[Voltron] In salute e in malattia

Feb 06, 2018 23:56

Titolo: In salute e in malattia
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: verde
Personaggi: Lance McClain, Keith Kogane, Pidge Gunderson/Katie Holt, Takashi "Shiro" Shirogane
Pairings: Keith/Lance, Shiro/Pidge
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Parte della Friends!AU.
Partecipa al contest "Flu&Fluff" di Fanwriter.it, prompt "Mentre A sta male, B cerca di badare a tutto (casa/famiglia/lavoro/ecc…). Anche quando le cose peggiorano, B fa di tutto per non farle pesare su A."
Beta:
Word count: 3540

« Etchù!!! »
« Lance, dovresti andare da un medico. »
« Sciocchezze, sto benone! »
Keith sospirò e si preparò all’ennesimo starnuto del suo ragazzo, seguito da un brivido.
« Fa freddino, però, non trovi? » chiese quindi Lance, strofinandosi le braccia già coperte dal più pesante dei suoi maglioni.
Da qualche giorno la temperatura in città era calata parecchio e lo sbalzo termico aveva inevitabilmente portato con sé i malanni di stagione. Praticamente metà accademia, superiori compresi, era alle prese con sintomi o strascichi influenzali. Hunk era guarito da poco e da allora non faceva che propinare ai coinquilini spremute d’arancia perché “la vitamina C fa bene”. In quel momento era appunto fuori a fare rifornimento di frutta.
« Perché non mi scaldi tu? » fece Lance, lanciando al compagno uno sguardo seducente, mentre si alzava e aggirava il tavolo della cucina.
Keith alzò gli occhi dal manuale su cui stava studiando e inarcò un sopracciglio.
Lance non vi badò e iniziò a togliersi il maglione, ignorando i brividi che quell’atto gli provocava. Approfittò del fatto che Keith fosse sul punto di alzarsi, per sedersi sulle sue gambe e circondargli in collo con le braccia.
« Andiamo… si dice che il modo migliore per tenersi caldi sia abbracciarsi nudi. » gli miagolò a un orecchio, provocante.
« Se sei un’orfanella caduta in un fiume nell’Australia del 1800, forse… »
Lance alzò gli occhi al cielo. Possibile che Keith non s’impegnasse nemmeno un po’?
Quando finalmente sentì la sua mano sulla pelle, quasi fece le fusa in risposta. Le dita di Keith gli stavano sfiorando il collo, le guance, le labbra, la fronte…
« Sei bollente, Lance. »
« Sì, lo so, sono tutto un fuoco, baby! » esclamò in risposta, pronto a gettarsi sulle sue labbra e a divorarle di baci.
Keith però lo afferrò per le spalle, tenendolo a distanza.
« No, Lance, scotti. Hai la febbre. »
« Di tutte le scuse che abbia mai sentito, questa è senza dubbio la più patetica. » fu la risposta imbronciata, mentre il giovane balzava in piedi e attirava a sé l’altro, piroettando.
Fu un bene che Keith si fosse alzato a sua volta perché, a metà volteggio, Lance gli crollò tra le braccia.
« Perchè il mondo è sottosopra? » lo sentì brontolare. « Forse mi gira un po’ la testa. »
« O forse hai la febbre. »
Keith non attese risposta, semplicemente avvolse le braccia attorno alla vita del ragazzo e lo sollevò da terra, avviandosi verso la sua stanza.
A quel gesto, Lance proruppe in esclamazioni acute e indignate, che terminarono solo quando venne depositato sul letto.
Senza aggiungere altro, Keith aprì un paio di cassetti e ne estrasse un pigiama, dei calzettoni e una coperta in più.
« Ti do una mano a cambiarti. » disse in tono pratico, prima di intercettare lo sguardo malizioso dell’altro.
