[Fanfiction] Captain Tsubasa: "Il Principio di Lavoisier"

Oct 03, 2008 22:47

Nick: Melantò
Fandom: Captain Tsubasa
Prompt: Mamoru Izawa, Yuzo Morisaki; dichiarazione
Avvertimenti: Shonen-ai, One-shot
Rating: Rosso
Riassunto: L'Amore è una questione 'chimica', perché anche qui tutto si trasforma. E c'è chi lo accetta così come viene, e chi tenta di opporvisi con tutte le sue forze, ma nessuno può sfuggirvi, nemmeno un difensore testardo.
Note: secondo esempio di 'variazione sul prompt'! XD  Ma ho dovuto spezzare la storia a causa dell'eccessiva lunghezza... ç_ç scusate.


Il principio di Lavoisier

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.”
Antoine-Laurent de Lavoisier

A diciassette anni ci si convince di sapere già tutto della vita, peccato che quest’ultima abbia sempre una sorta di ‘asso nella manica’ da sfoderare all’ultimo momento.
E, chissà perché, le conseguenze sono sempre catastrofiche sia per chi la vita se la ritrova rivoltata come un cassetto della biancheria, sia per chi, dall’esterno, osserva il volo pindarico degli eventi senza poter fare nulla.
In questa giostra dalla quale non posso più scendere, io sono quello che sta per assistere al cappottamento del proprio universo, ma non sono mai stato una persona disposta a restarsene con le mani in mano mentre la vita sta per assestarti un sonoro calcio in culo dato di punta.
No, io sono quel tipico esempio di coglione che si ostina a non ammettere la sconfitta nemmeno davanti all’evidenza, peggiorando inevitabilmente la situazione. Così, come un mulo testardo, continuo a portare avanti la mia ricerca della verità nell’unico modo che può darmi delle risposte…

La porta si aprì lentamente, facendo comparire la figura seminuda di una donna.
Con movimenti sensuali si appoggiò allo stipite, stringendo le labbra marcatamente truccate.
«Hai fatto presto. È stata una fortuna che oggi non avessi lezioni all’Università… così posso essere tutta per te.» Ammiccò «E tu? Non dovresti essere a scuola?».
Ma lui non era andato lì con l’intenzione di parlare e, sempre mantenendo quella strana espressione scura che gli stava indurendo i tratti, l’afferrò malamente per il polso spingendola all’interno del piccolo appartamento. Entrò, richiudendo con uno schianto la porta alle sue spalle e vi sbatté contro la giovane, cominciando a baciarle il collo, mentre le mani scivolavano sulle cosce scoperte, insinuandosi sotto la corta sottana che lei stava indossando.
«Wow!» mormorò lei, eccitandosi per le sue attenzioni per nulla caste «Non perdi tempo.» Ed afferrò i crini scuri, stringendo la testa che lentamente si muoveva verso il basso.
Dal collo alla gola, la sua bocca sembrava insaziabile mentre intaccava la pelle candida della ragazza, lasciando piccoli segni del suo passaggio. Le mani, in opposizione alle labbra, salivano, superando i sottili bordi delle mutandine, avvolgendosi attorno ai suoi fianchi stretti e sempre più su, fino al seno nudo e pieno che strinse con forza, strappandole un gemito di approvazione.
Rapidamente le sfilò la sottoveste di raso di cui non ricordava nemmeno il colore, premendo su di lei con tutto il suo corpo animato da un incontenibile desiderio.
«Adoro farlo quando indossi la divisa scolastica…» sussurrò lei, avvertendo la sua eccitazione contro di sé con una certa soddisfazione, prima di prenderlo per mano e condurlo nella sua camera, il tutto senza che lui smettesse di baciarla, sbavandole leggermente il rossetto.
Non ci volle molto perché sgusciasse fuori dai suoi abiti, che tolse quasi con rabbia, spingendo poi l’amante sul letto senza la minima delicatezza, ma la ragazza non sembrò prenderla a male, trovando anzi eccitante quel suo rude modo di fare, decisamente diverso dal solito.
Le baciò le cosce, lisce come seta, avvertendo l’odore vanigliato della pelle, puntando con decisione alla sua intimità umida e morbida.
Sapore di donna sulle sue labbra che la fecero gemere con violenza e affondare le dita nei capelli; serpenti corvini e unghie laccate.
«Oddio… ci sai proprio fare…» ansimò lei, mentre la sua bocca perpetrava l’inarrestabile avanzata, sostando poi sui seni dai capezzoli ipersensibili che torturò solo per dei brevissimi momenti, prima di arrivare nuovamente alle sue labbra. Il percorso inverso venne compiuto dalle mani che scivolarono verso il basso, allargandole leggermente le gambe quel tanto che bastava affinché il suo sesso entrasse in lei con estrema facilità.
Ma per quanto la giovane ansimasse sotto di lui, visibilmente accaldata, avvertiva solo gelo dentro di sé che non accennava ad andarsene. Poi, un diverso odore spazzò via quello di vaniglia, un odore più forte che lo stava facendo impazzire da mesi.
- Oh, no! Non di nuovo! - e quando spalancò gli occhi un viso differente si sovrappose a quello della sua amante, facendolo imprecare tra i denti, «Cazzo!», e staccarsi da lei per rotolarle accanto.
Inspirò a fondo un paio di volte per cancellare odore e viso che erano tornati puntualmente a tormentarlo.
«Che succede?» domandò l’altra, ancora visibilmente eccitata, ma confusa dal suo atteggiamento «Stavamo andando così bene.» e fece per allungare una mano verso di lui che la scansò prima che potesse anche solo sfiorarlo. «Ehi!» protestò la giovane, osservandolo alzarsi senza prestarle la minima attenzione «Me lo merito uno straccio di spiegazione, grand’uomo, ti pare?!». Ma ricevette solo mutismo nel breve tempo in cui si rivestì, mandandola in collera. Rapidamente si alzò anche lei dal letto, afferrando una vestaglietta per coprirsi alla buona. «Ma chi diavolo ti credi di essere per trattarmi in questo modo, ragazzino?!».
Ennesimo silenzio fu la sua risposta, mentre caricava la cartella sulla spalla diretto all’uscita; strinse la maniglia.
«Se te ne vai ora, non azzardarti a tornare!» lo minacciò con sguardo furente, ottenendo finalmente la sua attenzione.
«Lo vuoi un consiglio, Tanaka-senpai?» esordì, rivolgendole solo la trequarti e delle iridi pece piene di strafottenza «Truccati di meno, sembri un clown.» e lasciò l’appartamento, sentendo solo l’infrangersi di un coccio alle sue spalle e la sua ultima invettiva.
«Vai all’Inferno, Mamoru Izawa!»

