Titolo: Davanti alle buone occasioni, agisci!
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: giallo
Personaggi: Antonio Fernandez Carriedo (Spagna), Francis Bonnefoy (Francia), Gilbert Weillschmidt (Prussia), Ivan Braginski (Russia), Natalia (Bielorussia), Elizaveta (Ungheria)
Pairings: Francia/Spagna
Riassunto: "«Si tratta di qualcosa di semplice, in fondo. Dovrebbe solo venire ad una festa con me domani sera e fingere di essere il mio fidanzato.»
Antonio sgranò gli occhi e lo fissò senza parole: non solo perché era la prima volta che qualcuno gli faceva una proposta diversa dal rotolarsi tra le lenzuola ma anche, e soprattutto, perché quell’idea gli sembrava completamente folle."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Il titolo viene da un biglietto dei Baci Perugina. XD
WARNING! Argomento prostituzione trattato con molta leggerezza. Chi fosse infatidito dalla cosa, non legga.
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La luce filtrava in lunghe lame polverose attraverso le tapparelle abbassate e nella stanza in penombra si avvertiva ancora il calore confortevole della notte appena trascorsa. Le lenzuola sfatte la dicevano lunga su come quelle ore fossero state impiegate, ma il letto era occupato da una sola persona, placidamente avvolta nella quiete del sonno. La sveglia aveva suonato, probabilmente un paio di volte, ed il risultato era che ora giaceva di traverso sul pavimento, totalmente ignorata.
La quiete tuttavia non durò ancora a lungo, brutalmente interrotta da una porta sbattuta e da una voce che di pacato non aveva nulla.
«Sorgi e brilla, Antonio! Come puoi rimanere qui rintanato e privare il mondo delle tue grazie? »
Una testa bruna e arruffata emerse dalle coperte, sbadigliando sonoramente.
«Gilbert…» mugugnò con voce impastata. «Perché urli di prima mattina? »
Il giovane sulla porta si piantò le mani sui fianchi, con un sorrisone smagliante.
«Perché non è prima mattina, è quasi mezzogiorno e io devo uscire per un appuntamento. Nella mia magnificenza ti ho addirittura abbuonato il turno di preparare la colazione! »
Antonio tornò ad affondare la testa nel cuscino.
«Sono stato impegnato, stanotte, te ne sarai accorto. » mormorò stancamente.
Il suo coinquilino, nonché migliore amico, trasformò il sorriso in una smorfia che della precedente solarità aveva ben poco.
«Ho sentito eccome! Per colpa vostra ho faticato a prendere sonno. E se mi fossero venute le occhiaie? Come avrei giustificato il mio magnifico viso deturpato? Ci campo su questa faccia! »
«Anch’io ci campo…»
«No, Tonio, tu campi su ben altro! E adesso alzati, io sto uscendo e se arrivano dei clienti qualcuno li deve accogliere! »
Brontolando, il moro allontanò le coperte. Ultimamente Gilbert era diventato ancora meno tollerante e, da quando Antonio aveva iniziato a ricevere i clienti a casa, era anche peggio. Il tedesco era un tipo particolarmente geloso della propria privacy e mal sopportava certi atteggiamenti troppo libertini dello spagnolo. Non che lui fosse uno stinco di santo, tutt’altro, ma non mancava mai di fargli notare quanto disapprovasse il suo “lavoro”.
Antonio e Gilbert si conoscevano da anni, ormai, si erano incontrati in un locale quando lo spagnolo era ancora uno studente ed erano andati subito d’accordo. Opposti nei colori, albino dalla pelle lattea e dai capelli argentei uno, caldamente mediterraneo e dall’abbronzatura dorata l’altro, avevano però in comune il carattere allegramente confusionario. Era stato Gilbert ad indirizzarlo su quella strada “lavorativa”, ma ben presto aveva capito che ad Antonio mancava qualcosa: poteva essere la pazienza del corteggiamento senza ottenere nulla in cambio (se non un adeguato pagamento), oppure l’eleganza e la raffinatezza dei modi, o ancora, come sosteneva Gilbert, la magnificenza. Ma del resto nessuno era magnifico quanto lui, quindi faceva poco testo.
«Hai poco da tirartela, Gil. » brontolava spesso Antonio. «Alla fine facciamo lo stesso lavoro. »
«Non è affatto vero! » s’inalberava ogni volta il tedesco. «Io sono un gigolò raffinato e d’alta classe, tu sei… Diciamo le cose come stanno, Tonio, tu sei una puttanella. »
E a quel punto, regolarmente, Antonio si zittiva immusonito: non era colpa sua e doveva pur campare in qualche modo.
