Salve a tutti!!! Sono tornata!!! Mm... questa che posto è una delle ultime fic che ho scritto.. A dire il vero.. non ho molto da dire, scusate xD (Ho il cervello ridotto in poltiglia.. bah-- troppa matematica di domenica pomeriggio fa male, vero Cri-chan?? Grazie bella!!)
Ahh!!! Prima che mi dimentichi!!!! GRAZIE CRI PER IL NUOVO LAYOUT!!! HO RISCHIATO UN DISSANGUAMENTO NASALE QUANDO L'HO VISTO!!! ^//^
Bene! Buona lettura ^__-
Titolo: Just another dream [ATTENZIONE!! E' il seguito di LIMOUSINE (
Cap.1) - (Cap.2)]
Capitolo: one-shot
Autore: Eos_92
Gruppo: KAT-TUN, Jin Akanishi
Coppie: Akanishi/Tanaka
Genere: AU, agnst
Rating: pg-17 (per le tematiche affrontate)
Avvertimenti: yaoi
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono.Ringraziamenti: Crichan, perché l'ha letta pezzo dopo pezzo; Edogawa per la traduzione di Tipsy Love!
“Non riesco a credere a quello che ho appena visto
E che sono in questa situazione
[...]
Poi ho sentito il mio telefono vibrare e mi sono svegliato per vedere
Che tutto questo era solo un altro sogno”
[Jin Akanishi - Tipsy Love]
Akanishi passò le dita tra i suoi capelli bagnati. Una ciocca tra due dita, un taglio netto, e i capelli in più caddero a terra. I suoi capelli erano diventati soffici. Immancabilmente, ogni due mesi, si chiudevano in bagno, lui seduto sullo sgabello, Akanishi dietro di lui, forbici in mano e via... i capelli superflui venivano tagliati. Tagliare i capelli significava rinnovare la nuova vita che si era conquistato. Capelli lunghi non li avrebbe avuti mai più.
“Tanaka...”
“Mh?”
“Sei sicuro... di volerli tagliare ogni volta?”
“Sì... e poi... credo che potresti avere un futuro... come parrucchiere”
“Dici?”
“Dico”
Le gote di Akanishi si colorirono. Per quanto dividessero ormai lo stesso letto da alcuni mesi... per quanto il corpo dell’altro non era un mistero per lui, dalla prima volta che si era lavato davanti a lui, per quanto si fossero baciati, una sola volta, per quanto lo avesse abbracciato, a notti alterne, non riusciva a non arrossire, ogni volta che l’altro gli faceva un complimento.
“Era un complimento, vero?”
“Certo che lo era”
Akanishi sorrise. Si spostò di lato e gli aggiustò la frangia.
“Che ne dici se... lasciamo i capelli a destra un po’ più lunghi? Cambiamo un po’, ti va?”
Tanaka annuì leggermente, per non intralciare il suo lavoro.
“E poi...” riprese Akanishi, “ora vanno molto di moda, così”
“Beh... chi mi dovrebbe vedere?”
“Che domande!”, Akanishi si accucciò di fronte a lui, “Io ti vedo, no?”
Tanaka sorrise, alzando solo da un lato la bocca sottile e perfetta. Akanishi s’incantò di fronte a quelle labbra, poi spostò verso terra lo sguardo e si alzò in piedi di scatto.
“Devo sbrigarmi... altrimenti con questo caldo i tuoi capelli si asciugano. Sono troppo sottili”
Era piena estate: Akanishi era in vacanza dalla scuola superiore, Tanaka ormai si era trasferito in pianta stabile in casa dell’altro, aiutava le domestiche con qualche lavoro, niente di troppo faticoso. Il suo fisico denutrito e malaticcio non si era ancora ripreso del tutto.