*****

La matita, sospesa a mezz’aria, oscillava distrattamente tra le sue dita, mentre osservava il banco vuoto nella fila accanto alla sua, tirando un profondo sospiro.
- Non è venuto nemmeno oggi…- e stava cominciando a preoccuparsi sul serio. Era già da un po’ che Mamoru si comportava in modo strano: saltava sempre più spesso le lezioni, in campo prendeva a calci la sfera come se ce l’avesse avuta col mondo intero e teneva un po’ tutti a debita distanza, soprattutto lui. Da quanto tempo era che non si facevano una bella chiacchierata, di quelle rilassanti, che cominciavano con le più serie intenzioni e poi finivano a ridere come scemi, infarcendola di cretinate?
«Morisaki.»
La voce del professore di Chimica lo distolse all’improvviso dai suoi pensieri, facendolo scattare come una molla.
«Sì?»
«Immagino che ci penserai tu a far avere la lezione di oggi al signor Izawa, vero?» domandò con un mezzo sorriso ironico, guardandolo da sopra gli occhiali rotondi.
«Sì, sensei.»
«Molto bene, ti pregherei di soffermarti sul Principio di Lavoisier: perché tutto si trasforma, anche i suoi voti se continua a collezionare assenze. Intesi?»
Yuzo annuì lentamente «Sì, ho capito.»
«Perfetto, per oggi abbiamo finito.» e a confermare quelle parole arrivò il trillo puntuale della campanella.
Con un sospiro, il portiere si portò una mano alla fronte: Mamoru si stava mettendo veramente nei guai; non poteva rischiare la sua media proprio ora, erano al terzo anno e a breve avrebbero dovuto prepararsi per gli esami. Come sperava di superarli se continuava a comportarsi in quel modo?
Lentamente infilò i libri nella borsa, lasciando l’aula e scorgendo, nella calca dei corridoi, anche Hajime e Teppei. Si avvicinò a loro, superando agilmente svariati studenti. Kisugi lo vide, alzando un braccio in segno di saluto, ma appena li raggiunse esordì «Sei da solo? Non dirmelo: Mamoru ha saltato di nuovo, eh?»
«Ancora?!» fece eco Hajime.
«Deduco che voi non l’abbiate visto.» sorrise Yuzo «Speravo poteste darmi qualche spiegazione…»
«Veramente, noi volevamo chiederle a te.» Taki incrociò le braccia al petto, sbuffando, mentre si incamminavano tutti e tre verso l’uscita della scuola.
«Purtroppo ne so quanto voi…»
«Beh… il fatto che non ne abbia parlato nemmeno con te, credo sia grave.»
«Oh, Dio! Spero di no!» accompagnando la frase con un sospiro «Mi domando dove diavolo se ne vada per tutto il giorno…»
«E c’è da chiederselo?» Kisugi infarcì il concetto con un eloquente gesto della mano che gli valse un sonoro scappellotto.
«Teppei, per l’amor del Cielo, sei disgustoso!» lo rimproverò Hajime dopo averlo colpito, ma l’altro tentò di difendersi.
«Ehi! Non mi verrete a dire che vi ho sconvolto, vero? Come se già non lo sapeste!»
«Sì, ma non c’è bisogno di sottolinearlo!»
L’amico sospirò teatralmente «Tsk! Puritano.» strappando una risata anche a Yuzo che si congedò dal gruppo appena fuori del cancello scolastico.
«Ci vediamo domani!» salutò, avviandosi nella direzione contraria alla loro che risposero con un «Ok!» tornando poi alla loro filosofica discussione sul concetto di ‘puritanesimo’.
A dire il vero, anche il portiere aveva pensavo che Mamoru potesse essere in dolce compagnia. Ultimamente si era accorto che passava più tempo con la compagine femminile che nemmeno con la squadra, quando era sempre stato l’inverso. Non che ci fosse nulla di sbagliato, ma Mamoru, un po’ come tutti, aveva sempre messo il calcio prima di ogni altra cosa e la sensazione che ora non fosse più così rendeva ancor più strana l’intera vicenda.
