[RPF] When you were here before... (8/14)

Apr 15, 2011 22:06

Titolo: When you were here before, I couldn't look you in the eye
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Xabi Alonso/Steven Gerrard, Alvaro Arbeloa, Raul Albiol (hints Arby/Alby), Jamie Carragher, Andy Carroll/Martin Skrtel, Pepe Reina, Rafa Benitez, Daniel Agger, Alex Curran, guest starring Carlos Bocanegra e la madre di Xabi, nominée Peter Crouch, Cristiano Ronaldo
Rating: PG14
Conteggio Parole: 4234 (fidipu)
Prompt: fandom!AU, per l' ottava settimana della Cow-T di maridichallenge.
Avvertimenti: slash, fandom!AU, menzioni di violenza
Note: Ciao, sono l'ennesima follia della Kya e sono una fandom!AU tra il calcio e Whip It! Che se non sapete cosa sia, beh, è un (bel) film sul roller derby in cui recita Ellen Page! *ridemuore*
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.

~ When you were here before,
I couldn't look you in the eye.

Il soprannome da battaglia di Xabi è una cosa ridicola di cui lui si vergogna pure un po’, e Àlvaro naturalmente lo tormenta sull’argomento in continuazione, a scuola, al lavoro, mentre studiano assieme e ogni volta che può, perché che razza di migliore amico sarebbe, altrimenti?
Per la verità, quasi tutti i soprannomi della squadra fanno schifo, perché alcuni li ha affibbiati l’allenatore in persona e gli altri sono figli diretti della fantasia malata di Pepe, autoproclamatosi The Great Pumpkin perché, beh, è un attimo calvo, ed è un attimo paurosamente patito dei Peanuts, bontà sua. L’unico con un nome davvero figo è Daniel, noto al pubblico come Bloody Dagger, per una curiosa combinazione del suo nome e cognome e del suo intercalare preferito; e Xabi sperava davvero di riuscire ad avere un nomignolo quantomeno decente, ma vista la fortuna che ha sempre avuto con i nomi d’arte - quand’era un boyscout l’avevano ribatezzato Cerbiatto Competente, e non era neppure uno scherzo, - avrebbe fatto meglio a lasciar perdere ogni vana illusione.

*

«Ed ecco che partono i jammers, partiti, partiti, partiti, sono paaaaaartiti! Cristiano Ronaldo è in testa e sorpassa uno, due, tre avversari ma, ooooh! Una bella gomitata di Bloody Dagger lo mette fuori combattimento ed ecco il novellino che recupera terreno! Tenete i vostri occhi ben piantati sul numero quattordici, signore e signori, perché potrebbe riservarci qualche bella sorpresa! Sicuramente più bella di quella che mi sono ritrovato io ieri sera nel letto... tesoro, se sei all’ascolto, Esmeralda non è un nome da transessuale, non era per niente chiaro!» Carlos Bocanegra, commentatore ufficiale di tutti i roller derby di Austen, Texas, si sbraccia nel centro della pista, e le sue espressioni sarebbero spettacolari, se solo qualcuno fosse interessato a guardare lui piuttosto che i dieci ragazzi in pantaloncini e pattini che si prendono a gomitate sulla pista.
Intanto Xabi ha i polmoni in fiamme e sta dribblando un blocco dopo l’altro, collezionando lividi sulle gambe che gli dureranno per mesi e più punti di quanti la squadra ne abbia messi insieme finora.
«DODICI! Sono dodici i punti che il ragazzino si porta a casa, lasciando a bocca asciutta il povero Cristiano Ronaldo e qualcuno potrebbe voler spiegare al campione dei Real Rollers che il senso dei soprannomi è incutere terrore negli avversari...!»
Xabi non riesce a frenare in tempo e si schianta contro la panchina, che lo accoglie in un abbraccio esaltatissimo e Pepe se lo carica in braccio e lo porge alla folla come se fosse un piccolo Simba, come se avessero vinto il torneo, e invece hanno solamente pareggiato. L’euforia però c’è tutta, persino Rafa sembra un po’ contento, sebbene nessuno abbia ancora voluto dare un’occhiata ai suoi geniali schemi d’attacco e difesa, e Xabi si ritrova a ridere come un matto, in equilibrio molto precario sulle spalle di Pepe, e saluta quasi con imbarazzo la folla in visibilio. Spera di non abituarsi mai a questa scarica di onnipotenza ogni volta che combina qualcosa di buono sulla pista, perché è quello che lo sta facendo innamorare perdutamente del roller derby.
È il suo esordio, e non potrebbe sentirsi meglio di così.
«Esatto, signore e signori, fate un bell’applauso al vostro novellino dai piedi d’oro, che per la prima volta nella storia del roller derby ha portato i Reds al pareggio!!» strilla Bocanegra, ed effettivamente è un evento, dai. «Il suo nome resterà nella storia, perlomeno per i prossimi venti minuti! Signore e signori, pattina come una farfalla, punge come un’ape-- Classiuuuuuuuuuuuus Clay! Sentito, Ronaldo? Questo sì che è un soprannome coi controcoglioni!»
E Xabi avrebbe preferito davvero che non ricordasse a tutti quanti il suo schifo di nomignolo, principalmente perché sugli spalti - proprio davanti a lui, in linea d’aria, seduto due posti più in là di Àlvaro, - c’è il vocalist barra chitarrista del gruppo di Carra, questo ragazzo con gli occhi blu che, incidentalmente, a Xabi piace da morire, ma, ehi, gli pare che stia sorridendo con una certa soddisfazione, e proprio verso di lui, perciò, d’accordo, se ne farà una ragione.

