Blackdrift Chronicles 01: L'effetto farfalla

Dec 16, 2010 11:45

Buongiorno a tutti!! No non sto aggiornando il Grande Simmello e sì, potete tirare un sospiro di sollievo perchè il post dell'eliminazione non è (ancora) pronto.
Sono qui per presentarvi il mio nuovo progetto che è in preparazione da Settembre. Perchè ci ho messo tanto a postare? Perchè milioni di dubbi mi attanagliavano (e lo fanno tuttora) la mente: non ho mai avuto successo a portare avanti due progetti contemporaneamente e quindi mi ero promessa che se mai avessi pubblicato, l'avrei fatto nel momento in cui sapevo che non avrei mai potuto rinunciare al GS. Credo di essere arrivata a questo momento, soprattutto grazie a voi, che mi riempite di commenti carini che mi danno un sacco di coraggio ad andare avanti. Per cui, niente paura, il GS continua, fino alla fine.

Eppure è proprio dal GS che nasce questo progetto: per chi mi segue sa che per la maggior parte delle volte mi diletto a scrivere cose divertenti (o almeno ci provo), che cercano di far ridere o che resentino i limiti della demenza...eppure il mio esordio è cominciato con una sim-storia che tutto aveva tranne il lato comico. E' molto tempo (anni) che desidero anche io scrivere la mia legacy ma ho sempre rimandato, per timore, per dubbi o perchè stavo facendo dell'altro. Più il tempo passava più questa ipotetica legacy cambiava: stile, nome, volto, personaggi.
La legacy si è trasformata in storia, il founder si è moltiplicato. Blackdrift Chronicles, la storia che vi presento, racconta le vite e gli intrecci di tanti, forse troppi, personaggi, alcuni dei quali non compaiono ancora in questo primo capitolo. E' un progetto un pò folle, che mi sta uscendo dalla penna in questi mesi e che mi sta molto a cuore. Non so se ne sarò all'altezza: dopo tanta comicità, avventurarmi nello stile "romanzato", "serio", addirittura nel dramHa mi fa un pò paura e potrei avere delle cadute di stile che vi chiedo di perdonare (già in questo primo capitolo c'è una scena che mi fa storcere il naso e mi chiedo ancora se non sia il caso di cambiare tutto..ma ormai mi è uscita così e magari un giorno vi racconterò come è nata..).

A farmi le pare mentali naturalmente non è solo la scrittura perchè quella è e quella rimane visto che viene dal mio stile, dal mio modo di inventare e narrare...naturalmente sto parlando degli aspetti tecnici: sim, lotti e soprattutto foto.
Ora come tutti voi sapete io sono una CAPRA  a fare le foto sim, a usare le pose, a creare ecc ecc ecc e questo mi fa una rabbia che non immaginate perchè vorrei davvero che la storia fosse accompagnata da scatti decenti....ma per quanto io ci abbia messo tre settimane a fare le prime 30 foto, sono sempre di un livello piuttosto scadente per cui prima di andare sotto il cut volevo avvertirvi ecco :D
Uso meno scatoloni di pose possibili perchè le trovo difficili da incastrare e propendo più per le pose di gioco, non sono ancora abituata a far posare tanti sim contemporaneamente e il lotto in cui si svolge tutta questa prima vicenda è di mia creazione e si vede benissimo: è pieno di errori ma spero mi perdonerete!

Sto parlando tantissimo, si vede quanto sono in ansia? XD Sto per chiudere giuro, solo un'altra cosa: vi chiedo più sincerità possibile nei commenti, niente complimenti che non pensate davvero, niente righe buttate là giusto per gentilezza...vi prego ho bisogno estremo, in questa storia, di trasparenza...per i commenti deficenti c'è il simmello no? XD

Bene, direi che non posso più rimandare...vi lascio con il primo capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate, se non avete capito un cazzo, se faceva schifo, se è meglio che torni a scrivere cavolate :D







« Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo »



Cittadina di Blackdrift, a una manciata di kilometri da Verona Creek, ore 7.55 del mattino. Lunedì.





-Non capisco perché hai tanto insistito che venissi anch’io Tracy…Leonard è perfettamente in grado di cavarsela da solo!
Henry Lockwood sbuffava spazientito ancora una volta, tamburellando le dita sul volante, fermo al semaforo. Si grattò pigramente la guancia sinistra con una mano voltandosi a osservare sua moglie con aria annoiata più per la sveglia fuori programma e la stretta del bottone della camicia che per vera seccatura.



