[Voltron] Kiss me

Jan 19, 2018 14:34

Titolo: Kiss me
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: verde
Personaggi: Lance McClain, Keith Kogane
Pairings: Keith/Lance
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Parte della Friends!AU.
Partecipa al contest "Neon Lights" di Fanwriter.it, prompt NEON 46 "Kiss me"
Il meme nominato è questo.
Beta:
Word count: 2952

« E quindi avremo presto questa nuova birra. Il capo non fa che parlarne, è entusiasta della concessione e ha fatto installare un'insegna enorme dietro il bancone. A quanto pare il sogno della sua vita era poter vendere birra irlandese. »
Lance alzò le spalle e sorseggiò il proprio frullato.
Lui, Keith, Hunk e Pidge erano seduti alla caffetteria della Garrison durante un intervallo delle lezioni e l'argomento birra sembrava la novità più interessante del momento. Questo la diceva lunga su quanto si stesse rivelando entusiasmante lo svolgimento della giornata.
Pidge non aveva nemmeno alzato gli occhi dal suo tablet, mentre beveva caffè da un bicchiere di carta dalle dimensioni improponibili. Hunk aveva annuito distrattamente e continuato a sfogliare il manuale di meccanica aperto sul tavolo. Keith, dal canto suo, si era anche impegnato ad ascoltare, ma si trovava evidentemente a corto di commenti.
« Ragazzi, io devo andare. » disse, infatti, lanciando un'occhiata all'orologio e alzandosi. « Tra poco ho la simulazione di volo in caduta libera. Ci vediamo. »
Hunk e Pidge agitarono una mano in contemporanea, Lance invece s'imbronciò.
« Ehi... » brontolò in tono scocciato.
Keith si voltò verso di lui, stupito.
« Che c'è? »
« E io? Non merito un saluto? »
« Ho detto “ci vediamo”? Era un saluto per tutti. »
Keith inclinò la testa di lato, con espressione confusa. Chiaramente non capiva.
Lance sospirò, si alzò a sua volta e fece il giro del tavolo.
Si fermò di fronte a Keith, gli posò entrambe le mani sulle guance e si avvicinò per schioccargli un bacio sulle labbra.
« Questo era un saluto, baby. »
Keith si fece color pomodoro e aggrottò le sopracciglia.
« Non. Farlo. Mai. Più. » scandì in tono basso e minaccioso. « E non chiamarmi in quel modo ridicolo. »
Detto questo, girò sui tacchi e se ne andò velocemente.
Lance rimase a fissarlo allontanarsi, sbattendo le palpebre, mentre un sorrisetto si dipingeva sul suo volto. Le reazioni di Keith davanti a manifestazioni di affetto inaspettate lo intenerivano sempre, anche quando l'altro lo minacciava di morte. Non l'avrebbe mai ritenuto così timido ed era tremendamente carino quando arrossiva in quel modo.
« Sarà la relazione meno riuscita della storia. » commentò causticamente Pidge alle sue spalle.
Hunk annuì.
« Finirà nel sangue. »
Lance rivolse a entrambi un’espressione indignata.
« Smettetela immediatamente! Siete dei mostri, dovreste essere miei amici e appoggiarmi, non augurarmi il fallimento. »
« Non lo stiamo facendo. » rispose Pidge. « È una semplice constatazione dei fatti. »
A differenza della ragazza, Hunk chiuse il libro e sorrise.
« È solo strano vedervi così vicini, non siamo abituati e credo che neanche Keith lo sia. Forse dovresti dargli il tempo di prendere le misure con l’intimità in pubblico. »
A pensarci bene Hunk non aveva tutti i torti: erano passate solo due settimane da quando lui e Keith erano diventati ufficialmente una coppia e molto era ancora in fase di rodaggio. Tra le poche cose che Lance aveva capito, c’era che le effusioni lo mettevano a disagio, anche se non sapeva perché. Non aveva idea se Keith avesse avuto altre storie prima e il pensiero di essere il suo “primo amore” lo elettrizzava e lo spaventava al tempo stesso: era una responsabilità non da poco. Forse avrebbe dovuto chiederglielo, era così riservato che non gli avrebbe raccontato nulla senza una domanda diretta. Avrebbe potuto cogliere l’occasione quella sera stessa, quando sarebbe andato a prenderlo a fine turno all’Interstellar.

