Limousine cap. 1

Apr 12, 2011 14:14


Prima di tutto: BUON COMPLEANNO GLORIA-SAN (anche se lei non può leggerlo :P dato che non ha LJ!)
Poi!! Come promesso a fairy_of_lust posto questa fic con la sua coppia prederita!!
Purtroppo tutta non entrava (grrrr) così ho dovuto farla in due parti... bene, più SUSPANCE, no?

Ero molto indecisa sul fatto di postarla o meno... vi prego siate clementi! ^//^

Titolo: Limousine
Capitolo: 1 (su 2)
Autore: Eos_92
Gruppo: KAT-TUN, Jin Akanishi
Coppie: Akanishi/Tanaka
Genere: AU, agnst, ­longfic
Rating: pg-17 (per le tematiche affrontate)
Avvertimenti: yaoi
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono.Ringraziamenti: Crichan, perché l'ha letta pezzo dopo pezzo; Gioasan, perché l'ha letta in anteprima e mi ha dato il "via libera" per postarla, fairy_of_lust, perché è gentilissima!



l’aurora dita di rosa>

[Omero]

Ho sognato una macchina.

È notte.

Il parcheggio è immenso, buio, delle fioche lucine lontane.

E una voce ansante mi trapassa i timpani e il petto.

È la mia voce.

Non posso più sfuggirgli.

Trovo la mia auto, una lunga auto scura, ma ormai è tutto del colore della notte.

Le chiavi? Dove ho messo le chiavi?

Devo sbrigarmi o mi raggiungerà.

Non posso sfuggirgli.

Esco dalla macchina, mi dirigo lentamente verso il konbini.

Dov’è?

Alle mie spalle.

Urlo.

Ho un pezzo di vetro nelle mani.

Lo uccido.

Con uno scatto si mette seduto e si guarda intorno impaurito. Si stringe nelle spalle. Non è poi così fredda la notte.  Se alza lo sguardo al cielo, lo trova nero, proprio come nel sogno.

Si strofina le braccia con forza… che fine ha fatto la sua coperta? Si guarda un po’ intorno, i lampioni della strada riescono a illuminare un poco. Quando si era addormentato, non c’era nessuno lì accanto a lui, ora ce ne sono altri tre, come lui.

“Ne… Taguchi… ridammi la mia coperta…” dice a bassa voce strattonando il ragazzo per un braccio. L’altro mugugna qualcosa e socchiude gli occhi.

Riesce a vederli: le iridi scure e profonde illuminate dalla soffusa luce della notte metropolitana.

Le macchine, i taxi, sfrecciano, con una lentezza esasperante, lontano da quel vicolo buio.

“Taguchi… ho freddo” e gli si accoccola vicino riuscendo a prendere un po’ della coperta.

“Tanaka…?”

“Mh?”

“Sei riuscito a mangiare qualcosa… oggi?”

“No”

Rumori indistinti di vita. Una vita lontana dalla quale lui ne è ormai privo. Catapultato a forza in un’altra vita… una vita sporca… ma pura… lontana da quella violenza.

“Allora…” e gli passa un braccio intorno alle spalle, “…sarà per questo che senti freddo”

Se lo tira vicino, lui appoggia la testa sul suo petto: il respiro di Taguchi è tranquillo… regolare. Già dorme.

Chiude gli occhi, ignora il dolore allo stomaco per la fame, spera che l’incubo non lo tormenti più.

Il sole di Tokyo pare lo accechi. Seduto, con i polpastrelli pigia sugli occhi, sbadiglia. Taguchi se n’è andato, ma la coperta è rimasta su di lui.

Ombre indistinte gli passano come un flash davanti al viso, si rannicchia con le ginocchia al petto… lo abbandonerà quell’assillante figura? Quelle due mani protese verso di lui?

“Tieni”, la sua voce lo tranquillizza, alza la testa, il sole lo acceca.

