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Feb 12, 2006 05:07

Una volta raggiunto il fondo, puoi solo risalire. Così dicono. Ma c'è chi inizia a scavare, spasmodicamente, con foga animale, ampliando la propria fossa, oltrepassando il fondo.

Scavano con le nude mani, armate di autocommiserazione e resa. Scheggiandosi le unghie, strappandole, ferendosi. Una discesa inarrestabile e inesorabile, perseguita con una totale vocazione al fallimento, maniacale dedizione all'abisso.

Continuano a raschiare, finché le unghie non saltano, finché la carne si lacera e consuma, finché non rimangono che le ossa insanguinate.

Ed è a quel punto che, con occhi doloranti dal troppo buio, occhi che ormai hanno dimenticato il sapore della luce, ci si guarda intorno.

Una scala. È sempre stata lì, dietro di noi, una possibilità di risalire. Le voltavamo le spalle. Una scala difficile da ascendere, con muscoli atrofizzati e scheletriche dita mutilate.
Se solo l'avessimo vista prima.

C'era un uomo in fondo a quel crepaccio, si cullava nel suo scavo e nel sangue delle proprie ferite.

A un passo dal perdere le mani, qualcuno lo ha fermato. Lo ha costretto con la forza a voltarsi, scaraventandolo contro quella scala. A risalirla, coi denti, strisciando, scivolando. Ma ormai convinto a non abbandonarla.

Sull'orlo del baratro, emergendo dalla scala, ha fatto una promessa.

Ha giurato a quella Voce che quando fosse stata lei, ad echeggiare dal fondo del pozzo, le avrebbe lanciato la stessa scala. È quello che fa ogni giorno, da quattro anni.
E' risalito.

Il mio nome è Mark.
Un tempo ero una Voce

Grazie, abitante del pozzo.
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