« Non vedi l’ora di spogliarmi, eh? »
« Già, e di rivestirti e infilarti sotto tre strati di coperte. Poi chiameremo il dottore. »
Impiegò un po’ a mettere in pratica tutto quello che aveva stabilito ma, a operazioni ultimate, Lance era al caldo e lui aveva una lista di medicinali da procurarsi. Era decisamente un buon passo avanti. Non si era mai davvero preso cura di nessuno e gli capitava molto raramente di ammalarsi, quindi non aveva una grande esperienza, ma avrebbe fatto del suo meglio.
« Keeeeeeeith! »
Un richiamo lamentoso lo fece accorrere in camera.
« Che c’è, stai male? » domandò subito, ansioso, ma Lance scosse la testa.
« Tra mezz’ora devo iniziare il turno all’Interstellar. Si tratta solo di poche ore, ce la posso fare senza problemi, però mi chiedevo se non potessi accompagnarmi. »
Keith gli posò una mano sulla fronte, scostando i ciuffi che la coprivano, e subito dopo incrociò le braccia.
« Non se ne parla. La febbre tende a salire verso sera, se stessi male al locale sarebbe un problema. »
« Ma non posso lasciare un turno scoperto, metterei gli altri nei guai! »
« Ti sostituirò io. » si offrì subito Keith. « Stando alla tabella dovresti staccare alle 20:00, giusto? Rientrerò per cena e passerò dalla farmacia a prenderti le medicine. Chiederò anche a Gyrgan di darti qualche giorno di malattia. »
Lance aggrottò le sopracciglia.
« Se dici così, sono a cavallo. Il capo ti adora, arriverebbe a licenziarmi se glielo chiedessi tu. » si lamentò drammaticamente. « A parte gli scherzi, non sei tenuto a farlo, davvero. Non sentirti in obbligo. »
« Non mi ci sento affatto. Vedrai che me la caverò. Tu pensa a stare al caldo, dormire e farti preparare una bella cenetta da Hunk. »
Keith sorrise e si chinò a posargli un bacio leggero sulla fronte.
« Ci vediamo dopo! »

Era ormai ora di cena, quando Pidge rientrò dall’accademia e dal giro di commissioni, lo zaino su una spalla e un sacchetto di medicine in mano. Fuori pioveva a catinelle e l’ombrello le gocciolava sulle scarpe mentre aspettava l’ascensore. Fastidioso.
Mentre se ne stava lì in attesa, un pensiero fugace le attraversò la mente: cosa cucinare per cena?
Quando se ne rese conto, scosse la testa, allibita: era terribile quello che poteva provocare il prendersi cura di un ammalato! Normalmente si sarebbe chiesta quali composti chimici avrebbe mescolato nella lezione dell’indomani.
« Ehi, Pidge! »
Il richiamo attirò la sua attenzione e si vide raggiungere da Keith, che attraversava l’atrio della palazzina.
« Ehi, Keith. » ricambiò, adocchiando il sacchetto di medicinali che l’amico portava a sua volta. « Chi si è ammalato da te? »
« Lance. » rispose il ragazzo, con una piccola smorfia. « Arrivo adesso dall’Interstellar, l’ho sostituito al lavoro. Avere a che fare con la gente è orribile, mai vista tanta maleducazione concentrata in quattro ore. Ho dovuto trattenermi non so quante volte dal rovesciare una birra in testa a qualche idiota e Gyrgan ha detto che non vuole più vedermi. »
Pidge ridacchiò, mentre apriva la porta dell’ascensore.
« Avere a che fare con il pubblico non è per tutti. Ti posso capire fin troppo. »
Quando anche Keith notò il sacchetto di medicinali nella mano della ragazza, lei lo fece dondolare sul polso.
« Non sono per me, non temere. Sia io che Matt abbiamo fatto l’antinfluenzale a inizio stagione. Sono per Shiro, gli sto facendo da… »
Esitò un attimo, alla ricerca del termine più appropriato, e alla fine sospirò.
« … babysitter. »
La sua espressione fece ridere Keith, che la salutò con un « Buona fortuna! » quando giunse al suo piano.
Pidge si augurò di averne, mentre armeggiava con le chiavi dell’appartamento e apriva la porta.
