Buongiorno e buona Vigilia di Natale a tutti!!!
Dopo aver sgobbato e faticato per riuscire a fare in tempo (questa mattina mi sono alzata alle sei lasciamo perdere) posso farvi dono del mio regalo di Natale, ovvero il secondo capitolo di Blackdrift (coro di "che culo...") che è decisamente di una lunghezza esasperante ç__ç.
Auguro a tutti voi un sereno e felicissimo Natale e un divertentissimo inizio di anno nuovo! Spero che sotto l'albero possiate trovare un dploma di laurea per chi lo sta aspettando e un bel contratto di mantenimento a vita per tutti così che possiamo occuparci esclusivamente di cose importanti ed essenziali come i sims u.u
Prima di lasciarvi al capitolo, un paio di cose:
Prima di tutto voglio ringraziarvi per tutti i commenti che mi avete lasciato la volta precedente: vi ringrazio di cuore, non mi era mai successo di riceverne così tanti e sono stati tutti carinissimi, anche troppo! Grazie davvero per esservi sorbiti le mie paranoie e avermi dato fiducia, spero di non deludervi!
In secondo luogo, siccome la volta scorsa ero talmente agitata che mi sono dimenticata di fare le dovute dediche, lo faccio ora.
Dedico questo episodio a FLAVIA, perchè è una persona specialissima, che sono troppo contenta di aver conosciuto. Oltre ad essere un'incrollabile Regina del Male (leggi: Toby e Christine ç__ç) è anche (e soprattutto direi :P) una persona simpaticissima e gentilissima con cui è un piacere stare insieme.
Dedico questo episodio a CHIARA perchè anche se non lo sa e anche se non mi legge più, è stata lei la prima a sostenermi in questo progetto, quando era ancora una "normale" legacy e mi ha dato un sacco di consigli utili, oltre ad avermi ispirato e affascinato con i meravigliosi Rupe...e oltre naturalmente ad essere una tesorina adorata ci mancherebbe!
Dedico questo episodio a SABRINA-nats perchè prendersi un complimento da lei vuold ire aver fatto il botto e siccome la volta scorsa mi ha praticamente idolatriato io sono ancora qua che piango di commozione. Scherzi a parte le mando un bacione perchè sopprota sempre i miei "posta! posta! posta!" e le mie lamentele da mancanza di autostima.
Dedico questo episodio a SABRINA-ciabby perchè lei è la mia donna commento ed è super tenera!! Sono proprio felice che il tuo sogno (o forse uno dei sogni) stia ormai per realizzarsi perchè te lo meriti e ti auguro tanta felicità (ma non mollare i sim).
Dedico questo episodio a BARBARA perchè sta attraversando un periodo incasinatissimo e io soffro tanto a vederla così ç__ç mi manchi patatina amorosa! Manda subito un Alan qualsiasi al tuo capo e fagli capire che qui io sono in astinenza da fatati e fatata *ç*
Dedico questo episodio a MYRIAM perchè l'altro giorno abbiamo rispolverato l'album dei ricordi e sono andati giù fiumi di lacrime XD la mia tesorina che mi segue dagli albori, da quando facevo foto senza tirare su i muri (lo fai ancora adesso idiota) e usavo solo CC di simscri (orrore e raccapriccio) e soprattutto l'ha smepre fatto non solo simmicamente ;)
Dedico questo episodio a ERICA perchè facciamo colazione insieme ogni mattina e scopriamo sempre un sacco di cose in comune (faremo una festa per questo :PPPPPP), perchè spero che risolva presto tutti i suoi casini perchè già mi mancano i Fine ma soprattutto lei anche se ci sto chattando in questo stesso momento.
