Bene bene.. oggi c'è il sole! Sono OSSESSIONATA dal sole, scusate :P Sono metereopatica! Ho finito gli impossibili 144 versi di Tacito! Mi è sembrato di morire xD E.. ho camminato per un'ora fuori sotto il sole.. come non facevo da tempo! Almeno devo guadagnare in salute fisica dato che quella mentale ormai è andata! xD
Tutto questo per dire che.. mi è tornata voglia di postare "Una fuga d'amore", anche perché finalmente Cri è riuscita a rimettersi in pari! >.< Quindi via con il quarto capitolo!!
Buona lettura!
Titolo: Una fuga d'amore
Capitolo: 4 (su 9 capitoli + epilogo)
Autore: Eos_92
Gruppo: KAT-TUN, Jin Akanishi
Coppie: (Akanishi/Kamenashi), Akanishi/Ueda, Taguchi/Kamenashi, Nakamaru/Tanaka
Genere: agnst, introspettivo, romantica, longfic, au
Rating: pg-17
Avvertimenti: yaoi
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono.
Riassunto: solitudine. Uno spogliarellista appena ventenne che vende il proprio corpo, un giovane che lo protegge non smettendo mai di vegliare su di lui, due studenti universitari che non riescono a dichiararsi i propri sentimenti, un ballerino professionista diviso tra accettare la proposta di matrimoio della sua compagna di ballo o continuare a cercare il vero amore, un pugile che cerca di fortificare il proprio spirito ma è incapace di vivere seriamente.
[Una puerta en el laberinto
por dònde el amor se escapa]
Nomadi - Lo specchio ti riflette
Se non ti avessi portato qui dentro, la tua vita sarebbe stata molto più bella.
Se riesce a stare in piedi, si esibirà. E non si poteva mettere in discussione la parola del capo. Ho fatto il possibile. Ma i tentativi di persuasione di Jin si erano rivelati inutili.
E Kame era di nuovo su quel palco.
Come sempre, nessuno si accorgeva di nulla, né dei lividi, né dei graffi, né dello spacco al lato destro delle labbra sottili, come mai nessuno si era accorto dei suoi occhi persi, a immaginare, forse, una sala vuota.
Una sala vuota, colma solo degli sguardi di Jin, che mai lo abbandonavano.
Anche se quella sera, i suoi occhi avevano una luce diversa, uno sguardo più vivo e intenso.
Perché mentre le mani grassocce dell’uomo che aveva davanti gli abbassavano i pantaloni fino alle caviglie, nella sua mente quelle mani erano generose e delicate.
E lo sfioravano leggermente.
Con timore.
Come se ballassero, lungo le sue cosce magre.
Di sicuro Jin l’aveva percepito e sorrise, sospirando appena, rincuorato.
Non è colpa tua, gli aveva detto Kame, nella doccia, quel pomeriggio, mentre si lasciava insaponare la schiena. E si lasciava abbracciare, avvolgere dalle sue braccia forti.
Da quando si era trasferito a Tokyo e aveva incontrato Kame, non si era mai allontanato da quel quartiere per andare alla spiaggia, né tanto meno era mai tornato nella sua città natale a vedere il mare.
Improvvisamente, avvertì una forte nostalgia.
Del sole che bacia la pelle, del rumore delle onde del mare.
Alla vista del corpo pallido di Kame, accecato dalla luce bianca, provò rabbia, per la loro giovinezza strappata.
Ma nulla è mai perduto.
Lo strano ragazzo, che si era seduto infondo alla sala, rigido, e aveva allontanato quella mano era lo stesso che con dolcezza aveva raccolto Kame e lo aveva aiutato.
Non credeva al destino.
Eppure uno spiraglio di luce si faceva strada lacerandogli il petto, faceva male, ma era così rassicurante.
“Pensi che un tipo come lui ci verrebbe mai in un posto come questo?”
Stavano camminando, sotto il cielo nero e minaccioso, avevano appena lasciato il pub, le prime ore del mattino, ma sembrava ancora piena notte.
“Lui?”
“Sì… il ragazzo… che mi ha aiutato…”
Cercò di non farsi vedere, ma le guance di Kame erano arrossite.
“Non so…”
Bugiardo.
Come poteva essere sicuro che sarebbe andato tutto bene?
Aver salvato un ragazzo per strada non significa nulla… Poteva anche essere tutta un’illusione, ma non voleva che Kame soffrisse ancora di più.
Non dissero più altro, entrambi consci della difficoltà della situazione.