Tracy non distoglieva lo sguardo dalla strada. Compostamente seduta, le mani con le lunghe dita intrecciate appoggiate al grembo, si limitava ad attendere pazientemente la luce verde, rispondendo al marito con le stesse parole ripetute già la sera precedente…e tutte le sere addietro.
-È essenziale che la preside e la maestra di Leonard ci vedano e ci conoscano. È il suo primo giorno di scuola: non possiamo permettere che lo confondano con qualsiasi altro bambino - trasse un lungo sospiro -È un Lockwood e sarà il migliore della classe- concluse voltandosi infine verso il marito.
Tracy usava sempre toni pacati con il marito, quasi fosse lui il bambino della famiglia e bisognasse scandire bene i concetti affinchè li comprendesse.



I Lockwood erano ricchi. E tuttavia facevano parte di quella nuova classe di ricchi: gli imprenditori. Si erano infatti arricchiti grazie ad alcuni investimenti “giusti” e l’aiuto finanziario che la famiglia di Tracy aveva dato a un bonario Henry per sviluppare la sua piccola impresa. Ora, i ferri arcuati per attaccapanni da albergo Lockwood, erano i più venduti su scala nazionale. Non erano perciò considerati una famiglia d’elite, né facevano parte di quella ristretta cerchia sociale che da secoli, a Blackdrift, era rispettata e rimirata da lontano.
“Non ancora” era più precisamente la convinzione di Tracy.
La donna minuta fissava dritto davanti a sé, lo sguardo deciso e duro di chi ha un preciso obiettivo da raggiungere e nessun istante da perdere ad osservare la farfalla svolazzante accanto al suo finestrino.



Dal sedile posteriore, ci pensava Leonard a spalancare la bocca per lo stupore di quello sfarfallio fuori stagione.
Era un bambino timido Leonard, ascoltava silenziosamente gli ostinati capricci di sua madre, ben consapevole di cosa lei si aspettasse da lui. Era una fortuna che a lui, tutto sommato, piacesse studiare e imparare nuove cose. Lo affascinavano i misteri della natura, la perfezione estetica e meccanica di ogni organismo, sia esso vivente o minerale. Trascorreva ore e ore a sfogliare, rapito, le enciclopedie illustrate degli animali e delle piante. Forse proprio per questo fu l’unico, dentro quella macchina, a osservare i colori sfavillanti e le misteriose figure geometriche dipinte sulle ali di quella farfalla anziché la metallica luce del semaforo, ancora rossa.



Fu seguendo il volo della falena, che andò in direzione della fermata dell’autobus, che Leonard si innamorò perdutamente.



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“Porca puttana ho dimenticato l’accendino a casa”.
Judith “Fauve” Mc Fly roteò gli occhi, stizzita, lasciandosi cadere seduta sulla panchina della fermata. Primo giorno di scuola, niente sigaretta del mattino e quest’anno le toccava pure andare in quella scuola di fighetti. Decisamente la giornata non cominciava bene.



Né lei né suo padre, Larry Mc Fly, avevano mai pensato che sarebbe finita in un liceo per ricconi, ma dalla scuola pubblica le avevano gentilmente, per così dire, fatto capire che o si fosse data una regolata con le assenze in classe o non l’avrebbero accettata.
Alla High School avevano un po’ storto il naso davanti alla sua scheda d’ammissione, ma i soldi pronti per il pagamento della prima rata avevano subito spazzato via ogni dubbio, specie visti i debiti accumulati per le spese di ristrutturazione lo scorso anno.
La gran rottura di scatole era che alla High School si doveva mettere la divisa scolastica! Ovviamente Fauve la detestava. Appena suo padre l’aveva vista si era fatto una sonora risata in onore del magnifico contrasto tra l'impeccabile uniforme e la sua chioma multicolor.



Si stiracchiò, sbadigliando rumorosamente per poi seguire con lo sguardo il battito d’ali di una farfalla.
Dietro l’insetto, dal posteriore di una super macchina di lusso, un bimbetto la fissava a bocca aperta e lei lo premiò…con una super linguaccia di lusso e una smorfia che lasciava poco a intendere.



-Excusez-moi…è già passatò le bus pour le centre?
Fauve si bloccò con la lingua ancora mezza fuori per girarsi verso la donna che era appena arrivata. La farfalla le si era posata sulla spalla.



