Ooookay! Ho già postato questa fic su Pasticceria xD Ma.. come faccio a postare la terza parte (fresca fresca ^^) se non posto anche le altre?! E come faranno le nuove lettrici??? Ecco.. quindi la rimetto qui! Spero che qualcuno voglia lo stesso lasciare un commentino ... sono ingorda di commento, già... xD
Buona lettura! Questa fic è stata un parto davvero faticoso!!
ps: anche se siamo alli sgoccioli.. Buon compleanno RAF ^__^
Titolo: Sonnifero (parte 1 su 4)
Capitolo: 1 (su 3)
Autore: Eos_92
Gruppo: KAT-TUN, Jin Akanishi
Personaggi: Akanishi, Kamenashi, Nakamaru
Coppie: Akanishi/Kamenashi
Genere: AU, agnst, longfic, introspettivo
Rating: pg-17 (per le tematiche!!!)
Avvertimenti: yaoi
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono.
Riassunto: un ragazzo silenzioso, con un passato doloroso e una brutta dipendenza, incontra un altro ragazzo, espansivo ma che nasconde un dolore altrettanto forte, che torna nel suo paese natale per dimenticare e riscoprirsi.
Ringraziamenti: Mia sorella, perché mi ha ascoltato quando gliela leggevo ad alta voce e mi ha aiutata a portarla avanti!
-Sonnifero-
“Prendi SONNIFERI?” gli chiese Jin alzando la testa dalla scatoletta di pasticche che teneva nella mano destra, non c’erano dubbi, si trattava certamente di questo.
“Mh… ho problemi col sonno”
“Non lo sapevo…”
“Siamo coinquilini, non c’è bisogno di sapere tutto l’uno dell’altro”
Kazuya non lo stava guardando in faccia; ancora sotto le coperte, si era messo seduto e stropicciava il lenzuolo con le dita piccole. Non si sentiva a disagio, non era tipo.
“Mh, hai ragione” e appoggiò la scatoletta sulla scrivania, poi lasciò la stanza.
“Mi faccio la doccia” gli urlò.
Kazuya non rispose, fissò i farmaci e sospirò.
Jin era arrivato nello studentato solo due settimane prima e ancora non ci aveva fatto l’abitudine. Era solito prendere il SONNIFERO in camera, ma a volte gli era capitato di farlo in un'altra stanza, e dimenticare la scatolina da qualche parte.
Senza possibilità di ricordarsi, il giorno seguente, dove l’aveva appoggiata.
Sospirò più rumorosamente e stiracchiò le braccia verso l’alto.
Le lezioni all’Università sarebbero iniziate tra meno di due ore, doveva decidersi ad alzarsi ed abbandonare il letto. Nonostante tutto, era riuscito a dormire bene, e un po’ gli dispiaceva allontanarsi dal proprio giaciglio.
Sentiva ancora il corpo intorpidito ma si sforzò di non farci caso, toccò coi piedi nudi il pavimento e si accorse che non era poi così freddo.
Decise di non infilare i calzini.
Raggiunse la cucina, tutto gli appariva distorto e confuso.
Ma non aveva assunto droghe, era solo la sua fedele pasticca si SONNIFERO. Oppure erano state due? Iniziava a non ricordare bene.
Jin uscì dal bagno con addosso solo un asciugamano legato intorno alla vita, i capelli castano scuro lunghi fino alle spalle gocciolavano e gli bagnavano di nuovo il petto e le goccioline si infrangevano a terra.
“Questa mattina fai colazione?”
Kazuya lo guardò perplesso.
“Beh… è che non ti ho mai visto farla, ecco” proseguì Jin guardandolo dritto in faccia.
Il viso di Kazuya era pallido e le guance un po’ incavate.
A dirla tutta, Jin non aveva avuto una buona impressione di lui la prima volta che lo aveva visto. Gli aveva dato una sensazione di malaticcio, e dopo aver trovato la scatola di SONNIFERI, sul lavello in bagno, aveva avuto la conferma che c’era qualcosa che non andava in lui.
“Oggi mi va” rispose semplicemente Kazuya e versò dell’acqua in un pentolino.