Con la cartella su una spalla, Yuzo continuava a camminare lentamente per le vie di Nankatsu, avviandosi ai piccoli giardinetti poco lontani dalla casa del compagno di squadra; certo, avrebbe dovuto inventarsi una scusa, se gli avesse aperto sua madre, ma sperò di riuscire a rintracciarlo tramite il cellulare. Cavò il telefono da una tasca, richiamando il numero del difensore, ma la voce pre-registrata del gestore lo avvisò che l’apparecchio era spento.
Altra cosa che avveniva sempre più spesso.
Per un attimo, ebbe l’impressione che Mamoru volesse quasi isolarsi, ma gli sembrò un’ipotesi talmente assurda che la scacciò subito, scuotendo il capo.
Ora doveva solo pensare a cosa dire a sua madre e sperare di riuscire a parlarne almeno a scuola… sempre se si fosse fatto vedere, ovvio.
Quando arrivò ai giardinetti, dei bambini gli tagliarono la strada correndo dietro ad un pallone e strappandogli un sorriso, mentre le madri li osservavano di lontano, chiacchierando tra loro. Altri bambini salivano e scendevano dalle giostre, ridendo felici, o restavano aggrappati alle mani dei nonni che li portavano a passeggiare. E si distrasse a tal punto, nell’attraversare quel piacevole spaccato di tranquillità, che quasi non lo vide, mentre restava seduto, gambe incrociate, lungo il muretto di cinta dei giardini. Per un attimo, credette addirittura di averlo confuso con qualcun altro, ma il modo aperto e sciatto - che il difensore si ostinava a definire ‘macho’ - di portare la casacca della divisa e i capelli lunghi, un po’ spettinati, non lasciavano adito a dubbi: quello era Mamoru… e stava studiando!
Yuzo sbuffò un sorriso, sentendosi un po’ sollevato: almeno teneva ancora al suo rendimento scolastico. Con fare distratto si avvicinò a lui, che non si accorse della sua presenza nemmeno quando si sedette sul muricciolo.
«Recuperi le lezioni perdute?» esordì ad un tratto, prendendolo alla sprovvista tanto che la penna schizzò dal foglio, allungando a dismisura uno dei kanji che stava scrivendo.
Ma ciò che spaventò maggiormente il difensore, fu di trovarsi proprio lui davanti.
«Occristo, Yuzo! Mi hai fatto venire un infarto!» sbottò, tenendosi teatralmente una mano sul petto.
L’altro rise «Oh, scusa. Non pensavo di farti questo effetto.» ma a quelle parole, Mamoru rispose con eccessiva asprezza.
«Non mi fai nessun effetto, sia chiaro. Che diavolo vuoi?!» buttando alla rinfusa i libri nella borsa.
«Glisserò amabilmente sulla tua scortesia, per dirti che stavo venendo a portarti le lezioni di oggi.» rispose, inarcando un sopracciglio, notando come fosse ancora di pessimo umore.
«Tsk! Potevi risparmiarti la fatica, li avrei presi a scuola…»
«Ah, sì e quando? Quanto ti saresti degnato di venire, per caso?!»
Il difensore ruotò gli occhi con noia «Che palle, ma chi diavolo sei? Mia madre?!»
«No, sono tuo amico e sono preoccupato per te…»
«Beh, puoi anche smettere. E smetti pure di starmi così addosso, mi irriti.» concluse alzandosi, seguito a ruota da uno Yuzo sempre più sconcertato dalle sue risposte e dal tono con cui gliele sputava contro.
«I-irritando?! Ma ti rendi conto di come ti stai comportando ultimamente?! Salti scuola un giorno sì e l’altro pure senza apparente motivo! Il professore di Chimica ha minacciato di abbassarti la media se continui così…»
