Titolo: Di notte
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: verde
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Francis Bonnefoy (Francia), citati: Antonio (Spagna), Elizaveta (Ungheria), Gilbert (Prussia), Bella (Belgio), Alfred (America), Matthew (Canada)
Riassunto: E' il giorno del Ringraziamento e Arthur, lontano dagli amici, si sente solo e tenta di accorciare le distanze con una telefonata.
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
La canzone
"I will always love you" è di Whitney Houston.
Note: Shonen ai
Questo è un altro frammento dell'"Hetalia F.R.I.E.N.D.S project" che stiamo lentamente portando avanti. La colonna sonora del capitolo, oltre alla canzone già citata, nonchè ispirazione generale per l'atmosfera è
"Di notte" di Pierdavide Carone.
Come sempre, se ci sono errori in francese la colpa è tutta mia. XD E... ho scritto una FrUk... sparatemi!
Beta:
ginkokite Arthur iniziò a sentirsi stupido nel momento stesso in cui mise mano alla cornetta; era un gesto irrazionale e non da lui, eppure sentiva l’assoluta necessità di sentire quella voce.
Per tutto il giorno era riuscito, grazie al lavoro, a non pensare al modo in cui se ne era andato, ma una volta tornato in albergo era diventato un chiodo fisso.
Era il giorno del Ringraziamento e lui si trovava ad un oceano di distanza da quelli che aveva iniziato a considerare amici. Il suo capo era stato irremovibile, festa o no c’era bisogno di lui a Londra, quindi era dovuto partire e non avrebbe mai pensato di sentirsi in colpa per non aver avvertito quella banda di matti.
Erano entrati nella sua vita nel momento peggiore possibile, quando invece di vedere gente avrebbe desiderato seppellirsi sotto le coperte per sempre, e lo avevano aiutato, incredibile a dirsi, a superarlo. Non immaginava certo di arrivare a provare qualcosa di simile all’affetto per l’ungherese lanciatrice di tazzine (*), il tedesco narcisista, lo spagnolo canterino, il piccolo italiano scorbutico, la graziosa belga e poi per lui, quella stupida rana francese che non gli dava un attimo di tregua. Se era partito quasi in segreto era stato anche per sfuggire a quella situazione che iniziava a diventare scomoda, una sorta di fuga, in pratica.
Eppure ora non ne era per nulla soddisfatto.
Arthur Kirkland, da sempre abituato a starsene per conto proprio e a fare affidamento solo su sé stesso, quella notte, in quella buia stanza d’albergo, si sentiva solo.
Mettendo da parte ogni remora, calcolò velocemente il fuso orario e decise che, dopotutto, non avrebbe disturbato il sonno di nessuno, di certo erano tutti riuniti a fare baldoria.
Compose il numero dell’appartamento di New York e pregò che non rispondessero Antonio o Gilbert, o sarebbe morto per l’imbarazzo.
«Allô? »
Arthur sospirò di sollievo riconoscendo la voce dal forte accento francese, ma subito dopo s’irrigidì in preda all’ansia: preoccupato della stupidità della cosa, aveva finito per non prepararsi nulla da dire.
«Arthùr? Sei tu? » chiese Francis dall’altra parte dell’oceano.
Come facesse a riconoscerlo restava sempre un mistero.
«Ehm… yes. »
«Ti ho cercato diverse volte in questi giorni, ma non hai mai risposto né a casa né al cellulare. Mi sono preoccupato: dove sei? »
«A Londra. » rispose Arthur sentendo nuovamente il senso di colpa mordergli lo stomaco.
«A Londra?! » gli fece eco Francis, sovrastando con il tono di voce la musica che avvertiva in sottofondo.
«Già. Lavoro. »
Così non andava.
Non era rispondendo a monosillabi che quella telefonata lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio.
«State festeggiando? » si sforzò quindi di chiedere, tentando di apparire il più disinvolto possibile.
La festa precedente a cui aveva partecipato era finita in tragedia ed era stata la causa, diretta o indiretta, ancora non lo aveva stabilito, della sua successiva depressione, ma nonostante questo avrebbe voluto essere là.
«Proprio così! » rispose Francis allegramente. «Antoine mi ha aiutato a preparare un tacchino enorme! Sai, dobbiamo celebrare anche un’ottima notizia: finalmente Elize ha ricevuto una proposta ufficiale di fidanzamento. È tutto il giorno che lei e Belle sfogliano riviste di abiti da sposa! Anche se…»
La sua voce si abbassò notevolmente mentre continuava.
«… Temo che Gilbèrt non l’abbia presa molto bene. Si è scolato non so quante birre e adesso sta facendo la lap dance attorno alla lampada del soggiorno…»
Arthur tentò di immaginare la scena ma, invece di scoppiare a ridere all’idea del bel modello albino in quello stato pietoso, si ritrovò a comprenderlo fin troppo bene: essere abbandonati poteva essere straziante, lui stesso aveva dato fondo alla bottiglia di whisky.
«Oh, Arthùr, c’è anche un’altra novità! » continuò Francis con il tono eccitato di una comare pettegola che ha appena scoperto una nuova tresca. «Abbiamo beccato Belle, la nostra Belle, con…»
Lo sentì annaspare alla ricerca di un termine adeguato.
«… L’inquilino del piano di sotto. » concluse.
