Titolo: One step behind
Fandom: RPF: Conception
Personaggi: Tore Østby, Roy Khan ed un po' tutta la band dei Conception (più qualche comparsata a sorpresa di cui non dico nulla)
Rating: PG13
Conteggio Parole: 3952 (Word)
Note: teoricamente questa fanfiction, oltre ad essere il mio primo penoso tentativo di bromance, è lo spinoff di una storia che forse un giorno mi deciderò a revisionare e a postare da qualche parte, ma fino a quel momento prendetela pure così com'è e non fatevi domande :) (Ah, se conoscete i Kamelot e non i Conception lasciate qui tutto e correte su You Tube - mal che vada vi sarete ascoltati qualche minuto di buona musica XD)
Questa storia partecipa alla Maritombola di
maridichallenge.
One step behind
12. Nel passato di X c'è un segreto che nessuno conosce.
1996.
«Ma non avevamo deciso di ordinare una pizza?».
«Nei quaranta minuti che tu hai passato sotto la doccia abbiamo fatto in tempo a cambiare idea ed abbiamo scelto cibo cinese… Ehi, giù le mani, quei gamberi non sono per te. Non li meriti».
«Come sarebbe a dire? Ho passato un’ora e qualcosa a sgolarmi sul palco e sto morendo di fame».
«Anche noi ci siamo ammazzati sul palco, ma non siamo rimasti sotto la doccia quaranta fottutissimi minuti».
«La possibilità di morire di inedia a causa vostra non era previsto nel contratto che ho firmato».
«Sei sicuro che non fosse una clausola scritta in piccolo?».
«Dai, Tore, digli qualcosa anche tu!».
Tore non alza gli occhi dall’ultimo numero di Metal Hammer. «Trond, fallo mangiare. Non possiamo ancora rimanere senza vocalist».
Trond sbuffa e borbotta qualcosa sull’ego da prima donna di Roy Saetre Khantat prima di cedere definitivamente.
«Ecco, tutti tuoi. Strozzati pure».
«Grazie, amico. Ti voglio bene anche io».
Tore distoglie per un attimo lo sguardo dalla rivista. Trond ha un’espressione offesa e le braccia incrociate - tutti sanno che l’espressione imbronciata sparirà dopo neanche dieci minuti - mentre Ingar, con un mezzo sorriso stampato in faccia, si siede vicino a lui per finire di controllare il suo basso, come per consolarlo. Arve, oggi, se n’è andato subito dopo il concerto, addicendo come scusa un mal di testa micidiale, e forse è per questo che Trond stasera è così irritabile. Tore si allunga sul divanetto, cercando di sistemarsi meglio, ma ogni molla sembra volerglisi conficcare nella schiena attraverso l’imbottitura troppo sottile. Dopo qualche tentativo di spostamento, accolto dal divano con una serie di proteste gementi, lui decide di lasciar perdere e di tornare a leggere, continuando a guardare i ragazzi con la coda dell’occhio. Prende ad osservare Roy, di cui può vedere solo la schiena - registra un asciugamano bianco attorno al collo ed i capelli appiccicati in ciocche fradice sulle tempie. Quando Roy si gira, tenendo in bilico su una sola mano il piatto di plastica, la coda di un gamberetto gli sporge dalla bocca come una sigaretta troppo grande.
«Che leggi, fratellino?» gli chiede, masticandosi metà frase.
«Metal Hammer».
«C’è qualcosa di interessante?».
«La recensione dell’ultimo album dei Pantera».
«Grande. Ne parlano bene?».
«Sono i Pantera, mica dei cretini qualunque. Certo che ne parlano bene».
Roy ride ed inghiotte. Dopo qualche secondo è seduto vicino a lui, e Tore sente il suo ginocchio premergli contro il fianco in una richiesta silenziosa di spazio. Si fa da parte, alzando gli occhi verso il soffitto - c’è una crepa nell’intonaco, ma guarda - e Roy gli si accomoda vicino, riuscendo anche a piantargli un gomito nello stomaco prima di riuscire a sistemarsi. Tore ha un sussulto quando Roy gli appoggia la testa fradicia sul petto per cominciare a leggere, ma non osa farglielo notare.
Ingar si schiarisce appena la voce. «Come siamo messi, con la nostra agenda degli impegni?».
