[Un segreto di boschi e di stelle] Di menti confuse e meritata pace.

Aug 21, 2012 13:53


Titolo: Di menti confuse e meritata pace.
Fandom: Libri - Un segreto di boschi e di stelle. 
Personaggi: Neil/John William
Genere: erotico, slice of life
Avvertimenti: one-shot, slash, probabilmente OOC
Rating: rosso
Parole: 1435 
Note: In questi giorni sto scrivendo su fandom che nessuno conosce e apprezza. *piange nel suo angolino* Ma questa fic la dovevo scrivere, perché ho iniziato a leggere il libro e a shippare un sacco i due protagonisti e una notte, mentre leggevo di loro che fumavano in questo studio, mi è venuta l'idea /o\ Tipo in quel momento mi sono messa a scrivere sul BB il pezzo che mi era venuto in mente, per poi ricopiarlo il giorno dopo e ricamare il resto intorno a quelle poche righe :3 
Comunque, questa fanfic si chiamerà per sempre "cosa" (o altrimenti "lammerda") perché so di essere andata almeno un po' in OOC e, omg, soffro un casino per aver rovinato questi bei personaggi D': 
Non la leggerà nessuno, lo so, ma comunque, buona lettura!

P.S.: Sono molto soddisfatta del mio titolo (per una volta #coff ) *O* <3

Rand era di nuovo fuori città e io ero ormai abituato a venire a casa di John William quando il padre non c'era. Avevo passato la maggior parte della mia adolescenza in quella casa e in compagnia di quel ragazzo così diverso da me, ma, allo stesso tempo, così simile da rendere la nostra amicizia qualcosa di speciale. Ricordavo bene quel giorno, come ricordavo perfettamente dopo anni il nostro primo incontro e l'indirizzo di casa sua. Lo ero andato a prendere a scuola e una volta arrivati, John William si apprestò, come sempre, a prendere gli alcolici che aveva in casa, le gallette e le olive, che suo padre conservava gelosamente, e portava tutto nello studio della madre, mentre io mi accomodavo sul tappeto di quello stesso studio, aspettando che mi raggiungesse. 
Non sapevo perché avessi quella dipendenza dalla droga, ma avevo un'idea del perché l'avesse lui. Lo conoscevo abbastanza per dire che la sua mente non era un posto facile in cui vivere, la sua vita, nonostante avesse tutto e potesse avere ogni cosa desiderasse, non era facile da vivere e lo aveva portato spesso a pensare alla libertà dalla vita. Lo vedevo spesso, sdraiato su quel tappeto costoso, con la pipa in bocca, intento a riflettere su cose che mi sfuggivano. 
All'improvviso mi avvicinai e, posandogli una mano del petto, gli rubai la pipa che stava fumando. Feci un tiro, prima di posare le labbra sulle sue, forzandole con la lingua e soffiando il fumo direttamente nella sua bocca. Non seppi perché lo feci in quel momento - non seppi perché feci tutto quello che feci quella sera -, forse per tirarlo fuori dai suoi pensieri, forse per dar un po' di meritata pace a quella mente confusa e sovreccitata. 
John William non si oppose a quel contatto così intimo e non mi respinse quando mi riappropriai delle sue labbra per coinvolgerlo in un altro bacio. Ero sicuro che dopo avrebbe avuto da criticare, ma, in quel momento, forse a causa della droga, si lasciò andare, trasportare dall'eccitazione che si stava velocemente impossessando di noi. Infilò le mai tra i miei capelli, a quel tempo lunghi, e li strinse tra le dita, mentre mordeva e leccava il mio labbro inferiore. 
Mi separai da lui solo per prendere fiato, un altro tiro dalla pipa e per posizionarmi tra le sue gambe. Gli passai la pipa, sapendo che anche lui non avrebbe rifiutato un altro po' di erba, e difatti fece ciò che pensavo, prima di gettare la pipa sul divano di pelle poco distante da noi. Fu lui quella volta a prendere l'iniziativa: mise una mano dietro la mia nuca, costringendomi ad abbassarmi su di lui e a sorreggermi su una mano, posata accanto al suo volto. Mi spinse contro le sue labbra, divorando le mie e coinvolgendomi ancora in quel gioco di lingue e di morsi che ci tolse il fiato. Ci separammo ancora e non gli diedi il tempo di baciarmi di nuovo, mi spostai più in basso, iniziando a leccare e a mordere il suo collo, facendolo gemere di sorpresa, mentre le mie mani erano corse a slacciare la sua camicia. Alternai i baci ai morsi, prendendomi il tempo di esplorare la sua pelle, trovare i punti più teneri che l'avrebbero fatto gemere più forte, e godendomi quei suoni che uscivano dalle sue di labbra senza che lui riuscisse a fare nulla per controllarli. Non sapevo bene ciò che facevo - come ho già detto e come ripeterò -, ma quello che facevo sembrava dargli piacere e sentivo contro il mio ventre la sua erezione, come lui sentiva la mia sul suo inguine. 