La domanda sorgeva spontanea in Akanishi: come aveva fatto a sopravvivere per quattro anni in un vicolo? L’igiene, il cibo, l’acqua che mancava spesso. Si chiedeva come potesse essere l’altro quattro anni prima, quando ancora non si era posata su di lui l’ombra della strada ma... un’ombra più crudele e oscura gravava sull’altro, e ancora Akanishi non ne conosceva la provenienza.
Quell’ombra aveva abbandonato il corpo del proprio padrone e ora vagava senza meta intorno a Tanaka. O meglio, una meta l’aveva, ma non riusciva a conquistarsela fino in fondo. Il traguardo era l’anima del ragazzo. Il suo cuore che marciva.
Akanishi avrebbe voluto andare alla ricerca di quest’essere senza ombra, di questo padrone spietato. Tagliò l’ultima ciocca e passò le dita tra i suoi capelli.
“Sono proprio belli i tuoi capelli” mormorò.
“Ah...”
“Ehm... volevo dire”, subito tolse le mani e sistemò le forbici e il pettine nell’apposito astuccio della stoffa verde.
“No... grazie” disse Tanaka e si alzò, si avvicinò allo specchio e si scrutò a fondo.
Specchiarsi non lo terrorizzava più. Si passò le dita tra i capelli, Akanishi fissò le sue mani magre.
“Mi piacciono, grazie” disse serio.
Sorridere era comunque difficile, quando si specchiava e rivedeva, anche se più sfocata, l’immagine di lui e quell’uomo in quel bagno indistinto di una casa, che non aveva mai considerato veramente casa.
“Saresti bello con qualsiasi taglio” uscì dalla bocca carnosa di Akanishi, poi si morse il labbro inferiore.
Tanaka si voltò verso di lui, lo vide a testa bassa e il collo infossato nelle spalle.
In quei pochi mesi, Akanishi era cresciuto. Aveva da poco compiuto diciassette anni, e si avvicinava alla soglia della maturità fisica.
Tanaka era rimasto nella media, anche se era sicuro che sarebbe potuto crescere ancora qualche centimetro. Purtroppo... sarebbe rimasto così.
“Grazie” disse e si avvicinò. Si fermò di fronte a lui. Akanishi sollevò con lentezza la testa, incrociò i suoi occhi neri e poi fissò il muro bianco, candido di fronte a sé. La sensazione di qualcosa di umido su una guancia.
Tanaka lo aveva baciato dolcemente.
E’ inseguito. Lo sa, ne è certo.
La strada desolata, buio totale. Solo i fari, per lo più poco potenti, della sua auto.
Una stradina piccola... piccola... dove lo condurrà?
E’ inseguito. Eppure non ode alcun rumore. Non c’è nessuno dietro di lui. Nessuna macchina, nessuna voce.
Ma qualcuno c’è. Lo sa. E’ proprio dietro di lui, con il fiato sul suo collo.
Si volta di scatto, la macchina rischia di sbandare. Eppure non c’è nessuno!
Dannazione... la macchina torna dritta. C’è qualcosa in mezzo alla strada.
Frena di scatto. Un serpente enorme sta attraversando la strada.
Un serpente. Un lombrico gigantesco e ripugnate. Tutto nero.
Non può attraversare né rimanere bloccato.
E’ morto. Comunque.
Se attraversa la bestia nera lo stritolerà in una morsa letale.
Se resta fermo lui lo raggiungerà.
Urla.
“Ehi.. ehi... Tanaka... sta’ tranquillo!”, Akanishi lo scrollò con cautela per le spalle. La sua bocca era digrignata e si apriva solo per spasimi di dolore, come se lo stessero torturando. Gli occhi erano serrati, il sudore gli imperlava tutto il viso. Si dimenava, scalciava.
Akanishi prese possesso delle sue labbra. Senza riflettere. Le mani di Tanaka si strinsero intorno ai suoi avambracci. Il respiro tornò regolare.
