Buon giorno gente ^^ Okay, credo di essere una persona davvero CONTRADDITTORIA, scusatemi!! Ho voglia di postare un sacco di fic (ma causa maggiore disco rigido esterno rotto, mi tocca riscriverle al pc e non ho tempo T__T), ho tante idee per continuare fic ma anche per questo il tempo è poco!! Non vedo l'ora che la scuola finisca!!
Quindi.. ho deciso di postare qui (perché l'ho già fatto su Pasticceria Italiana, quindi qualcuno potrebbe averla già letta) la mia prima fanfic a capitoli. Sono legatissima a questa fanfic, l'ho scritta in uno dei tanti momenti bui della mia vita.. è stata come uno sprint per non lasciarmi andare! Grazie davvero a mia sorella... perché abbiamo ragionato così tanto su questi personaggi che mi sembra di averli qui, che siano diventati veri; grazie davvero a Cri, perché se ora deciderà di rileggerla, sarà tipo la quarta volta che lo fa xD (-> stupita di questa scelta? Ma "Una fuga d'amore" non poteva mancare nel mio LJ ^^).
Spero davvero che abbiate la pazienza di leggerla tutta!!! E spero soprattutto che vi piaccia! (Per Fairy_of_Lust... bella, non mi sono dimenticata della Koki/Jin, tranquilla... posterò anche questa T__T)
Buona lettura <3
Titolo: Una fuga d'amore
Capitolo: prologo (su 9 capitoli + epilogo)
Autore: Eos_92
Gruppo: KAT-TUN, Jin Akanishi
Coppie: (Akanishi/Kamenashi), Akanishi/Ueda, Taguchi/Kamenashi, Nakamaru/Tanaka
Genere: agnst, introspettivo, romantica, longfic, au
Rating: pg-17
Avvertimenti: yaoi
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono.
Riassunto: solitudine. Uno spogliarellista appena ventenne che vende il proprio corpo, un giovane che lo protegge non smettendo mai di vegliare su di lui, due studenti universitari che non riescono a dichiararsi i propri sentimenti, un ballerino professionista diviso tra accettare la proposta di matrimoio della sua compagna di ballo o continuare a cercare il vero amore, un pugile che cerca di fortificare il proprio spirito ma è incapace di vivere seriamente.
[Una puerta en el laberinto
por dònde el amor se escapa]
Nomadi - Lo specchio ti riflette
Vorrei scriverti una lettera. Una lettera lunga, dalle parole dolci, un libro lungo tre pagine, senza una parola amara.
Vorrei scriverti una lettera e raccontarti la mia vita, la mia vita insieme a te.
Quando ero ancora troppo giovane per capire quanto sia difficile vivere, ed ero convinto di essere immortale e impossibile da sconfiggere.
Ma con te ho conosciuto le lacrime, e quella stretta al petto che sembrava volesse uccidermi e la voglia irrefrenabile di strapparmi il cuore e gettarlo da qualche parte lontano da tutti, da ogni sofferenza, lontano da te.
Il tuo corpo che si muoveva riscaldato dalle luci artificiali mi faceva sempre cambiare idea e io volevo proteggerti, volevo solo che tutto finisse per rimanere solo con te, stringerti tra le mie braccia e fare l’amore con te.
Baciarti, perché solo le tue labbra sottili erano per me garanzia di vita.
Mi svegliavo ogni giorno con te accanto e mi addormentavo stringendo il tuo corpo fragile, un innumerevole susseguirsi di stagioni, tutte uguali.
L’inverno e la sua neve candida, l’arancione dell’autunno, il tramonto rosso sul mare in estate, che, perdonami, non ti ho mai mostrato, i fiori di ciliegio che ogni primavera ammiravamo insieme e stringevi forte la mia mano per paura di perderti.
Non ti avrei mai lasciato andare, non ti avrei mai lasciato a nessuno, eri il mio bocciolo, il mio piccolo e forte diamante, e brillavi, e sono convinto che brilli anche ora, anche se non so dove sei.