*

Alla fine perdono di un punto soltanto, e Xabi non ha tanta voglia di festeggiare, perciò chiede ad Àlvaro di riaccompagnarlo a casa, anche se ha visto Carra e il suo gruppo avviarsi verso casa di Bocanegra e c’era il tipo con gli occhi blu che molto probabilmente lo stava guardando.
Davvero, Xabi, faresti meglio a non farti illusioni.

*

Àlvaro non capisce e, d’altra parte, come potrebbe? Xabi stesso fa fatica, e lui è quello che ogni settimana s’infila i pattini e sfreccia per chilometri su una pista ovale piccolissima per farsi prendere a gomitate nel costato da tizi che, nel migliore dei casi, hanno almeno tre o quattro o cinque anni più di lui.
Il roller derby è un’arte, e Àlvaro non la capisce, e Xabi neppure; Àlvaro ne ha paura, Xabi no, e sta tutta qui la differenza: sta tutto qui il motivo per cui Xabi riesce a buttarsi nella mischia e Àlvaro resta a guardarlo dagli spalti, strillando quando Xabi finisce riverso per terra con un labbro spaccato o una costola incrinata, e strillando pure quando riesce a mettere a segno quattordici punti in un solo round, che è veramente un record, per la sua squadra di sfigati dimenticati da Dio.
L’allenatore di Xabi si chiama Rafael, ma lo chiamano tutti Rafa, ed è così tondo che è quasi un miracolo che riesca ad andare in giro su ruote senza farsi sbilanciare dalla pancia ogni tre passi. È una specie di genio tattico, comunque, ma non importa a nessuno dei suoi ragazzi, perché quando sei pieno fino a scoppiare di testosterone e adrenalina, sinceramente, te ne fotti di vincere, ti basta pattinare come un forsennato finché ti reggono le gambe, per sfogare un po’ di stress. Anche per Xabi è così, ma non è che lo ammetterà mai.
I Red Rolling Liver Birds, questo il patetico nome della loro patetica squadra, che ha persino un inno ufficiale, Dio abbia pietà di noi tutti, You’ll Never Skate Alone, anche se nessuno ha mai capito cosa se ne facciano, non è che ci siano molte occasioni per cantarlo, visto che sono dei perdenti cronici, insomma, i Red Rolling Liver Birds, meglio conosciuti come Reds e basta, sono un’accozzaglia di adolescenti con gli ormoni in subbuglio, seri problemi irrisolti con i genitori e pessimo gusto in fatto di musica. E poi c’è Jamie Carragher, affettuosamente detto Carra, che è tutto questo e anche di più, ha ventitrè anni e nella vita fa il bassista per un gruppo che sta incidendo il suo primo album. E sono sei mesi che stanno incidendo, ma non importa a nessuno: Carra è il più figo di tutti loro, e in virtù di questa evidente superiorità è stato nominato capitano della squadra, fin dall’alba dei tempi.
Àlvaro è forse l’unico sostenitore degno di questo nome che i Reds abbiano mai avuto, ed è davvero carino, da parte sua, continuare ad accompagnare Xabi ai derby anche se il gioco lo terrorizza e la birra che vendono sugli spalti fa schifo davvero. È davvero carino, da parte sua, fare il tifo come un forsennato, ed essere triste davvero ogni volta che i Reds perdono, il che capita tremendamente spesso. Ma soprattutto è davvero carino, da parte sua, non aver fatto la spia ai genitori di Xabi, e non aver detto niente a nessuno, proprio nessuno nessuno, delle nuove abitudini sportive del suo migliore amico. Non che Àlvaro sia esattamente circondato di persone che muoiono dalla voglia di sentirlo blaterare sui modi molto originali in cui trascorre il suo giovedì sera, sia chiaro, però, ehi, avrebbe tranquillamente potuto farsi sfuggire qualcosa con sua sorella, che sicuramente l’avrebbe detto a sua madre, che ci avrebbe messo un secondo netto a chiamare a casa di Xabi e rovinare tutto.
Perciò, Àlvaro magari non capisce la bellezza del roller derby, ma è un amico fantastico, e Xabi gli è grato davvero.