«Io escooo!!! »
La voce secca di Gilbert lo riportò alla realtà e lo spagnolo sospirò: come minimo l’amico avrebbe accompagnato qualche ricca signora a fare shopping per tutto il giorno e avrebbe incassato una cifra almeno pari a quella spesa dalla tizia in questione. Lui invece non aveva nessun “ingaggio” per quella sera e sarebbe dovuto andare a caccia in qualche locale se voleva avere abbastanza soldi per pagare l’affitto. Era stato un mese piuttosto magro.
Salutato l’amico, era fermo davanti ai fornelli incerto se prepararsi un caffè o direttamente il pranzo, quando squillò il campanello. Abbandonata la caffettiera, si diresse verso la porta senza preoccuparsi di indossare altro che i boxer con la stampa a pomodori infilati, al volo appena sceso dal letto. Tanto, se si fosse trattato di un cliente di Gilbert, poco gli sarebbe importato di lui, se invece fosse stato uno dei suoi, lo avrebbe di certo preferito in quella mise. In entrambi i casi non aveva nessuna voglia di andare a vestirsi.
«Buongiorno. » strascicò con un mezzo sbadiglio, prima ancora di accertarsi di chi fosse esattamente sulla porta.
Non appena alzò gli occhi si pentì all’istante di quella sciatteria: davanti a lui si trovava l’uomo più affascinante che avesse mai visto. Doveva avere circa la sua età, forse solo un paio d’anni in più, vestiva un elegante completo e portava i capelli biondi lunghi fino alle spalle, legati con studiata negligenza. Quello che tuttavia colpì Antonio sopra ogni cosa furono gli occhi di un azzurro cristallino, i più belli che avesse mai visto, e che ora lo scrutavano con una discreta perplessità. Solo dopo un istante Antonio si rese conto che l’apparizione in questione gli stava parlando.
«Eh? Cosa? » esclamò imbarazzato, consapevole di non aver ascoltato una parola.
«Ho detto che mi chiamo Francis Bonnefoy. È questa la casa di Gilbert Weillschmidt? »
«Ah… ehm… sì. Solo che in questo momento è fuori. »
Come prevedeva si trattava di un cliente di Gilbert, era impossibile che un tipo così raffinato chiedesse di lui. Tuttavia, a dispetto delle sue ipotesi, il tipo in questione sorrise.
«Non cercavo Weillschmidt, so che tratta solo con le donne. Ero invece interessato ad un appuntamento con il suo socio. »
Antonio spalancò gli occhi: stava forse alludendo a lui? Se questo era quello che sperava, forse non avrebbe dovuto andare a caccia quella sera.
«Certo! » esclamò istintivamente. «Io… sono io il suo socio. Si accomodi mentre, ehm… mi vesto. Posso offrirle un caffè? Un succo di pomodoro? »
Mentre schizzava in camera a recuperare una camicia e un paio di pantaloni, vide il suo ospite ridacchiare sotto i baffi. Antonio non era abituato a parlare con i clienti, quella era la specialità di Gilbert, di solito da lui volevano ben altro. A meno che anche quel Bonnefoy non fosse venuto per lo stesso motivo.
Affacciandosi alla porta della camera, lo scrutò mentre si accomodava in attesa al tavolo della cucina.
«O forse non le interessa che io sia vestito? » azzardò.
A quella domanda il francese scoppiò in una risata sinceramente divertita.
«Oh, sì, la prego, si vesta! Non riuscirei mai a parlare di affari con lei in quella mise. »
Antonio ghignò in risposta al neanche troppo velato apprezzamento e si affrettò a rendersi presentabile. Pochi minuti dopo erano seduti entrambi al tavolo della cucina davanti a due tazze di caffè.
«Ho avuto il suo nome da un’amica che è stata cliente del suo socio. » esordì Bonnefoy. «Sono qui per proporle un lavoro un po’ diverso dal solito. In ogni caso le posso assicurare che sarà ben ricompensato. »
L’idea sorrise decisamente allo spagnolo, non era male un po’ di originalità ogni tanto, se poi era ben pagata e in compagnia di un bel ragazzo, ancora meglio!
«Si tratta di qualcosa di semplice, in fondo. Dovrebbe solo venire ad una festa con me domani sera e fingere di essere il mio fidanzato.»