Ricambiò il suo bacio. Sgranò gli occhi e si tranquillizzò alla vista sfocata della sua fronte candida. Poi richiuse gli occhi. Sentiva il sudore freddo colargli per tutto il viso fino al collo e dietro le orecchie, ma nella sua bocca, la lingua calda di Akanishi si muoveva tranquilla. Intrecciò la propria lingua alla sua e sospirò. Poi si allontanò.
Akanishi passò le dita tra i suoi capelli fradici, dischiuse la bocca per parlare, ma Tanaka lo precedette.
“Scusa... ti ho svegliato”
“No... stai bene, ora?”
Tanaka annuì e allacciò le braccia intorno al suo collo, “Abbracciami” mormorò.
Akanishi passò le braccia dietro al suo corpo e gli strinse la vita magra con forza, sdraiandosi meglio accanto a lui.
La morsa stretta di Akanishi non lo avrebbe soffocato. Come si era concluso il suo sogno? Smise di pensare.
Temeva di richiudere gli occhi. Fauci e denti aguzzi o mani che puzzavano di alcol?
La bocca di Akanishi stava risucchiando il sudore salato dalla sua pelle. Sotto l’orecchio, sulla spalla. Poi si spostò sul suo mento e appoggiò ancora una volta le labbra sulle sue.
“Posso?” sussurrò. La bocca che si muoveva a contatto con la sua.
Tanaka annuì.
Un altro bacio umido.
Il ricordo dell’incubo si faceva distorto e confusionario. Il serpente prima o dopo la strada buia? Le sue mani su di sé... quando era entrato in macchina? C’era sempre stato? Oppure era entrato in quel momento di debolezza? Il serpente era entrato dal finestrino o aveva continuato ignorandolo il suo tragitto di ritorno agli inferi? E lui... sarebbe disceso nel regno sotterra solo dopo averlo rapito e avvinghiato in un abbraccio mortale?
Il bacio non era ancora finito. Avrebbe voluto durasse per sempre. Un bacio senza fine. Per non dormire, per non vivere... perché quel ricordo, quell’ombra, non si poteva dimenticare. Anche se gli incubi si eclissavano in parti remote della sua psiche... quel ricordo no. Non sarebbe andato da nessuna parte.
Akanishi aprì di più la bocca per riprendere fiato.
Si sentiva prendere fuoco in tutti i punti del corpo. La notte afosa entrava dalla finestra e la luce della metropoli era soffusa, come se il caldo l’annebbiasse.
“Continua a baciarmi...” ansimò Tanaka, “Ho paura di dormire”.
Arrossì e gli occhi si riempirono di lacrime. Imbarazzo e tristezza.
“Tranquillo... ci sono io”
La bocca di Tanaka aveva il sapore amaro dell’incubo. Voleva risucchiare dentro di sé quella sensazione sgradevole per riversare in cambio un po’ di serenità.
Sperò che la sua presenza potesse in qualche modo rassicurarlo.
Tanaka annuì e strinse con più forza le braccia intorno al suo collo.
La luce del sole entrò con prepotenza nella stanza. La finestra era rimasta aperta per tutta la notte. Nessuna brezza mattutina, nemmeno il più insignificabile spiffero d’aria. Tanaka socchiuse gli occhi e si accorse di essere da solo su quel letto.
Erano le otto del mattino e Akanishi non c’era. Era lunedì. Ricordò, cercando di dare ordine ai vari pensieri, che Akanishi di lunedì aveva lezione di inglese presso la scuola superiore che frequentava, nonostante le vacanze estive.
Stirò le braccia verso l’alto, era tutto intorpidito... forse il serpente lo aveva stritolato davvero... poi ripensò alle braccia di Akanishi strette intorno alla propria vita e soffiò aria tranquillizzato.
Una cameriera bussò alla porta.
“Tanaka-san! La colazione!”
“Non ho fame” rispose controvoglia.
“Mi scusi...” la signora socchiuse appena la porta giusto quanto bastava per infilare la testa, “Bocchan mi ha ordinato di farla mangiare... appoggio il vassoio qui”, e sparì alla sua vista.