Qualcosa di nuovo bussava alla porta del cuore di Kame.
Ma oltre quella soglia era ancora tutto buio.
“Ricordi il locale di cui ti ho parlato?” bisbigliava una ragazza ad un’altra, in fondo al corridoio.
“L’altra sera hanno cambiato ballerino… era bellissimo, non ti puoi immaginare…”
“Davvero? E come mai?”
Una piccola folla rumoreggiante si stava formando e occupava anche l’accesso alle scale.
“Ho saputo che frequenta questa università”
“Chi?”
“Lo spogliarellista”
“Ma dai? E non l’abbiamo mai riconosciuto?”
“Forse non vuole farsi scoprire”
Era appena iniziata la pausa pranzo, Kame era arrivato un po’ prima del solito, Jin aveva insistito per accompagnarlo fino alla fermata dell’autobus.
Sta' con quei due tuoi amici, sono a posto, no?
Aveva annuito.
Li aveva visti subito, ombrello o no, erano sempre appiccicati, Koki col suo sorriso illuminava la giornata grigia e Yuichi era sempre così tranquillo che ogni cosa poteva andare bene.
“Ah! Buon giorno, Kamenashi-kun!” Yuichi fece un cenno con la testa.
“Buongiorno” e si inchinò
“Su con questa schiena!” Koki gli diede una forte pacca, Kame sussultò, dolorante a causa delle ferite.
“Koki” lo rimproverò Yuichi.
“Scusa”
Scosse la testa.
“Hai già pranzato?”
Annuì.
Iniziarono a salire la rampa di scale, e si stupirono per la grande quantità di ragazze che ostruiva il passaggio.
“È lui!” urlò una ragazza indicandolo.
Kame impallidì, strabuzzò gli occhi, e in un attimo furono accerchiati.
Senza rendersene neanche conto, si era stretto a Koki, aggrappandosi al suo braccio e nascondendovi la faccia.
“Ah! Koki-kun, allora vuoi siete amici! Non dirmi che anche voi andate a vederlo”
“Non essere sfacciata!”
Le voci si sovrapponevano sempre di più e l’aria iniziava a mancare.
“Scusate, signorine, di qualsiasi cosa stiate parlando, di sicuro è un malinteso”
Anche perché parole come ‘spogliarellista’, o ‘prostituzione’ proprio non si addicevano a uno come Kame.
Ma neanche la sua pacatezza serviva a qualcosa.
“Ora basta!” urlò Koki.
Calò il silenzio.
“Smettetela, tutte quante. E andate via” il tono della sua voce era simile ad una lastra di ghiaccio, con una mano allontanò una ragazza che si stava avvicinando a Kame, lo sguardo rabbioso.
Mentre il corpo di Kame, così vicino al proprio, tremava sempre di più.
Fortunatamente la campana della fine pausa pranzo obbligò tutte le ragazze e gli altri spettatori casuali ad andarsene.
Ma Kame non si decideva a mollare la presa.
Gli occhi gonfi per le lacrime trattenute.
Tutto, stava andando in frantumi.
“Andiamo”
Yuichi prese Koki per un braccio e si incamminarono verso l’uscita.
“Ma… le lezioni…?” riuscì a bisbigliare Kame, staccandosi da Koki.
“Non preoccuparti, dai, andiamo a fare due passi”
Jin capiva sempre tutto al volo. Si ritrovò a pensare, mentre passeggiava lungo il mare accanto agli altri due ragazzi.
“Mi dispiace”
“Figurati… piuttosto…”
“È tutto vero” l’interruppe Kame.
“Quello che dicevano quelle ragazze… è tutto vero”
Si fermò, abbassò il capo.
“Non c’è nulla di cui ti devi vergognare” Yuichi gli appoggiò le mani sulle spalle, scuotendolo appena.
“Non si prendono mai delle scelte senza un motivo. Non devi dirci perché lo fai, è un lavoro come un altro, no? È per questo che devi camminare sempre a testa alta” gli alzò il volto e gli porse un fazzoletto.
Koki, poco lontano, guardava la scena.
Qualcosa mi brucia dentro, le tue belle mani sono sempre pronte ad aiutare tutti, il tuo sorriso rassicurante, il tuo corpo snello.
Scansione ai raggi X.
Non posso non guardarti.
Non posso passare una sola giornata senza sentire il tuo profumo.
Era solo una questione di scelte.
La motivazione dietro alla sua, di scelta?
Non lasciarmi…
Ti amo…
Sei sempre importante…
…per me.