Si rese conto di essere stata troppo ottimista quando trovò Shiro in salotto invece che a letto, dove gli aveva ordinato di stare.
« Cosa stai facendo? » domandò, stupita, vedendolo sfogliare velocemente quello che sembrava un vecchio manuale della Garrison.
Shiro alzò su di lei gli occhi arrossati.
« Non è influenza, Pidge. Non avvicinarti, è pericoloso! »
La ragazza sospirò e appoggiò il sacchetto delle medicine sul tavolo, prima di togliersi il cappotto.
« Di cosa stai parlando? Sai che ho fatto l’antinfluenzale, non ti preoccupare. »
Shiro, però, sembrava tutt’altro che rassicurato.
« Non è influenza, ti dico! E’ l’agente patogeno che Matt stava studiando in laboratorio. Ho trovato i sintomi sul manuale di immunologia. Guarda! É qualcosa da cui non si può guarire ed è altamente contagioso! »
Pidge lo scrutò, confusa. Che la febbre si fosse alzata al punto da farlo delirare?
« Pidge, se non dovessi farcela, voglio che tu… »
Ok, quel discorso stava sfuggendo di mano.
« Shiro! » lo interruppe. « Non stai morendo. Il dottore ti ha visitato stamattina, che storia è mai questa? »
Si avvicinò a lui e si sedette al suo fianco sul divano. Quando gli toccò una guancia con la mano fredda, la sentì scottare.
« Chi ti ha detto dell’agente patogeno? »
« È stato Matt, ha detto che ci stava lavorando durante il mio turno di sorveglianza e che c’era stato un incidente. Alcuni vetrini si erano rotti e avevano infettato gli ambienti. Ora tutto il personale è sotto osservazione. »
Pidge alzò gli occhi e si trattenne a stento dal lanciare un’invettiva contro il fratello.
« Non c’è stato nessun incidente. » spiegò, nel tono più pacato che riuscì a usare. « Tesoro, secondo te, se si fosse diffuso un agente patogeno potenzialmente letale, saremmo qui? L’intera Garrison sarebbe in quarantena. »
Shiro sembrò riflettere per un attimo, poi annuì.
« Forse hai ragione. Quindi Matt… »
« Quello scemo ti ha preso in giro, probabilmente per fare dispetto a me. » concluse Pidge, sistemandogli meglio sulle spalle la coperta che lo avvolgeva. « Ora torna a letto, neutrino. »
Si sporse in avanti e gli posò le labbra sulla fronte.
« Temo che la febbre sia salita, ma ho preso quello che ti ha prescritto il medico. Ti preparo qualcosa da mangiare così poi puoi prenderlo. »
Si alzò quindi dal divano e invitò Shiro a fare lo stesso.
L’uomo si appoggiò a lei e Pidge sperò che le sue gambe reggessero fino alla camera da letto.
Ovviamente aveva cantato vittoria troppo presto e le ginocchia di Shiro cedettero a metà corridoio. Quello che non aveva calcolato era che spostasse tutto il suo peso su di lei, trascinandola a terra con sé.
« Shiro? Shiro, per favore. Così non riesco ad alzarmi. » protestò, schiacciata dal peso del suo corpo e impossibilitata a muoversi. « Se non ti sposti, non… »
Niente da fare, Shiro sembrava completamente fuori combattimento. Era ora di chiamare la cavalleria.
Pidge infilò una mano nella tasca sul retro dei jeans recuperò il telefono.
« Matt, vieni subito qui! » esordì senza preamboli. « Non m’interessa se Hunk è lì a cena, anzi, porta anche lui, così sarà d’aiuto. Vieni a mettere una pezza al tuo scherzone, scattare! »

Keith avvertì un tonfo sul soffitto, come se qualcosa di pesante fosse caduto nell’appartamento di sopra, e si augurò che Pidge se la stesse cavando. Lui aveva già le sue gatte da pelare senza preoccuparsi di quelle altrui.
« Come sarebbe che Hunk se n’è andato? » sbottò alla risposta di Lance alla sua domanda sull’assenza dell’amico.