Tanaka guardò il vassoio e non poté non sorridere: Akanishi si preoccupava davvero troppo. Aveva vissuto per quattro anni in un vicolo sporco, poteva benissimo sopravvivere senza colazione. Ma i suoi piedi da soli si mossero, si sedette per terra e iniziò a mangiare con lentezza.
Quella cameriera... sulla cinquantina e sempre sorridente... era l’unica altra persona con cui parlasse, a parte Akanishi. Degli uomini che abitavano nella casa aveva paura. E quando sentiva troppo trambusto se ne rimaneva chiuso nella camera.
La famiglia di Akanishi era un famiglia Yakuza, il padre operava con la banda ad Osaka. Tanaka sapeva poco o nulla riguardo tutto ciò, eppure Akanishi era un ragazzo tranquillo...
Il cielo azzurro era di una bellezza folgorante.
Avrebbe camminato per Tokyo...
Il condominio era quello.
Lesse velocemente i nomi vicino al citofono. Sapeva ancora riconoscere la pronuncia di alcuni ideogrammi e se ne stupì. “Kamenashi...” disse sotto voce, e premette con forza.
Prima che qualcuno potesse rispondere, la porta si aprì: un ragazzo sui venticinque, i capelli castani tinti brillarono colpiti dal sole, occhiali scuri appesi alla catenina argentata che aveva al collo, canottiera grigia che lasciava bene in vista i muscoli formati del petto e delle braccia.
I loro sguardi s’incrociarono.
“Ah! Ti devi essere Tanaka-kun!” disse sorridendo.
Le sue labbra erano carnose e i denti bianchissimi.
Tanaka annuì debolmente con la testa.
“Keiko mi ha parlato spesso di te”
una voce ansante di ragazza impedì a Tanaka si dire qualsiasi cosa.
“Keiko! C’è Tanaka-kun, manda l’ascensore!” disse quel ragazzo.
Tanaka ringraziò quel ragazzo con un muto cenno del capo.
“Mi chiamo Tatsuya Ueda, piacere. Sono il compagno di Keiko” e allungò la mano destra verso di lui.
Tanaka lentamente la strinse con la propria.
Quell’usanza occidentale... non sapeva davvero perché quel ragazzo, Ueda, l’avesse.
“Mi dispiace, ma devo andare, gli allenamenti non mi lasciano libero nemmeno un pomeriggio” e corse via.
Tanaka entrò e il bianco dei muri l’accecò.
Si catapultò nell’ascensore e pigiò con decisione il numero sette. La macchina iniziò a salire. Era come avvicinarsi al Paradiso.
Non appena le porte si aprirono, vide di fronte a sé una ragazza. La cugina di Taguchi era ancora più bella di quel che si ricordava. Erano alcuni mesi che non la vedeva. Il primo primo e ultimo incontro, fino a quel momento, era stato davanti al vicolo buio che era stata la loro dimora, per quattro anni.
“Junnosuke è appena partito, se arrivavi qualche minuto prima saresti riuscito ad incontrarlo” disse sorridendo, dopo che si fossero accomodati sul divano del salotto.
“Ah... ho deciso all’ultimo di venire qui”
“Capisco. Ti offro un té?”
Tanaka scosse la testa, “Ho fatto colazione da poco, grazie lo stesso” e chinò il capo.
Keiko sorrise.
“Così... hai conosciuto Tatsuya” disse, poi fece cenno a qualcuno dietro a Tanaka e con un balzo un bimbo si sedette sulle sue ginocchia.
“Perché mamma! Volevo fargli un agguato!” piagnucolò il bambino scuotendo la testa a destra e a sinistra.
Tanaka sorrise.
“Kazu-chan, te lo ripeto in continuazione, non si fanno gli agguati agli ospiti”, il bambino sbuffò e incrociò le braccia sul petto, “Anzi! Perché non saluti il nostro ospite?”