*

«Ieri sera ho visto di nuovo quel tipo lì, alla partita,» gli dice Àlvaro, un venerdì pomeriggio, al lavoro. Xabi sta oziando dietro il bancone della tavola calda, o meglio, in teoria sta studiando per la sua prossima gara di dibattito, ma in pratica sta sognando ad occhi aperti, e continua a scarabocchiare ometti col corpo di bastoncini ai margini del suo libro di testo. «Xabi? Terra chiama Xabi Alonso, amico, ci sei?»
«Hmmm,» mugola lui, distratto, la testa appoggiata al pugno chiuso e nessuna voglia di alzare lo sguardo. Àlvaro sbuffa, smette di spazzare e scavalca il bancone con un balzo, fregandosene altamente dei due tizi che mangiano in un angolo, chini sui loro computer portatili a confabulare di chissà quale segreto di stato.
«Xabi. Ieri sera c’era quel tipo che ti piace, il signor chitarrista con gli occhi blu che farebbe meglio a trovarsi un barbiere competente, e alla svelta,» dice Àlvaro, pungolandolo col gomito nel costato, e Xabi si limita a scacciargli via la mano, un po’ infastidito.
«Hmmm.»
«Penso di aver scoperto come si chiama,» continua Àlvaro, costringendosi a tollerare la sua mancanza d’attenzione. «Cosa che, naturalmente, avresti potuto semplicemente chiedere a, com’è che si chiama, Crazy Carra, se non fossi una tale femminuccia.»
«Hm-mmm.»
«Xabi, ti amo, mi vuoi sposare?» tenta allora Àlvaro, persino buttandosi in ginocchio per terra, ma Xabi continua a campare nel suo mondo mille miglia lontano da qui, e l’unico che abbia una reazione è Raúl, che emerge dalla cucina con in mano una pila di piatti proprio nell’attimo in cui Àlvaro ha la sventurata idea di aprire la bocca, e naturalmente li lascia cadere per terra, assieme alla propria mandibola, in un fragore di ceramica fracassata e cuore andato in pezzi. «Oh Gesù, Chori, mi hai spaventato!»
«Tu... lo ami?» chiede Raúl, indicando Xabi con un dito tremante, e intanto i due avventori nel loro angolo si sono spaventati e poi si sono calmati e hanno ricominciato a confabulare di possessioni, esorcismi e padri scomparsi. «Lo ami davvero?»
«Cos-- ma certo che no, cretino!» scoppia a ridere Àlvaro, sollevandosi in piedi e lisciando le pieghe del grembiule rosa che sia lui che Xabi che Raúl indossano come divisa. «Lo stavo prendendo per il culo per tentare di riportarlo sulla terra, vedi, Xabi qui si è perso in qualche mondo immaginario dei suoi.»
Raúl si tranquillizza, allora, ma il fatto che sia più calmo non gli impedisce di ordinare a Xabi e Àlvaro di sistemare il casino di piatti rotti dietro il bancone.
«Chori, hai un senso dell’umorismo che fa acqua da tutte le parti,» brontola Àlvaro, chino sui cocci, e Xabi, accanto a lui, sbuffa.
«Non sono certo io quello che è innamor-mmfhp!!»
E fu così che i Reds quasi persero il loro astro nascente, soffocato a morte dalle poco gentili mani del suo migliore amico.