«Ma cosa cavolo vuoi che mi importi di quello stupido vecchio con i suoi orrendi occhiali tondi?!» inveì, cominciando ad alzare la voce, ma come si girò per andarsene un pallone ruzzolò accanto ai suoi piedi, facendogli realizzare dove effettivamente fossero. Un parco pubblico, mamme, bambini, nonni… gente. Troppa gente per i suoi gusti, che lo avrebbe visto mentre parlava con Yuzo, che lo avrebbe osservato e giudicato e avrebbe potuto pensare chissà cosa quando non c’era niente, niente, niente da pensare o, peggio ancora, equivocare. Niente.
Quando notò con la coda dell’occhio la figura del portiere inginocchiarsi accanto a lui, scattò allontanandosi di tre passi, ma si rese conto che il giovane si era solo chinato a raccogliere il pallone che i bambini avevano reclamato a gran voce, restituendoglielo.
«Era da prima che ti chiamavano, non li hai sentiti?» gli domandò Yuzo, osservandolo con espressione crucciata e lui rimase in silenzio per qualche secondo, ancora sul chi vive, mentre fissava il suo viso e aveva quel modo di aggrottare le sopracciglia che… e le labbra… e…
Quando si rese conto di essere arrossito, capì che doveva andarsene subito, di corsa. Ma come fece per muoversi il portiere lo afferrò per un braccio ed ebbe l’impressione che una scossa elettrica lo attraversasse da capo a piedi. Con uno strattone si liberò, lanciandogli un’occhiata furente.
«Aspetta, non…»
«Non azzardarti a toccarmi di nuovo.» sibilò, come un cobra messo alle strette.
E Yuzo rimase immobile con la mano ancora ferma a mezz’aria.
Ma che diavolo gli stava succedendo? Quello non era affatto il Mamoru che conosceva da anni, con cui aveva condiviso gioie e dolori sul campo, con cui passava le serate a ridere per le cose più stupide, che si ostinava a dargli consigli su come conquistare una ragazza anche se a lui non fregava nulla. Non era lui; Mamoru non l’avrebbe mai guardato a quel modo, non gli avrebbe risposto male come continuava a fare da giorni, non spariva né odiava senza motivo.
Par contro, il difensore voleva solo andare via; la gente continuava a guardarli, ne era sicuro e lui non poteva sopportarlo, come non sopportava il calore intenso che continuava a sentire nel punto in cui Yuzo lo aveva afferrato.
Quest’ultimo sembrò riscorsi dalla sorpresa iniziale, cercando di stemperare la tensione, abbozzando un sorriso. «Adesso stai esagerando.» disse e fece per dargli una semplice pacca sulla spalla, come facevano sempre, ma si accorse del lampo d’ira nei suoi occhi solo quando fu troppo tardi.
«Ti ho detto di non toccarmi!»
Il pugno lo colpì in pieno viso senza che Yuzo potesse evitarlo, mandandolo a terra con un tonfo.
Adesso sì, che la gente del parco si era fermata a guardarli.
In un primo momento, il portiere non aveva realizzato quanto fosse appena accaduto, poi la sensazione di qualcosa che scivolava lungo l’angolo dell’occhio gli fece portare meccanicamente una mano al sopracciglio, dove avvertiva un dolore pulsante e continuo. Yuzo osservò dapprima il rosso che macchiava le sue dita e poi alzò lo sguardo ad un irriconoscibile Mamoru, che torreggiava davanti a lui e si ostinava a guardarlo come fosse il suo nemico giurato. In testa non aveva nemmeno l’ombra di una parola o pensiero, solo un senso di frattura interiore, frammentazione in pezzi piccolissimi e insanabili, impossibili da ricomporre.
«Non starmi più tra i piedi.» concluse il difensore, lasciando finalmente quei giardinetti nei quali, all’allegro vociare dei bambini, si era sostituito un sommesso brusio.
Ma Yuzo nemmeno lo sentì, mentre tutto ciò che capiva era che Mamoru gli aveva appena tirato un pugno, ma, stranamente, non era il sopracciglio a fargli davvero male.