Infine dedico ovviamente questo episodio a GIULIA, la mia sposa. perchè è la sposa punto e basta non è che servano particolari motivazioni....a meno che non vogliate che riporti tutta la prolissa dichiarazione amorosa che le ho fatto in Lui l'uomo ideale...oppure potrei semplicemente dire che è meravigliosa noi non saremo che feccia senza di lei *_*
Vi voglio bene stelline mie, vado avanti a lacrimucce e stronzate e mi dimentico di dirvi di andare sotto al cut.....
Ok la sintesi non è il mio forte. Solo un secondo per i credit e poi vi lascio al cut, giuro.
-Casa Scott è scaricata da GoS (farò un post di credits con il link preciso) ma arredata completamente da me
-Casa Mc Fly è costruita e arredata da me
-Casa Bradley è del gioco ma arredata da me
-Erica è di
justka “Can anybody find me somebody to love?
Ooh each morning I get up I die a little
Can barely stand on my feet
(take a look at yourself) take a look in the mirror and cry (and cry)”
Freddie Mercury era nella sua camera e aveva cominciato a cantare, l’espressione ambigua e la voce potente come…il trillo di un telefono??
Larry Mc Fly sbattè le palpebre e mugugnò.
Niente Freddy Mercury, niente show improvvisato nella sua camera e pure niente telefono. Era quella cazzo di sveglia che, chissà perché, era stata messa in funzione.
Mugugnando nuovamente, con la bocca impastata di birra e di sesso, si tirò su a sedere scansando con ben poca grazia la ragazza seminuda che gli stava sdraiata accanto.
Senza neanche sforzarsi di ricordarne il nome, qualcosa con la “E” comunque, sbadigliò e cercò di ricomporre il senso della propria esistenza partendo con il chiedersi per quale oscura ragione quella sveglia aveva interrotto la sua dormita: mancavano ancora dieci minuti a mezzogiorno porca misera!
Larry Mc Fly era nato e cresciuto a Blackdrift da una normale famiglia di impiegati, fratello minore di tre adorabili, pestifere sorelle, che gli avevano permesso di conoscere precocemente tutti i possibili segreti, desideri, pregi e difetti delle donne del mondo.
Era proprio grazie alla convivenza forzata con quattro donne in casa (suo padre, molto anziano, era morto di infarto quando il ragazzo aveva sedici anni), se Larry era diventato uno degli amanti più appetibili dell’intera cittadina.
Larry amava tutte le donne, di qualsiasi forma, colore o inclinazione: era innamorato di ogni donna con cui andava a letto, non poteva esistere sesso senza amore…sebbene questo amore non possedeva necessariamente la regola di durare fino al pomeriggio seguente. Larry era gentile con le sue ragazze alla mattina e non ingannava nessuna con false promesse di impegni duraturi alla sera: si sentiva molto onesto e pacifico in questo.
E poi, c’era una cosa che Larry amava più di tutte le donne del mondo messe assieme…probabilmente anche più dell’unica donna della sua vita. La musica. O più precisamente, il rock.
Aveva sei anni quando per Natale gli regalarono la sua prima chitarra: un affarino per bambini con quattro corde che Larry quasi sfibrò a furia di usarla tutti i pomeriggi. Poi era arrivata quella vera, acustica, comprata con i soldi risparmiati delle paghette e con lei arrivarono i Sex Pistols, i Rolling Stones e i Pink Floyd, cd e vinili comprati in svendita, rubacchiati o prestati.
In piedi sul suo letto Larry dava inizio al grande concerto della sua vita.
Ormai mezzogiorno, i raggi del sole autunnale filtravano appena donando una lumonosa motivazione del profondo amore che aveva provato per la donna al suo fianco la sera precedente.
Ciondolò verso il bagno e, buttati i boxer sul mucchio di vestiti lì accanto, si trascinò sotto la doccia aprendo il getto d’acqua fredda.
***
“Lord what you’re doing to me
I have spent all my years in believing you
But I just can’t get no relief Lord!
Somebody, oh somebody, Somebody, oh somebody
Can anybody find me somebody to love?”