*

Steven, il vocalist barra chitarrista barra frontman barra oh Cristo ma è bellissimo e perfetto della band di Carra si chiama Steven, ma preferisce essere chiamato Stevie.
Xabi è a festeggiare la sua prima vittoria coi Reds, e non gli è esattamente chiaro perché ci siano anche tutte le altre squadre del torneo, compresi gli sconfitti Hurl Spurs, oltre ad un centinaio ancora di persone sconosciute, ma ehi, c’è la band di Carra e stanno suonando in mezzo ad un soggiorno affollatissimo, perciò non è che Xabi abbia tanta intenzione di lamentarsi.
Si procura una birra, tanto per occuparsi le mani con qualcosa, e dopo due o tre sorsi trova il coraggio di entrare nel dannato soggiorno e piazzarsi contro un muro a guardare lo show; Stevie - gliel’ha detto Àlvaro che si chiama così, dopo due giorni di pressione psicologica e scartavetramento di coglioni, arti in cui Xabi è paurosamente esperto, - è bravo davvero, ha questa voce incredibile che si arrampica lungo la schiena di Xabi, e poi si vede che sa quello che fa con la chitarra, e, d’accordo, Xabi non ne capisce praticamente niente di musica e canto, è solo incredibilmente perso per questo tizio, al punto che potrebbe anche stare stonando come una cornacchia e lui non se ne accorgerebbe.
Ha l’impressione che Stevie guardi nella sua direzione, un paio di volte, e gli ci vuole un altro po’ di birra per cancellare la traditrice sensazione - ci sono più di cinquanta persone che si accalcano e strillano il suo nome e sanno a memoria i testi delle sue canzoni, vuoi che Stevie si sia accorto proprio di lui, schiacciato contro un muro dall’altra parte della stanza, che lo fissa rapito come se non avesse mai visto un uomo in vita propria?
L’ultima canzone finisce in un assolo di batteria che probabilmente ha sfondato un timpano di Xabi e gli ha fatto saltare un’otturazione, ma è stato fantastico, e Stevie si sporge appena sul microfono per ringraziare il pubblico, e la sua voce si sente appena al di sopra degli strilli isterici delle ragazzine miseramente pigiate contro il piccolo palco, che sono due ore che tentano di strappare almeno un lembo dei suoi jeans per venerarlo come una reliquia.
Xabi sta già sgattaiolando via, pronto ad isolarsi nello splendido giardino di casa Bocanegra per ammirare la luna e sospirare il nome di Stevie e fare un miliardo ancora di cose per cui Àlvaro gli calerebbe in un istante pantaloni e mutande, tanto per assicurarsi che Crucifier Crouch non gli abbia strappato le palle con quella gomitata durante la partita, è già praticamente fuori dalla porta quando si sente chiamare dalla voce roca e soddisfatta di Carra, e potrebbe ignorarlo, potrebbe davvero, ma è il suo capitano, è il suo capitano e il senso di responsabilità di Xabi decide di mettersi a funzionare sempre nelle maniere più sbagliate.
«Xaaaaaaaabs!» ride Carra, buttandoglisi addosso da dietro e Xabi quasi soccombe per il peso di ottantacinque chili di uomo e un altro paio di basso. «Ecco il mio ragazzino preferito! Xabuuuuu, il nostro salvatore!»
«Ciao a te, Carra,» gli dice Xabi, dandogli una lieve pacca sulla spalla quando riesce di nuovo a respirare. «Bello show, eh. Davvero, siete bravi.»