«Siamo occupati lunedì sera» replica Trond, mettendosi nel piatto mezza vaschetta di spaghetti di riso.
«Quindi ci tocca organizzare un micidiale weekend di prove».
«Così pare».
Roy distoglie improvvisamente l’attenzione dalla recensione. «Uhm, ragazzi? Sabato sera sono occupato. Non penso di poter venire, se avete intenzione di provare in quell’orario. Ci troviamo nel pomeriggio?».
«Cosa?».
«Non strozzarti con quegli spaghetti, Trond» dice Tore, anche se la testa di Roy appoggiata sullo stomaco gli rende difficile parlare. Gli batte le dita contro la fronte, un po’ irritato. «Che cos'hai di così urgente?».
«Vado al cinema».
«Con una ragazza?».
«Beh, sì» ammette Roy, quasi a malincuore, e gli rivolge uno sguardo di scusa. «Era una cosa fissata da un po’».
«Alt, alt. Hai una ragazza e non ce lo dici, infame che non sei altro?» ruggisce Trond, puntandogli contro le bacchette. Roy sussulta.
«Non è la mia ragazza, andiamo solo a vedere un film e poi andiamo a cena».
«Cambia poco. Esci con una tizia e lo tieni nascosto ai tuoi amici?».
«Ve l’avrei detto comunque» balbetta Roy, ora chiaramente a disagio.
«Bugiardo. Vergognati».
«Ehi, ora andiamoci piano. Si può sapere perché vi state scaldando tanto?».
«È una ragazza che conosciamo?» gli chiede Tore, cercando di essere gentile anche se sente qualcosa, dentro di lui, che sfrigola come carne su una graticola.
Sa che Roy concede sempre pochissimo di sé. Anche stavolta non fa eccezione. Dice che ha conosciuto questa ragazza mentre andava in università, qualche giorno prima, ma si rifiuta di dire come si chiama o altri dettagli. Dopo un po’ Ingar e Trond perdono interesse nel tentare di farlo parlare e si dedicano a qualcosa d’altro. Lui rimane a guardare Roy finché l’altro non sente quello sguardo bruciargli sulla nuca e non si gira.
«Che succede?».
«Ti piace questa tizia, almeno?».
«Che domanda del cazzo. Se non mi piacesse credi che ci uscirei?».
La risposta è stata così secca che Tore si sente quasi umiliato. Roy deve aver capito qualcosa, perché è veloce a correggere il tiro ed ad ammorbidirsi un po’.
«Intendo dire… Beh, sì. Vorrei conoscerla meglio. Davvero».
Lui annuisce. Vorrebbe alzarsi ed andarsene da qualche altra parte, ma qualcosa lo costringe a rimanere lì. «Gliel’hai detto ai tuoi?».
«Sicuro. Mio padre mi ha anche suggerito un buon ristorante messicano nei dintorni. Mi ha consigliato di abbondare col peperoncino. Dice che è un vaso dilatatore fantastico».
«Tuo padre è un grande».
«Lo so. Però mamma lo ha sentito e poi sono stati cazzi. “Tanti anni per crescere bene nostro figlio e poi gli dai certi consigli da depravato, finirai per rovinarlo” e via dicendo». Roy ride, girandosi sulla pancia, e gli appoggia il mento sullo sterno. «Avrei voluto dirle che niente può rovinarmi più di quanto non abbiate fatto voi. Una volta ero giovane ed innocente…».
Anche se non vorrebbe dargliela vinta con tanta facilità, Tore si ritrova a ridere. Roy ha questa capacità innata di rendersi simpatico a chiunque e di farsi perdonare con una velocità assurda.
«D’accordo, vergogna sui Conception e su di me che li ho fondati. Ora togliti da lì e fammi finire quel dannato articolo, è da ore che tento di farlo».
«E perché? Sei un cuscino perfetto».
«Ancora un’altra parola e finisci sul pavimento».
«Ce l’hai tu il mio cd degli Stratovarius?».
«Cazzo. Mi sa di sì».
«E visto che ancora non me l’hai ridato, ti grazio solo se fai leggere pure me».
«Ricattatore».
«Lo so» sogghigna Roy, prima di prendergli di mano la rivista e ricominciare a leggere.
