Titolo: "Quel che ho fatto"
Rating: G
Genere: introspettivo
Conteggio parole: 674
Note d'autore: una breve scenetta che ha luogo all'inizio di febbraio 2006. Scritta ispirandomi al prompt 029. Nascita di
fanfic100_ita Draco Malfoy era stato considerato, forse in passato, uno che dalla vita veniva a malapena sfiorato. Uno a cui importava poco di ciò che gli succedeva intorno e che se ne fregava anche di ciò che accadeva a lui stesso, perché, con la superficialità e la faciloneria tipica dei suoi anni di adolescente ricco sfondato, riteneva che qualsiasi problema si sarebbe risolto oliando i cardini danarosi delle tasche di chi contava. Tutto si poteva comprare, in fondo, e d’altra parte non sognava di poter essere più felice di quanto già non fosse, agiato e vezzeggiato, soddisfatto in ogni suo capriccio.
Cinque anni di scuola erano bastati per distruggere questa sua convinzione, e relegarlo al ruolo dell’antagonista, anzi, all’antagonista di secondo piano. Potter aveva preso la sua bella vita e l’aveva sgretolata davanti ai suoi occhi, pezzettino per pezzettino, e lui l’aveva aiutato, lo stupido, gli aveva dato corda, osteggiandolo così apertamente, fino al punto da rendersi ridicolo di fronte a tutta la scuola, fino ad inimicarsi persino i suoi compagni di Casa.
Poi c’era stata la rovina. La guerra, l’umiliazione, l’emarginazione. Aveva perso tutto, persino - quasi - il rispetto di sé. Con Potter aveva scoperto cosa volesse dire rinascere e poi morire di nuovo, tutto in pochi mesi, negli anni che avrebbero dovuto essere i suoi migliori, la sua piena giovinezza. E invece, a venticinque anni compiuti da un pezzo, si trovava ancora sospeso nel nulla. Quel po’ di rispetto che si era riconquistato non veniva certo dalle sue reali capacità; nessuno lo considerava minimamente abile o autorevole. Era ricco, sempre abbastanza ricco da comprarsi il favore di chi gli serviva, ma non abbastanza da ottenerne la stima. Non avrebbe mai riportato il nome dei Malfoy a ciò che era stato ai tempi di suo padre e di suo nonno prima di lui. Aveva una donna che lo adorava e alla quale lui era teneramente affezionato, pur non amandola; d’altronde, avendo provato cosa volesse dire davvero amare, si era ripromesso di guardarsi bene dal ricaderci, ed era comunque certo che quel genere di passione non potesse in alcun modo essere auspicabile, all’interno di un matrimonio.
Insomma, Draco non poteva dirsi orgoglioso del suo primo quarto di secolo. Non aveva fatto nulla di buono, nulla che andasse ricordato. O forse no: quando meno se l’aspettava qualcosa di speciale gli era riuscito. Qualcosa di davvero speciale.
“Hai visto che ho fatto?”
Pansy sorrise divertita, vedendo la buffa espressione di incredulità sul volto di Draco e il suo sguardo un po’ perso.
“Sì, ho visto,” ridacchiò, riportando lo sguardo sull’oggetto di tanta venerazione.
Si chinò un po’ in avanti e, con la cauta delicatezza di una donna due volte madre, passò l’indice piegato sulla gota del neonato che dormiva profondamente nella culla.
“È bellissimo,” mormorò, quasi commossa, sorridendogli poi affettuosamente.
“Non ci posso credere che l’ho fatto io,” ripetè Draco, perso nella sua trance contemplativa.
Pansy rise senza potersi trattenere, questa volta. La sua risata argentina disturbò il bambino, che corrugò le fronte e mosse le labbra. Lei si mise una mano davanti alla bocca per imporsi di tacere, poi inspirò e quando parlò lo fece sussurrando.
“Guarda che l’ha fatto sua madre. Tu ci hai messo ben poco…”
Draco aggrottò le sopracciglia e fu quasi sul punto di distogliere lo sguardo dal figlioletto, poi decise di ignorarla concedendole solo una scostante alzata di sopracciglia. Pansy sorrise e gli passò una mano sul capo, affettuosamente.
“Perché non lo prendi in braccio e non lo porti di là?” suggerì.
Draco scosse la testa.
“No. Ho… Non sono capace, ho paura di…romperlo.”
“Non credo sia possibile,” obiettò lei.
“Meglio non rischiare,” ribattè placido Draco.
Pansy gli mise una mano sul braccio, con delicatezza.
“Allora io vado in salotto. Vieni anche tu?”
“Tra un attimo,” disse Draco, annuendo.
Aspettò che l’amica fosse uscita, poi allungò una mano, come aveva fatto lei poco prima, e passò le dita con leggerezza sul pancino del piccolo, nascosto dalla copertina.
Scorpius Hyperion Malfoy. Sì, suonava proprio bene. Un nome importante. Bello. E l’aveva fatto lui.