Romanzo Criminale (TV), Nicola Scialoja/Cinzia Vallesi, Sigaretta

Dec 30, 2008 22:58

Titolo: Puttane Pericolose
Serie: Romanzo Criminale (Serie TV)
Personaggi: Commissario Nicola Scialoja, Cinzia Vallesi detta Patrizia
Rating: R
Conteggio Parole: 1408
Beta-reader: fiorediloto
Dediche: scritta per il P0rn Fest di fanfic_italia di quest'anno, dedico la fanfic con affetto alle moderatrici dell'evento ♥ e a mihok ♥♥♥
Note: Faccio un breve rissunto per chi non avesse seguito la serie televisiva a cui il racconto si ispira (non ho letto il romanzo, perdono).
Il Commissario Scialoja indaga sulla banda della Magliana, che negli anni Settanta terrorizzò Roma. Cinzia, il cui 'nome d'arte' è Patrizia, è la donna di uno dei capi, Dandi. Scialoja diverse volte è andato da lei o l'ha fatta chiamare in commissariato per estorcerle informazioni sulla banda, ma Cinzia non ha mai dato informazioni (almeno fino ad ora), non per amore di Dandi ma per salvarsi la pelle. Tra il Commissario e la Prostituta c'è una tensione erotica-amorosa, che spero si evolverà in qualcosa di concreto :P Lui è molto combattuto tra il dovere e il desiderio, lei è talmente misteriosa che è difficile capire cosa provi davvero, certo è che il Commissario la stuzzica :P
Awards: miglior het al P0rn Fest #2 di fanfic_italia