Una volta slacciata la camicia, gliela sfilai, facendo alzare John William dalla sua posizione supina, e la lanciai sul divano, accanto alla pipa d'acqua; la mia la seguì velocemente e entrambi rimanemmo a petto nudo, intenti a esaminarci per un attimo, prima di baciarci ancora, le sue mani che scorrevano sulla mia schiena, stringendole poi attorno al mio collo . Mi separai, rimanendo però a respirare affannosamente sulle sue labbra, appena i miei polmoni mi avvertirono della mancanza d'ossigeno, per poi allontanarmi dalla sua bocca e scendere con la mia sul suo petto, ricominciando quel cammino, iniziato poco prima. Le sue mani non lasciavano i miei capelli, stringendoli e accarezzandoli, mentre le mie sfioravano il suo addome e definivano ogni muscolo. 
Gli baciai la clavicola, scendendo poi a baciare e leccare quella pelle morbida, fino ad arrivare a un capezzolo. Ci passai la punta della lingua sopra e mordicchiai quel bottoncino di carne, fino a quando non divenne turgido, poi ci soffiai sopra. Un gemito ne seguì, mentre mi spostavo sull'altro per dargli altro piacere. In fondo, tutto era iniziato come un tentativo di dar piacere a John William e potevo anche continuare a ignorare la mia erezione pulsante e per niente soddisfatta, se venivo ripagato da quei gemiti e ansiti lussuriosi. 
Scesi sempre più in basso, delineando con la lingua i muscoli testi che prima avevo accarezzato con le dita e andando ancora più giù, fermandomi a mordere la pelle subito sopra l'orlo del pantaloni, leccandola e soffiandoci sopra, ancora e ancora, fino a quando non sentii gemere il mio nome e le mani, che erano rimaste sempre appoggiate sulla mia testa, mi spinsero impazienti contro il suo membro ancora costretto nei vestiti. 
Non sapevo quello che facevo - non avevo neanche immaginato di arrivare fino a questo punto, quando l'avevo baciato - mentre sbottonavo i pantaloni di John William, abbassandoglieli fino alle ginocchia, agevolato dal sollevamento dei suoi fianchi, probabilmente in preda al piacere e all'effetto dell'erba, che era la giustificazione che in quel momento ripetevamo nella nostra mente annebbiata. La mia bocca era pericolosamente vicina al suo inguine e alla sua erezione che si vedeva chiaramente attraversi le mutande che indossava. Gli leccai la pelle sotto l'ombelico, prima di afferrare con i denti il bordo della sua biancheria e, aiutandomi con le mani, abbassargli anche quella. Mi ritrovai a pochi centimetri dal suo membro e, a causa dell'eccitazione che anch'io provavo, respiravo pesantemente e a bocca aperta sulla sula carne calda e pulsante, in attesa di attenzione. Lo osservai, mentre lo faceva aspettare: si era puntellato sui gomiti per vedere ciò che facevo, ma adesso gli occhi erano socchiusi, il respiro corto e la testa leggermente reclinata all'indietro, incapace di trattenere i sospiri. 
Sorrisi maliziosamente e quasi orgoglioso del fatto che fosse in quello stato a causa mia. Chiamò il mio nome di nuovo e mi decisi a soddisfare i suoi bisogni: passai la lingua sulla punta del suo sesso, prendendola poi tra le labbra e succhiando quella parte che sapevo particolarmente sensibile, che, sapevo, l'avrebbe fatto urlare. Continuai a suggere, mentre lui si lasciava andare contro il tappetto, non avendo più la forza di reggersi sulle braccia. Urlò quando presi completamente in bocca la sua erezione, cercò di afferrare la stoffa del tappetto, sentendo il bisogno di stringere qualcosa e quando quel bisogno divenne più e più forte, mentre la mia bocca scorreva sul suo membro, strinse ancora un volta i miei capelli, tirandoli ogni volta che il mio tocco lo faceva gemere più forte. Mentre continuavo a dargli piacere e a leccare la sua erezione, con una mano slacciai anche i miei pantaloni che stavano opprimendo fin troppo la mia di erezione, ormai così dura da far male. Presi a muovere la mano su di essa alla stessa velocità che le mani di John William imponevano alla mia bocca, spingendo sulla mia testa.
Mi bastarono pochi movimenti, per venire copiosamente nella mia mano, mentre lui, con un gemito particolarmente alto e prolungato che non riuscì a trattenere, veniva nella mia bocca. Avrei potuto scansarmi, o almeno spuntare il suo seme dopo l'amplesso, ma non lo feci. Lui, intanto, si era di nuovo rialzato e fissava il mio sorriso emozionato e malizioso con un cipiglio che conoscevo bene: stava per iniziare un monologo su quanto tutto quello fosse stato, bello, ma sbagliato e da non rifare mai più, inserendo citazioni e riflessioni profonde e probabilmente senza senso che, in quel momento, non avevo voglia di sentire. 
Quindi per prevenire il fiume di parole che mi avrebbe sommerso e fatto affogare, mi avvicinai in fretta a lui, senza preoccuparmi di risistemare i miei pantaloni, o dare una forma lontanamente composta ai miei capelli, e lo baciai a lungo. 
Quando ci separammo sussurrai un “non dire niente”, poi mi recai in bagno, rinunciando a godermi lo spettacolo che mi si parava davanti: un John William che faceva, almeno per una volta, quello che gli si diceva.

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