Kazuya guardò con attenzione il ragazzo, che era seduto poco lontano dalla mamma, “Buongiorno Tanaka-san!” esclamò soddisfatto, poi dimenandosi scese dalle gambe della mamma, si sedette sul tappeto di fronte al divano e iniziò ad infilare le costruzioni una sopra l’altra per scala cromatica.
“Ti sei... ricordato di me?” chiese stupito Tanaka, con un filo di voce.
“Certo!” disse Kazuya non staccando gli occhi dal proprio operato, poi parve rifletterci e lo guardò dritto in faccia, diventando serio tutt’a un tratto, “E sei anche più bello con i capelli corti” sentenziò.
“Kazu-chan!” lo riprese Keiko.
“No... sono contento” disse Tanaka e le sorrise.
Lei ricambiò.
“Così... quel ragazzo è il tuo compagno...” prese a parlare Tanaka non staccando gli occhi dal bambino, che si era chiuso nel suo mondo di fantasia e non li sentiva più.
“Sì... l’ho conosciuto in America... a dire il vero... può sembrare una storia assurda” arrossì.
“Me la vuoi raccontare?”
Lei annuì.
“Due anni fa il mio liceo ha organizzato una vacanza studio in America. Dato che Kazuya aveva solo due anni, avevo deciso fin dall’inizio di non partecipare, ma alla fine i miei genitori mi hanno convinta, e così siamo partiti tutti e siamo rimasti a Los Angeles due mesi. Un giorno... afoso... tipo oggi -sorrise- sono rimasta colpita da un cartellone pubblicitario di una gara di boxe e uno dei due sfidanti era giapponese. Il suo nome... mi ha subito incuriosita. Tatsuya vinse quell’incontro e ci incontrammo alla conferenza stampa che tenne subito dopo. Non so come accadde... ma alla fine ci siamo innamorati”
“E’... una bella storia” disse Tanaka.
“Sì. Proprio ieri sera... mi ha detto che vuole sposarmi. Io... non ho saputo rispondergli. Ho da poco compiuto venti anni e voglio iscrivermi all’Università... però... sono contenta che me l’abbia chiesto”
Tanaka annuì. Forse anche lui avrebbe dovuto iniziare a pensare seriamente a che cosa fare nella vita. I quattro anni vissuti per strada erano come un buco nero, in cui tutto si era fermato, ed ora aveva venti anni senza sentirseli davvero.
Forse avrebbe dovuto riprendere dalla scuola superiore.
“Mamma...!”
“Sì, Kazu-chan?”
“Papà quando torna a trovarci?”
Tanaka ebbe un tuffo al cuore. Keiko aveva messo al corrente il figlio del suo legame di sangue con Taguchi.
“E’ appena partito e già lo rivuoi con te?” gli chiese sorridendo scompigliandogli i folti capelli neri.
“Certo che lo voglio!” rispose il bambino e iniziò a sfasciare le torri di costruzioni che aveva appena finito di erigere.
“L’ha presa bene... anzi, è stato molto contento di sapere che Junnosuke è suo padre. Ci viene a trovare spesso... è proprio cambiato... grazie, Tanaka-kun” e chinò il capo.
“Ah! Ma io non ho fatto nulla! E’... è merito di Taguchi... se ora io sono qui, vivo”
Lo sguardo di lei si incupì.
“Hai sofferto tanto, vero?”
Il cuore di Tanaka iniziò a battere più velocemente, e annuì, una, due, tre volte.
“Anche io”
Per tutto il tempo, fino a quando il cellulare di lei non squillò rompendo il silenzio, non dissero più nulla.
Ritornò in quella che ormai era la sua casa, la sua VERA casa, forse, che poteva essere benissimo ora di pranzo, anche se quei quattro anni passati alla ricerca di cibo e acqua gli avevano fatto perdere ogni cognizione del tempo. Qual era l’ora adatta per andare a dormire? Quale per mangiare? Ormai non lo sapeva più.