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Eveline Hebert non fece caso all’insetto svolazzante. Era troppo stanca e sciupata dal lungo viaggio per poter far caso a qualsiasi cosa.
Quando era salita sul treno, la mattina precedente, Eveline non era preparata ai sedili stretti, all’odore di chiuso e alla mancanza di aria fresca. E poi i numerosi cambi, le valige pesanti, le coincidenze ridotte…necessitava urgentemente di una doccia e di un letto.



Eppure non era esattamente quello che aveva trovato una volta scesa dall’autobus all’indirizzo che teneva ancora stretto in mano. Era rimasta imbambolata per dieci minuti buoni: era solo un lotto vuoto.



“Niente panico, niente panico” si ripeteva nella testa “c’è sicuramente una spiegazione. C’è sempre una spiegazione. Io ho comprato una casa. Io non ho fatto una giornata di viaggio per niente. Io comincerò la mia vita qui. Niente panico”.



Il panico invece arrivò, poco dopo, una volta fiondatasi dentro l’agenzia immobiliare raggiunta con una faticosa scarpinata che contribuì ad alimentare il suo malumore.
-Si può sapere cos’è questa storia? Le ho dato tutti i miei soldi, fino all’ultimo simoleon! Lei mi aveva promesso un lotto “abitabile”, A-B-I-T-A-B-I-L-E ha capito? Significa che ci posso abitare, che ho un tetto sulla testa! Invece in quel campo non c’è un accidenti di niente! Come cavolo ci vivo io in mezzo alle foglie? Merde!
L’agente immobiliare, un tipo sulla cinquantina dall’aspetto untuoso, l’aveva fissata come un fenomeno da baraccone.
-Signorina ha finito di sbraitare come una scimmia isterica? Siamo un ufficio pubblico e se non si dà una calmata sarò costretto a cacciarla fuori.
Improvvisamente si rese conto si essersi realmente messa a urlare come una pazza.
-Mi…mi scusi ma ho fatto un viaggio lungo e a questo indirizzo la mia casa non c’è…
-Signorina si sieda per piacere…il suo nome?



Eveline aveva deciso di andarsene da un giorno all’altro. Aveva fatto la valigia, comprato il biglietto ed era salita sul treno, dopo aver acquistato tramite internet una proprietà in quella cittadina dall’altra parte del mondo.
Era seriamente convinta di aver risolto tutti i suoi problemi e di aver pensato a tutto.
Venne fuori che non era affatto una grande idea quella di acquistare case o proprietà on-line. Era stata sufficientemente fortunata dal momento in cui l’agenzia del sito web esisteva realmente ma…
-Signorina io credo che ci sia un malinteso…”abitabile” in linguaggio edilizio non significa necessariamente che nel lotto ci sia una casa, ma che sia possibile costruirla…
Eveline era caduta dalle nuvole. Non aveva minimamente preso in considerazione quell’ipotesi, né aveva calcolato possibili disguidi linguistici…peggio ancora, aveva speso tutti i suoi soldi a disposizione per quel pezzo di terra.



Il panico era arrivato e ad Eveline cominciava a girare la testa: aveva chiesto se fosse possibile ricevere un prestito ma sembrava che nessuna banca del mondo vedesse di buon occhio le ragazze senza un lavoro, senza un titolo di studio, scappate di casa all’età del collage e deciso di punto in bianco di cambiare vita affidandosi a un sito web…ma il signore dell’agenzia forse non era così untuoso. Guardò paternalmente quella donna così ingenua e sprovveduta e le propose di prendersi un appartamento in affitto. Non suonava proprio bene: scadenze da rispettare, spazi stretti, vicini di casa, rumori, impicci…



...ma eccola lì Eveline, alla fermata dei bus, pronta a dirigersi verso la sua nuova casa, il suo nuovo appartamento. Sarebbe andato tutto bene. C’era pure una farfalla colorata a rallegrare la mattina. Eveline la seguì con lo sguardo finchè non fu nascosta dall’arrivo dell’autobus.



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Kamilah Tabara era seduta sul ciglio della strada. Con i suoi grandi occhi scuri fissava incantata la farfallina, cercando di acciuffarla allungando le mani.