«Oooh, ma grazie,» cinguetta Carra, saltando un po’ più avanti sulle spalle di Xabi per guardarlo in viso, e ha quest’espressione davvero estatica e genuinamente contenta e ubriaca che Xabi, anche se sta davvero per morire e se non muore come minimo gli verrà un’ernia, non riesce a non sorridergli. «Dai, vieni che ti faccio conoscere i ragazzi!»
E Xabi ci prova con tutte le sue forze ad opporsi, ci prova veramente, con tutte le sue forze, arrivando al punto di tentare di trascinare via Carra e di fingere una telefonata e le cazzate più varie, ma alla fine si ritrova nella stanza accanto, molto più tranquilla e vuota e meno illuminata, e Carra gli piazza le mani sulle spalle e lo dirige verso, oh, i ragazzi.
Xabi conosce Andy, il batterista capellone che ha visto qualche volta ai derby assieme a Stevie, e Alex, chitarra solista e seconde voci quando Carra è troppo ubriaco anche solo per ricordarsi come si chiama, e che è bella da morire, così tanto bella che Xabi non può impedirsi di immaginare come sarebbero belli dei suoi eventuali figli con Stevie.
«E dove si è cacciato quel coglione di Stevie?» brontola Carra, guardandosi attorno nella stanza semibuia, beatamente ignaro del fatto che l’assenza di Stevie è l’unico motivo per cui Xabi non è morto stecchito da un infarto fulminante.
«Ha detto che doveva andare a cercare una persona,» dice Alex, imbronciando le belle labbra carnose, e Xabi si chiede perché lo stia guardando come se lui le avesse appena ammazzato il gatto, ma, d’altra parte, potrebbe anche essere solo una sua impressione.
«Oh,» fa Carra, un po’ deluso, ma si riprende in fretta, e sbatte un paio di volte le mani sulle spalle di Xabi, incoraggiante. «Vabbè, dai, ti lascio andare. Oppure puoi rimanere con noi, dai, a me fa piacere.»
Xabi non sa davvero come spiegargli che no, grazie, preferirebbe farsi amputare le dita di tutte e due le mani piuttosto che restare in una stanza in cui:
a) potrebbe arrivare Stevie in qualsiasi momento;
b) c’è Alex, che per qualche assurdo motivo palesemente lo odia,
perciò esita, incerto.
«Xabi, accompagnami a prendere da bere,» lo salva Andy, grazie al cielo, e Xabi è rapidissimo ad annuire, salutare Carra e Alex e sparire al seguito di Andy.
«Grazie,» dice, quando raggiungono la cucina e finalmente la musica è distante abbastanza da permettergli di sentire perlomeno i propri pensieri. Andy è chino su una cassa di birra e solleva la testa per un attimo, scoccandogli un’occhiata perplessa. «Non penso di essere molto simpatico ad Alex, anche se non so perché, e sarebbe stato imbarazzante restare lì.»
Andy si risolleva, due bottiglie di birra in mano, e le apre contro il bordo del tavolo; ne porge una a Xabi, brindano brevemente, bevono e poi Andy sorride.
«Lasciala perdere, ad Alex piace fare la principessa sul pisello,» dice, facendogli un occhiolino amichevole. Xabi si fissa le mani, e stacca distrattamente l’etichetta dalla sua bottiglia.
«Spero non voglia fare la principessa sul mio, di pisello,» brontola, sottovoce, ma Andy lo sente lo stesso e scoppia a ridere, e Xabi avvampa. «Dio santo, scusami, normalmente non sono così, è solo che-- sai, l’adrenalina per la partita, e la birra, e il concerto, e Stevie-- oh, Dio.»
Andy smette di ridere e lo guarda con un sorriso malizioso e l’espressione saputa.
«Che c’entra Stevie?» dice. «Pensavo che non vi conosceste.»