Taguchi ha i capelli neri, lunghi fino alle spalle e sono di una consistenza strana. Quanto tempo è che non si specchiava? Anni?

Prende dalla sua mano grande la lattina di succo al limone.

“Dove l’hai presa?”

Taguchi si siede accanto a lui, “Al distributore automatico… qualcuno l’aveva lasciata lì”

“Mh” e ne beve un po’, poi fa una smorfia.

“Aspetta… sei digiuno dall’altro ieri sera… ti fa male”, e gliela strappa dalle mani, “Vedo se trovo qualcosa nella borsa di quel tipo”

Dietro di loro un signore dorme, cercando di non fare rumore, Taguchi gattona verso di lui e fruga nella sua borsa, trova il resto di un panino, lo prende e lo porge all’altro.

Tanaka lo guarda interdetto ma in un lampo lo divora.

“Ora bevo la limonata”

Taguchi lo guarda e sorride. Taguchi sorride sempre.

“Quanto tempo è che abitiamo qui?” gli chiede Tanaka fissandolo in viso.

“Mh… quattro anni?”

“Mi sembra ieri… ma come abbiamo fatto a sopravvivere?”

Taguchi alza le spalle, “Penso… con un tacito accordo tra tutti noi… rubare il cibo avanzato…” e indica il signore che dietro di loro sbadiglia e cerca nella borsa il resto del suo pasto.

“Scusaci” fa Taguchi chinando il capo, “ma il mio amico non aveva mangiato nulla per giorni… tieni, è una limonata”

L’uomo, assonnato, sorride e inizia a sorseggiare lentamente dalla lattina.

Finito di bere, sembra ringiovanito.

Torna a guardarlo.

“…scambiarci piccoli favori… siamo sconosciuti, è vero… ma… viviamo nello stesso mondo”

Tanaka annuisce, “Come sono i miei capelli?” chiede.

“Neri e lunghi”

“Anche i tuoi… mah… non vedo l’ora che piovi… almeno potrò lavarli”

“Vuoi già farla andar via questa primavera?”

“Perché è arrivata la primavera?”

“Così pare… non ne senti l’odore nell’aria?”

Prende ad annusare il venticello fresco che gli scompigliava appena i capelli: smog, fumo, sudore… tutto meno la primavera.

“I ciliegi sono in fiore”

Si volta a guardarlo, Taguchi sta fissando il cielo, bianco.

“Sono quattro anni che non vedo più i fiori di ciliegio”

Taguchi annuisce.

“Ne, Taguchi…”

“Mh?”

“La sai guidare la macchina?”

Scuote la testa… “Quando mi hanno sbattuto fuori di casa avevo sedici anni… però mi piacerebbe guidare”

“Abbiamo la stessa età?” chiede stupito.

Scoppiano a ridere… non ci si conosce mai fino in fondo.

Non sanno nemmeno che giorno sia quello in cui stanno vivendo.

“Neanche io so guidare…”, e inizia a guardare il cielo. Se c’è Taguchi con lui, l’inverno è meno freddo e l’estate meno soffocante. Ha nostalgia dell’oceano.

“Perché ti hanno cacciato di casa?” chiede senza riflettere.

“Ho messo incinta mia cugina”

Tanaka ingoia rumorosamente, “Scusa” sussurra.

Taguchi scuote la testa, “Figurati… ormai… quella è un’altra vita”

“E… non sai nulla di tuo figlio?”, la voce sottile, come a volersi rimangiare ogni singola parola.

“No… non l’ho mai visto”

Il signore dietro di lui si alza in piedi e grattandosi la testa si allontana. Da quanto tempo lui vive in quel vicolo? I pantaloni che indossa sono logori, la maglietta è troppo larga e sgualcita.

“E tu? Perché sei qui?”

In quattro anni non avevano mai parlato davvero. La notte a stringersi per ammortizzare il freddo, di giorno tuffati per le strade affollate di Tokyo per racimolare qualche spicciolo o qualcosa da mangiare. Sguardi silenziosi, pasti consumati a trattenere le lacrime.