Appena Mamoru arrivò a casa, la prima cosa che fece fu rinchiudersi in camera ed accasciarsi contro la porta, tenendosi lo stomaco come se il pugno l’avessero tirato a lui. Gli faceva talmente male che rimase senza fiato per alcuni secondi, mentre avvertiva un forte senso di nausea e il sudore gelido che scendeva lentamente lungo la tempia.
Come aveva potuto colpirlo con tale rabbia?
Era forse impazzito del tutto?
Ma più ci pensava, più le fitte all’addome lo pugnalavano con l’intenzione di squarciargli le viscere.
Doveva calmarsi o non sarebbe mai passato.
Doveva calmarsi. Doveva calmarsi. Doveva…
Ma il viso del portiere, il suo sorriso che si tramutava in sconcerto e lo guardava come se lo vedesse per la prima volta, continuavano a balenargli davanti agli occhi, facendolo sentire una bestia per quello che aveva fatto.
Però… dannazione! Yuzo se l’era cercata! Glielo aveva detto che non doveva toccarlo! Erano giorni che provava a fargli capire di non volerlo intorno… di non volere nessuno, ma lui era sempre stato ostinato e testardo come un mulo. Ben gli stava! Così avrebbe imparato a dargli retta una volta tanto…
Ma a chi voleva darla a bere? Non c’erano giustificazioni che reggevano al suo comportamento che stava cambiando contro la sua volontà e, come un relitto, si trascinò fino al letto, rannicchiandosi sulle lenzuola fredde.
Tutta la camera, la casa, egli stesso erano gelidi e l’unica parte del corpo in cui riusciva ancora a sentire un’eco di tiepido calore era proprio quella in cui Yuzo lo aveva toccato.
Quanto avrebbe voluto che il tempo avesse preso a scorrere al contrario.