«No, infatti!» esclama subito Xabi, agitando le mani, e quasi rovescia la birra sul tavolo. Evitata la catastrofe nucleare, si calma un attimo. «No, infatti. Non lo conosco proprio per niente.»
Andy ora lo guarda con un misto di tenerezza e divertimento per cui Xabi vorrebbe poter sprofondare sotto terra per chilometri, davvero, e ci rimane pure male quando la terra sotto i suoi piedi non si spalanca ad inghiottirlo.
«Va bene, d’accordo, non ti voglio imbarazzare oltre, perché ho la netta sensazione che se arrossisci ancora ti esploderà un’arteria o qualcosa del genere,» lo prende in giro Andy, ma con affetto, e Xabi si attacca al collo della bottiglia per disperazione, buttando giù un sorso che grazie al cielo non finisce più e un po’ serve a calmarlo. «Perciò, cambiamo argomento. Hai idea di dove possa essere il mio Martin? Così vado da lui e non ti annoio più.»
«Martin... Martin Kelly, o Skrtel?» chiede Xabi, e per qualche ragione assurda le sue dita stanno tirando su Andy pezzetti appallottolati di etichetta della sua birra. Andy, fortunatamente, è uno con un gran senso dell’umorismo, e si mette a ridere, cercando di schivare il bombardamento, invece di pestarlo a sangue, come chiunque altro avrebbe fatto.
«Skrtel, Skrtel,» dice, ridendo. «Martin Mayhem, nessun altro.»
«L’ho visto di sopra,» ricorda Xabi, dopo averci pensato su per un attimo. «Sai, nella stanza con i vinili. Ma almeno un’oretta fa.»
«Hmm, d’accordo, comincerò a cercarlo da lì,» annuisce Andy, stringendosi nelle spalle, come a dire, che altro ho da fare? Scompiglia i capelli di Xabi, poi, e gli fa di nuovo l’occhiolino. «Ci vediamo, Classius.»
«Oh, ti prego, non chiamarmi così,» grugnisce Xabi, assolutamente scontento, e Andy ride, salutandolo da sopra una spalla, e si allontana.
Xabi rimane ancora un po’ a zonzo per la cucina di Bocanegra, curiosando nel frigorifero (pieno di alcolici), negli stipetti sopra il lavandino (pieni di alcolici), nel forno (pieno di alcolici), poi però vede arrivare Àlvaro e una biondona, immersi in quella che ha tutta l’aria di essere una conversazione piuttosto privata, e, grazie tante, non ha intenzione di assistere, perciò fugge via, ricordando il proposito di perdersi in giardino a fare la checca.
Dopo un lungo peregrinare, finalmente trova un angolo piuttosto defilato e che non sia assediato di coppiette in amore, e c’è persino una panchina di pietra, dev’essere volontà del Karma o del Grande Demone Celeste che Xabi si fermi qui per un po’.
Finisce la sua quarta birra della serata pensando che dopodomani ha il benedetto concorso di dibattito, l’ultimo per questo semestre, e poi sua madre smetterà di assillarlo almeno fino a giugno; pensa anche che dovrà trovare un modo più intelligente di nascondere i lividi del roller derby, perché Mikel ne ha già visti un paio - nessuno dei peggiori, fortunatamente, - e potrebbe insospettirsi, e allora sarebbe un guaio. Pensa, soprattutto, che si è quasi annoiato di fare qualsiasi cosa che non siano le sue partite. Pensa che di questo passo dovrà cominciare a frequentare pure i fight club, se quella scarica di adrenalina che gli fa rizzare i peli sul collo è l’unica cosa che lo fa sentire vivo e felice e completo e a posto.
Beh, quella e, magari, gli occhi blu di Stevie che lo guardano dagli spalti durante un derby. Merda, Xabi, ti stai proprio perdendo.