“Per… un incubo” dice a voce bassa.

“Aah…” esclama Taguchi e stiracchia le braccia verso l’alto, “E… in questo incubo… c’entrano le auto?”

Lo guarda interrogativo, “Sei perspicace!” esclama, ma dentro qualcosa va in fumo… evapora il cuore, lo stomaco.

“Che cosa succede nel sogno?”

“Sono inseguito… in un parcheggio… per quanto io tenti di scappare, non ci riesco”

“E alla fine?”, Taguchi lo guarda preoccupato.

Un guizzo attraversa gli occhi neri di Koki che con un balzo lo atterra e si siede sulle sue ginocchia.

“Lui muore” dice serio e con le dita traccia una linea orizzontale sul petto ampio dell’altro.

Taguchi lo guarda e sorride con dolcezza.

“Sei dimagrito molto… dalla prima volta che ci siamo visti” costata.

“Sì, pure tu”

Si scosta dalle sue ginocchia e torna seduto accanto a lui. Fissa lo sguardo dritto di fronte a sé: alla fine di quel vicolo sporco, Tokyo pullulava di vita. Studentesse con le gonne appositamente accorciate, uomini d’affari con le cravatte accollate, ragazzi vestiti alla moda.

Non ha nulla con sé. Quei ragazzi possono avere la sua età. Non ricorda neanche quanti anni abbia.

“Taguchi…?”

“Mh”

“Quanti anni abbiamo?”

“Venti”

“Ah… allora quest’anno… avremmo potuto prendere la patente”.

Una discoteca.

Ormai è tardi… torno a casa prima, così ho detto.

Torno a casa prima, non ho voglia di rimanere a ballare, non ho voglia di bere, di fumare.

Ho fame.

Il parcheggio è tetro. Il cielo è basso.

La luna non c’è.

Qualcuno m’insegue.

Figure in nero?

Trovo la mia auto, trovo le chiavi, questa volta potrò sfuggirgli.

Non mi toccherà. Io non lo toccherò.

Accendo il motore.

Frizione, freno a mano.

E ora?

Un urlo in mezzo alla notte.

“Ehi! Ehi!”, Taguchi l’ha stretto in un abbraccio. Si attacca alla sua schiena, alla maglia, respira con affanno.

“Tanaka… tranquillo… era solo l’incubo”

“Ah… scusa… ti ho svegliato” balbetta.

“Non pensare a nulla… non parlare… respira”

Cerca di respirare. Il suo abbraccio è così caldo.

Mani che tolgono vestiti. I jeans calano, la maglia scompare. Quelle mani grosse impediscono ogni via di fuga, quelle mani che violano e toccano e bloccano.

“Taguchi!” urla e si allontana da lui.

“Che c’è?” chiede preoccupato, allunga un braccio e gli afferra il polso.

“Ho paura” ammette con un filo di voce.

“Ti abbraccio, se vuoi”

Un abbraccio che soffoca, quelle mani che non lo lasciano fuggire, quel dolore… quella penetrazione, quel buio improvviso e poi Tokyo. In una notte di luna piena.

“Sì… ho paura di soffocare”

Tornano sdraiati sull’asfalto gelido. È primavera ma la notte è fredda. Taguchi lo stringe a sé. I ricordi tornano… ma lui non vuole. Ricorda le sue mani sul proprio corpo. E cerca di concentrarsi solo sulle lente carezze di Taguchi. Ricorda la sua bocca che puzzava di fumo che gli impediva di far uscire la voce. E vuole vedere solo la bocca di Taguchi e le sue labbra morbide che gli hanno baciato la fronte. Ricorda il dolore… ricorda i gemiti, trattenuti, mozzati.

Se avesse saputo guidare la macchina… sarebbe scappato molto più lontano.

Papà.

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