Quel giorno Lance rimase al bancone per quasi tutto il tempo. Normalmente serviva anche ai tavoli, ma in quell’occasione erano presenti entrambe le sue colleghe Jenny e Suzanne, quindi Gyrgan l’aveva piazzato all’angolo bar.
Dallo spazio ristretto tra la macchina del caffè e la barriera di bottiglie di alcolici per cocktail, aveva avuto l’occasione di vederne di tutti i colori e di avere a che fare con i clienti più strani, ma quel giorno gli avventori sembravano impegnarsi particolarmente.
Il primo che l’aveva lasciato perplesso era stato un tizio alto e allampanato, con il naso spruzzato di lentiggini, che si era avvicinato guardandosi attorno come un animale braccato. Era piuttosto giovane, avrebbe potuto tranquillamente essere uno studente dell’accademia, e Lance si chiese quale fosse il suo problema. Ordinò un cappuccino e gli chiese se avesse una penna. Rimase almeno un quarto d’ora con la tazza in una mano e la penna nell’altra, disegnando ghirigori su un tovagliolino. Al momento di pagare, allungò a Lance le monete e il suddetto tovagliolo, scappando poi dal locale in fretta e furia. Vi era scritto un nome e un numero di telefono, cosa che risultò piuttosto spiazzante: nessuno aveva mai lasciato il proprio numero a Lance spontaneamente.
La medesima scena si ripeté altre due volte nel corso del pomeriggio: un ragazzo entrava, ordinava qualcosa e gli lasciava il suo numero su un foglietto.
Alla quarta occasione, il giovanotto in questione fu decisamente più diretto degli altri e, dopo aver terminato il proprio spritz, gli prese una mano tra le sue.
« Mi chiamo Jack e vengo qui da un po' solo per vederti. » disse, stupendolo. « Hai un sorriso bellissimo e sei davvero simpatico. Ti andrebbe di uscire qualche volta? »
Lance rimase a bocca aperta davanti a una simile dichiarazione: quel ragazzo sembrava davvero interessato a lui e questo lo aveva lasciato senza parole.
Quando alzò gli occhi per rispondere però, ne incrociò un paio scuri e inorriditi, alle spalle di Jack.
Keith era in piedi poco distante, non l'aveva visto arrivare, ma era ovvio che avesse sentito tutto.
Istintivamente Lance ritirò la mano, che l'altro ancora teneva, e si rivolse a lui direttamente.
« Keith! Non fraintendere, non so cosa... »
Il giovane distolse lo sguardo, con aria ferita, e si avviò all'uscita senza dire una parola.
Oh, no! Oh, no-no-no!
« Senti, Jack o come ti chiami, ti chiedo davvero scusa. Sono molto lusingato ma, vedi, quello che è appena scappato via odiandomi, è il mio ragazzo e adesso devo tentare di non farmi lasciare. »
Aggirò il bancone e rincorse Keith, raggiungendolo sulla porta.
« Aspetta, aspetta! É un equivoco! » esclamò afferrandolo per il polso e inducendolo a voltarsi. « Non lo conosco, non ho davvero idea di cosa gli sia passato per la testa e non ho la minima intenzione di uscire con lui.»
Keith continuò a rimanere in silenzio, ma dalla sua espressione era ovvio che fosse infuriato, oltre che deluso. Con un gesto secco della mano libera, gli indicò la lavagna appesa a lato dell'ingresso del locale.
Avrebbe dovuto riportare il nome del personale di turno e il cocktail del giorno, invece la scritta in gesso bianco lasciò Lance basito.