“Tè?”
Annuì.
“Ne posso prendere un po’ anche io?”
Annuì.
“Ti ringrazio”
Kazuya si ritrovò di nuovo solo. Guardava la fiamma bluastra del fornello e gli venne l’istinto di toccarla. Allungò una mano, le dita pallide si arrossarono, il riflesso del fuoco brillava sulla sua pelle.
“Ah, Kamenashi…”
In un attimo Jin si precipitò su di lui.
“Ma che fai?” gli urlò afferrandogli il polso con una mano e allontanandolo dal piano cottura.
“Ah…” Kazuya lo guardò in faccia, “Mi è venuto spontaneo” disse.
Jin scosse la testa, “Qui finisco io, tu va pure a cambiarti”
Senza dire nulla, Kazuya si allontanò.
Jin fissò la sua figura scomparire e si massaggiò le tempie con una mano.
Non sarebbe stata una buona giornata.
Guardò fuori dalla finestra…
…”Anche oggi il cielo è grigio” mormorò.
Ho di nuovo quella voglia irrefrenabile di buttarmi via.
Potrei bruciare, annegare, svanire… fissò il soffitto bianco, vuoto, perso, e ci vedo il mio riflesso.
Tutto questo… solo perché… questa notte ti ho sognata. Non capita spesso, non capita quasi mai… i SONNIFERI mi gettano in un sonno talmente profondo che a volte temo di non riuscire a svegliarmi la mattina successiva.
Ma questa notte… sei tornata.
Quanto tempo è passato?
Quanti anni ho?
Quanti anni hai?
Ho addirittura dimenticato il tuo nome.
“Kamenashi! Il tè è pronto!” gli urlò Jin dalla cucina e Kazuya si accorse di essere ancora il pigiama, velocemente si infilò un paio di jeans, una maglietta e una felpa pesante.
Lo raggiunse in cucina.
“Sei sicuro di voler andare all’Università? Non hai una bella cera”
“Ci vado”
“Fa come vuoi, lo dicevo per te”
Il tè non era male; era la prima volta che mangiavano qualcosa insieme da quando si erano ritrovati coinquilini; Jin era silenzioso, Kazuya lo fissava.
“Ma… tu fissi sempre le persone?”
Colto alla sprovvista, Kazuya sussultò.
“Dipende…” disse ricomponendosi.
“Da cosa?”
“Da quanto queste persone parlino e facciano”
Jin annuì, anche se non aveva ben capito che cosa l’altro avesse voluto dire.
Finito di bere il tè, Kazuya appoggiò la tazza nel lavello e uscì dalla stanza.
Per quanto io posso pensarti, non tornerai.
Questa dolorosa consapevolezza mi lacera il petto.
Il mio sguardo è intercettato dalla scatoletta dei SONNIFERI, l’istinto di prendere ed ingoiare altre pasticche è forte. Così potrò riaverti nei miei sogni, no?
Ma decido di non farlo e sbatto con forza la porta del bagno alle mie spalle.
Se tu fossi morta… tutto sarebbe stato meno struggente.
E invece esisti ancora, in un angolo di questo mondo.
Ho dimenticato il tuo viso, se ti incontrassi non ti riconoscerei.
Ho dimenticato il tuo profumo, in mezzo a migliaia di persone non percepirei la tua presenza.
Ho dimenticato il suono della tua voce, se l’ascoltassi per la strada, tirerei dritto senza voltarmi verso te.
“Kamenashi, io vado!”
Kazuya non rispose.
-La lunga notte di Kazuya-
Tornò dall’Università che era ormai NOTTE. Dopo le lezioni era andato a bere qualcosa insieme con amici, poi erano stati al bowling e infine aveva deciso di fermarsi a cenare in un ristorante di ramen proprio di fronte allo studentato.
Girò la chiave nella serratura ma la porta non si aprì: era stata chiusa a chiave.
Girò un’altra volta la chiave e lo accolse una stanza BUIA, un appartamento interamente avvolto nell’OSCURITA’.
Lasciò le scarpe all’ingresso e si tolse la giacca.