«Sei tu, questo qui?».
Tore si gira, con le birre gelide di frigorifero in mano, e vede che Roy ha preso una delle cornici che i suoi genitori si ostinano a tenere nel tavolino accanto al telefono - secondo loro quella dovrebbe essere una dimostrazione d’amore e d’orgoglio materno e paterno, secondo lui e suo fratello quelle foto sono semplicemente dei supplizi medievali ben mascherati. La foto che Roy ha preso in mano è quella più vecchia del gruppo e lo ritrae mentre è seduto in giardino, con i vestiti pieni di erba e di terra, e rivolge alla macchina fotografica un sorriso privo di entrambi gli incisivi. Tore sospira.
«Temo proprio di sì. Nemmeno i miei si ricordano quanti anni avevo».
«Ma guarda. Eri davvero adorabile».
«E va bene, prendimi pure in giro».
Roy lo guarda, quasi stupito, mentre posa la fotografia e gli prende di mano la bottiglia. «Perché dovrei? Ero sincero».
«Niente commenti sui boccoli? Sull’espressione pseudo angelica?».
«No».
«Okay. Ora vado a prenderti un termometro, voglio sapere quanta febbre hai prima di chiamare l’ambulanza».
«Scemo» ride Roy, prima di concedersi una lunga sorsata di birra. «E comunque non ho ancora capito perché non ci hai detto che i tuoi sono via per il weekend. Avremmo potuto organizzare qualcosa».
«Non fraintendermi, io voglio bene a te ed ai ragazzi, ma a volte vorrei anche passare qualche serata da solo a rilassarmi».
«Certo. Hai ragione. Ma allora perché mi hai fatto entrare?».
«Roy, hai minacciato di arrampicarti sulla grondaia se non ti aprivo. Sulla grondaia. So che l’avresti fatto sul serio».
«Certo che l’avrei fatto sul serio, ma probabilmente sarei morto prima di arrivare. Non penso che sarebbe riuscita a reggermi».
«Appunto. Immagina che bello, passare la nottata a raccogliere i tuoi resti spiaccicati in giardino. E poi la ricerca di un nuovo vocalist è stressante».
«Non hai tutti i torti».
Tore si lascia cadere a peso morto sul divano. Roy si guarda in giro con espressione spaesata, come se non sapesse bene come comportarsi - è un ospite che cerca di destreggiarsi nel labirinto di una casa che non ha mai visitato. Trova un punto d’appoggio nei dischi impilati nella libreria.
«Come è andata la serata con la tua bella, Roy?» gli chiede Tore, dopo essersi ricordato il vero motivo per cui Roy è venuto a rompergli le palle a quell’ora di notte.
«Bene. Benissimo».
«Bene».
«Eccome».
Tore prende a tormentare l’etichetta della bottiglia con le unghie. Suo padre va matto per le birre olandesi, mentre a lui piacciono pochissimo. Ad ogni sorsata gli sembra di inghiottire aceto. «Devo cavarti le parole di bocca con le pinze?».
«Come?».
«Insomma, sono le due di notte, vieni a casa mia promettendo chissà quali notizie e poi fai… così. Come se volessi essere a chilometri di distanza».
«Oh. Scusami, è solo che - che mi sto ancora riprendendo. Sono un po’ confuso».
«In che senso? È andata male?».
Roy si stacca dalla libreria e si siede sul divano vicino a lui. Tore prova a guardarlo, ma Roy prende a guardare fisso lo spazio libero delle sue ginocchia, la mano che stringe la bottiglia, la punta delle sue scarpe.
«È stata una serata fantastica. Elisabeth è una ragazza molto dolce, è bellissima, intelligente. È meravigliosa».
«Fantastico. Siete andati al cinema?».
«Sì. Poi siamo andati al ristorante, abbiamo parlato per tutto il tempo. Sono stato così bene assieme a lei che mi sento in colpa». Abbassa la testa ancora di più, quasi a volerla nascondere in mezzo alle spalle. «Non ho pensato a Freyja nemmeno una volta, stasera».