Antonio sgranò gli occhi e lo fissò senza parole: non solo perché era la prima volta che qualcuno gli faceva una proposta diversa dal rotolarsi tra le lenzuola ma anche, e soprattutto, perché quell’idea gli sembrava completamente folle.
«F-fidanzato? Ma che…? » sillabò incredulo.
«Lasci che le spieghi. » continuò Francis. «Deve sapere che ormai da tempo sono perseguitato da un tipo che tenta in tutti i modi di accasarmi con sua sorella. Ho provato sia a lasciare intendere che non era il caso, sia a rifiutare esplicitamente, ma non ho ottenuto risultati. Quello è testardo come un mulo. »
Antonio sorseggiò il caffè e sorrise.
«Quindi vuole sconvolgerlo fingendo di essere gay, in modo da levarselo di torno? Un po’ drastico ma potrebbe funzionare. »
Francis agitò un dito sotto il suo naso.
«Fingere, che brutta cosa. Preferisco non farlo se non è strettamente necessario. In ogni caso l’accordo non prevedrebbe nessun “approfondimento di conoscenza” oltre la serata, se capisce cosa intendo. Le chiedo solo di essere affettuoso con me di fronte a qui due. Che ne dice, ci sta? »
L’idea poteva essere interessante, inoltre gli avrebbe occupato una sola sera. Il giorno della riscossione dell’affitto si avvicinava e Antonio non poteva permettersi di essere schizzinoso.
«D’accordo, ma dovrà versarmi la metà del pagamento in anticipo. »
In questo modo, a lavoro concluso, se quel bellimbusto non avesse voluto pagare sostenendo che la prestazione non era stata di suo gradimento, almeno non sarebbe rimasto con un pugno di mosche.
Al contrario di quanto si aspettava, Francis non batté ciglio ed estrasse il libretto degli assegni. Antonio lo vide vergare più zeri di quanti avesse mai sognato e per un attimo rimase imbambolato mentre gli metteva in mano quel pezzo di carta esclamando tutto giulivo: «E ora che siamo ufficialmente fidanzati, smettiamola di darci del lei. Forza, parlami di te, ho bisogno di conoscerti!»
In realtà della vita di Antonio c’era poco da dire e ancora meno di cui essere fieri, quindi il giovane la riassunse in poche parole: ultimo di quattro fratelli, non si era mai considerato particolarmente brillante, non al punto da rendere orgogliosi i genitori. Aveva mollato l’università in Spagna per tentare la fortuna con un programma di scambio culturale con l’America, ma anche quel progetto non era andato a buon fine, così si era trovato, al termine del periodo, senza il becco di un quattrino e senza la possibilità di tornare a casa. Era stato i quei giorni che aveva incontrato Gilbert e il resto era storia.
Antonio versò l’ennesima tazza di caffè a Francis e il suo nuovo cliente sorrise.
«Hai avuto una vita avventurosa, quindi. »
«Beh, avventurosa è una parola grossa. Diciamo che ho passato i miei guai e ho dovuto imparare a risolverli. Più o meno. »
«Di certo lo è stata più di quella di un figlio di papà come il sottoscritto. » commentò il suo interlocutore con un sorriso. «Di me non c’è molto da dire, o comunque non molto che possa tornarti utile nel nostro accordo. Mi occupo del ramo alimentare dell’azienda di famiglia, nello specifico gestisco un paio di ristoranti, anche se il mio sogno, se così si può dire, sarebbe lavorare nel campo come chef. Se qualcuno ce lo chiede, potremmo tranquillamente dire che ci siamo incontrati ad una cena. »
Antonio annuì, nonostante non avesse mai messo piede in un ristorante di lusso e di conseguenza non aveva la più pallida idea di come funzionassero.
«Ovviamente, mio caro, ti prego di mantenere il massimo riserbo sulla tua attuale professione. » continuò Francis. «Non perché mi preoccupino cose sciocche come la reputazione o l’opinione della gente, ma molto più semplicemente perché, se si sapesse, l’intera sceneggiata andrebbe a monte. »
In effetti come preoccupazione aveva più che senso e Antonio non si pose problemi ad accettare. Ora restava solo un piccolo inconveniente da risolvere e lo spagnolo si trovò costretto ad ammettere di non avere nulla di adatto da indossare per la serata. Era Gilbert, in fondo, quello che frequentava i “quartieri alti” e di certo non avevano la stessa taglia.
«Pas de problème. » rispose allegramente il suo cliente. «Prima di venire mi sono permesso di fare qualche ricerca su di te e mi sono procurato un abito che ti starà d’incanto! »
«Ricerche su di me? Per comprarmi un vestito ancora prima di sapere se avrei accettato? È folle! » si scandalizzò Antonio.