Non riuscì ad accendere la luce e un urlo strozzato gli squarciò i timpani.
Si precipitò nella stanza di Kazuya e grazie alla lampada da scrivania che era stata lasciata accesa, lo vide avvolto nella coperta, seduto con le ginocchia al petto, tremava e batteva i denti.
“Ehi… che ti è successo?”
Kauzya non rispose.
Jin si sedette sul suo letto e gli passò una mano tra i capelli: erano completamente fradici di sudore.
“Kamenashi… mi fai paura se non dici niente. Non ti senti bene? Vuoi che chiami un medico?”
Kazuya scosse la testa, “Ho finito… i sonniferi…” riuscì a sibilare.
Jin si sentì mancare. Se l’astinenza gli creava quell’effetto, doveva farne uso quotidiano da molto tempo.
“A…Avresti potuto telefonarmi, te li avrei comprati io. Vuoi che esca ora?”
Kazuya alzò gli occhi su di lui, ma non riuscì a distinguere bene i suoi lineamenti.
“Ho telefonato alla farmacia… li hanno finiti… ma ti pare che li hanno finiti! Arrivano domani mattina, e io che faccio fino a domani mattina!”
“Kamenashi, calmati… potresti provare in un’altra farmacia, te l’ho detto, per me non è un problema uscire, e poi manca ancora un po’ al coprifuoco”
“Che ne so io dove si trova un’altra farmacia! È NOTTE! Ho freddo! E… e il sonno non arriva!”
Kazuya stava urlando come un pazzo isterico; Jin deglutì silenziosamente e gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Ora stai tranquillo… se vuoi… ti faccio compagnia…”
Kazuya respirò profondamente e lo guardò un’altra volta in faccia. Si stava abituando alla sola luce della lampada e riusciva anche a distinguere bene i suoi tratti.
“E non dormirai?” chiese.
Jin scosse la testa, “Vado a farmi un CAFFE’”
“Ma tu non bevi CAFFE’”
“E tu come lo sai?”
Kazuya rimase in silenzio, poi lentamente iniziò a parlare, “Il coinquilino che è stato qui prima di te era un gran consumatore di CAFFE’… e anche senza saperlo… si sentiva l’odore per tutto l’appartamento… invece tu… non ti ho mai visto fare né un CAFFE’ solubile né uno con la moka”
Jin lo guardò stupito, era la prima volta che lo sentiva parlare così tanto, e si rallegrò del fatto che si fosse pure un po’ calmato.
“Beh… che tu sappia questo tipo ha lasciato qui del CAFFE’”
Kazuya fece spallucce.
“Oookay, vado a guardare, tu fa il bravo”.
Dopo circa cinque minuti, Jin tornò con una tazza fumante.
“Quello non è CAFFE’, è acqua sporca”
“Bah… se lo dici tu. In America lo fanno così”
“Si vede… che non sei un cultore di CAFFE’”
Jin non rispose e ne bevve un sorso.
“Tu ci sei stato in America?”
“Perché me lo chiedi?”
“Così…. Mi è passato per la testa questo pensiero e te l’ho domandato”
“Comunque, no, non ci sono mai stato… Non sono mai uscito dal Giappone”
Jin annuì, “Io ho abitato in America fino a quattro anni fa… poi ho deciso di tornare in Giappone”
“E perché l’hai fatto?”
“Non lo so… i miei genitori sono divorziati, mio padre sta qui in Giappone e mia madre sta in America, appena sono diventato maggiorenne per lo Stato giapponese ho deciso di venire qui, ma non ho detto nulla a mio padre…”, all’improvviso si interruppe, bevve un altro po’ del suo CAFFE’, che ormai si era freddato, appoggiò la tazza per terra e poi si voltò a guardare Kazuya, che lo fissava in silenzio.
“Scusa, ti sto raccontando la mia vita e di sicuro non ti importa nulla”
“No, no” Kazuya scosse la testa, “Mi sento meglio”
Jin tirò un sospiro di sollievo, “Allora… posso raccontarti un’altra cosa?”
Kauzya annuì.