Tore si è sempre visto come un tipo paziente, che tende a giustificare le persone anche quando non ne ha motivo; gli piace vedere la gente sotto una buona luce, perché è infinitamente più difficile che vederle sempre in ombra. Con Freyja, però, non riesce ad essere così positivo. A dirla tutta, pensa che quella ragazza sia l’unica persona che abbia mai voluto veder morire tra sofferenze atroci. Lei e Roy sono stati assieme più o meno dieci anni, tra vari tira e molla, perché Roy non riesce a stare senza qualcuno verso cui riversare le sue attenzioni e a lei faceva comodo stare col cantante di un gruppo che sta cominciando lentamente a sfondare. Tore ha perso il conto di quante volte lui ed i ragazzi abbiano preso il loro vocalist da parte ed abbiano provato a farlo ragionare sull’argomento; Roy ha sempre ascoltato i loro discorsi senza battere ciglio per poi rispondere che avevano ragione, ragionissimo, ma lui non riusciva a staccarsi. La amava. Succedeva che lui e Freyja si lasciavano, stavano lontani per un po’, poi si rivedevano e scattava qualcosa che li rimetteva assieme. Bastava che Freyja desse un leggero strattone alla corda invisibile che lo legava a lei e Roy tornava. Un ciclo infinito.
Ma adesso Tore si sente stranamente felice. Roy ha bisogno di stare assieme a qualcuno - «Smettila di essere così fottutamente bisognoso di affetto!» è uno dei rimproveri che Trond gli fa più spesso - e lui è contento che il suo migliore amico si sia deciso ad uscire con una ragazza che non sia Freyja. Elisabeth. Il nome gli piace. Potrebbe anche funzionare. Mentre gli sorride, cominciano a sbocciare le prime domande: è una brava ragazza? lo legherà stretto e lo terrà nascosto da tutti? lo farà soffrire? Le zittisce scrollando la testa. Non capisce perché dovrebbe sentirsi geloso.
«Sono contento per te» dice.
«Sul serio?».
«Come no. Una ragazza ti fa bene».
«Beh…».
«E sai cosa penso di Freyja» aggiunge, prima che l’amico possa ribattere qualcosa. «Perciò… Cavolo, incrocerò le dita per te. Al prossimo appuntamento dovrai dare il meglio».
Sul viso di Roy passa un sorriso incerto. «Grazie, Tore».
«E di cosa?».
«Di tutto. E di che, sennò?».
Roy si rifiuta di tornarsene a casa e lasciarlo lì perché, secondo lui, starsene da soli durante un weekend è la cosa più triste del mondo. Ma potrebbe essere anche merito delle quattro bottiglie che si sono scolati, Tore non lo sa. Afferra la trapunta patchwork di sua madre per avvolgersela attorno alle spalle mentre Roy legge la tracklist di un vecchio disco dei Metallica che ha trovato ficcato in mezzo alle riviste.
«Ehi» dice poi, lasciando perdere il disco e scostando un lembo della coperta per riuscire a vederlo. «Ci sei, fratellino? Non è che adesso mi sparisci davanti agli occhi?».
«Ho freddo».
«Oh, povero piccolo».
«Piantala. Ho solo due anni in meno di te».
«E con questi bei capelli lunghi mi fai una tenerezza assurda. Sul serio».
«‘Fanculo» borbotta Tore, voltandosi su un fianco. Roy gli pizzica una gamba, tentando di farlo sorridere, ma lui rimane imbronciato, semisepolto dalla coperta come un bambino arrabbiato.
«Dai, Tore. Lo sai che scherzo».
«Ma sei lo stesso un idiota».
«Sì, sono un idiota» ammette Roy. Dopo un po’ Tore alza gli occhi e lo vede rannicchiato come un feto tra i cuscini, con gli occhi chiusi. Non riesce a capire se stia dormendo o no. Allunga la coperta verso di lui per coprirgli almeno i piedi. Roy socchiude un occhio.
«Sono perdonato?».
«Basta che adesso non cominci a sorridere come uno scemo - ecco, lo stai facendo giusto adesso!».
«Mica vero» replica Roy, con un ghigno che gli va da un orecchio all’altro. Tore si china per prendere una ciabatta da terra e lanciargliela, Roy gli finisce praticamente addosso nel tentativo di bloccarlo e dopo è tutto un casino fra coperte, cuscini, vestiti, risate miste ad insulti e tentativi di non rotolare giù dal divano.