«Oh, affatto! Intendevo usarlo come arma di convinzione nel caso l’assegno e questo bel faccino non fossero stati sufficienti. »
Lo spagnolo scoppiò a ridere divertito: con un personaggio del genere non si sarebbe di certo annoiato nemmeno se si fosse trattato della più soporifera delle serate mondane.
Quella sera, al suo rientro, Gilbert sembrava stranamente di cattivo umore e a malapena salutò il coinquilino, sprofondando subito nel divano con una bottiglia di birra. Antonio gli andò incontro con espressione preoccupata, chiedendosi cosa avesse causato l’incupimento del solitamente scanzonato amico.
«Ti è andata buca all’appuntamento? Oppure la principessina di turno non ti ha pagato? » chiese accomodandosi distrattamente sul bracciolo.
Gilbert sbuffò, tracannando un lungo sorso di birra e guardando male la bottiglia già a metà.
«Nessuno si rifiuta di pagare il Magnifico! » esclamò in tono quasi oltraggiato, prima di aggiungere più sommessamente: «Però questo è stato l’ultimo incontro, ho perso una cliente. »
Antonio gli lanciò un’occhiata stranita ma non commentò: non era da Gilbert prendersela tanto per una cliente persa quando ne poteva trovare di nuove in qualunque momento. Doveva esserci sotto qualcosa. Infatti la risposta giunse dopo qualche minuto e altri abbondanti sorsi di birra.
«Si sposa. » sputò, come se la parola stessa lo disgustasse. «Quindi mi ha dato il benservito. »
Sempre più anomalo: non era mai successo che Gilbert ammettesse di essere stato scaricato, di solito rigirava la frittata dicendo di essere stato lui, nella sua grande magnanimità, a lasciare libera la ragazza. Doveva essere successo qualcosa, ma chiederlo in quel momento, quando l’amico era in quello stato, sarebbe stato poco saggio.
«Piuttosto, cosa mi dici di te? » chiese infatti Gilbert cambiando discorso. «Hai trovato un ingaggio decente? Non ho intenzione di anticiparti di nuovo l’affitto. »
Mai domanda poteva essere più pertinente visto che Antonio non stava più nella pelle dalla voglia di raccontare cos’era successo quella mattina.
«Oh, sì, e credo che potrei pagare tranquillamente l’affitto per tre mesi per entrambi con quello che mi ha sganciato sull’unghia. » rispose con un sorrisone a trentadue denti.
Gilbert lo guardò storto.
«I casi sono due: o è un benefattore, o è un disperato. »
Antonio non lesinò una smorfia e una linguaccia all’indirizzo dell’amico, prima di spiegare nel dettaglio la situazione, e alla fine del racconto Gilbert annuì con aria saputa.
«Francis Bonnefoy, sì, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Forse un po’ disperato lo è. In ogni caso non prenderci gusto, Tonio, lui non ha bisogno di gente come noi. »
Lo spagnolo non si stupì nemmeno che il coinquilino conoscesse il suo nuovo cliente, dopotutto era stato informato dallo steso Francis delle loro “amicizie” in comune, ma lo colpì l’amarezza delle parole.
«Oh, immagino che quelli come lui avranno la fila fuori dalla porta! » rispose sforzandosi di mantenere un tono il più possibile scanzonato. «Comunque dubito che basti un appuntamento, oltretutto casto, per farmi abituare a certi lussi. Sono uno spirito libero, io! »
La serata successiva giunse fin troppo presto e Antonio si rese conto, con sgomento, di essere in ansia.
L’abito che avrebbe indossato era stato recapitato quel pomeriggio e persino un ipercritico come Gilbert era stato costretto ad ammettere che si trattava di uno smoking di ottima fattura ed estremamente elegante. Inoltre gli stava talmente a pennello da sembrare cucito su di lui, Antonio quasi provava soggezione per il suo stesso riflesso. Già sapeva che avrebbe passato il tempo preoccupandosi di non sporcarsi e muovendosi rigido e impacciato come un palo.
«Sembri una fanciulla al suo primo appuntamento con il principe azzurro. » lo prese in giro il tedesco quando lo vide sobbalzare allo squillo del campanello.
«Oh, sta’ zitto! » lo rimbeccò Antonio, affrettandosi ad aprire.