“In America c’è la persona più importante della mia vita, anche se ora non stiamo più insieme…”
Kazuya si sentì stringere, era come se Jin gli stesse raccontando della sua stessa vita, del suo abbandono, del suo dolore, di tutte quelle lacrime, delle NOTTI insonni, delle pasticche di sonnifero che erano state la sua salvezza.
“Ehi, mi hai sentito?”
“Eh, come?”
“Ti ho chiesto se hai sentito quello che ti ho detto… insomma, se la cosa ti ha fatto schifo o spaventato o non so nemmeno io”
“Ma… che cosa?”
“Sono GAY”
Kazuya sgranò gli occhi, batté un paio di volte le palpebre e tornò padrone dei propri pensieri, “Figurati, non sono una persona così ottusa”
“Ah… meno male”
Jin allungò le braccia verso il soffitto e si lasciò cadere di traverso sul letto, Kazuya ritirò ancora di più le ginocchia al petto, per non essere schiacciato.
Jin era più alto e più robusto di lui, non che ci volesse poi molto, ma Jin era davvero diverso. Ora che lo sapeva, si vedeva che era cresciuto in un paese che non era il Giappone.
“Ma… Akanishi…”
“Mh?”
“Non hai intenzione di… ehm…”
“Perché, lo hai pensato?”, Jin scattò seduto e si avvicinò al suo volto.
“Assolutamente no!” urlò Kazuya e si mise le mani davanti alla faccia, “Io sono etero” e calcò con forza l’ultima parola.
“Lo so, lo so… tranquillo… Ma… tu come sei messo… in fatto a relazioni sentimentali?”
Come un pugno in pieno stomaco, la voce di Jin lo trapassò in mezzo allo sterno e lui trasalì.
Jin notò la sua reazione, “Okay, come non detto, argomento tabù” disse col sorriso, cercando di sdrammatizzare.
“No… è che… è una brutta storia”
“Ti capisco… non preoccuparti… ma… i sonniferi?”
“Che cosa?”
“Sono… a causa sua?”
Kazuya non rispose e Jin capì di aver colto nel segno.
Kazuya non aveva chiuso occhio per tutta la NOTTE. Jin alla fine era crollato e si era addormentato sul suo letto, Kazuya lo aveva coperto.
Quando Jin si svegliò Kazuya era in cucina, lo sentiva armeggiare ai fornelli e si stupì del buon odore che proveniva da lì.
“Buon giorno” disse sbadigliando entrando in cucina e portando in mano la tazza ancora mezza piena col CAFFE’ che aveva provato a bere la sera prima.
“Buon giorno, ti ho preparato la colazione… per ringraziarti”
“Ah, non dovevi”
Jin sorrise e si accorse che la cucina era in pieno stile americano. In un attimo lo assalirono mille ricordi misti a fantasia, il suo corpo muscoloso e scolpito, la pelle nera, la voce profonda.
Ma ormai lui apparteneva al passato.
“Non… non ti piace?”
“No, affatto, è tutto buonissimo”
Kazuya annuì e fece per andarsene.
“Ma… tu non sorridi mai?”
“Di solito no…” disse tranquillo, “Ora vado”
Indossò la giacca, prese la borsa e si chiuse la porta alle spalle.
Jin lo guardò fino a quando non lo vide scomparire, e tornò a posare lo sguardo sulle uova e la pancetta che aveva nel piatto. Ma dove se le era procurate di prima mattina? Scosse la testa e riprese a mangiare.
-La lunga conversazione con Nakamaru Yuichi-
Con la scusa di dover consegnare al precedente coinquilino del proprio appartamento un asciugamano trovato in fondo all’armadio, Jin si face dire dal portiere i nominativi di questo ragazzo e la possibilità di rintracciarlo: era tirocinante in uno studio dentistico.
Chiese di lui ad una ragazza, la segretaria, che gli disse di aspettare la fine del turno mattutino. Il che significava, più di tre ore.
Jin si sedette nella sala d’attesa, prese dalla borsa l’ipod e iniziò ad ascoltare la musica. Assecondava le note col movimento del capo, con gli occhi fissi sul muro bianco di fronte a sé.