TODAY YOUR BARISTA IS:
1. Hella fucking gay.
2. Desperately single.
FOR YOUR DRINK TODAY I RECOMMAND:
You give me your number.
« Cosa?! Ma chi...?! Keith, no. Te lo giuro. Non c'entro niente, non lo sapevo nemmeno. Dev'essere stato uno scherzo stupido dei miei colleghi. Sai, quel meme che girava in rete tempo fa... »
Nonostante tutte quelle affrettate giustificazioni, Keith non lo guardava nemmeno. Continuava a tenere lo sguardo basso e a stringere i pugni.
« Non ha importanza. » ringhiò.
Lance si sentì sprofondare.
« Per favore, ascoltami... »
« Sei al lavoro e il tuo cliente ti sta aspettando. » fu la risposta, data in tono asciutto mentre un dito si puntava, accusatore, sul suo petto. « Io non faccio scenate in pubblico, baby. »
Detto questo, Keith gli voltò le spalle e si allontanò sul marciapiede.
Colpito e affondato, si disse Lance mestamente, mentre rientrava nel locale dove Jack ancora lo guardava con espressione perplessa.

Keith camminava a passo spedito, la mascella contratta e i pugni affondati nelle tasche.
Non era assolutamente vero che ci era rimasto male, era solo arrabbiato, furioso per essere caduto in quella stupida trappola per l’ennesima volta. Date le passate esperienze, avrebbe dovuto sapere che un rapporto stretto che lo coinvolgeva non poteva durare. Due settimane erano già state tante, davvero aveva creduto che Lance volesse impegnarsi con lui? Lance, così esuberante e che amava tanto divertirsi, con un piantagrane della sua risma? Fantascienza.
Eppure ci aveva sperato, si era illuso e inevitabilmente era rimasto fregato.
Come ogni volta che, all’orfanotrofio, una coppia lo scartava perché troppo problematico per i loro progetti. O come l’unica altra sua esperienza sentimentale, attratta solo dalla dicitura “top pilote”.
Era ovvio che nessuno lo volesse. Chi poteva volere uno così?
Furibondo, sferrò un calcio a un cestino della spazzatura, terrorizzando i passanti.
Che lo guardassero pure male, non aveva la minima importanza.

« È stato tutto uno scherzo di Jenny e Suzanne. Volevano prendermi in giro perché accumulavo due di picche dalle ragazze, quindi hanno pensato che trovarmi un ragazzo fosse una soluzione geniale!»
Lance crollò con la testa sul tavolo. Si trovavano nella cucina dell’appartamento e Hunk aveva appena preparato due fragranti tazze di tè per conciliare lo studio.
La sera prima gli era stato quasi impossibile portare a termine il turno senza piantare in asso tutto e tornare a casa. Il ragazzo che l’aveva avvicinato, si era scusato per l’equivoco e la lavagna era stata cancellata, ma questo non aveva migliorato il suo umore. Senza contare che la scritta rosso brillante, luminosa e intermittente dietro al bancone, aveva finito per fargli venire mal di testa. Quando finalmente era rientrato, speranzoso di poter chiarire, Keith era rimasto chiuso in camera sua, rifiutandosi di parlargli nonostante lo avesse pregato per almeno un’ora. Quella mattina, poi, era uscito presto, evitando tutti: una situazione fin troppo familiare per Lance.
« Keith è arrabbiatissimo, non vuole nemmeno parlarmi, non so come fare. » si lamentò. « Sarebbe assurdo se mi lasciasse per una sciocchezza del genere. »
Hunk gli posò davanti una tazza fumante e si sedette di fronte a lui.
« Keith non ha un grande senso dell’umorismo, » commentò. « però ti conosce. Per quanto possa essersi arrabbiato, sa benissimo che non sei il tipo da tradire qualcuno. Di solito sei tu quello che viene cornificato. »
Lance fece una smorfia e sorseggiò il proprio tè.