« Ha detto che a breve avrà un esame importante e che non vuole rischiare una ricaduta. Si è trasferito da Matt mentre Pidge fa da infermierina a Shiro. »
La voce di Lance era debole e il ragazzo appariva particolarmente provato, adagiato com’era contro il cuscino del suo letto. Probabilmente in quelle ore le sue condizioni erano peggiorate.
« Ma ha preparato la cena? » chiese ancora Keith, incredulo.
« Non è nemmeno entrato in casa. Però ha detto che se hai bisogno di una mano puoi chiamarlo, al telefono ovviamente, di persona non vuole vedere nessun “infetto”. »
Lance mimò il gesto delle virgolette e Keith trattenne a stento un gesto scocciato.
Ok, avrebbe dovuto occuparsi lui di tutto, ma poteva farcela, non era un problema. Dopotutto era abituato a cavarsela, no? Non aveva la minima intenzione di far pesare a Lance la sua condizione.
Si avvicinò al letto e gli rimboccò le coperte.
« Va bene, non preoccuparti di niente, ti preparo subito qualcosa. Di là ci sono le medicine, così potrai prenderle subito dopo mangiato. »
Inaspettatamente, Lance gli prese una mano e se la portò alla fronte, chiudendo gli occhi.
« Sei fresco… » mormorò, spostandola poi sulle guance arrossate.
La sua pelle bruciava e questo preoccupò ulteriormente Keith.
« Se questo non è uno squallido tentativo di seduzione, allora forse hai bisogno di un fazzoletto bagnato che abbassi un po’ la temperatura. Torno subito. »
Sfilò la mano dalla presa di Lance, che mugugnò qualche lamentela, e corse in camera propria a recuperare un fazzoletto. Un attimo dopo lo posò, bagnato e strizzato, sulla fronte del malato.
Lance si contorse, con una smorfia.
« È freddo. » si lamentò.
Keith inarcò un sopracciglio.
« È fatto apposta e comunque anche la mia mano lo era. »
« Non è vero, la tua mano non era così fredda! »
Keith iniziò a capire cosa intendesse Pidge con il termine “babysitter”.
Imponendosi la calma, sfoderò tutta la sua pazienza.
« É vero, ma ti farà bene. Cosa vuoi per cena? Del riso va bene? »
Lance lo fissò, poi distolse lo sguardo, indeciso. Tornò a guardarlo, tentennò ancora e alla fine si decise.
« Vorrei del gelato. »
Keith assunse un’espressione incredula.
« Non tanto, solo… una tazzina. Anzi, una scodellina. Mi fa male la gola… Però forse una scodellina è troppo, fai mezza. E mi porteresti anche un altro cuscino? »
Non stava scherzando, vero?
No, Keith, no, è malato, abbi pazienza.
Sorrise e gli accarezzò i capelli inumiditi dalla pezza.
« Ok. Abbiamo ancora del gelato in freezer. Ci penso io. »
Quella fu solo la prima della serie di richieste che mise a dura prova i suoi nervi, ma si era ripromesso di non far sentire in colpa Lance e avrebbe fatto del suo meglio.
Anche se…
« Due cuscini sono troppi… No, uno è poco, non mi solleva abbastanza… »
« Mi porti ancora un po’ di gelato? Solo un pochino. »
« Uhm… credo che… non mi vada più… »
« Mi ribagni il fazzoletto? »
« Adesso è di nuovo gelido! »
« Mmmm… ti sei fatto una pizza? Me ne dai una fetta? »
« Keith… mi viene da vomitare! »
Quell’ultima esclamazione venne seguita da uno scatto fulmineo e da un lancio della bacinella dove finì, appunto, la suddetta fetta di pizza.
Dopo quell’inconveniente, Lance crollò, esausto, e Keith stabilì che non poteva in nessun modo lasciarlo solo, non con il rischio che si sentisse male di nuovo.