Ogni poliziotto ha la sua prostituta. Una puttana tuttofare - informatrice, amante, all’occorrenza amica, quando finita la giornata di lavoro non hai la forza e la voglia di tornare a casa, ma hai bisogno di un morbido petto su cui piangere, sempre che ci siano lacrime da versare, o su cui dormire, se il tuo letto non è abbastanza caldo da farti stare tranquillo.
La tua puttana personale è soprattutto una grande attrice. Finge di amarti, di ascoltarti davvero, di interessarsi. Forse potrebbe essere davvero interessata, ovviamente non a te, piuttosto a quello che potresti lasciarti sfuggire, quindi la prima regola che devi importi se decidi di adottare una prostituta è non dire mai la verità. Questa regola devi incidertela nella testa, soprattutto se hai a che fare con una puttana pericolosa.
La puttana del Commissario Scialoja era una di quelle. Era quasi sicuro che non l’avrebbe tradito, anche perché tradire lui l’avrebbe smascherata. Ma non puoi mai fidarti di una puttana, in nessun caso.
Si trovava di fronte all’appartamento, eppure non aveva ancora bussato. I pensieri lo distraevano. Tirò un profondo respiro per concentrarsi su quello che doveva fare.
Patrizia non era ancora la sua puttana. Non lo era nel senso più ovvio della parola. Non era neanche una confidente e nemmeno una vera informatrice. Soprattutto non era Patrizia, visto che l’aveva sempre chiamata Cinzia.
Batté un pugno sulla porta, più per la rabbia che per l’impazienza, infatti ritrasse subito la mano come scottato. A quel punto non poteva più tornare indietro - e tanto non lo voleva neppure.
“Commissario, ancora qui?”
Cinzia gli aveva scoccato un’occhiata e si era subito voltata, lasciando che entrasse.
“Cosa vuoi?”
Scialoja chiuse la porta e la seguì silenzioso con le mani affondate nelle tasche, come se nascondendo quelle potesse eclissarsi anche lui.
Nell’ombra dell’entrata la osservò fargli strada verso la camera da letto. Le braccia le scendevano sottili lungo i fianchi e si muoveva sinuosa sui tacchi a spillo.
Aveva di nuovo dimenticato il motivo per cui era andato da lei, sempre che ce ne fosse stato veramente uno.
“Allora?”
Si girò verso di lui con uno scatto. Per il movimento repentino i boccoli castani si sollevarono dalle spalle in uno svolazzo, così il suo profumo lo raggiunse colpendogli violentemente le narici.
Cinzia aveva un’espressione ironica, l’angolo destro della bocca leggermente alzato.
“Scialoja, sei diventato muto?”
Non aveva la solita lingerie provocante. Portava un vestito grigio, semplice, un filo di perle al collo e il solito rossetto sulle labbra.
“Senti, non ho tempo da perdere, sto per uscire.”
Si avvicinò alla toletta, perdendo ogni traccia di allegria.
“Se hai qualcosa da chiedermi fallo e basta.”
Non lo guardava nemmeno mentre dava un ultimo tocco di rossetto alla labbra.
Scialoja la fissava assorto, tentando disperatamente di scacciare ogni pensiero.
“Posso accendere una sigaretta?”
Vide il sorriso di Cinzia attraverso lo specchio.
“Certo, Commissario, se me ne offri una.”
Gli si avvicinò lentamente. Aveva stampato in faccia uno di quei sorrisi che odiava, perché ogni volta che sorrideva in quel modo lui si sentiva costretto a scappare. Obbligò le sue gambe a rimanere salde e a non spostarsi di un millimetro.
Le offrì la sigaretta simulando indifferenza. Lei la portò alla bocca e per accenderla si piegò leggermente verso il fiammifero che lui le porgeva. Le osservò il collo bianco e nudo, libero dai capelli ammassati oltre la spalla. Ancora una volta il suo profumò lo investì e fu costretto a chiudere gli occhi e a trattenere il respiro per mantenere il controllo.
“Continui a non dire una parola.”
Lo fissava negli occhi e lo spogliava di ogni resistenza.
“Scialoja, forse non sei venuto per interrogarmi?” Un lampo furbo le illuminò gli occhi e un risolino beffardo le uscì dalla bocca. Gli diede nuovamente le spalle e spense la sigaretta appena iniziata nel posacenere più vicino.
“Mi dispiace, ma oggi non ricevo clienti. Puoi andartene.”
Scialoja le afferrò un braccio e la costrinse a voltarsi.
“Lasciami e vattene.” Gli sibilò contro.
Le prese anche l’altro braccio e la avvicinò al suo volto.
Cinzia lo fissò negli occhi, ferina, cercando di divincolarsi dalla sua stretta che diventava sempre più forte. E più lui stringeva meno resistenza lei opponeva, fin quando non si immobilizzò. Erano sempre occhi negli occhi, ma lo sguardo di lei aveva cambiato umore e intensità.
Scialoja avvicinò le labbra alle sue senza avere il coraggio di unirle. Fu lei a cancellare lo spazio che li separava. Allora fu come svegliarsi.
Perse ogni controllo e le afferrò i capelli dietro la nuca, strattonandola senza incontrare resistenza. Poi le afferrò i fianchi sottili e la scaraventò sul letto.
Cinzia lo fissava e con i suoi occhi lo penetrava e trapassava. Era abbandonata sul letto, i boccoli tutti sparsi senza più un ordine. Le perle della collana erano raccolte in un angolo, tra il collo e la clavicola. Scialoja cominciò a baciare la sua pelle proprio in quel punto.
Cinzia non parlava e non si muoveva. Non lo stava respingendo e tuttavia non lo stringeva, mentre invece Scialoja avrebbe voluto un abbraccio come segno.
Preso dalla rabbia e dall’imbarazzo le diede un morso sul collo, allora lei lo allontanò.
“Dandi…” mormorò, e Scialoja impazzì nel sentirlo nominare.
Le agguantò il volto e riprese a baciarla ma Cinzia non sembrava voler ricambiare; teneva le labbra immobili.
Umiliato, era quasi pronto ad arrendersi e ad andarsene, quando lei gli gettò le braccia intorno al collo e iniziò a baciarlo con intensità.
Incoraggiato da quel gesto, le afferrò il vestito e lo sollevò fino ai fianchi, lasciando che solo la culotte la separasse dalla patta gonfia e stretta dei suoi pantaloni. Spinse il suo bacino contro quello di Cinzia provocandosi un brivido, ma trattenne la foga di ogni gesto.
Voleva andarci piano per distruggerla di desiderio. Cinzia doveva volerlo, e dimostrare questo desiderio che, ne era certo, non era solo il suo.
Condusse le mani fino ai suoi seni e prese a carezzarli attraverso la stoffa sottile, fino a quando non sentì i capezzoli indurirsi sotto il vestito e ancora sotto il reggiseno. Il respiro di lei era sempre più veloce. Si strusciava contro di lui, impaziente che le sue mani toccassero la pelle, quasi inconsapevole della reazione del suo corpo. Tornò così ad occuparsi dell’orlo del vestito. Infilò le mani sotto di esso allungandole fino al reggiseno ma non lo sbottonò, semplicemente lo sollevò oltre i seni. E allora, finalmente liberi, li strinse entrambi. Cinzia soffocò un gemito, persuasa di non dargli alcuna soddisfazione. Allora Scialoja, quasi sfidandola, strinse i capezzoli tra le dita abbandonandoli subito dopo. Cinzia ebbe un sussulto. Così cominciò a torturarla, sfiorandole prima l’incavo tra i seni e poi il ventre piatto, tenendosi lontano da ogni parte sensibile. Non aveva previsto che quel contatto avrebbe fatto impazzire prima di tutto lui. Così, senza pensarci, le tolse il vestito e con questo scivolò via anche il reggiseno. Scialoja si fiondò nuovamente sui seni, questa volta afferrando uno dei capezzoli con le labbra e poi con i denti. Lei tentò di allontanarlo strattonandogli i capelli. Scialoja sapeva di averle fatto male mordendola, ma non gli importava. Riprese a stringerle i fianchi. La pelle era liscia, morbida, e le dita scivolarono quasi inconsapevoli fino al bordo della culotte nera. Un dito oltrepassò il confine, seguito subito dopo da un altro e poi da tutta la mano, che lenta arrivò fino alle labbra.
La bocca di Cinzia tremava, ma gli occhi lo sfidavano senza alcuna intenzione di cedere. Scialoja affondò le dita dentro di lei, punendola per la sua sfrontatezza, per la bellezza, per Dandi e la banda e per tutto quello che avrebbe voluto da lei e non poteva avere.
Si ritrasse colpito in pieno da quei pensieri. Si alzò di scatto e barcollò. Il movimento brusco gli fece girare la testa e quasi le cadde sopra.
Cinzia si era sollevata sui gomiti e lo guardava con gli occhi da cerbiatta tornati di nuovo freddi.
Non poteva andare oltre, non ci sarebbe riuscito, non ne aveva il coraggio. Averla in quel modo l’avrebbe fatta diventare Patrizia e lui non desiderava solo quello da lei; e per questo ne aveva paura e anche la odiava.
Si passò una mano tra i capelli e poi si colpì la fronte con il pugno per smettere di pensare. Infine girò sui tacchi e uscì dalla stanza, lasciando Patrizia ancora stesa sul letto.
Scialoja non era proprio tipo da puttana personale.

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