« Se c’è una cosa che ho imparato di Keith in questi anni di convivenza, è che essere lasciato indietro lo spaventa. Chissà cos’ha passato in quell’orfanotrofio. So che è perfettamente in grado di badare a sé stesso, ma non voglio che si senta ancora in quel modo per colpa mia. »
« Sono certo che, quando si sarà calmato, capirà che è stato solo un grande equivoco. Lo sanno anche i sassi che lo adori, vedrai che se ne renderà conto anche lui. »
« Sarà, ma vorrei fare qualcosa. »
Invece avrebbe dovuto passare di nuovo il pomeriggio all’Interstellar, con le persone che gli avevano giocato quel brutto tiro e quell'insopportabile scritta al neon che...
« Hunk! » esclamò, colpito da un'idea improvvisa. « Hunk, amico, fratello! »
« Non mi piace quando fai così, significa guai. » brontolò l'altro, scrutandolo diffidente da dietro la tazza.
« Ma no, ma no. Per te che sei un ingegnere geniale sarà un gioco da ragazzi. Aiuterai il tuo vecchio amico Lance, vero? Non lo lascerai nei guai con un gattino arrabbiato? »
« Più che un gattino, Keith sembra una tigre, ma immagino che, se non lo facessi, non mi daresti tregua, quindi sentiamo. Qual è il piano? »

Keith non aveva nessuna voglia di andare di nuovo all’Interstellar, anzi, per essere precisi, non aveva voglia di andare da nessuna parte.
Lance gli aveva mandato un messaggio pregandolo di raggiungerlo al locale poco prima della chiusura, specificando che era importante, e questo non aveva fatto che accrescere il suo malumore. Già si vedeva scaricato in favore di qualche belloccio di passaggio. Dopotutto, se era vero che i suoi colleghi gli giocavano scherzi come quello della lavagna, significava che lo consideravano single e i motivi per cui Lance non aveva parlato di lui ora gli apparivano piuttosto scontati. Poteva essere che se ne vergognasse, oppure, in alternativa, che considerasse la loro storia talmente poco importante da non essere degna di nota.
Al solo pensiero, Keith sentiva un dolore pungente al petto e un senso di sconfitta farsi strada dentro di sé: non si era impegnato abbastanza, anche questa volta non aveva avuto i requisiti necessari. Forse l’unico modo per evitare di farsi lasciare era essere lui stesso il primo ad allontanarsi. Si sentiva male al pensiero e il risultato finale non sarebbe cambiato, ma almeno l’orgoglio sarebbe rimasto in piedi.
Questo era quello che aveva deciso, mentre spingeva la porta a vetri per entrare nel locale.
L'interno era in penombra, illuminato soltanto da alcune lampade sparse per la sala e dall'intermittenza rossastra del neon dietro al bancone, tanto intensa da ferire gli occhi. Era tardi ed erano rimasti pochi avventori.
Keith si appoggiò al banco: se Lance intendeva dargli il benservito, almeno aveva scelto un momento e un luogo discreto.
Dal momento che l'insegna si spense del tutto, però, iniziò a sospettare che qualcosa non andasse. Un cortocircuito? Un blackout?
Quando si sentì posare una mano sulla spalla, sussultò lievemente prima di riconoscerne il tocco. Sentì le dita scivolare lungo il braccio e intrecciarsi con le sue.
« Ehi. » mormorò Lance, gentilmente.
Al suono della sua voce, Keith sentì tutta la rabbia accumulata e i propositi fatti finora, spargersi come foglie al vento: non sapeva dove avrebbe trovato la forza di metterli in atto.
« Ehi... » fece eco, abbozzando un sorriso.
Lance lo condusse fino al tavolo più vicino, dove lo invitò ad accomodarsi e si sedette a sua volta.
« Grazie per essere venuto. » iniziò. « Lo so che sei arrabbiato e voglio scusarmi con te come si deve. »
Keith lo vide prendere un respiro e fare una pausa, come per riordinare le idee.