Francis Bonnefoy gli sorrise dal pianerottolo, incredibilmente più affascinante di quanto fosse apparso il giorno prima, nel suo completo scuro impeccabile. Il blu notte gli donava molto e metteva in risalto la sfumatura più chiara dei suoi occhi, ulteriormente valorizzati dai capelli biondi raccolti indietro in una morbida coda. L’effetto generale che dava era quello di un gentiluomo d’altri tempi.
«Buonasera, cher. » esordì. «Sei splendido. »
Il tono galante riuscì a far arrossire anche un “professionista” navigato come Antonio e lo spagnolo decise di uscire in tutta fretta per evitare le battutine di Gilbert, da cui comunque sapeva che non ci sarebbe stato scampo più tardi.
Come da programma, ad attenderli in strada vi era nientemeno che una limousine e questo iniziò a mandare seriamente in crisi l’autostima del povero spagnolo.
«Senti, » iniziò una volta che furono a bordo, in corsa verso chissà quale fantasmagorico salone delle feste da castello fiabesco. «so che hai già pagato l’anticipo e tutto quanto, ma… Beh, inizio a dubitare di essere la persona giusta per tutto questo. Se insistessi un po’ sono sicuro che Gil farebbe uno strappo alla sua regola, lui di certo ti farebbe fare una figura migliore. »
A dispetto di quanto si aspettava, Francis ridacchiò.
«Cosa ti fa credere che m’importi della figura? Tu sei perfetto proprio perché non sei la persona giusta. »
Antonio rimase parecchio perplesso da quella risposta criptica, che gli tolse la possibilità di ribattere e stranamente lo zittì per buona parte del tragitto. Almeno fin quando l’auto non si fermò davanti ad uno dei locali più lussuosi della città. Non era un castello, certo, ma si trattava comunque del discopub frequentato dalla gente più “in” del luogo.
«Pronto a buttarti nella mischia? » chiese Francis, e ad Antonio non restò altro che alzare le spalle e annuire.
Dopodiché fu tutto un immenso girotondo di colori brillanti, musica assordante, strette di mano con persone sconosciute e bicchieri offerti da camerieri biancovestiti che apparivano all’improvviso come fantasmi. L’intero locale sembrava risplendere dal pavimento al soffitto, come se le pareti fossero interamente ricoperte d’oro e d’argento, dando sfoggio di uno sfarzo senza pari. Chiaramente si trattava di un effetto ottico dovuto in parte alle luci, ma Antonio non poteva fare a meno di restare comunque a bocca aperta: probabilmente non avrebbe più rimesso piede in un posto del genere quindi era bene che s’imprimesse tutto nella memoria.
Francis, che nel frattempo lo aveva lasciato per salutare una bellezza bruna fasciata in un abito da sirena, tornò verso di lui con due coppe di quello che sembrava champagne e gliene porse una.
«La nostra presenza è richiesta nel privè, cher. » disse tentando di sovrastare la musica e cingendogli morbidamente la vita con un braccio. «Ci siamo. »
Antonio stava per ribattere quando la ragazza di poco prima si affiancò a loro.
«E così tu sei il socio di Gilbert! » esclamò. «Da come parlava di te ero proprio curiosa di conoscerti! »
«Lei è Elizaveta, la persona che mi ha parlato di te. » la presentò Francis. «Eliza, lui è Antonio.»
Dunque quella era la famosa conoscenza in comune tra il suo cliente e il suo coinquilino che lo aveva condotto in quella situazione paradossale.
«Ah, beh, molto piacere. » la salutò stringendole la mano con ostentata disinvoltura. «Da quanto sei clien… volevo dire, amica di Gil? »
La ragazza sorrise ma i suoi occhi sembrarono velarsi di tristezza.
«Amica da tanto, ci conosciamo da quando eravamo piccoli, cliente solo da quando non c’è più stato altro modo per incontrarlo. Ora però metterò definitivamente una pietra sopra tutto questo, mi sposo il mese prossimo. Digli pure che non lo disturberò più. »
Antonio era ingenuo, ma questa volta non impiegò più di un istante a collegare quello che aveva detto la fanciulla con il cattivo umore dell’amico: si trovava di fronte nientemeno che ad un amore d’infanzia, per quanto gli risultasse ostico mettere in relazione il concetto di amore con quello di “Gilbert il Magnifico”. Ora che aveva capito tutto, non poteva certo ignorare la cosa e ne avrebbe reso partecipe anche Francis, se la loro conversazione non fosse stata interrotta da un uomo che li accolse nel privè.