Kamilah Tabara era rimasta a singhiozzare impotente sul corpo sanguinante della madre per lungo tempo. Nessuno si era più fermato e una volta trascorso l’orario di punta la strada si era fatta deserta. Jala Tabara mormorava flebili parole di conforto alla figlioletta ma ben presto fu troppo debole anche per questo.
Quando l’ambulanza arrivò, evidentemente chiamata da qualcuno i cui rimorsi di coscienza avevano funzionato a dovere, era ormai troppo tardi.
Gli infermieri avevano detto a Kamilah di farsi da parte mentre loro "intervenivano". Uno dei medici doveva però essersi reso conto che quella non poteva essere che la figlia e chiamò immediatamente l'unica persona incaricata a occuparsene.
L'assistente sociale cercava di trascinare Kamilah via con sè.
-Yaai! Dèedèet! Dèedèet! Topal faa lè jigèen gnaw!! (Mamma! No! No! Vaffanculo brutta donna!)
-Non fare così! Sono tua amica vieni, vieni ti porto in un posto sicuro…smettila di gridare…insomam falla finita! -sbuffò la donna esasperata dal categorico rifiuto a seguirla di quel piccolo demonio.
Kamilah trattenne a stento un paio di singhiozzi. Stavano portando via la sua mamma. Gliela avevano rubata quei tizi con la veste bianca, la stavano chiudendo dentro quell camion e avevano mandato quella vecchia signora a rapire anche lei. Mamma l’aveva detto che poteva succedere e che doveva stare attenta.
Divincolandosi, mordendo e graffiando si liberò di quella strega che la tratteneva e prese a rincorrere l’ambulanza.
***I work hard every day of my life
I work till I ache my bones
at the end…
I take home my hard earned pay all on my own
and I start to pray
till the tears run down from my eyes
Lord somebody, ooh somebody
please can anybody find me somebody to love?
Ernest Scott curava i fiori.
Estirpava le erbacce, toglieva i boccioli ingialliti, annaffiava le radici e accarezzava, distrattamente, i petali dei fiori.
Aveva svariati tipi di fiori diversi nel suo giardino ma più di tutti amava prendersi cura delle dahlie.
Poi entrava in casa e impastava il pane in piccole pagnotte che lasciava lievitare sul davanzale della finestra.
Una volta alla settimana Ernest cominciava prima a impastare e poi usciva in giardino.
Preparava i croissant e li dorava in forno.
Quando erano pronti li metteva a tavola e li fissava. Qualche volta ne mangiava uno. Qualche volta ne regalava un paio al ragazzo dei giornali. Più spesso li sbriciolava tutti per gli uccellini passanti.
Usciva in giardino e terminato il controllo quotidiano delle dahlie, con attenta osservazione, ne sceglieva una e la recideva con mano esperta. La portava a sua moglie.
Faceva così da dodici anni.
Anche quel giorno aveva preparato i croissant e la loro dolce fragranza si spargeva per tutta la cucina fino al giardino mentre lui sceglieva la dahlia più bella.
Doveva essere stata l’aroma delle brioches ancora calde ad attirare la piccola e terrorizzata Kamilah verso quella casa. Con gli occhi ancora gonfi di pianto si era messa sul cancelletto e fissava avida la finestra da cui proveniva quel profumino.
Quando Ernest si voltò e la vide, rimase immobile per qualche istante. In dodici anni nessuno, niente aveva mai interrotto le sue abitudini matuttine e anzi, a dirla tutta, niente aveva mai cambiato così radicalmente l’immagine del suo giardino, della sua casa, del suo quotidiano, come la visione di quell’esserino nero attaccato al suo cancelletto.
Bastò poco per intuire chi avesse di fronte. La più giovane delle due donne straniere arrivate un paio di mesi prima. Perfino lui, così poco avezzo alle mondanità e così restio nell’uscire di casa, aveva avuto modo di cogliere le chiacchiere, i borbottamenti, le lamentele e le cattiverie con cui gli abitanti di Blackdrift si esprimevano nei loro riguardi.