Dopo - non sa quanto dopo - Roy è riuscito a conquistarsi un posto sotto la coperta e sta dormendo. Tore afferra la birra che ha lasciato in bilico sul tavolino e la beve fino all’ultima goccia. Lo stampo della mano di Roy è rimasto sul vetro della bottiglia, la condensa gli bagna le mani. Domani starà malissimo per la sbornia, già lo sa, ma non gliene frega molto. Si infila sotto la coperta, vicino abbastanza da sentire il respiro di Roy contro la fronte. Se domani mattina Roy si sveglia prima di lui e se lo trova appiccicato addosso, forse potrebbe incazzarsi. O forse no. Probabilmente riderà ed aspetterà che si svegli prima di dargli del cretino che non sa reggere l’alcol. Ma è vero, lui l'alcol non lo regge, è davvero un pessimo norvegese.
«Roy?» gli chiede. Lo ha appena sentito muoversi, forse è ancora sveglio. Roy fa una sorta di mugolio tutto di naso, non del tutto cosciente. Tore si chiede se lo stia davvero sentendo. Potrebbe dirgli - eh, che cosa? Che è il suo migliore amico e lo trova fantastico - senza troppe smancerie, però. Che un po’ è geloso. Non sa bene né per che cosa né per chi. Che vorrebbe prenderlo a cazzotti perché a volte Roy si tratta come l’essere più schifoso di questa terra. Che gli piace l’idea di essere considerato il fratellino che non ha mai avuto. Che trova che i capelli corti gli stiano molto bene e che è contento che Roy non voglia farseli crescere. Cazzo, sembra che la sua testa stia facendo le montagne russe - spera solo di non vomitare. Ma no, lo stomaco è a posto. È tutto il resto che è sottosopra.
«A volte mi chiedo se ho una cotta per te» gli dice. Roy gli sfrega la mano contro la nuca e gli dice, assonnato: «Dormi, dai». Solo allora Tore è sicuro di non aver parlato davvero.
1998.
Anche dopo che ognuno ha preso la sua strada, lui e Roy si vedono o si telefonano ogni tre giorni. «Non credere che mi dimentichi di te così in fretta» ride Roy dall’altra parte della linea telefonica. Ormai lui ed Elisabeth fanno coppia fissa. Roy fa delle gite sempre più lunghe ad Oslo per cercare un appartamento in cui possano abitare. Tore annuisce ed ascolta le ultime novità. Gli Ark assorbono molto del suo tempo, ma lui riesce in qualche modo a ritagliare un boccone di tempo ed attenzione per Roy e per se stesso.
Un giorno, Roy gli racconta di essere stato chiamato da un tizio americano. Un chitarrista.
«Si chiama Thomas. Thomas Youngblood. È il fondatore di una band che si chiama Kamelot».
«Mai sentiti».
«Nemmeno io, ma quello conosce i Conception. È riuscito a contattare mio padre e poi mio padre gli ha dato il mio numero. I Kamelot sono rimasti senza cantante e lui mi ha chiesto se sarei interessato all’idea di fare un provino».
«Fino in America?».
«Già. Se anche fossi preso, Thomas mi ha detto che i Kamelot fanno musica per il mercato europeo, quindi non dovrei trasferirmi in Florida o dove caspita abita lui».
Tore si sente, nello stesso momento, spaesato ed un po’ triste. Si ricorda di quando è stato lui a chiedere Roy di presentarsi per un provino. È una sorta di dejà vu che è costretto a rivivere come spettatore.
«Che pensi di fare?» gli chiede, tormentando il filo del telefono.
«Non lo so. Mi pagherebbero bene, ed al momento non ho granché da fare. Per te ed i ragazzi è diverso, avete tutti i vostri progetti…».
Suona come un’accusa. Tore non replica. Roy ha tutto il diritto di sentirsi arrabbiato o escluso, anche se i Conception si sono sciolti in modo tranquillo, in un’implosione lenta e silenziosa. L’esclusione dal tour degli Stratovarius brucia ancora a tutti quanti - se le cose fossero andate diversamente forse sarebbero ancora uniti.
«Che dicono i tuoi?».