*

«Ehi, Xabi.» Non è lui, non può essere lui. Lui non può sapere il suo nome - quello vero, cioè, non quello stupido Classius Clay che Pepe gli ha cucito addosso il primo giorno di allenamento. «Ciao, ti stavo cercando.» Come fa ad essere lui? Che ci fa qui? Perché? È lui? Oh, cazzo, è lui.
Xabi si pietrifica lì dov’è, con l’ennesimo fottuto trofeo dell’ennesimo fottuto concorso di dibattito tra le mani, e annaspa disperatamente alla ricerca di aria, di una ragione per cui Steven Gerrard dovrebbe essere fuori dall’albergo dove lui ha appena vinto l’ennesimo fottuto concorso di dibattito, e soprattutto di un modo per convincere il proprio maledetto cuore a ricominciare a battere.
«Mi... mi stavi cercando?» riesce a balbettare, e quando Stevie fa un sorriso sghembo e gli si avvicina Xabi è velocissimo a nascondere il fottuto trofeo dietro la schiena, e avrebbe funzionato, per carità, perché Stevie non ha fatto altro che guardare la sua faccia, senza badare minimamente al resto, peccato solo che il trofeo sia alto quasi quanto lui, e decisamente più largo.
«Uh, sì,» dice Stevie, comunque, assolutamente, beatamente estraneo alle sue crisi emotive, ormonali, mentali, fisiche, insomma, Xabi è un po’ tutto sottosopra. Cristo. «Per la verità, ti stavo cercando da un paio di giorni.»
«Da... un paio di giorni.»
Stevie ride di nuovo e si accarezza la nuca, guardando ora dappertutto tranne che negli occhi di Xabi, imbarazzato.
«Uh, sì. Ti ho visto a casa di... Carlos? Bocanegra? Dopo la partita di giovedì, stavi... guardando il nostro concerto, non so se--»
«Mi ricordo,» annuisce Xabi, subito, perché sta cominciando a capire che forse Stevie è in crisi quanto lui e quanto è assurda e inverosimile e bellissima, una cosa del genere?
«Uh, ok,» e Stevie sembra riprendere un po’ di coraggio, quel tanto che basta per fare un altro di quei suoi sorrisi sghembi, quantomeno, e Xabi è contento. «E, beh. Ti ho cercato, l’altra sera, e non ti ho trovato. Sono andato al... al ristorante dove lavori--»
«Tavola calda,» corregge Xabi, e adesso è lui a fare un passo in avanti, e sta pensando, è solo un ragazzo. È bellissimo e ti piace da morire, ma è solo un ragazzo. Hai preso a calci gente che era grossa il doppio di lui, Xabi, puoi farcela ad avvicinarti ancora un pochino. Ancora un pochino. Dio, che buon odore. Dio, quanto è bello.
«--tavola calda. Insomma, lì. E, beh, non c’eri. Ma c’era questo pazzoide, Àlvaro, giusto?» Xabi annuisce, perso nel sorriso divertito e imbarazzato di Stevie e un po’ pure dalla sua vicinanza, dalle sue mani, dal suo jeans consumato - dal sorriso enorme di Andy, cinque metri alle spalle di Stevie, che spunta dal finestrino della vecchia Ford rosso fiammante di Martin Mayhem. «Che mi ha detto che avevi una specie di concorso qui, stamattina. E Andy mi ha detto, ‘Stevie, fratello, o ci vai o ti ci mando io a calci, perché hai rotto le palle con questo Xabi’, senza offesa.»
«Nessuna offesa,» sorride Xabi, e magari sta un po’ gongolando, ma non è il caso di sottolinearlo.
«E quindi niente, eccomi. E non mi ci ha portato a calci.»
«Meno male.»
E sghignazzano entrambi ancora per un minuto, poi Andy pigia una mano sul clacson e si affaccia con tutto il busto dal finestrino, urlandogli contro:
«Vi decidete a prendere un appuntamento o no? Io e Martin, qui, avremmo ben di meglio da fare!»
Xabi e Stevie scoppiano miseramente a ridere, e alla fine si accordano per vedersi quella sera, in un locale vicino casa di Carra. Stevie esita giusto per un secondo, poi prende un bel respiro e si china a baciare Xabi sull’angolo della bocca, in una specie di promessa impacciatissima, ed è ad un tempo troppo e troppo poco, e Xabi si sente sciogliere come un cretino.
«Allora ciao, eh,» mormora Stevie, senza neppure allontanarsi troppo, e lo bacia di nuovo, esattamente lì di nuovo, perché non poteva resistere, e sorride e poi scappa, praticamente corre via, e quasi inciampa mentre tenta di entrare in macchina il più velocemente possibile. Andy scoppia a ridere e saluta Xabi attraverso il finestrino prima che Martin vada via con una sgommata, lasciando Xabi imbambolato in mezzo al parcheggio, finché non sente il clacson della macchina di Àlvaro e lo vede, il migliore amico di tutti i tempi, appoggiato alla fiancata del suo scassone con le braccia incrociate al petto e un sorriso compiaciuto sul volto.
Xabi sta fermo ancora un secondo, e poi corre a buttargli le braccia al collo perché, davvero, Àlvaro potrà anche essere un profano che non capisce la bellezza del roller derby e ha un’assurda, inspiegabile cotta per il loro datore di lavoro, ma è veramente, veramente un amico fantastico.

*

L’ennesimo fottuto trofeo dell’ennesimo fottuto concorso di dibattito vinto da Xabi rimane lì a squagliarsi sotto il sole per un paio d’ore ancora, finché non appare all’orizzonte l’auto della zelante signora Alonso, che se lo carica nel bagagliaio e riparte in tutta fretta, sperando che nessuno l’abbia vista.

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