Lui non le aveva mai viste e francamente se ne era ben guardato dal mettersi in mezzo. Aveva un pessimo rapporto con gli abitanti di Blackdrift: tredici anni prima sua moglie Emily si era gravemente malata, tanto da non riuscire più, mano a mano che i mesi scorrevano, a curare le dahlie, lavorare a maglia e impastare i croissant.
Ernest si era trovato di punto in bianco, solo, a badare alla casa, fare avanti e indietro dall’ospedale, assistere il grande amore della sua vita che si spegneva a poco a poco.
Nessuno venne ad aiutarlo, tantomeno a consolarlo.
Ernest ricordava con nitidezza le occhiate curiose e maligne della gente, i rimbrottii e i commenti acidi. Nessuno era disposto ad aiutare quella coppia di vecchi matti, dove si mormorava che lei fosse una strega perché faceva sempre discorsi strani e rifiutava le medicine preferendo curarsi con erbe e decotti preparati da lei. La sua malattia non era altro che la punizione per i suoi atti oscuri, la dimostrazione che lei non era affatto la buona cristiana che rispettava le leggi di Dio e la decenza morale. Quella malattia, e il bambino che non aveva mai avuto. Lo sanno tutti che la sterilità è la punizione divina per eccellenza.
Quanto chiusa e medievale era ancora la vera natura della tanto modernizzata e acclamata Blackdrift...
Quella bambina e sua madre non dovevano aver ricevuto un trattamento migliore.
-Dov’è tua madre?- chiese alla bambina.
Kamilah lo fissava, muta.
-Non sei con tua madre?- riprovò Ernest a voce un po’ più alta.
Ancora nessuna risposta.
Con un sospiro, Ernest fece una cosa che non aveva mai fatto…qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di fare in dodici anni.
Aprì il cancelletto e fece cenno alla bambina di seguirlo; la guidò fino alla sala da pranzo e le indicò la sedia. Si sedette.
Andò in cucina, prese una brioche e gliela diede.
Le portò anche un bicchiere di latte. Trangugiò tutto voracemente, come se non mangiasse da giorni. Ernest la guardava, in silenzio, quando suonarono alla porta.
-Buongiorno signor Scott sono l’agente Kalson, mi scusi se la disturbo a quest’ora…probabilmente lei stava pranzando ecco…solo che io sto facendo un’indagine…cioè non è proprio un’indagine è che..
-Che cosa vuole?
L’agente Kalson quanto a spigliatezza doveva essere al suo primo incarico, ma sotto lo sguardo burbero di quel vecchio si sbrigò in tutta fretta a spiegare il motivo della sua visita, ovvero la ricerca di qualcuno…
-…e così la bambina è scappata e le assistenti sociali ci hanno segnalato l’emergenza…la stiamo cercando per tutta la città. Non conosce una parola della nostra lingua, non è iscritta alla scuola, non ha altri parenti qui in città a quanto ne sappiamo…e chissà se ha capito che sua madre è morta poverina…quindi ecco se lei dovesse aver visto qualcosa o sentito…la prego di contattarci immediatamente a questo numero.
Ernest prese il biglietto che l’agente gli porgeva e se lo mise in tasca.
-Molto bene, se è tutto…-fece per chiudere la porta ma quella lo bloccò.
-Aspetti! È proprio sicuro di non aver visto nessuno? All’assistente sociale di turno pareva che la bambina fosse scappata in questa direzione e…
-Agente Kalson, ho settantaquattro anni ma sono ancora perfettamente in grado di guardare alla finestra e rendermi conto di cosa vedo. Buona giornata.
Detto questo, chiuse la porta in faccia a quell’irritante giovanotta e tornò in cucina.
Kamilah era rimasta seduta come l’aveva lasciata e lo fissava, silenziosa.