Scosse la testa e si avvicinò a loro.
“Allora potremmo venire a vederti, sei bravo, no?”
“Koki!”
“Che carino, Yucchi-chan, sei arrossito!”
“Ma che… e adesso è diventato ‘Yucchi-chan’?”
Gli sfilò il berretto dalla testa, lo riempì d’acqua e lo schizzò.
“Ahh! È fredda!”
Lo riempì una seconda volta, e gettò l’acqua addosso a Kame.
E risero.
Una forte adrenalina percorse il corpo di Kame, stava giocando, in riva al mare.
E solo dopo si rese conto che non lo aveva mai fatto prima.
Sapete, è la prima volta che vengo al mare, gli sarebbe piaciuto dire loro, e invece…
“Se veramente venite… mi farà piacere”
Ora racconto balle anche a me stesso.
Altro che latte…
Jin stava di nuovo fissando il manifesto con la foto del pugile.
“Tatsuya Ueda…” mormorò “Ah, l’ideogramma è quello di drago”
In effetti.
Quel corpo lo eccitava da morire.
Doveva andarci a tutti i costi, all’incontro del giorno dopo, avrebbe anche chiuso a chiave Kame in casa.
Una voce leggermente ansimante attirò la sua attenzione.
La schiena strusciò contro qualcosa, o qualcuno.
Un forte odore gli invase le narici, capelli ramati.
Si sentì mancare il fiato.
Neanche una liceale alla prima cotta.
Ma forse era davvero così.
L’apparire era importante, essere apprezzato dal mondo esterno, ma su quali fossero i suoi veri sentimenti, non ci aveva mai riflettuto davvero.
E ora si ritrovava a seguire quel ragazzo, quel pugile che aveva incrinato tutte le convinzioni sulla base delle quali aveva mandato avanti la propria esistenza.
Ueda Tatsuya raggiunse un grosso edificio, salì rapidamente i pochi gradini, si fermò solo per inchinarsi a salutare un ragazzo alto che stava uscendo, poi scomparve all’interno della palestra.
“Akanishi-san…?”
Con uno scatto Jin si voltò.
“Ah! Taguchi-san” e si inchinò.
“Ci incontriamo davvero molto spesso” disse Junno con un sorriso “E… Kamenashi-kun…?”
“Sta bene, grazie ancora… E così… ti alleni?”
“Sono un ballerino”
Jin annuì.
In un attimo tutti i tasselli presero posto rapidamente. La rigidità nella postura, lo sguardo a volte freddo, ma allo stesso tempo, l’infinita grazia nei movimenti.
“Non sei più tornato… al pub”
“Non è posto che fa per me”
Non sarebbe stato facile, affatto. Ma l’espressione un po’ sognante di Kame non riusciva a schiodarsi dalla sua mente.
“Volevo anche ringraziarti… per l’altra volta, nel locale”
“Ah!” Junno era visibilmente imbarazzato, perché quel ragazzo che era di fronte a lui, era lo stesso cameriere mezzo nudo che li aveva serviti. Lo ricordò solo in quel momento.
“Comunque… se verrai…”
“Junno-chan!”
Una scia di profumo annunciò insieme alla voce squillante l’arrivo della ballerina.
Scese le scale ed affiancò il ragazzo.
“Scusa, eri occupato”
Jin chinò appena il capo.
Per un attimo la donna rimase incantata.
“Non fa nulla… stavo andando via”
Jin voltò loro le spalle e se ne andò, lentamente.
Affinò il più possibile le orecchie.
“Ci sono ancora dei biglietti invenduti, per lo spettacolo di domani…”
“Non rattristarti…”
Jin si fermò fingendo di cercare qualcosa nella tasca dei jeans, prese il cellulare, l’unica cosa che c’era, e se lo portò all’orecchio, simulando una conversazione.
L’unico problema, in quel momento, era procurarsi un biglietto.
Quando Jin entrò nell’appartamento, Kame era intento a fissare il cielo fuori dalla finestra.
“Ti ammalerai, se la tieni aperta in quel modo”
“Ho finito tutto il latte”
“Almeno hai mangiato qualcosa”
Kame sospirò e chiuse la finestra.
“Ti va di fare l’amore con me?”
Fu una sensazione strana, baciavano labbra, sfioravano petti e membri, ma le menti viaggiavano su una corsia parallela.
Sfrecciavano lontano.
E immaginavano un altro corpo, un altro viso.