« Se siamo in questa situazione è solo colpa mia, avrei dovuto mettere le cose in chiaro fin da subito. »
Quella scelta di parole mise immediatamente Keith sulla difensiva, facendolo irrigidire istintivamente. Lance se ne accorse da come tentò di sottrarre la mano dalle sue.
« Sh-sh-sh, no. » lo anticipò. « Quello che intendo, è che è stata davvero colpa mia, non è un modo per rigirare la faccenda e colpirti alle spalle. Te lo assicuro, stai tranquillo. »
« Ma io sono tranquillo. » mentì spudoratamente Keith, lasciandolo continuare.
« Quello che volevo dire è che avrei dovuto parlare chiaro con i miei colleghi, dirgli che ero impegnato, così da evitare che organizzassero scherzi stupidi. Non l'ho fatto per via di uno stupido scrupolo, temevo non volessi che si sapesse. »
Gli accarezzò il dorso della mano con il pollice, sempre tenendo strette le sue dita.
« Cosa ancora più importante, voglio che tu sappia che non farei mai, mai, una cosa del genere alle tue spalle. »
Lance sottolineò il concetto con un gesto deciso.
Keith si azzardò ad alzare gli occhi per incrociare i suoi e si stupì nello scoprire un'espressione così risoluta.
« Non posso sapere come andranno le cose tra di noi in futuro, ma so che non voglio prenderti in giro. Non ho idea di quante volte qualcun altro possa averti detto una cosa del genere, ma, Keith, sono serio, lo sono davvero e spero che tu possa credermi. »
Un respiro profondo servì a Keith per mantenere un minimo di controllo: forse non era stato scartato un'altra volta. Forse, solo forse, questa volta poteva azzardarsi a sperare che le cose finissero meglio, che qualcuno lo volesse davvero.
« So che le parole servono a poco, quindi... »
Lance si alzò in piedi, sempre tenendolo per mano e inducendolo a fare altrettanto.
« Jenny! Suzanne! » chiamò.
Un paio di teste sbucarono dal retro del locale.
« Non ho bisogno che mi troviate nessun ragazzo, perché ho già il migliore che potessi desiderare. Si chiama Keith e mi piace tantissimo. »
In quel momento la scritta al neon dietro al bancone tornò a illuminarsi, anche se solo parzialmente. Keith la fissò, stranito, per poi arrossire quando lesse le parole che le sole lettere illuminate formavano.
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Il suo sguardo tornò su Lance, che gli sorrideva dolcemente.
« Mi perdoni? »
Keith sentì la propria espressione ammorbidirsi prima che potesse anche solo pensare di impedirlo. Gli circondò la vita con le braccia, tirandolo vicino.
« Non hai bisogno di essere così plateale. » mormorò a un soffio dalle sue labbra, prima di unirle alle proprie.
« Scusami di nuovo. » rispose Lance, in tono sollevato, quando si separarono. « Se davvero non ti va, non lo farò più. Seguiremo i tuoi tempi, non voglio farti sentire a disagio. »
Keith lo fissò, piegando leggermente la testa di lato e sentendo il petto riempirsi di un nuovo calore.
« E io che volevo smettere di minacciarti se facevi lo sdolcinato in caffetteria. » tentò di scherzare, per stemperare il senso di commozione che quelle parole gli avevano dato.
Lance si chinò appena in avanti per baciarlo a sua volta, ma un'esclamazione burbera li strappò da quel piccolo idillio.
« McClain! » sbottò Gyrgan, minaccioso, apparendo dal retro e trascinando con sé un rassegnato Hunk. « Non ti pago per pomiciare e manomettere le mie le insegne! Torna al lavoro o potrai scordarti i baci di quel bel ragazzo per le prossime otto ore! Doppio turno, scansafatiche! »
Nessuno, ovviamente, gli fece notare che il locale avrebbe chiuso di lì a un'ora e che quella minaccia non sarebbe stata attendibile nemmeno volendo.
Keith si limitò a sorridere dell'espressione fintamente sconvolta di Lance e a pensare che, dopotutto, quell'insegna non era affatto male.
 

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