«Lo sai com’è mio padre. Non è troppo contento. Spera ancora che faccia retromarcia e mi decida a studiare medicina. Mamma è più o meno della stessa opinione. Un figlio medico è molto meglio di avere un figlio cantante».
«E tu?».
Roy rimane in silenzio. Tore sta per ripetergli la domanda quando si rende conto, in un lampo di lucidità, che Roy lo ha chiamato, e lo ha chiamato per chiedergli cosa fare. Per strappargli un permesso. Forse, dall’altra parte della cornetta, Roy sta fissando il vuoto mordendosi le labbra, aspettando senza respirare una sua risposta.
«Ma sì. Vacci. Mal che vada, ti sei fatto un bel giro turistico. Quante occasioni avrai per andare negli States?».
«Non molte, temo».
«E non fare lo stronzo, ricordati di mandarmi almeno una cartolina».
«Contaci».
«Spero che ti prendano, Roy. Spero che tu riesca ad arrivare dove non siamo arrivati noi» gli dice. La cornetta gronda esitazione e silenzio, forse per un breve momento di riflessione, prima che Roy dica: «Lo spero anch’io».
2005.
Quando arrivano all’aeroporto, Roy è già lì che li aspetta. Negli ultimi anni si sono visti in modo sporadico, anche se continuano regolarmente a telefonarsi ogni settimana, quindi Tore rimane abbastanza sorpreso. Ha trentacinque anni, Roy, ma Tore non ha mai visto un trentacinquenne più in forma e più felice. Lui ed i ragazzi se lo vedono venire incontro più abbronzato che mai, maglietta bianca ed occhiali da sole, con lo stesso sorriso e gli stessi capelli impossibili di molti anni prima.
«A furia di stare con gli americani sei diventato più tamarro di quanto non fossi già» è la prima cosa che gli dice Trond a mo’ di saluto, giusto per fargli capire che no, per lui non è cambiato niente. Roy ghigna ed aspetta pazientemente che Trond lo mandi a quel paese prima di capitolare ed abbracciarlo - si sta commuovendo? Sul serio?
«È bello ritrovarvi, ragazzi» dice Roy, prima di passare ad abbracciare Arve ed Ingar. Quando Tore si fa avanti per ricevere la sua parte di saluti, - da ultimo, com’è giusto - Roy si toglie gli occhiali da sole.
«Ciao, fratellino».
«Ciao».
Non deve nemmeno chiedergli come sta. Lo vede benissimo anche da solo.
2013.
Lui ed i ragazzi si ritrovano più o meno ogni paio di mesi. Dopo le prime volte hanno rinunciato ad invitare Roy, una volta sempre a spasso in giro per il mondo con i Kamelot ed ora barricato da anni dentro casa sua. Tore continua a chiamarlo, anche se con meno regolarità di prima, ed ogni volta ha paura di quelle conversazioni; sembra che Roy risponda al telefono solo in nome di un’abitudine che, negli anni, è diventata sempre più stancante. Mentre guarda il bicchiere mezzo vuoto, Tore decide che non lo tormenterà più. Sa di fare parte di un passato che Roy vuole grattare via a forza dalle pareti del proprio cuore. Saperlo fa davvero un male inimmaginabile. Si accende una sigaretta. Ogni volta che lo vedeva fumare, Roy minacciava di strappargliela di mano ed infilargliela su per la narice, dicendogli: «Perché ti avveleni sapendo di farlo?».
Ha appena passato il pacchetto ad Arve - oggi Ingar non è riuscito a venire - quando Trond rientra nel locale, pallidissimo. Per qualche secondo sembra che stia per sentirsi male.
«O sono impazzito» dice, «O quello che sta arrivando è Roy Khan».
Arve scrolla la testa. «Ma figurati. Sarà uno che gli somiglia».
«Ti giuro, sembra…».
«Trond, sappiamo tutti quanti che Roy non esce dalla sua città da anni. Non può essere lui. Tranquillo».
Trond si è appena seduto, con l’aria decisamente più calma, quando sentono la porta del bar aprirsi qualche metro più in là. Tore si gira a controllare.