Arthur aggrottò le sopracciglia, perplesso.
Al piano di sotto rispetto all’appartamento dei ragazzi abitavano…
«Intendi Alfred? » chiese mentre uno strano gelo scendeva dentro di lui.
Bella era così graziosa, bionda e con quegli occhioni verdi…
«Mais non, mais non! » sentì esclamare Francis con fin troppa foga. «Parlo de le petit Mathieu! »
Probabilmente si era reso conto di aver fatto un passo falso ricordandogli il suo ex.
Arthur non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi per la nascita di quella bizzarra coppia, che una voce fin troppo nota risuonò nella cornetta.
«Amministratoooore! Dai, molla quel telefono e vieni a ballare! »
Istantaneamente provò l’impulso di scaraventare il telefono il più lontano possibile ed anche Francis tentennò senza sapere cosa rispondere e a chi.
«È lì da te? » riuscì finalmente a dire l’inglese, senza che la sua voce tremasse troppo. «Alfred è lì da te? »
In quel momento si sentì ancora più idiota di prima: per un capriccio da ragazzino che aveva paura del buio, aveva fatto una chiamata intercontinentale, che gli sarebbe costata un patrimonio, solo per scoprire che i suoi presunti amici e il suo assillante corteggiatore, stavano festeggiando nientemeno che in compagnia del suo ex; lo stesso ragazzo che poco tempo prima, troppo poco tempo prima, lo aveva lasciato, in lacrime e decisamente sotto shock, in ginocchio su un pianerottolo gelido dopo avergli detto che non aveva bisogno di lui.
E lui era lì, in quella stupida stanza d’albergo, mentre sulla sua amata Londra scendeva l’ennesimo diluvio, e riusciva a sentire solo freddo.
E voglia di piangere.
Idiot.
Idiot.
Damned idiot!
«Arthùr… S’il te plaît, non fare così. »
Il tono accorato di Francis lo riscosse.
«Se fai quella faccia finirò per saltare sul primo aereo e venire lì. Non posso sopportare di sapere che stai male e non poterti stare vicino. »
«Sto bene. » rispose Arthur a voce fin troppo bassa per essere credibile.
«Menteur. Scommetto che in questo momento stai stringendo l’orlo del gilet che porti al punto che ti trema la mano. Non hai bisogno di mentire con me, lo sai. »
Il giovane abbassò lo sguardo sulle dita strette attorno alla stoffa tanto da sbiancare le nocche. Come faceva?
Come faceva Francis a sapere esattamente come si sentiva?
A cercare sempre, con pazienza, le parole giuste che avrebbero placato la sua ansia?
«Dimmi, Arthùr, perché hai chiamato a quest’ora? »
La domanda spiazzò leggermente l’inglese.
«Perché… Beh, oggi sono stato troppo occupato e non vi avevo ancora fatto gli auguri di buon Ringraziamento. » buttò lì quasi a caso.
«Mmm, certo. Qui sono le dieci di sera ma lì da te, se non erro, sono circa le tre di notte: chiami sempre a queste ore insolite per dei semplici auguri? »
La voce di Francis si era fatta sottile e maliziosa e Arthur si trovò ad arrossire involontariamente, rifiutandosi di rispondere.
Non gli avrebbe mai e poi mai detto che aveva bisogno di sentire la sua voce, che per la prima volta in vita sua non vedeva l’ora di lasciare Londra e che non riusciva a chiudere occhio per il senso di colpa e un altro sentimento pungente sulla cui origine si rifiutava di indagare.
«Sono felice che tu abbia chiamato. » continuò Francis, riempiendo quel silenzio inopportuno e troppo carico di parole non dette. «Sono felice che tu abbia chiamato proprio me, mentre eri triste. »
La sua voce aveva perso completamente la precedente malizia, facendosi dolce come una carezza e se chiudeva gli occhi, Arthur poteva quasi avvertire le sue dita che gli sfioravano la guancia.
Improvvisamente, dall’altro capo del filo, la musica martellante che aveva fatto da sottofondo all’intera conversazione, s’interruppe sollevando un coro di vive proteste e, sopra a tutte, quelle fin troppo vivaci di Gilbert.
«Silence! » esclamò Francis zittendo tutti. «Finitela di fare caos! »
Lo sentì trafficare con lo stereo e, un attimo dopo, nell’etere, si diffusero le note calde di una canzone che Arthur riconobbe all’istante, sebbene stentasse a crederci.
If I
Should stay
I would only be in your way
So I'll go
But I know
I'll think of you every step of
the way.
Oh, era impossibile.Solo l’ennesima sdolcinatezza di quella stupida rana francese che non faceva altro che...
And I...
Will always
Love you, oohh
Will always
Love you
You
My darling you.
Un brivido gli corse lungo la schiena e Arthur si trovò, quasi senza rendersene conto, a strofinarsi gli occhi da cui stava per sfuggire una lacrima birichina.«Revien vite á la maison. » gli sussurrò all’orecchio la voce di Francis, scaldandogli il cuore con tanta dolcezza che si trovò a rispondere : «Prendo il primo aereo del mattino. »
Tanto non avrebbe chiuso occhio comunque.
Nota:
(*) Al loro primo incontro Arthur ha rischiato di essere colpito da una tazzina che Eliza stava lanciando contro Gilbert. XD