Era l’orfanotrofio ciò che spettava a quella bambina. Uno dei suoi più grandi amici di gioventù ci era stato e gli aveva raccontato orrori indicibili. Certo i tempi ormai erano cambiati e con tutta quelal storia die diritti dell’infanzia probabilmente anche quei posti erano diventati istituti rispettabili. E poi perché aveva fatto entrare quella bambina? Perché continuava a tenersela dentro, a nasconderla in un certo senso? Cosa aveva da spartire lui con un esserino del genere, che a occhio e croce non arrivava ancora agli otto anni e che non spiaccicava una parola di simlish?
Ernest scosse la testa. Avrebbe fatto quella telefonata.
***Every day I try and I tray and I tray
but everybody wants to put me down
they say I’m going crazy
they say I got a lot of water in my brain
Ah, got no common sense
I got nobody left to believe in
O Lord
ooh somebody, ooh somebody
can anybody find me somebody to love?
Solitamente i migliori giorni dell’anno scolastico sono il primo e l’ultimo anche se, secondo Fauve, erano ancora meglio quelli in cui, molto semplicemente, bruciava le prime tre o quattro ore.
Alla High School sembrava avessero voluto rendere un inferno anche quel primo, sacrosanto, giorno di scuola con una interessantissima riunione in Aula Magna per i bla bla di benvenuto nell’istituto, un ripassino del regolamento e qualche altra stronzata sull’educazione e il potere della conoscenza. Quantomeno Fauve aveva fatto in modo di recuperare una mezz’oretta di sonno.
La preside sembrava uscita dritta dritta dal museo delle cere e Fauve era pronta a scommettere che il suo discorso sarebbe stata la parte peggiore della mattinata…se non fosse che una volta entrati nelle rispettive classi a loro era toccata la nuova insegnante di letteratura.
Fauve era ancora sconcertata: quella pazza non solo aveva insistito affinchè facessero “un bel giro di presentazioni con i nostri nomi” ma si era pure fatta raccontare da loro il programma sostenuto l’anno precedente, domandando a Fauve se anche lei, nella sua scuola precedente aveva trattato gli stessi argomenti. L’aveva fissata stralunata: che cazzo poteva ricordarsi lei di cosa aveva fatto l’anno scorso di una materia così inutile e noiosa come letteratura??
Fortunatamente quella si era poi persa a esporre il programma che intendeva affrontare quell’anno e altri bla bla bla.
Gli insegnanti che il primo giorno di scuola non si limitano a dire di “non fare troppo casino” andrebbero aboliti per legge.
-Papà!!! Sono a casa!!- gridò Fauve entrando in casa.
La cucina era nelle stesse condizioni del giorno precedente…avergli messo la sveglia non doveva aver funzionato cazzo! Suo padre era un caso perso…peccato che gli volesse così bene.
Andò verso la sua camera e lo chiamò di nuovo aprendo la porta.
-Papà svegliati dai sono tornata a….MA CAZZO PAPA’!!!!!
Fauve e la donna seminuda in camera di suo padre urlarono quasi contemporaneamente mentre suo padre pareva aver interrotto il suo tentativo di andarle incontro per bloccarla a metà strada…
-Pa...papà???-borbottò sconvolta e arrabbiata la donna.
-Cazzo papà potevi almeno farla rivestire PRIMA che io venissi a casa!!! Ti ho messo anche la sveglia apposta così potevi spedire via la tua scopata di ieri sera e magari davi una sistemata a quel lerciume che c’è in cucina…
-Oh mi dispiace tesoro ho fatto fatica a sentirla la sveglia e…su dai non fare l’arrabbiata…ti ricordo che la cucina è in quele condizioni anche per colpa tua eh….
-Si certo…senti tesoro ti vuoi muovere per piacere???? Ho visto abbastanza delle tue grazie per oggi- sbottò in direzione della ragazza che, rossa in viso, ricercava in tutta fretta i suoi abiti tra la mucchia di vestiti sul pavimento.
