
«Non mi vedrai ancora».
Il sorriso di lei si ghiaccia. «Perché?».
«Due mattine fa. Sono io a farti questo».
«Perché?».
«Ogni volta che passo la notte con te, tu muori un po’ di più. La mia esistenza è a discapito della tua vita. L’hai visto tu stessa».
«Non andartene. Non posso sopportarlo».
«Puoi. Sono un demone».
«Come puoi essere un demone se sei così gentile con me?».
Gentile? si chiede l’Incubus, perplesso. La ragazza allunga le dita per cercare di toccarlo e lui è già troppo lontano dalla sua portata. Si allontana per non sentirla piangere.
Ritorna. Ritorna perché qualcosa di invisibile lo lega a lei, preda e cacciatore, due della stessa razza. Non sa quanto tempo sia passato. La bacia mentre dorme - è un po’ più magra ed un po’ più vecchia di come la ricorda, ma è bellissima come sempre. Lei sente quel peso familiare contro il petto, quell’abbraccio soffocante a cui si è abituata, e si sveglia con le lacrime agli occhi. Ride e piange allo stesso tempo.
«Ho avuto paura».
«Di che cosa?».
«Che non saresti venuto più…».
Le permette di abbracciarlo. Si immagina attraverso lo sguardo di lei - una sagoma scura, vagamente umana. Come può essere così affezionata a qualcuno che non ha mai visto? Qualcuno che le ha fatto del male?
«Mia madre ha detto che mi sposerò all’inizio dell’inverno» gli dice lei. «Non voglio».
«Non essere sciocca. È tuo compito farlo».
La ragazza respira forte, inghiottendo aria e lacrime. «Quando starò per morire, tu mi avvertirai?».
«Non sai quello che stai dicendo».
Lei lo guarda negli occhi. Nei suoi occhi c’è un velo spesso e liquido, ora fermo. «Ti prego».
«Un cugino di mia madre vive dall’altra parte della città. Si occuperà di lei quando io non ci sarò più. Starà bene».
«Le mancherai».
«Lo so» gli dice. «Lo so».
«Domani».
«Grazie».
L’Incubus sfiora la fronte e le labbra di lei. Sa che le piacerebbe vedere il sole, attraverso il velo del suo sogno - è l’ultimo dei suoi giorni. Sarà il suo regalo, una visione di luce prima del buio.
«Che Dio abbia pietà della mia anima» sussurra lei, stendendosi, lo sguardo verso la luna. La sua pelle è immersa nel bianco. È serena, tiepida, mentre chiude gli occhi.
«Mi hai nutrito per molto tempo» le dice. Lascia scivolare le labbra sul collo di lei. «Dormi, mia cara».
«Farà male?».
«Il dolore se ne andrà».
Mostrami cosa si prova ad essere vivi. Per l’ultima volta.
3. White light
Gli occhi della ragazza si spalancano, vuoti. Inspira profondamente per un paio di volte, poi più nulla. L’Incubus si rannicchia vicino a lei, solo un po’, per trattenere gli ultimi rimasugli di dolore che la lasciano. Le dice che starà bene, che ha smesso di soffrire. Non può sentirlo più, lo sa, ma continua a parlarle.
Le passa una mano tra i capelli. La sua pelle è così fredda, ora, il suo corpo si piega tra le sue braccia senza più forza, pesante come un sacco di piume. Una crepa, dentro di lui, si allarga e lo inghiotte.
«Addio» le dice. L’ultimo bacio che le lascia sulle labbra gli sembra infinito.
4. Soul of dusk
Le visioni ritornano, nell’oscurità. C’è lei, viva e sorridente. Poi c’è la visione della neve. L’Incubus osserva il bambino correre sulla riva di un lago ghiacciato, annaspando tra la neve. La donna che lo segue lo tiene d’occhio da poco distante. Ha gli stessi occhi e capelli scuri del figlio, la stesse pelle pallida. Il bambino corre dalla madre e lei lo prende in braccio ridendo. Crollano tutti e due all’indietro nella neve fresca. L’Incubus li guarda e gli sembra di riconoscerli.
Il bambino sembra guardare verso di lui con lo stesso sorriso un po’ arrogante che avrà quando sarà adulto. L’Incubus allunga una mano. «Io» dice. Prima che riesca a toccarli, i due svaniscono.
Il vuoto ritorna.
La canzone dei Kamelot è un capolavoro, Simone è stupenda e Roy andrebbe preso a calci. Fine note.
...Okay, serietà. E' la prima volta che scrivo una fanfiction basata su una canzone e sono andata a scegliermi la canzone più scabrosa e criptica dei Kamelot. Quella che avete letto sopra è solo una mia interpretazione del testo, perchè di per sè la canzone non è delle più chiare: si è sicuri che il personaggio maschile sia un Incubus, ma ci sono dubbi su quello femminile. In alcune opinioni in cui si pensava che fosse un Succubus, ma sono ipotesi scartate quasi subito. Molto più probabilmente - è un'opinione abbastanza diffusa, per fortuna - si tratta di una donna umana di cui l'Incubus ha finito per innamorarsi, ricambiato, ma che alla fine si ritrova a... Beh, anche qui Poetry for the poisoned non è del tutto chiara. La ragazza muore? Diventa un Succubus? Sopravvive ma rimane in gravi condizioni? Grande punto di domanda. Io ho inserito il finale più probabile.
Chiedo scusa in ritardo per la mia poca conoscenza della figura dell'Incubus. Mi sono divertita a manipolarla un po', visto che nemmeno quella fonte sacra che è Wikipedia è stata illuminante. Che fa un Incubus quando non attacca le sue prede? Si fa un giro? Dorme dentro una bara? Torna negli Inferi a giocare a scacchi con Lucifero? Bbbbbbooooohhhh. Abbiamo diecimila libri sui vampiri ma sugli Incubus sappiamo pochissimo. Sarei curiosa di vedere dove Khan si è informato sull'argomento...
Beh, questa era la mia ultima storia per la Maritombola. Ora che ho fatto cinquina posso tornare ai miei esami con la coscienza più o meno pulita :)