*****

Quando il giorno dopo entrò in classe, sperò ardentemente che Mamoru avesse saltato di nuovo le lezioni. Ma dopo una nottata passata a pensare e pregare di non rivederlo - non subito, almeno - se lo ritrovò in perfetto orario seduto al suo banco, impegnato a ripetere una delle tante lezioni arretrate.
Per un attimo, fu tentato seriamente di andarsene, ma sapeva che sarebbe stato quantomeno inutile visto che si sarebbero dovuti comunque incontrare agli allenamenti.
Tirò quindi un profondo sospiro, varcando la porta dell’aula e dirigendosi silenziosamente al suo posto.
«Buongiorno, Morisaki-kun!» lo salutò un gruppetto di sue compagne di classe, cui lui rispose con un cordiale «Buongiorno.» ed un sorriso.
«Ma… cosa ti è successo al viso?» domandò una delle ragazze e lui toccò istintivamente il piccolo cerotto che aveva sul sopracciglio, minimizzando.
«Una pallonata!»
La giovane incrociò le braccia al petto «Che sport rude!» intavolando poi una discussione in merito con le sue compagne.
Yuzo sorrise di nuovo, muovendosi per andarsi a sedere quando incrociò lo sguardo serio e indecifrabile di Mamoru che lo fissava, mantenendo la testa bassa. Il sorriso scomparve, mentre deglutiva a fatica, cercando di sostenere in qualche modo il gelo dei suoi occhi.
«Ciao.» salutò a mezza-voce, sedendosi, ma non ottenne risposta, mentre Mamoru tornava ad interessarsi solamente dei suoi appunti.
E la situazione si mantenne su quel tenore di indifferenza per i successivi due giorni.
Nemmeno in campo si rivolgevano la parola oltre il necessario e Yuzo, ormai, era diventato un esperto nell’inventare scuse, visto come evitava tutti gli inviti dei suoi compagni se nel gruppo ci fosse stato anche Mamoru. Inoltre, le occhiate che quest’ultimo gli lanciava non lasciavano adito a dubbi su quanto non lo volesse intorno. In fondo, di che si stupiva? Glielo aveva già detto chiaro e tondo, o no?
«Se cominci a diventar strano anche tu, giuro che chiamo la neuro.» esordì Hajime all’indirizzo del portiere, durante gli sgoccioli della pausa pranzo.
Kisugi e Taki, allo scoccare della campanella, si erano presentati nella loro classe per pranzare assieme, come al solito, ma Yuzo aveva subito declinato l’invito dietro un “Devo ripetere le lezioni delle ore successive.” senza nemmeno fermarsi ad osservare lo sguardo di Mamoru, tanto non ne aveva bisogno: sapeva già in che modo lo stesse scrutando.
La Coppia d’Argento, visibilmente perplessa, aveva così lasciato l’aula in compagnia di un sempre più indifferente Izawa. Al loro ritorno, avevano trovato il portiere esattamente dove lo avevano lasciato: seduto nel suo banco, con lo sguardo rivolto agli appunti, anche se un’occhiata più attenta avrebbe capito subito che stava fissando sempre la stessa pagina, senza leggerne realmente il contenuto.
Yuzo sorrise, inventando una scusa al volo «Non sono strano, sono solo… ehm… già nell’ottica degli esami.»
Teppei alzò le mani, scuotendo il capo «No, ti prego, non nominarli! Il solo pensiero riesce a farmi venire l’orticaria!»
«E invece dovremmo prendere esempio.» lo ammonì Hajime «O ci ritroveremo a fare tutto all’ultimo momento… come sicuramente farà Ishizaki!» e scoppiarono a ridere, riuscendo addirittura a strappare una specie di ghignetto a Mamoru.
«Morisaki-kun?» una delle sue compagne di classe si avvicinò al gruppetto, attirandosi la loro attenzione «C’è una ragazza che ti cerca.» esordì, indicando l’ingresso dell’aula, mentre Yuzo la osservava con leggero stupore.
«Una ragazza, eh?!» il viso di Teppei era tutto un sorriso a trentadue denti, mentre Hajime rincarava la dose.
«Altro che studiare. Ecco che vengono fuori gli altarini. Cos’è che hai fatto davvero nella pausa pranzo?!» ridacchiando, mentre Yuzo faceva loro il verso, avviandosi alla porta.
«Ah, ah. Spiritosi.» e nessuno si era accorto del mutamento repentino di Mamoru che, da che stava pseudo-ridendo, era tornato improvvisamente serio; sorpresa ed anche una leggera agitazione si erano impossessate del suo sguardo che ora era incollato in maniera maniacale sul portiere.
Ragazza?
Quale ragazza?!
Yuzo usciva con qualcuna… e lui non lo sapeva?!
Che… che stava succedendo?!
«Vediamo, vediamo…» borbottava intanto Teppei, che si era sporto per vedere chi fosse la giovane imitato da Hajime, che fischiò in approvazione appena notò una graziosa fanciulla con i capelli raccolti in una coda alta ed un frangetta sbarazzina.
«Però! Carina! Hai capito il nostro portiere che bei gusti?!»
«Già!» accordò l’amico «Deve essere del secondo anno.»
«Proprio niente male!»
«Non dite stronzate.» ringhiò Mamoru senza smettere di fissare come Yuzo e la sconosciuta stessero amabilmente conversando «Quella non è adatta a lui.» sentenziò.
Hajime inarcò un sopracciglio «E tu che ne sai? La conosci per caso?»
«No, ma è come dico io.» ed avrebbe voluto tirarle il collo, se non la smetteva immediatamente di fare la ‘carina’ con Yuzo, ma si limitò a sfogare quella rabbia improvvisa, che non seppe inquadrare bene ma che gli stava schiacciando il petto, prendendosela con la matita che stringeva nella mano e che spezzò a metà, sotto la furente pressione del pollice.

- Fine prima parte -

fandom: captain tsubasa, autore: melantò, pg: mamoru izawa, pg: yuzo morisaki

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