Mentre quella se ne andava via a testa bassa si poteva ancora sentire Larry che cercava di rabbonire sua figlia Fauve. -Guarda che è molto simpatica, piacerebbe anche a te…si chiama Elena…o forse Erica…
Ma Fauve non lo stava più a sentire. Se ne era andata in camera a cercare un vestito decente con cui cambiarsi quell’orrida divisa.
-Signorina Judith Mc Fly non faccia queste scenate con me e venga mangiare il suo pranzo!!
-Non chiamarmi Judith!-strillò Fauve di rimando, trattenendo un sorriso.
Rinunciò alla sua ricerca e tornò in cucina dove suo padre aveva tirato fuori due panini del giorno prima.
-E tu non chiamarmi papà…lo sai che mi fa sentire vecchio-aggiunse lui sogghignando.
Larry non aveva mai saputo chi era la madre di Fauve (anche se qualche sospetto lo nutriva ancora) e, di conseguenza, nemmeno lei. Gli era praticamente piombata con un biglietto che riportava poco altro che il suo nome, Judith e tutta una serie di ingiurie e appellativi che Larry fingeva di non aver mai letto.
Appena l’aveva guardata aveva però subito capito che fosse sua figlia, senza bisogno di attendere il test di paternità, che comunque per precauzione aveva fatto. L’aveva subito ribatezzata “Fauve”, la rossa, perché quel fagottino dai capelli arancio fiamma era capace di strilli portentosi e di occhiate imbarazzantemente intimidatorie.
Sua figlia, era una vera volpe.
-Raccontami di scuola avanti…
-Che vuoi che ti dica pà…sempre la solita solfa solo che questi c’hanno i soldi ecco. Ah e ho pure una prof di letteratura pallosissima che si è messa a “illustrare il programma che tratteremo”-recitò con toni pomposi-il primo giorno di scuola! Ci rendiamo conto???
Larry rise…se sua figlia stava così al primo giorno non osava immaginare in che condizioni sarebbe arrivata, se fosse arrivata, all’ultimo!
Quando Fauve gli era arrivata in casa, Larry e la sua band, Le Deviazioni, andavano piuttosto forte: un album inciso con una piccola etichetta indipendente, un tour di concerti da panico e il progetto per un nuovo, mozzafiato, singolo.
Nonostante la sua vita sregolata, l'amore per mille donne e la fervida intenzione di viversi giorno per giorno, Larry non esitò a dare un freno ai suoi ritmi per dedicarsi a sua figlia, pur continuando ad accarezzare il sogno del grande successo.
Era però accaduto che a poco a poco le vite private die membri si erano messe in mezzo, gli agganci "giusti" mancavano, la disposizione a svendere la loro musica non era accettata e piano piano anche Larry si era reso conto che quel sogno di gloria non si sarebbe realizzato mai.
Ma non smise di suonare nè di comporre.
Probabilmente Fauve iniziò prima a cantare che a parlare.
E dall'anno scorso le aveva permesso di entrare ufficialmente nella sua band dove i ragazzi l'avevano accolta come la loro mascotte e dove, a tutti gli effetti, aveva portato un tocco in più con quella sua voce potente e graffiata.
Suonavano per divertimento, suonavano per compagnia. Suonavano per un sogno sbiadito e suonavano per rompere le mura di quella schifosa città.
Suonavano per se stessi.
-In realtà ho una notizia che ti tirerà su il morale- le disse tutto eccitato.
-Non sarà un altro mercatino delle pulci vero?? Ti ricordo che l’ultimo vinile che hai portato a casa era talmente rovinato che un concerto di cornacchie avrebbe reso meglio l’idea del gruppo…
-No tesoro niente del genere…ma ti suggerisco di comicniare a smettere di sbraitare da una stanza all’altra al tuo papino o diventerai tu una cornacchia…
-E questo che cazzo c’entra adesso?
-Semplice. Ci hanno chiamati per un concerto.