Vorrei raccontarti del tuo ventesimo compleanno.
Ricordi il sole freddo che illuminava Tokyo? Io riesco a vederlo, proprio come se fosse oggi. Assaggio ancora una volta il sapore triste e vuoto di quei raggi che colpivano il mio volto, quella mattina, entrando spaccando il vetro della finestra che aveva estremamente bisogno di essere ripulito.
Aprii gli occhi e un altro maledettissimo giorno stava per iniziare. Eppure il respiro sul mio petto era calmo, un altro anno era passato, ma non eri cambiato affatto.
Eri ancora quel ragazzino, ma piano si spegneva dal tuo volto il sorriso, e mi tormento, perché sono stato causa di questo.
Ma ora so che stai sorridendo, e sospiro chiudendo gli occhi.
Mi sono alzato lentamente dal letto, facendo attenzione a non svegliarti, e ti sei mosso un po’, aggrappandoti al calore del mio corpo impresso nel materasso, mugugnando qualcosa che non afferrai, ma riconobbi il mio nome, tra le tue parole.
Non avevi nulla addosso, se non il mio odore, per la notte di sesso appena conclusa, le tracce di sperma erano ancora visibili e pensai di dover lavare anche le lenzuola, oltre ai vetri della finestra.
Il cielo fuori era di un azzurro chiaro, inafferrabile, il sole illuminava anche te, e io ti coprii con la pesante coperta scura, la ricordi? Sorridendoti e accarezzandoti la fronte fredda con una mano, chinandomi a baciare dolcemente le tue labbra, ancora una volta.
Indossai i vestiti che avevo gettato a terra e mi avvicinai alla piccola cucina, come sempre il frigorifero era mezzo vuoto, ma il latte non era ancora finito. Non sapevo e tutt’ora non so perché tu abbia questa strana abitudine occidentale di bere latte. Non te l’ho mai questo, perché era uno dei milioni dei lati che di te amavo.
Riempii un bicchiere di latte, fresco, intero, e l'odore e la consistenza così pastosa mi nauseò quasi, ma non te l'ho mai detto. Il bicchiere era quello grosso, stile birra, che avevi insistito affinché ti comprassi, non so quanti anni fa, ma ancora non si era rotto.
Mi avvicinai a te, ti scostai i capelli dalla fronte e appoggiai il bicchiere sul comodino, poi decisi di farmi una doccia.
Le ricordi le infinite docce che ho fatto insieme a te? Quando insistevi per avere una vasca, di quelle dove entra molta acqua e mi dicevi sempre che mi avresti preparato il bagno con quei sali profumati che coloravano l'acqua, e saresti entrato con me.
Avrei visto il tuo bel corpo minuto immergersi, e in quei momenti avrei tanto voluto mostrarti il mare. L'oceano.
Sentii la tua voce sottile, e le mani spingere la porta, non potevo vederti in viso, perché le pareti della doccia erano appannate dal vapore, ma ero convinto che la tua bocca fosse sporca di latte.
Uscii e tu mi sorrisi, per prima cosa bagnai la tua guancia con la mia mano, e leccai il latte rimasto sulle tue labbra.
"Buon compleanno" ti sussurrai, prima di prendere un asciugamano e mi ci fasciai la vita. Sorridevi, e riempivi lo spazzolino della solita quantità esagerata di dentifricio. Alla fragola.
Venti anni non fanno la differenza. Non sono cresciuto neppure io, tutt'ora, perché se dovessi rimanere solo, soffrirei ancora pazzamente di solitudine.
Ora vedo l'oceano davanti a me, e so che da qualche parte ci sei tu, che fissi il cielo alla ricerca del sole. Le tue crisi di pianto e urla, il bisogno che avevi di essere abbracciato, ogni volta che le nubi pesanti oscuravano la metropoli e tu mi pregavi di partire, di lasciare quelle tenebre, mentre con più foga volevi essere posseduto da me, per dimenticare la pioggia che cadeva fitta e rumorosa.