Non c’erano poltrone nella sua stanza, solo la sedia della scrivania, e spostare quella del salotto era fuori discussione. Per questo si limitò a prendere il proprio cuscino e una coperta e sistemarli sul tappeto ai piedi del letto.
Prima di coricarsi, Keith si sporse oltre il groviglio di coperte e baciò sulla fronte il suo ragazzo addormentato.
« Buonanotte, disastro ambulante. » mormorò accennando un sorriso.

Keith venne svegliato da un trillo insistente, che lo costrinse a rotolare sulla schiena e allungare una mano alla cieca. Ancora a occhi chiusi, trovò il telefono e armeggiò per spegnere la sveglia.
In un primo momento si chiese quando il materasso del suo letto fosse diventato così duro, poi la sua mente assonnata ricordò il motivo per cui aveva puntato la sveglia la sera prima.
Sbadigliando, si alzò e si avviò verso la cucina a prendere un bicchiere d’acqua e le pillole.
Quando tornò in camera, si avvicinò al letto e scosse leggermente Lance per una spalla.
« Svegliati… è ora della medicina. » mormorò.
Il ragazzo, che dormiva rannicchiato sotto almeno tre coperte, mosse appena la testa e si rintanò ancora di più.
« Lance… » lo chiamò ancora Keith, in tono basso. « É questione di un attimo, poi potrai tornare a dormire. »
La risposta giunse attraverso gli strati di stoffa.
« Mmmmmmnnnon voglio… »
Ok, era giunto il momento di passare all’artiglieria pesante.
Keith sollevò un lembo di coperta e si chinò in avanti per sussurrargli all’orecchio.
« Avanti, piccolo mio. »
Un istante dopo, Lance si sporse di scatto da sotto la coltre, gli occhi ben aperti e sgranati.
« Come mi hai chiamato? » esclamò, incredulo.
Keith ghignò e ignorò totalmente la domanda, piazzandogli sotto il naso il bicchiere d’acqua e il blister delle pillole.
Lance eseguì senza protestare, questa volta, ma subito dopo tornò alla carica.
« Hai davvero usato un vezzeggiativo? Keith! Sul serio?! »
« Non so di cosa stai parlando. Te la senti di fare colazione? »
« Keeeeeiiith! »
« Non credo che ti farebbe bene il caffè, ti preparo un tè. »
Lance continuò a emettere mugolii lamentosi, ma Keith fece finta di niente e tornò in cucina con un sorrisetto appena accennato.
Mentre preparava la colazione, ricordò un particolare di cui gli aveva parlato Shiro: quando gli ambienti erano poco sani, era molto più semplice che virus e batteri proliferassero. Anche all’accademia, durante le ore di laboratorio, ripetevano spesso che era bene mantenere le sale ben aerate. Forse sarebbe stata una buona idea arieggiare la camera di Lance.
Quello che non aveva messo in conto era la difficoltà di convincere il malato ad alzarsi.
« Non ne ho voglia, mi gira la testa. E ho freddo. » fu l’obiezione, brontolata tra uno starnuto e l’altro, le coperte tirate fino alle orecchie.
« Nemmeno se ti dico che di là c’è una bella tazza di tè caldo? »
Ormai Keith aveva capito che per farsi ascoltare doveva tentare quel viziato del suo ragazzo con qualcosa che lo attirasse.
Lance lo guardò da sotto in su, con gli occhi lucidi e un’espressione da cucciolo maltrattato.
« Posso tenermi una coperta? »
« Ma certo. »
« E posso andare nella tua stanza? Non voglio stare sul divano. »
Così avrebbe dovuto rifare due letti. Ma non aveva importanza, si disse Keith, bastava che Lance fosse comodo e al caldo.
« Va bene, ti porto il tè in camera mia. »
Keith era sinceramente stupito di sé stesso: in condizioni normali avrebbe già mandato tutto al diavolo, non pensava di avere così tanta pazienza e non risentirne nemmeno.
Osservò Lance armeggiare con le coperte per avvolgersene una attorno alle spalle prima di alzarsi e si preparò a sostenerlo, quando lo vide crollare di nuovo sui cuscini.