Suonò il campanello. Nonostante aveva da mesi un duplicato delle chiavi non riusciva ad usarle, le stringeva forte tra le mani, ma non si avvicinavano neanche di poco alla serratura.
“Tanaka!”
La sua voce lo fece sorridere.
“Ti ho detto che devi usare le chiavi!”
Akanishi si precipitò lungo il vialetto, aprì il cancello in ferro battuto e gli gettò le braccia al collo. Tanaka sussultò.
“Ero preoccupato, non mi hai lasciato neanche un biglietto... e ti ostini a non voler avere un cellulare”
Tanaka appoggiò le mani sulle sue spalle e lo scostò con delicatezza da sé, poi si avviò verso la porta d’ingresso.
“Credi che io possa andarmene?”
Akanishi si fermò dietro di lui e chinò la testa a guardarsi la punta dei piedi.
“Sei come un gatto randagio... Tanaka... che potrebbe scomparire di punto in bianco”, si morse le labbra.
“Anche i gatti randagi... se trovano un uomo che dà loro da mangiare si affezionano... e... solo quando sono in calore se ne vanno...”
“Mh... e tu, sei in calore?”, era arrossito, così terribilmente che non riusciva a sollevare lo sguardo, e il sole di mezzogiorno picchiava forte sulla sua nuca.
“Forse sì”
Tanaka sorrise e s’inumidì le labbra di saliva, poi entrò in casa. Akanishi lo seguì. Il cuore aveva preso a battere in modo vertiginoso.
A venire loro incontro fu la cameriera sulla cinquantina, che con cipiglio arrabbiato informò che il pranzo era pronto, servito a tavola e che dovevano andare a lavarsi le mani.
Tanaka pensò che quella donna doveva essere una fantastica madre.
La tavola era imbandita e apparecchiata solo per due.
“Fuko-chan... mangia con noi!” disse Akanishi rivoltò alla cameriera.
“Bocchan... sa bene che questo è impossibile”
“Akanishi ha ragione... il cibo è... così tanto” s’intromise Tanaka, poi si morse la lingua, forse non poteva permettersi di parlare in modo così informale.
La cameriera lo guardò con le braccia conserte, “Tanaka-san... rispetto a questa mattina, la trovo molto di buon umore!” esclamò sorridendo, “E per festeggiare...” allungò una mano e prese un sushi dal piatto di portata, “...vi faccio compagnia con questo sushi!”
Akanishi sorrise.
“Ora vado a cambiare le lenzuola ai futon” e scomparve nel corridoio.
“Tanaka...”
“Mh?”
“Fuko-chan è proprio una persona dolce, non trovi?”
“Sì...”
“E’ lei che mi ha cresciuto”
“E... tua madre?” chiese Tanaka con un filo di voce, mentre si portava alla bocca un po’ di riso.
Akanishi alzò le spalle, “Non so chi sia... non l’ho mai conosciuta... forse... una delle tanti amanti di mio padre”
“Sei... figlio unico?”
“Non lo so”
“Eppure...” riprese a parlare Tanaka, quasi senza rifletterci, seguendo il flusso disordinato dei propri pensieri, “...tuo padre... dovrebbe volerti bene... ti fa vivere nelle agiatezze... ti manda a scuola... non ti fa mancare nulla... o almeno... così mi sembra” e fissò il proprio piatto, ancora pieno.
“Forse hai ragione tu... ma non dovrebbe essere questo il compito di un padre?”
Tanaka non rispose.
“Tuo... padre... non è così?”
Tanaka alzò lo sguardo verso di lui... era certo dei propri occhi rossi al limite del pianto. Non aveva mai pianto... in dieci anni di violenze... ma forse poteva iniziare a farlo.
Sbatté gli occhi e le lacrime parvero bruciargli le guance.
Notte.
Occhi. Spalancati. Dormire. E’. Impossibile.