La ragazza è la prima ad entrare nel suo campo visivo. Ha dei capelli magnifici, quasi fiammeggianti, il naso e le guance arrossati dal freddo, ma quando si toglie la sciarpa dalla bocca sta sorridendo. Non deve avere più di trent’anni. A Tore sembra di averla vista in più di un’occasione, ma non sa ricordarsi quando. La ragazza si volta verso il suo accompagnatore, che si assicura di chiudere bene la porta dietro di loro, e gli dice qualcosa. Sembra contenta.
Poi lo vede. L’uomo che si sta togliendo la neve dai capelli e che sorride in risposta alla ragazza, mentre si avviano verso il bancone, è indubbiamente Roy. Tore si sente come se qualcuno gli avesse appena rifilato una stoccata al centro del petto. È un colpo a tradimento. Non lo aspettava - non ora.
Torna a girarsi verso i ragazzi. Nessuno di loro sa cosa dire, hanno troppe domande da farsi e che leggono uno negli occhi dell'altro: Roy, qui? Chi è quella? Dov’è Elisabeth? Ed i suoi figli? Che succede?
«Io l’ho già vista» mormora Arve, con gli occhi fissi sulla ragazza. «Una volta non cantava con Roy?».
A quel punto Tore ricorda. Quello di lei è un nome che Roy gli ha detto abbastanza spesso, a suo tempo, e che gli torna lentamente alla memoria, assieme ai pezzi che ha dimenticato.
«Simone Simons. Una sua ex collega».
Simone si toglie la giacca e la piega contro il braccio. Roy gliela prende di mano in quello che sembra un eccesso di galanteria. Sembra stranamente a suo agio, quasi rilassato. Non si è accorto di loro. Da quanto tempo Tore non lo vede sorridere?
«Ehi» lo chiama Trond quando lo vede alzarsi - è sicuro di sentire quasi una supplica, nella sua voce, ma scuote la testa.
«Vado a salutarli».
I due ora sono girati verso il bancone. Tore non ha idea di cosa dirà o farà Roy quando lo vedrà, ma non ha importanza. Non può fare finta di non averlo visto. È sempre un suo amico. Hanno condiviso tanto. Mentre si avvicina, pensa che Roy non dovrà più avere paura di lui. Non dovrà fare finta di essere qualcun altro, dimostrarsi più forte o più felice di quello che in realtà è. Chiunque si trovi davanti, Tore si sente disposto ad accettarlo a braccia aperte. Si sente disposto a perdonargli tutto.
Poi tocca la spalla di Roy ed aspetta che si giri.
Piccole note necessarie:
- In un'intervista, (mi pare fosse una domanda sul come mai le canzoni dei Kamelot parlino spesso di amori finiti o comunque difficili, e su chi, fra Roy e Thomas, scrivesse quelle parti) Roy ha raccontato di come abbia avuto una storia molto turbolenta con una ragazza, e di come questa relazione sia duranta sui dieci/undici anni. Le uniche libertà che mi sono concessa riguardano il nome della cosiddetta ragazza ed il periodo in cui c'è stata questa relazione. Non ho la benchè minima idea di quando Roy ed Elisabeth si siano sposati nè se lei fosse già la sua fidanzata al tempo del debutto nei Kamelot.
- Sì, Roy ha detto che lui e Tore si chiamano ogni settimana, mentre non si sente molto con gli altri ex membri dei Conception. Non è una cosa che ho inventato, così come non ho inventato che Roy abbia frequentato l'università, per un certo periodo, e che i suoi genitori volessero per lui un futuro professionale da medico o da avvocato. Ma Roy ha sempre detto di essere bravo in informatica. Hanno tutti le idee chiare, in quella famiglia.
- Piccole note sulla storyline, ora. Nel '96 i Conception sono reduci dal loro penultimo album, In Your Multitude. Nel '98 circa la band si scioglie, Tore si dedica agli Ark e Roy, dopo un provino, entra a far parte dei Kamelot (sì, è stato Thomas a contattarlo dopo aver conosciuto i Conception via internet). Nel 2005 c'è una breve reunion al ProgPower Usa, dove i Conception si esibiscono dal vivo per la prima volta dopo anni. Nel 2013... Eh. Capirete che cosa ci fanno Roy e Simone in uno sperduto bar della Norvegia solo quando avrò pubblicato la fanfiction di cui questa storia è uno spin off :D
...E vista l'occasione, buon inizio anno a tutti quanti!