[A Game of Thrones] By the love my heart endured (Jon/Robb)

May 13, 2011 23:10

Titolo: By the love my heart endured
Fandom: A Game of Thrones
Personaggi/Pairing: Robb Stark/Jon Snow, Spettro ♥, nominée un po' di ragazzi della Night's Watch, quindi Grenn, Pyp, Toad, Sam
Rating: R
Conteggio Parole: 1137 (fidipu)
Avvertimenti: slash, angst, mmom_italia (quindi mi capite)
Note: Va di pari passo con Every piece of me will be consumed; o meglio, anche no, però i titoli si completano, quello sì *ride* Peraltro, li ho rubati (i titoli) ai Noah & the Whale (~ Do what you do).
- CIAO! Stavolta questa è più propriamente telefilm-oriented, i miracoli a volte accadono. LOL.
- Solita storia del fatto che sono una capra viziata e coi nomi dei luoghi mi regolo come mi pare *muore*
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.

~ By the love my heart endured.
(every piece of me will be consumed)

Il gelo non è la cosa peggiore, sul Muro, e neppure il celibato, checché ne pensi Grenn. Molto spesso Jon pensa che, per la verità, non c’è niente che sia particolarmente difficile o insopportabile, in questa sua nuova vita, a parte Ser Allister, naturalmente; è l’insieme che li fotte, ecco tutto, ma per quello basta un po’ d’abitudine.
Quasi nessuno sembra condividere la sua opinione, comunque, ma Jon non è particolarmente seccato, perché è sempre più facile negare una spiacevole verità, piuttosto che affrontarla, ha detto il nano dei Lannister, e a ragione. E se Grenn, Pyp e tutti gli altri sembrano trovare grande consolazione nel lagnarsi continuamente per ogni cosa, perché Jon dovrebbe insistere per convincerli a smettere? Non gli danno fastidio, non per davvero: tutto sommato è divertente ascoltarli battibeccare come cretini ad ogni momento su sciocchezze immani, per esempio su quale sia il modo migliore per scaldare un letto, se una manciata di carboni ardenti sotto il materasso o una rossa focosa tra le lenzuola.
Eppure, stasera a cena forse è stato oltrepassato un qualche limite. Toad dev’essere entrato in calore, o almeno così l’ha preso in giro Grenn, perché per tutta la giornata non ha fatto altro che parlare di donne, femmine, delle loro forme più morbide e di quello che avrebbe fatto se solo ne avesse avuta una tra le mani, anche la più laida e zoppa. E l’argomento ha preso piede, quando si sono ritrovati tutti infreddoliti e stanchi attorno alla tavolata, al punto che Jon si è trovato circondato da così tanti racconti di prostitute e vergini incontrollabili e amplessi improbabili che gli sembrava di essere in un bordello o in un’osteria, piuttosto che nel Castello Nero, e se n’è andato lasciando più di mezza cena nel piatto, con Spettro a calpestargli l’ombra e lo sguardo preoccupato di Sam appiccicato alla schiena.
È scappato a rifugiarsi nella sua stanzetta, come un codardo della peggior specie, perché per stanotte non ha la ronda e nessuna sentinella da tenere, e ha acceso subito il fuoco perché si sentiva tremare. Ci si è accoccolato davanti, e saranno passate almeno due ore da quando è corso via ma ha ancora le orecchie piene delle allegre battutacce dei suoi fratelli, ha ancora davanti agli occhi l’immagine dei seni bianchi della prima vergine con cui Toad sostiene di aver sfondato un letto.
Spettro sonnecchia sulla sua branda, e per un po’ Jon lo osserva, tentando di scacciare i ricordi spiacevoli del suo primo, unico, fallimentare tentativo di avere una donna. Stringe le braccia attorno alle ginocchia, strisciando sul ghiaccio per avvicinarsi ancora un po’ al fuoco, ma il calore delle fiamme sulle guance lo distrae e gli riporta alla mente il tepore soffocante di quella stanza al bordello, il profumo della pelle di Roz, il suo sorriso, e Jon si preme le mani sul viso per scacciare il ricordo, perché non ha bisogno di questo adesso, non ne ha davvero, davvero bisogno.