Il pomeriggio era trascorso nel silenzio più totale. Akanishi si era chiuso in camera a studiare inglese, Tanaka era rimasto sdraiato sul letto ad ascoltarlo, fissando il soffitto bianco, con le braccia dietro la testa, assaporando sul corpo l’aria calda dell’estate.
Un. Gemito. Strozzato.
“Akanishi...?”
“Mh... ah...”
Tanaka allungò una mano verso di lui che gli dava la schiena, incontrò il suo braccio e proseguì, toccandolo, fino alla sua mano e la strinse insieme al suo sesso.
Akanishi gemette più forte, “Scusa...” riuscì a mormorare.
Tanaka scosse la testa, ma tanto l‘altro non avrebbe potuto vederlo, si avvicinò di più, fino a toccare la sua nuca con il naso e ispirò l’odore dei suoi capelli.
Il sesso di Akanishi pulsava nella sua mano, come se il cuore si fosse trasferito lì, e più stringeva più pulsava, e pareva volesse scoppiare.
“Non... ti fa schifo?” chiese soffocando un sospiro roco contro il cuscino.
“No”
“Mh... okay... è che... lo sai... ho capito da poco... ecco... quello che mi piace...”
“Lo so”
La lingua ruvida di Tanaka assaggiava la pelle liscia del suo collo, un brivido dal profondo del bassoventre si ripercosse su tutto il corpo di Akanishi e gli venne copiosamente nella mano.
Asciugò la mano sporca di sperma sul lenzuolo, Akanishi si voltò verso di lui e nascose il viso nell’incavo del suo collo, i loro corpi attaccati.
“Non sei eccitato” commentò Akanishi, sfiorando il sesso dell’altro.
“E’ difficile, per me, eccitarmi...” confessò Tanaka, passando una mano sulla schiena dell’altro.
“Perché?” soffiò.
E si pentì di aver parlato.
E Tanaka non sapeva, se era pronto a raccontare, se sputando fuori quella storia di dieci anni di violenze che era stata la sua vita avrebbe potuto salvarsi o condannarsi. Se le parole amare che avrebbero lasciato la sua bocca avrebbero sporcato in modo irrecuperabile quell’essere, tanto simile ad un angelo, che un dio gli aveva fatto incontrare.
“Tanaka... voglio... che tu sia felice”
Akanishi aveva impressa nella mente il Tanaka che aveva incontrato per la prima volta, quel ragazzo così fragile che avrebbe potuto spezzarsi se solo sfiorato, invece lui lo aveva abbracciato, lo aveva baciato e non era crollato. E aveva fotografate a colori nel cervello le lacrime che Tanaka gli aveva mostrato solo poche ore prima, alle quali erano seguiti secoli di silenzio... ed era giunta la notte.
Notte. Salvatrice. Distruttrice.
“Non voglio che tu cambi, Akanishi”
“Da quando ti ho incontrato... sono già cambiato”
Tanaka sospirò, fece per allontanarsi ma Akanishi lo tenne stretto, avvicinò il proprio viso al suo.
“Voglio baciarti. Dalla prima volta in cui t’ho visto. Se rispondi al mio bacio... vuol dire che accetti di stare con me”
Tanaka sgranò gli occhi: era il ragionamento di un ragazzino. Ma, tutto sommato, Akanishi aveva solo diciassette anni, era giusto per lui essere ancora un ragazzino.
Ricambiò il suo bacio.
Forse... pensò... poteva recuperare i dieci anni di vita che aveva perso in quella casa occupata solo da fantasmi... in una nuova casa che era piena di luce... forse... poteva recuperare quei quattro anni trascorsi alla ricerca del sole... innamorandosi di un ragazzino... che brillava proprio come il sole.
Non aveva neanche ventuno anni. La vita non era stata clemente con lui. Chiuse gli occhi, beandosi della lingua calda di Akanishi, della saliva, altrettanto calda, che gli colava dalle labbra al mento, al collo.
E le mani di Akanishi trovarono le sue e le strinsero con forza.
Come a suggellare una promessa.