Ma il giorno del tuo ventesimo compleanno c'era il sole che ti aspettava.
Tu eri capace di scaldarti anche d'inverno, purché ci fossero quei raggi fini che filtravano tra i tuoi capelli e riflettevano i tuoi occhi scuri.
Ti presi per mano e lasciammo il mio appartamento, nella solita confusione di abiti e riviste, tutto mio, ovviamente, perché tu eri estremamente ordinato.
La strada iniziava ad affollarsi ma nessuno prestava attenzione alle nostre dita allacciate, il tuo sguardo si muoveva repentino in tutte le direzioni, e nei luoghi un po' più affollati ti stringevi a me con più forza e allora io posavo le labbra sui tuoi capelli in un unico bacio che era capace di distendere i tuoi nervi tesi.
Non conoscevo molto di te, ma hai cambiato la mia vita.
Anche se il cuore mi si stringeva di più ogni secondo che passava immaginando la notte che inesorabile sarebbe sopraggiunta e ci avrebbe inghiottiti, ti avrebbe inghiottito, e io, potendoti vedere solo da lontano, misuravo il tempo, sperando trascorresse più velocemente.
Il viale di ciliegio non era ancora in fiore, ma io lo immaginai lo stesso, alcuni petali bianchi si staccavano per
il leggero vento che aveva iniziato a soffiare.
"Chiudi gli occhi" ti dissi e ti lasciasti guidare, il passo un po' incerto, fino a che non ci sedemmo su una
panchina protetta da un albero grande, spoglio, sopra le nostre teste.
"Immagina i fiori, poi apri gli occhi" e appoggiai le mie labbra sulle tue.
I tuoi occhi erano lucidi e mi gettasti le braccia al collo, cercando un altro bacio, un po' più profondo,
respirando ansioso la mia aria.
"Grazie, è un regalo bellissimo" erano state le prime parole che mi avevi rivolto, quel giorno, poi appoggiasti la testa sulla mia spalla e ci perdemmo nel profumo dei fiori.
La penna sta quasi per finire, e finalmente tutto quello che avrei voluto dirti in una vita intera si scioglie tranquillamente nella mia mente.
Sento che potrei piangere, anche se il sole splende, in mezzo al cielo.
Nell'abbraccio infinitamente lungo nel quale avrei voluto stringerti l'ultima volta che ti ho visto, sono racchiusi tutti i miei pensieri per te.
E il tuo sorriso così bello riaffiora nella mia mente.
Nel frigorifero ho una bottiglia di latte, intero, vuota, che rimarrà lì, come una parte di te.
Abbiamo trascorso sulla panchina quasi tutta la giornata, alternando il silenzio profondo, a baci umidi, a basse risate, quando a turno dicevamo qualche scemenza e non mancava di certo l'imbarazzo, nel momento in cui insinuavo la mano sotto la tua felpa enorme, la mia, probabilmente, ad accarezzarti il fianco. E ti specchiavi nei miei occhi, che sorridevano maliziosi e allora mi prendevi per mano e velocizzando il passo ci ritrovavamo nel mio appartamento.
Mi aspettavi sdraiato sul letto, fissandomi divertito, mentre improvvisavo qualcosa da mangiare in un orario sconclusionato ti raggiungevo poco dopo, sedendomi accanto a te, obbligandoti ad aprire la bocca anche se sapevo perfettamente che avresti voluto più volentieri mangiare le mie labbra.
Un boccone di riso, un bacio lento, ancora un altro boccone e finivi tutta la ciotola, e così, sdraiati, intrecciando le gambe, tu sul mio petto, io a cavalcioni su di te, aspettavamo la notte.
E il tempo sembrava passare sempre più velocemente e spesso ti addormentavi.
Che vita era quella?
Scusa, l'inchiostro della penna sta proprio finendo.
Richiudo la lettera e la metto nel cassetto della scrivania, mi accendo una sigaretta e guardo il cielo al di là del vetro ampio della finestra.
Inspiro, e chiudo gli occhi.