« Non posso venire. » gemette.
Keith lo fissò, stranito.
« Perché? »
« Perché non trovo un calzino. » si lamentò allungandosi nel letto e agitando un piede. « Si sarà perso da qualche parte e non posso uscire senza perché fa freddissimo. »
Keith non attese altre spiegazioni, semplicemente allontanò le coperte con un unico movimento, provocando uno strillo di protesta. Si chinò su Lance, gli passò un braccio dietro le spalle, uno sotto le ginocchia e lo sollevò. Istintivamente, Lance gli gettò le braccia al collo e si strinse a lui.
« Posso camminare, non hai bisogno di portarmi come una principessa! » protestò con una certa incoerenza, mentre affondava il volto nella sua spalla.
Keith sorrise e lo strinse un po’ di più, mentre usciva dalla stanza per poi entrare nella propria. Depositò Lance sul proprio letto, gli drappeggiò meglio la coperta attorno alle spalle e fece per alzarsi, ma venne bloccato da una debole presa sul braccio.
« Resta qui. » mormorò Lance con sguardo implorante.
« Vado solo a prenderti il tè e ad aprire la finestra. » tentò di obiettare Keith, ma aveva sempre avuto un debole per quegli occhioni blu.
« Per favore, resta qui. »
Non fu necessario ripeterlo una terza volta per farlo capitolare.
Si arrampicò sul letto, appoggiandosi con la schiena alla parete, e circondò Lance con le braccia. L’altro si raggomitolò contro di lui, con il volto affondato tra il suo collo e la spalla, rilassandosi completamente.
Keith poteva sentire la temperatura elevata della sua pelle a contatto con la propria, ma non era un calore fastidioso. Tenerlo così gli dava l’impressione di poterlo proteggere e anche Lance sembrava a proprio agio. Bastò davvero poco perché entrambi finissero di nuovo tra le braccia di Morfeo.

***
« Si è occupato di tutto, dei pasti, delle medicine, di farmi dare dei giorni di ferie e di coccolarmi allo sfinimento. Sì, Keith è stato davvero un infermiere fantastico. » concluse Lance, sorseggiando il proprio caffè sul divano dell’appartamento in compagnia di Pidge e Shiro.
« A proposito, Shiro, sono felice di vedere che anche tu stia meglio. »
« Ho avuto anch’io un ottimo aiuto. » annuì l’amico, gustando un biscotto con cui stava accompagnando il proprio tè.
« Già, peccato che grazie a questo mi sia giocata il posto letto. » brontolò Pidge, al suo fianco. « Non che non ami abitare con te, ma gradirei che Hunk mi restituisse la mia stanza. Sai quando ha intenzione di tornare qui, Lance? »
Il giovane si massaggiò il mento e scosse la testa.
« Non prima che Keith sia guarito, immagino. Dice che non intende mettere piede nel lazzaretto prima di aver dato quell’esame. »
A Lance, in realtà, l’assenza del coinquilino non pesava affatto e gli permetteva di prendersi cura di Keith, ricambiando tutta la sua pazienza e le sue attenzioni - tranne quando aveva provato a prenderlo in braccio, quella era stata una pessima idea.
Keith era un malato straordinariamente docile, per il carattere che aveva, e questo consentiva a Lance di coccolarlo in tutta tranquillità senza il rischio di venire etichettato come sdolcinato. Anzi, addirittura a volte le sue attenzioni venivano cercate e questo lo riempiva di tenerezza.
Proprio come in quel momento.
« Lance… »
Un richiamo, fatto da una voce roca e accompagnato da alcuni colpi di tosse, giunse da una delle camere.
Lance sorrise, intenerito, rivolgendo un cenno di scuse ai due ospiti.
« Arrivo, stellina! »

pg_pidge gunderson/katie holt, pg_takashi "shiro" shirogane, pg_lance mcclain, pg_keith kogane, fic_voltron friends!au, pair_shiro/pidge, fandom_voltron legendary defender, pair_keith/lance

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