Il sorriso gentile con cui li salutò tutti stonava un poco con la sua corporatura imponete e Antonio si trovò a chiedersi se non avesse caldo con addosso quella lunga sciarpa dall’aria pesante. Alle sue spalle, su uno dei divanetti cremisi che ornavano la stanza, era seduta mollemente una delle più belle ragazze che lo spagnolo avesse mai visto: la seta blu dell’abito che ne fasciava le forme perfette metteva in risalto il candore della pelle e la sericità dei capelli che le ricadevano sulle spalle, talmente chiari da apparire argentei nella penombra del locale. Tuttavia l’espressione imbronciata irrigidiva i suoi lineamenti delicati.
«Ivan, qual buon vento? È un piacere vederti! » esclamò Francis andando incontro all’uomo dallo spiccato accento russo, ostentando una cordialità che di sincero aveva ben poco.
Quello aspettò il commiato di Elizaveta e la chiusura della porta, che fece piombare la stanza nel silenzio delle pareti insonorizzate, prima di rispondere.
«Vento di accordi, Bonnefoy. E anche per me è un vero piacere vederti, da, non immagini quanto! »
L’espressione di Francis si fece più testa, nonostante il giovane ostentasse ancora un atteggiamento rilassato. Antonio intanto si guardava attorno studiando la situazione: l’aria che tirava, tanto per stare in tema di venti, non gli piaceva per niente e quando il francese lo afferrò per la vita, stringendolo a sé, si preparò al peggio.
«Permettimi di presentarti il mio compagno, Antonio Fernandez Carriedo. »
Il russo si avvicinò, mantenendo quell’inquietante sorriso gentile.
«Oh, un compagno. Molto lieto. »
«Ehm… encantado. » rispose Antonio titubante, stringendogli la mano.
Non era esattamente rassicurante essere squadrati da quegli occhi violetti e ancora meno da quelli glaciali della ragazza sul divanetto. Se non fosse stato più che certo delle sue preferenze, quella giovane dall’aspetto di una modella sarebbe di certo rientrata nella rosa delle sue possibili prede, a dispetto del possibile pericolo corso pascolando su terreni altrui, ma tutta quella situazione era troppo inquietante anche solo per pensare a un’ipotesi del genere.
Tornando ad ignorarlo, il russo si rivolse di nuovo a Francis.
«Bonnefoy, di certo ricordi mia sorella Natalia. » disse accennando alla bionda mozzafiato. «Sarebbe decisamente scortese nei suoi confronti venire meno al nostro accordo, non credi? »
«Trovo che sarebbe decisamente più scortese imporle un legame che non desidera, oltretutto con un uomo già impegnato. » rispose Francis.
«Oh, come se non sapessi che ogni tuo impegno non è nient’altro che una farsa. La facilità con cui ti porti a letto il primo che passa ha dell’incredibile, ma questo è un accordo serio: mia sorella in cambio dei tuoi amati ristoranti. »
Antonio capiva davvero poco di tutti quei discorsi e di cosa c’entrassero i ristoranti, l’unica cosa che gli era chiara era che Francis era appena stato insultato e la cosa lo infastidiva incredibilmente.
«Mi permetta di dire la mia, visto che qui viene messa in dubbio la serietà del mio compagno e, di conseguenza, anche quella del sottoscritto. Se è una dimostrazione che vuole, sarò ben lieto di fornirgliela. »
Non diede tempo a Francis d’intervenire, non riteneva che fosse necessario, semplicemente Antonio allacciò le braccia attorno al collo del francese e lo coinvolse in un bacio passionale che sembrava voler fare onore alle sue calde origini mediterranee. Se la prese con tutta calma, in modo che tutti potessero osservare per bene e che lui stesso potesse godersi il momento: come supponeva Francis era un ottimo baciatore e, dopo i primi istanti di sbigottimento, aveva risposto con entusiasmo al suo “assalto”. Si rivelò un’esperienza talmente piacevole che Antonio scordò completamente il sovrapprezzo che quella prestazione straordinaria avrebbe previsto.
Ivan commentò il tutto con uno sbuffo e liquidò lo spettacolo con un gesto della mano, mentre lo spagnolo si scioglieva dalla stretta delle braccia che aveva scoperto cingergli dolcemente la vita.
«Tutto questo ha assai poco significato e non dimostra nulla. Ora onora la tua promessa, Bonnefoy, o preparati a dire addio ai tuoi amati ristoranti. » tornò a minacciarlo.
Antonio stava perdendo la pazienza, tutto ciò era assolutamente senza senso, a maggior ragione perché lo stesso Francis sembrava non sapere più che pesci pigliare davanti a tanta insistenza.