Kamenashi ha pensato che io volessi fare qualcosa con lui. Che avessi potuto toccarlo… o baciarlo, magari… Ma quando gli ho chiesto se c’era qualcuno, è stato chiaro. Qualcuno c’è stato. C’è stata una ragazza.
Nel silenzio che ci ha avvolto dopo, perché non sono più riuscito a dire nulla… ho immaginato il suo dolore, e si è miscelato col mio, il volto di Kamenashi si è sovrapposto al volto di lui.
Anche se ricordo perfettamente tutto di lui.
Ora lo sento lontano. Il passato si sta allontanando.
Ho immaginato le sue lunghe notti insonni… e alla fine… credo di averlo addirittura sognato.
“Ehi… scusa?”
Jin sobbalzò e in un attimo si sfilò le cuffiette dalle orecchie.
“La segretaria mi ha detto che cercavi me…”
Jin si alzò in piedi e si inchinò.
“Ah, sì, sì… mi chiamo Akanishi Jin e sono il nuovo coinquilino di Kamenashi Kazuya”
Il ragazzo di fronte a lui parve allarmarsi.
“È successo qualcosa?”
“N-No, non credo… insomma…”
Il ragazzo lo scrutò per qualche secondo con attenzione, storse appena il naso, poi chinò il capo.
“Sono Nakamaru Yuichi. Andiamo a mangiare qualcosa, ora ho la pausa pranzo”
Jin annuì.
“Quindi… hai scoperto solo ieri dei sonniferi di Kame-chan”
“Mh”
Si trovavano in un ristorante per vegetariani situato di fronte allo studio dentistico, Jin aveva preso solo una birra e beveva lentamente.
“Ma… perché mi hai cercato?”
A dire il vero non lo sapeva bene neanche lui, era la prima cosa che gli era venuta in mente di fare non appena aveva sentito la porta chiudersi e Kazuya allontanarsi.
“Volevo sapere il perché dei sonniferi”
“Lo dovresti chiedere a lui”
“È difficile… parlare con lui… cioè… lui non racconta nulla”
“Hai ragione… ma io non ho alcun diritto di raccontarti della sua vita”
Jin lo guardò attentamente. Aveva i capelli corti, neri, era alto più o meno come lui ma molto più magro. Non sembrava un tipo scontroso, solo… profondamente corretto.
“Sì, questo lo so… ma… ti prego… non so cosa fare”
“Non credo… che tu debba fare qualcosa”
“Ma… e tu? Come ti sei comportato?”
“Siamo stati coinquilini per tre anni… alla fine ci siamo aperti a vicenda”
Jin annuì, era nel torto, non c’era niente da mettere in dubbio, “Scusami se ti ho scomodato” disse alzandosi e finendo di bere la birra.
“A-Akanishi-kun, aspetta”
Jin lo guardò sorpreso e si risedette.
“D’accordo, ti racconterò qualcosa, e puoi anche dire a Kame-chan che mi hai cercato, credo sia giusto così, no?”
“Sì”
“Quando ho conosciuto Kame-chan lui aveva venti anni, era al primo anno dell’Università, e già faceva uso di sonniferi. Una sera… si è verificato più o meno quello che mi hai raccontato tu. I sonniferi erano finiti e lui era particolarmente su di giri”
“Aspetta… questa notte era proprio isterico, non su di giri”
“Ah…” Yuichi sospirò e si passò una mano sul viso, “Avrà sicuramente aumentato la dose, e l’astinenza sarà diventata insopportabile…”
“Continua a raccontare”
Invece per un po’ Yuichi stette in silenzio e prese a guardarlo.
“Ma…!” esclamò ad un certo punto Jin, “Avete tutti il brutto vizio di fissare le persone, qui?”
“Come, scusa?”
“Anche Kamenashi, non fa altro che fissarmi!”
“Sei un tipo particolare… e comunque… Kame-chan lo faceva anche con me, all’inizio”
Jin sospirò rumorosamente.
“Sei interessato a lui, vero?”
“Come?”, di colpo Jin arrossì.