***
Got no feel, I got no rhythm
I just keep losing my beat
I'm OK, I'm alright
I ain't gonna face no defeat
I just gotta get out of this prison cell
One day (someday) I'm gonna be free, Lord!
Find me somebody to love
Margareth Bradley aveva finalmente realizzato il suo sogno.
Insegnante di letteratura della scuola media superiore, precisamente, nella prestigiosa High School.
Laureata con il massimo dei voti si era spostata qua e là da una supplenza all’altra fino alla grande occasione del colloquio con la preside Deaver la quale, dopo una puntigliosa analisi del suo curricula e un interrogatorio degno dei più bassi film polizieschi, l’aveva assunta con l’ammonizione di essere sotto stretta sorveglianza per un periodo di prova, anche se in realtà era in giubilio per l’onore di un’ulteriore laureata dell’Accademie La tour, che si aggiungeva alla prestigiosa collezione della scuola.
Contratto di assunzione alla mano, Margareth si era precipitata a Blackdrift, nella vecchia casa degli zii materni che, essendo ormai in pianta stabile in giro pe ril mondo, l’avevano subafittata volentieri alla loro “nipotina”.
Adorava quella casa e fin da bambina ci aveva trascorso molti pomeriggi mentre sua madre e sua zia chiacchieravano allegramente in salotto: c’era un laghetto che da piccola pareva un mare infinito, un bel prato verde dove giocare e, soprattutto, la stanza dei libri dello zio.
Pur essendosi trasferita solo a inizio estate, aveva già rifornito e aggiornato quella affezionata collezione e personalizzato lo studio con i suoi hobby e il suo materiale da lavoro. Aveva trascorso l’estate a contare i giorni che mancavano all’inizio della scuola e, alla prima foglia gialla che aveva visto svolazzare a terra, aveva sfoggiato un sorrisone degno del giorno di Pasqua!
Succede poi che più alte ed entusiastiche sono le aspettative, più brusca e dolorosa è la caduta verso il basso.
A difetto della fama, sembrava che la High School fosse semplicemente un ritrovo di giovanetti viziati e capricciosi, per nulla desiderosi di apprendere e avidi di sapere, per nulla estasiati al cospetto di un Monet o un Caravaggio e affatto eccitati all’idea di approfondire finalmente gli intrecci più nascosti dell’Amleto o la rilevanza storico-letterale dei frammenti di Archiloco!
Margareth aveva ricercato invano, tra la sua classe, degli occhi luminosi durante l’esposizione del programma che tanto aveva elaborato e misurato nel corso di quelle settimane, arrivando a elemosinare delle parvenze di cenni di interesse e dovendo definitivamente rinunciare anche a quelle una volta che una ragazza dai capelli imbarazzantemente colorati era riemersa da quella che, se ne rendeva conto ora, doveva essere stata una sonora dormita con un rumoroso sbadiglio.
Ma la signorina Bradley, laurea summa cum laude ricordiamolo, non era certo persona che si lasciava sconfiggere alla prima difficoltà. Avrebbe colmato lei le loro lacune, avrebbe ispirato lei l’amore per i libri e la letteratura, avrebbe riempito lei il vuoto dei cervellini di quelle biondine platinate e avrebbe trasformato lei quegli insipidi figliocci di papà in affascinanti estimatori del dolce stil novo!
Rimaneva solo la ragazza colorata che pareva proprio un caso a parte rispetto alle sue coetanee.
E a parere suo, non era nemmeno altrettanto vuota anzi…Margareth prese in braccio Ofelia, il suo grande amore.
-Che dici Ofelia? Che dovrei fare con quella classe? Con quella ragazza?
La micia agitò le zampette, tutta contenta.
-Bisognerà trovare…un canale di comunicazione alternativo- disse Margareth al suo gatto.
Un sorriso in viso e gli occhi scintillanti e furbi di chi ha appena avuto un’idea brillante.
***