In Senegal, dove era nata, sua madre Jala a soli sedici anni era rimasta incinta di un gnoolè, un uomo della casta dei griot, gli ultimi ribelli della società. L’uomo era fuggito e Jala, che ancora studiava medicina, si ritrovò improvvisamente senza un soldo in tasca e una bambina da mantenere.
Erano arrivate a Blackdrift qualche mese prima, ma pareva non ci fosse posto per loro in una città così pulita: troppo sprovvedute, troppo straniere, troppo nere.
Kamilah non riusciva a capire perché la sua mamma, così bella e così esperta di guarigioni, non continuasse a fare le cose che faceva al villaggio ed anzi, fosse costretta a “colorare i vestiti di animale”, come lo chiamava la piccolina il lavoro di concia della pelle, inalando vapori, consumandosi le mani e rientrando a casa la sera tardi, sfinita.
Che poi non avevano esattamente quella che si possa definire casa. Avevano trovato un rudere abbandonato e vi si erano insediate. Non avevano potuto fare altrimenti perché quando erano entrate nel “negozio che vende le case” le avevano cacciate fuori dicendo che lì non volevano né zingari né venditori di calzetti o fazzoletti.
Kamilah si era seduta sul marciapiede perché la mamma non era ancora tornata a casa dal giorno prima.



La farfalla cominciò a svolazzare qua e là e Kamilah si alzò per rincorrerla, buttandosi letteralmente in mezzo alla strada.



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La limousine dei Mc Gregor si fermò e sterzò bruscamente. Il loro autista, Tom, suonò il clacson e imprecò.
Lucinda Barry Mc Gregor stava lisciando la gonna dell’uniforme scolastica di Rose e quel movimento improvviso la irritò non poco.
-Che sta succedendo Tom?- chiese a labbra strette.
-Mi scusi signora Mc Gregor ma una bambina si è messa ad attraversare la strada all’improvviso e per poco non ci finiva sotto.



Lucinda inarcò appena un sopracciglio, poi scese dall’auto e si diresse verso la piccola Kamilah.
-Cosa credevi di fare piccola furbetta?-le chiese con voce calma ma gelida.
I grandi occhi neri di Kamilah osservavano quella donna alta ed elegante, con i biondi capelli raccolti.
-Credi che non conosca la vostra tecnica? Far investire uno di voi da una famiglia come la mia per far campare tutta la banda con i soldi dell’assicurazione?



Kamilah continuava a fissare la donna, tacendo. Non comprendeva una parola di quella lingua.



Improvvisamente ritrovò la sua farfallina e il suo volto si illuminò in un sorriso. Prese a seguirla fino a bloccarsi davanti a una piccola copia della donna bionda.
-Che succede mamma? Chi è questa stracciona?-chiese Rose fissando seria la bimba nera.



Kamilah allungò le manine verso Rose, per acchiappare la farfalla che le svolazzava intorno.
-Ehi non toccarmi!-strillò Rose tirandosi indietro, disgustandosi dell’odore che percepiva da Kamilah.



Un rantolio sommesso, sofferente, fece voltare tutti i presenti verso i cespugli al di là della strada. Jala Tabara si trascinava lentamente, con grande sforzo. La canotta imbrattata di sangue.
Rose si spaventò e cacciò un altro urlo andandosi a rifugiare dalla madre che aveva un’espressione di autentico disprezzo in volto.



Kamilah si gettò accanto alla sua di madre, chiamandola con voce strozzata, terrorizzata
-Yaay! Yaay!! Loo def? Loo def?? (mamma! mamma! che succede? che succede?)
-Andiamocene Rose. -Lucinda prese per mano sua figlia la quale docile docile con gli occhietti impauriti la seguì fino alla macchina.



-Mamma ma cosa fai?? Mica possiamo lasciarle lì! Non vedi che quella donna sta sanguinando? Dobbiamo aiutarla!
Nathan Jamie Mc Gregor era sceso dalla limousine non appena aveva intravisto la donna che si trascinava sulla strada. Non aveva avuto intenzione di sorbirsi l’ennesima dimostrazione della perfidia di sua madre scorazzata da quella frignosetta di sua sorella ma questo era veramente troppo.



Quella donna stava rischiando grosso, inutile negarlo: aveva perso un sacco di sangue e Dio solo sapeva perché.
-Nathan Sali in macchina, arriverete tardi a scuola- la freddezza di sua madre era fuori da ogni decenza morale.
-Ma chissenefrega della scuola, chiamiamo almeno un’ambulanza!
Lucinda lo fissò con gli occhi ridotti a una fessura, restando in silenzio per un momento.
-Non sono cose…che ci riguardano. Sali in macchina- una lieve inflessione tradiva l’ira di sua madre.
Con un nodo alla gola, Nathan risalì in macchina.



Mentre sua madre dava ordine a Tom di ripartire, il ragazzo rabbrividiva sentendo la piccola bambina singhiozzare e chiamare la madre “yaay, yaay!”
La farfalla, dal corpo sanguinante di Jala Tabara, volò via.



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