Il tempo continuava il suo solito ritmo, ed era scandito con estrema lentezza secondo per secondo, e come ogni volta, Jin fermò la propria mano impedendo alle prime gocce di sperma di uscire.
“Mmh…”
Kame ansimava, docilmente, sotto di sé, era fragile, la pelle un po’ arrossata, il sesso ingrossato, le gambe aperte, mentre lo baciava, con urgenza.
Ma gli occhi chiusi.
Anche Jin chiuse gli occhi: con gli occhi chiusi, tutto cambiava di prospettiva.
Un drago indomabile.
Lo possedeva.
Immaginò di essere posseduto da quel drago indomabile.
E sentì la lingua ruvida di Kame leccargli il pene.
Gli strinse forte i capelli spingendo più in basso il suo viso, fino a farglielo prendere completamente in bocca.
Non avrebbe detto nulla a Kame.
Della sua involuta instabilità, precarietà di sentimenti, indecisione.
L’avrebbe accompagnato, non lasciandogli mai la mano, fino a quando il sole caldo non avrebbe asciugato tutte le sue lacrime.
E l’avrebbe abbracciato, sempre. Cercando di proteggerlo.
Quando venne nella sua bocca, serrò gli occhi con ancora più forza, e immaginò il proprio sperma bagnare labbra carnose ed invitanti.
Baciò le sue labbra.
Poi lo fece voltare.
“Tieni, è un regalo”
Erano ancora sdraiati, completamente nudi, uno accanto all’altro, sul letto da una piazza e mezza di Jin. Era lì, che dormivano.
Jin porse a Kame una bustina bianca.
‘Teatro Imperiale.
Europa’
“Europa?”
“È uno spettacolo di ballo”
“Perché me lo hai dato?”
Jin si sporse un po’ in avanti e col dito gli indicò un nome.
‘Taguchi Junnosuke’
Il volto di Kame non si era mai tinto di un sorriso più bello.
Gli buttò le braccia al collo e per poco non caddero dal letto, gli baciò con forza una guancia.
Rideva.
Sorrideva. Ammaliando ancora il suo pubblico.
In fondo alla sala, un po’ discostati, due giovani si irrigidirono di colpo sulle sedie, non appena videro quel viso conosciuto.
Koki rimase a bocca aperta, portando alle labbra il bicchiere con il drink.
E così sei un ballerino. Pensava Kame mentre si sfiorava l’interno coscia con una mano, e leccava l’altra, una ad una le dita.
I pantaloni larghi diventarono improvvisamente troppo stretti, era davvero una tuta quella che indossava? Koki si tirò un po’ su sulla sedia. Cercando di ignorare il fastidio di quella strana sensazione che aumentava nel suo stomaco.
Un ballerino. Avrà di sicuro una compagna.
E afferrò il palo argentato con entrambe le mani, buttandosi poi all’indietro, allungando la schiena, i capelli sciolti.
Yuichi deglutì, inspiegabilmente. Lanciò un’occhiata verso Koki, che si stava mordendo le labbra.
Una ballerina. Aggraziata, filiforme.
Ma anche morbida, il seno… si toccò il petto, i fianchi… roteò il bacino, con forza, i glutei… con le spalle al pubblico, si strinse forte le natiche, spingendo il sedere all'indietro, i pantaloni di pelle attillatissimi.
Un goccia di sudore colò lungo il naso di Yuichi, con la mano magra l’asciugò. Poi prese la bibita e bevve, chiudendo gli occhi.
Koki lo guardò, e allargò appena le gambe.
Poi Yuichi riappoggiò il bicchiere dal vetro spesso sul tavolino, si passo la lingua sulle labbra carnose.
Koki socchiuse gli occhi, e immaginò l’alcol percorrergli il collo e il petto, immaginò una goccia solitaria, assaggiare la sua pelle liscia, e volle leccarla, quella goccia inesistente.
Si avvicinò appena, totalmente trasportato dalla musica.
Ma un fischio lo bloccò.
Il giovane spogliarellista aveva fatto tutto da solo, quella volta.
In piedi, in mezzo al palco, il leggero strato di sudore gli imperlava tutto il corpo.
E il rigonfiamento negli slip era estremamente visibile.
Ma un cliente aveva pagato, e non importava quale indumento dovesse togliere.
La luce come sempre arrivò e colpì il fortunato.
Un uomo, piuttosto giovane, si alzò e quel sorriso malizioso era talmente orribile che disgustò a tal punto il cameriere tanto da farlo discostare dal muro al quale era appoggiato.