È tardi, tuttavia, perché la stanza è tiepida per il fuoco e il braciere in un angolo e Jon sente un calore fin troppo familiare raccoglierglisi in una polla densa sul fondo dello stomaco.
«Déi,» mugugna, reclinando all’indietro il capo contro la parete, e quando chiude gli occhi e un’immagine molto precisa torna a tormentarlo può solo mordersi le labbra e allungare un pochino una gamba, intrufolando una mano sotto il mantello a sfibbiare la cintura e poi ad insinuarsi oltre i pantaloni pesanti che indossa. «Déi.»
A Sam non ha raccontato tutta la verità, e come avrebbe potuto? Quello che Jon custodisce sul fondo del petto è un segreto troppo umiliante anche solo per lui da pensare, non gli salterebbe mai in mente di rivelarlo ad anima viva.
Jon chiude gli occhi e sospira tra i denti, stringendo il pugno attorno al proprio sesso già semieretto e strofinandolo spiccio, le dita un po’ troppo fredde che si scaldano in fretta. Il punto è che in quel bordello a tormentarlo non c’era solo il terrore di mettere al mondo un figlio illegittimo, - Jon si spinge più pienamente contro il palmo della propria mano e geme, distrattamente grato di aver scelto una stanza in un punto così isolato del Castello, - un altro bastardo da condannare ad una vita ben più misera della sua, - risale con le dita dalla base alla punta e poi giù e poi su di nuovo, respirando più piano che può, dondolando impercettibilmente i fianchi, - il fatto è che quando quella ragazza si è spogliata, regalando ai suoi occhi le spalle candide e i seni rotondi, la vita stretta e la curva perfetta delle cosce e la sua femminilità già umida e scoperta, - Jon si morde le labbra fin quasi a farle sanguinare, sollevando il bacino e piantando la mano libera ben aperta contro il pavimento, cercando un po’ di equilibrio, e il fuoco in mezzo alla stanza gli brucia sulle guance, ora, gli brucia dentro lo stomaco, - quando lei gli si è offerta lui si è sentito tremare, si è sentito morire di paura per un momento, sì, perché Grande Inverno non ha bisogno di un altro Snow, ma la paura si è dissolta in un attimo per far posto ad una vergogna grande come un lago, più grande, adesso Jon lo sa, più grande del Muro stesso, più grande delle terre al di là, - Jon geme, le gambe ormai spalancate e la punta in fiamme del suo sesso che sfrega in una tortura dolcissima contro la stoffa ruvida dei pantaloni, e si costringe a muovere le dita più piano, non vuole che finisca, - e la vergogna era lì, abissale e grandissima sulla sua testa perché Jon guardava quella ragazza bella e perfetta e pensava, non mi piace per niente, pensava che non c’era nulla di bello nel suo viso rotondo e femminile, nelle sue labbra dipinte o giù tra i suoi seni o sulla sua pancia piatta, sulla sua pelle candida, - Jon inarca la schiena di scatto e geme, «Robb,» dice, la voce calda e impastata ed è quasi un singhiozzo, e adesso c’è una frenesia urgente negli scatti all’insù dei suoi fianchi, - pensava che non avrebbe mai fatto l’amore con un corpo così, che quella ragazza avrebbe dovuto rivestirsi e piantarla di darsi tante arie perché tutte le sue curve e le sue morbidezze e i suoi occhi sgranati non erano nulla in confronto ai muscoli affusolati e agili del corpo di Robb, al suo sorriso scanzonato, alla sua risata, poi, o allo spigolo forte dei suoi fianchi.
Jon viene con un’ultima spinta contro il proprio pugno chiuso, mordendosi le labbra per non gridare, e rimane con gli occhi chiusi e le spalle curve all’ingiù, una goccia di sudore che gli rotola lungo la guancia proprio come se fosse una lacrima, assurdamente esausto, arrabbiato, e senza fiato.

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