«Onestamente, non capisco il motivo di tanta ostinazione! » sbottò.
Inaspettatamente, la bellezza bionda si alzò dal divanetto con movenze aggraziate e prese la parola.
«Perché se non mi trova marito, sarà lui che obbligherò a sposarmi. » disse in tono gelido. «Com’è giusto che sia. »
Un silenzio sbigottito calò nella stanza.
Ivan fu il primo a riprendersi, anche se appariva stranamente impallidito.
«Ancora con questa storia, Natalia. Ti ho già spiegato che non è possibile. »
Tuttavia le sue parole sembrarono cadere nel vuoto e l’espressione della ragazza rimase neutra.
«Così come non è possibile il nostro accordo, Braginski. » intervenne Francis. «Dovresti saper riconoscere un no quando te lo trovi davanti. »
Sulle labbra di Ivan si dipinse il consueto sorriso.
«Quello che mi trovo davanti in questo momento è una sgualdrinella che se va in giro ad irretire ragazzini per portarseli a letto piuttosto che…»
Non poté mai finire la frase. La mano di Antonio era scattata in automatico per gettargli addosso lo champagne dal bicchiere che ancora reggeva. Neanche il tempo di rendersi conto di cosa avesse appena fatto che un sibilo accanto al suo orecchio e un tonfo sordo alle sue spalle lo fecero sobbalzare. La mano di Francis gli strinse il braccio come a volerlo mettere in guardia e, voltandosi lentamente, Antonio scoprì un coltello conficcato in uno dei pannelli che insonorizzava la parete. A lanciarlo era stata nientemeno che l’aspirante sposina. Entrambi la guardarono con tanto d’occhi, imitati anche da Ivan, ma quella restituì lo sguardo con espressione tempestosa estraendo un altro coltello da chissà dove.
«Come osate mancare di rispetto a mio fratello?! » ringhiò, provocando la quasi istantanea ritirata del francese e dello spagnolo.
«Stando così le cose, temo che il nostro accordo sia appena definitivamente saltato. » disse Francis afferrando Antonio per un braccio e trascinandolo verso l’uscita. «Au revoir, Braginski! »
Un secondo coltello si conficcò nella porta alle loro spalle e i due si affrettarono a riguadagnare la sala piena di gente.
«Ehi, che succede? » esclamò Elizaveta raggiungendoli e scrutando con stupore le loro espressioni stravolte.
«Diciamo che abbiamo avuto un amichevole scambio di opinioni. » rispose Francis. «Troppe emozioni per una sola serata, per oggi torniamo a casa, chèrie. »
Si chinò a baciarla delicatamente su una guancia proprio mentre la porta del privè sbatteva con violenza. Antonio non si fermò a chiedersene il motivo, strinse la mano di Francis, in una strana imitazione del gesto di poco prima, e corse con lui fuori dal locale.
Avrebbe voluto passare più tempo con Elizaveta, chiederle del suo matrimonio, fare qualcosa per aiutare Gilbert, ma gli sarebbe risultato difficile sotto la minaccia dei coltelli di una russa invasata. Per il momento era costretto a rimandare.
Raggiunsero il parcheggio di corsa, ma ci sarebbe voluto troppo tempo per recuperare la limousine, quindi decisero di allontanarsi a piedi, certi che questo avrebbe disorientato eventuali inseguitori.
Corsero fino a farsi mancare il fiato, con Francis che continuava a tenere stretta la sua mano, e si fermarono solo quando raggiunsero un parchetto appartato, lontano dalla zona dei locali.
Antonio si chinò in avanti, poggiando la mano libera su un ginocchio e respirando faticosamente, il fiato che usciva in piccole nuvolette bianche. Accanto a lui anche Francis ansimava pesantemente, guardandosi attorno.
«Sembra che li abbiamo seminati. » constatò.
«Ammesso che ci stessero davvero inseguendo. » aggiunse Antonio.
I due si guardarono per un attimo negli occhi e scoppiarono a ridere all’unisono, passandosi poi un braccio attorno alle spalle, vicendevolmente, e dirigendosi verso una panchina dove si lasciarono cadere. Dopo aver ripreso fiato, fu lo spagnolo a parlare per primo.