Lanciò uno sguardo rabbioso al cliente e lo raggiunse, sfilando qualcosa dalla tasca interna della giacca.
Kame aveva lo sguardo rivolto in basso, perso ad ammirare le linee del legno della piattaforma.
Ansimava.
Con un gesto netto Jin schiaffò sul petto del tizio una mazzetta di banconote.
Nessuno avrebbe toccato quel corpo.
Lasciò il vassoio vuoto su un tavolo a caso.
Le falcate lunghe, decise, era talmente bello e sexy che poteva fare tutto.
Salì sul palco e si piazzò davanti a Kame, gli sollevò la testa.
“Jin…?” lo sguardo assorto, perso in un sogno.
“Non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere” sibilò.
Gli infilò una mano negli slip, schioccò le dita e le luci iniziarono ad affievolirsi, Kame venne nella sua mano.
Con uno scatto, Koki fece strisciare la sedia che per poco non cadde a terra e corse verso la toilette.
Come appena svegliato, Yuichi si guardò velocemente a destra e a sinistra, non trovandolo più lì, lo seguì.
Mentre la sala si riempiva di fischi e applausi.
“Koki…” lo chiamò piano entrando nella toilette.
Era spaziosa e luminosa, tutte le superfici brillavano.
Con le mani appoggiate al lavandino, Koki respirava forte, il petto su e giù, la fronte sudata.
Yuichi si sentì stranamente fuori luogo, aveva le mani bagnate e appiccicose.
Aprì un rubinetto e le lavò.
Lentamente, si godeva il getto d’acqua fresca.
“Nakamaru…”
“Chiamami per nome” la voce bassa, un po’ strozzata.
“Yuichi…”
E gli uscì un gemito, un po’ forte. Con gli occhi chiusi, Koki mise una mano nei pantaloni.
Yuichi arrossì, guardandolo con la coda dell’occhio.
La nuca chinata, i capelli biondi: un po’ si vedeva la ricrescita nera.
Koki continuava a ripetere il suo nome, e Yuichi stava fermo, immobile.
Sono sicuro che me ne pentirò.
Lo allontanò dal lavandino stringendolo tra il muro e il proprio corpo, tolse la sua mano ed infilò la propria ancora bagnata e fredda, si guardarono negli occhi.
Koki gli cinse il collo con le braccia, si alzò sulle mezze punte e raggiunse le sue labbra.
“Scusa” gli disse, soffocando subito dopo il ricordo di quella parola, baciandolo ancora. Accarezzandogli il palato con la lingua.
Le spalle di Yuichi furono scosse da un brivido: il metallo del piercing era liscio e caldo. Passò la propria lingua su di esso, poi incontrò la lingua di Koki, ruvida.
Yuichi gli calò giù i pantaloni, e i boxer, toccandolo con entrambe le mani.
Appoggiò la testa sulla sua spalla, ansimando forte, lo toccava, per tutta la lunghezza, entrambi ad occhi chiusi.
Una fantasia che diventava realtà incrinò tutte le loro certezze, in quella notte che lasciava i propri colori all’alba, che forse si sarebbe schiarita sempre di più, lasciando il posto al cielo azzurro.
Tappando la bocca a quella vocina sottile che si faceva strada nella loro mente, consapevole, sicura. Che voleva urlare…
Ti amo.
E con violenza Koki venne, sporcando le sue mani col proprio sperma, e la fantasia erotica toccò il culmine, perché gli sarebbe piaciuto fotografare quelle mani, in quel preciso istante, col proprio marchio sopra.
La sabbia era ancora fredda, alle prime ore del mattino.
Coi piedi scalzi, i pantaloni al ginocchio e una felpa pesante, il drago correva, e contava i respiri, cercando la perfezione, la completa sintonia con la voce del mare.
Note grigie, come il cielo sopra di lui.
La morbidezza della sabbia, i granelli che avvertiva tra le dita dei piedi, in qualche modo rincuorarono il suo animo, scosso da una strana sensazione.
Nessun presagio, niente oroscopo, figuriamoci.
Il corpo si allena per fortificare la mente. Era la sua unica regola di vita.
Ma un fastidio in mezzo al petto si faceva sempre più incalzante.
La voglia pazzesca di urlare qualcosa al mondo.
Allargò le braccia, senza smettere di correre, gettò la testa all’indietro, i polmoni si riempirono di aria salmastra, e urlò.
Prosciugando ogni sua energia, che si perse tra le onde del mare.