Yuichi trattenne a stento una risata, “Okay… continuo a raccontare… In quella sera, quella in cui erano finiti i sonniferi, insomma, mi sono proposto di fargli compagnia e mi ha raccontato perché abbia ricorso ad un metodo così drastico per dormire…”
“… Io la amavo… e lei se ne andata. Ho aspettato che lei tornasse, ho atteso per quella che mi è sembrata un’eternità, chiuso in casa, sul letto, al buio, al cellulare non rispondevo, lo avrei fatto solo se fosse stata lei. Ma una sua chiamata non è mai arrivata. Ho passato sveglio tre giorni, e anche se crollavo dal sonno non riuscivo a dormire, che cosa avrei fatto se lei fosse tornata e non l’avessi sentita bussare alla porta? O non avessi sentito il cellulare che squillava? Quando realizzai che ormai non c’era più niente da fare, che le sue lapidarie parole erano un addio definitivo, uscii di casa e mi fiondai nella farmacia di fronte, chiesi dei sonniferi, ma non me li diedero. Dato che ero uno straccio, la signorina ha chiamato un medico. Alla fine, dopo alcuni mesi, comprai la mia prima scatola di sonniferi…”
Jin lo guardava con gli occhi sgranati. Poteva sentire chiaramente la voce di Kazuya sovrapporsi a quella di Yuichi, poteva vedere i lineamenti duri, le sue labbra sottili, gli occhi color marrone.
“Era come…”
Non appena Yuichi riprese a parlare, subito Jin cercò di ritrovare la concentrazione.
“Era come… se si vantasse. Come se credesse che essere riuscito ad avere i sonniferi fosse stata l’unica cosa positiva della sua vita, l’unica azione di cui andare veramente fieri. Quella ragazza, andandosene, lo ha privato della vitalità, della luminosità, non che fosse un ragazzo zombie, ovvio, solo… era come accompagnato da una sorta di presenza oscura… un fantasma… il suo… che si trascinava dietro tutto il suo DOLORE”
Jin sentì un brivido percorrergli la schiena: era un tipo piuttosto fifone e le storie di fantasmi non erano mai state il suo forte, come le case stregate o Halloween.
“Questo è tutto” concluse Yuichi.
“Ti ringrazio”, Jin chinò il capo.
“E ora, che cosa pensi di fare?”
Non ne aveva la più pallida idea. Sarebbe tornato all’appartamento e lo avrebbe rivisto, gli avrebbe parlato, lo avrebbe ascoltato, se magari avesse voluto raccontare qualcosa, gli avrebbe chiesto di cenare insieme e poi…
“Akanishi-kun?”
“Mh?”
“Si vede lontano un miglio… che sei attratto da lui… in fin dei conti Kame-chan è un ragazzo interessante”, Yuichi sorrise. Un sorriso tranquillo, per tranquillizzarlo.
“Sì… credo anche io che sia un tipo interessante. A prima vista appare scontroso, è taciturno, è schivo, ma poi… a suo modo sa essere gentile… no?”
Yuichi annuì.
“Anche se non parla di sé, sa ascoltare, non interrompe, e poi… condividiamo un destino comune…”
“Hai una profonda FERITA nel petto, vero?”
Jin si guardò istintivamente dalla parte del cuore e vi ci portò anche una mano, quel muscolo pompava il sangue con tranquillità, anche se poteva percepire dei battiti più forti, quasi violenti.
“Ognuno di noi ha le proprie FERITE…” disse infine, tornando a guardare Yuichi in faccia, “Tu ce le hai?”
“Diciamo… che ho parecchie cicatrici”
“Un reduce di guerra?” chiese Jin col sorriso.
“Più o meno”
Il passato DOLOROSO, se non profondamente metabolizzato, sarebbe presto arrivato in superficie, e avrebbe galleggiato, trasportato dalla corrente, per molto, molto tempo.
“Ora devo andare, la mia pausa pranzo è finita”
“Scusami, ti ho trattenuto”
Entrambi si alzarono e si diressero al bancone.
“Figurati, offro io”
“Ma…!”
“Tranquillo… non mancherà occasione”.
Con un semplice inchino, Jin lo salutò; uscito dal ristorante, il freddo dell’inverno lo avvolse all’improvviso.