«Ma chi era quella gente? Faceva parte della mafia russa? Per quanti clienti abbia avuto, è la prima volta che qualcuno mi lancia dei coltelli…»
«È una storia lunga. Diciamo che mio padre si è indebitato con la loro società e, per qualche astruso motivo, invece di restituire i soldi ha promesso loro suo figlio. Ovviamente senza consultarmi. »
Francis gli lanciò un’occhiata di sottecchi e continuò: «T’immagini? La sposina era talmente ben disposta che, se avessi accettato, probabilmente sarei finito affettato in parti sconvenienti durante la prima notte di nozze. »
«Parti che sarebbe stato un peccato perdere prima di averle sperimentate almeno una volta. » aggiunse Antonio malizioso.
Di nuovo i loro sguardi s’incrociarono e di nuovo la risata nacque spontanea prima che la strana chimica che li aveva accompagnati per tutta la sera sfociasse finalmente in qualcosa di concreto e i due si trovassero coinvolti in un secondo bacio appassionato. Questa volta non era stato Antonio a prendere l’iniziativa, vittima di qualche assurdo colpo di testa, no. Si erano avvicinati contemporaneamente finché la risata di uno si era smorzata sulle labbra dell’altro. Non si trattò di un’esibizione, ma di un piacevole gustarsi reciproco, uno scherzoso gioco del gatto col topo, che ben presto si risolse in un contatto ben più passionale. Antonio lasciò che le sue mani affondassero tra i capelli di Francis, sciogliendo il nastro che li legava e accarezzandone le ciocche dorate. Allo stesso tempo sentì la stretta delle braccia del francese attorno alla propria vita, in un gesto possessivo che di fittizio non aveva proprio niente. Quando si staccarono avevano entrambi gli occhi luminosi e il fiato nuovamente corto.
«Lascia tutto questo! » esclamò improvvisamente Francis, spiazzandolo.
«Cosa? »
«Il tuo… lavoro! Questa vita precaria! Vieni con me! »
Antonio non credeva alle proprie orecchie: da quando era entrato in quell’ambiente era la prima volta che un cliente lo riteneva tanto di valore da chiedergli di scappare con lui, ammesso che di “scappare” si trattasse. Anzi, in tutta sincerità, quasi aveva dimenticato che Francis fosse “un cliente”.
«E dove dovrei venire? » chiese, tentato di buttare tutto sullo scherzo, ma frenato dalla serietà che vedeva negli occhi dell’altro.
«È molto probabile che dopo stasera la mia carriera di direttore di ristoranti sia finita, Braginski non perdona. Proprio per questo vorrei cogliere l’opportunità e mettermi in proprio, senza parenti ingombranti alle spalle. Potrei finalmente fare lo chef e tu potresti lavorare con me. Sarebbe un’occupazione onesta e più sicura di… questa. »
Di certo se fosse stato un aiuto-cuoco o un cameriere difficilmente qualcuno gli avrebbe lanciato contro dei coltelli, avrebbe avuto uno stipendio sicuro e non avrebbe più dovuto fare i salti mortali, letteralmente, per pagare l’affitto. Inoltre Francis gli piaceva parecchio, non c’era paragone con certi tipi improponibili che si era dovuto portare in camera costretto dalla necessità.
«Ovviamente non ti sto chiedendo di essere il mio amante, solo il mio socio. » precisò Francis, probabilmente preoccupato da quel silenzio prolungato.
Antonio lo fissò e sorrise.
«Sai che ti dico? Questa vita avventurosa comincia a stancarmi, credo sia ora di trovare un’occupazione più stabile. » disse, gioendo nel vedere lo sguardo azzurro del francese illuminarsi. «Senza contare che me la cavo piuttosto bene in cucina e farlo solo per Gilbert è un vero spreco. »
Nominare l’amico gli riportò alla mente il suo proposito.
«Potremmo coinvolgere anche lui, magari vedendolo mettere la testa a posto Elizaveta cambierà idea. »
La mano di Francis andò a coprire la sua, come se avesse già capito tutto.
«Eliza non ha nessun bisogno di cambiare idea, ne ha sempre avuta una sola molto chiara in mente, ha solo bisogno di una spintarella. Ne hanno bisogno entrambi. »
«E probabilmente non sono gli unici. » concluse Antonio, e trasformò la carezza di Francis in una decisa stretta di mano. «Dice il saggio: “Davanti alle buone occasioni, agisci.”, e a me questa sembra un’ottima occasione. Inoltre…»
Allentò un po’ la stretta e intrecciò le loro dita.
«… Se voglio essere il tuo amante o no lascialo decidere a me. Andiamo, sarà il mio ultimo lavoro e ti farò un prezzo speciale: solo un bacio. »
Francis sorrise e gli strizzò l’occhio mentre s’incamminavano insieme verso l’uscita del parco.