[Originale] I'm (not) the one you want (Officina 116, Luca, Giulio)

Mar 05, 2011 21:07

Titolo: I'm (not) the one you want
Fandom: Originale » Officina 116
Personaggi/Pairing: Luca, Giulio, Carlo
Rating: PG
Conteggio Parole: 2744 (fidipu)
Prompt: Amici, per la terza settimana della Cow-T di maridichallenge.
Avvertimenti: gen, vago linguaggio.
Note: Gh. ♥
Disclaimer: Tutto mi appartiene, ciononostante nessuno mi paga un centesimo.

~ I'm (not) the one you want.
Officina 116

Il gruppo è grande, all’inizio, talmente grande che Giulio, che pure ha una memoria non esattamente da buttare nel cesso, fa fatica a ricordare i nomi di tutti. C’è Carlo, vabbè, Carlo lo conosce da una vita, lui e le sue giornate vissute col bioritmo al contrario e la cresta viola e l’umorismo da schiaffi; c’è Luca, e Giulio si ricorda di lui solo perché sono in classe insieme e cordialmente si odiano; c’è Virgilio e c’è David, che tutti chiamano Dante perché, andiamo, Virgilio e Dante, quanto è fantastica, come cosa? E ci sono altre dodici persone, almeno, quasi tutti maschi, che si aggirano per l’appartamento ridendo, facendo finta di pulire e in realtà semplicemente sprecando tempo e acqua insaponata.
Giulio è fermo nel bel mezzo del soggiorno, osserva cose che non esistono al di là della gigantesca parete vetrata, e sta seriamente cominciando a sospettare che magari non è stata una grande idea, quella di inventarsi un centro ricreativo nell’appartamento che suo nonno gli ha lasciato in eredità. Centro ricreativo? Centro sociale. Circolo di fancazzismo. Federazione della nullafacenza. Insomma, un posto al coperto dove riunire tutti gli sfaccendati delle ultime tre generazioni della città. Dio santo, messa così sembra davvero un’idea del cazzo, per di più potenzialmente catastrofica, e catastrofica nel senso di cose che esplodono, polizia che arresta gente, anni e anni e anni di galera.
Tutt’a un tratto, Giulio ha un impellente bisogno di vomitare e morire; si sente scuotere una spalla da qualcuno, e giustamente, proprio perché non era abbastanza in crisi con se stesso, si volta e vede la faccia di cazzo di Luca. (Che obiettivamente è un ragazzo molto attraente, ma Giulio sa che quella è l’ultima cosa cui deve prestare attenzione, perché lui, ricordiamolo sempre, lui Luca lo odia. Veramente.)
«Che c’è?» brontola, non eccessivamente scortese ma neppure tutto zucchero, perciò, ok, va bene; Luca si acciglia per un attimo, per misteriose e imperscrutabili ragioni che a Giulio non interesseranno neppure tra centomila anni e tre eruzioni del Vesuvio, e accenna vagamente alle proprie spalle.
«Abbiamo sistemato, più o meno,» dice, una nota di divertimento nella sua voce che Giulio non ricorda di aver mai sentito, se non mentre quella stessa voce blaterava insulti estremamente creativi ai suoi danni. «Penso che Manuela e Daniele stiano facendo un disastro in bagno tutto da capo, ma, sai, almeno è un disastro positivo.»
«Un disastro... positivo?» chiede Giulio, evidentemente perplesso, e Luca sogghigna, appoggiandosi il mocio che aveva in mano su una spalla, a mo’ di Excalibur. E Giulio non aveva proprio bisogno di fantasie mentali in cui Luca indossa uno sguardo coraggioso e una corazza o anche solo il fodero di una spada e nient’altro, grazie mille.
«Si sono chiusi dentro,» dice, e l’allusione è talmente chiara che persino Carlo, spaparanzato in poltrona dall’altra parte del soggiorno e assolutamente assorbito da chissà che videogioco sul suo Nintendo DS, scoppia a ridere.
Neanche un attimo dopo, comunque, Giulio è già davanti alla porta del bagno, a sbatterci su entrambe le mani come un esagitato e stabilire solennemente la prima regola della sua officina del cazzeggio o quello che è:
«Non. Si. Tromba. Mi avete capito? Non si tromba qui dentro, per nessun motivo eccetto questioni di vita o di morte, che comunque non vedo come possano essere risolte da una sana trombata, perciò, venite subito fuori. Non. Si. Tromba.»
Alle sue spalle, il mocio ancora in spalla, Luca ridacchia, sommamente divertito.
«Sai, la maggior parte delle tragedie della storia si sarebbero potute evitare, se le parti in causa si fossero decise a chiudersi da qualche parte e scopare come conigli,» dice, il saputello, ed improvvisamente Giulio si ricorda del perché lo odia. Oh, sì.
«Non cominciare,» gli dice, puntandogli contro un dito minaccioso che ha il solo risultato di far ridere Luca più apertamente. I rumori soffocati dall’interno del bagno si zittiscono, intanto, e Giulio, attraverso la porta, sente qualche bestemmia borbottata a mezza voce e poi fruscio di vestiti.
«Stavo solo cercando di aiutarti,» si giustifica Luca, e Giulio lo guarda male di nuovo, perché è una cosa che non si stanca mai di fare.
«Sì, beh, evita, fammi questo piacere.»
La porta del bagno che si apre e l’apparizione, nel corridoio ora più affollato della metro all’ora di punta, di Manuela e Daniele in evidente stato di shock precoitale, impediscono a Luca di replicare con una battutaccia delle sue, ma l’espressione infinitamente colpevole e imbarazzatissima dei due è più che sufficiente a ripagarlo della delusione - per non parlare, poi, della conseguente ramanzina di Giulio, santiddio, quel ragazzo è esilarante.

*

«Prima hai detto una cosa interessante,» comincia Carlo, una mezz’oretta dopo - quando la furia di Giulio si è calmata almeno un po’ e hanno portato su il biliardino, il che garantisce una valida alternativa alle sveltine nel bagno. Luca, buttato un po’ a casaccio sul divano vittoriano un po’ più in là, solleva pigramente la testa dai cuscini tarlati e gli rivolge uno sguardo che spera sembri interrogativo, ma sospetta seriamente possa essere solo estremamente appisolato.
Carlo, difatti, ride.
«La tensione sessuale irrisolta che genera guerre,» spiega, e Luca sembra un po’ meno confuso; si mette a sedere, nel vano tentativo di ristabilire la corretta circolazione del proprio sangue, e scuote un po’ la testa per schiarirsi le idee. Carlo lo guarda con un’espressione famelica da predatore e, prima di cominciare a blaterare, Luca si accerta che non siano soli, e che Giulio non sia l’unica altra persona nella stanza. Ha il distinto sospetto che proprio lui non si farebbe problemi a lasciare che Carlo lo divori, o comunque combini qualsiasi cosa altamente pericolosa gli stia passando per la testa.
«Beh, sì, dai. Tipo, tutte le grandi rivalità tragiche si potevano risolvere molto più semplicemente, se avessero-- Medea e Giasone, Merlino e Morgana? Jack e Sawyer?» Vede che Carlo non si scandalizza e non lo guarda come un alieno, perciò ridacchia. «Eteocle e Polinice? Scusa gli esempi, in questo periodo non faccio altro che studiare e guardare telefilm.»
Carlo ride con lui, anzi, sghignazza.
«Nessun problema,» dice, poi fa una faccia pensosa. «Direi a questo punto anche Ash e Gary, i Montecchi e i Capuleti--»
«--Kai e Takao, nella prima serie di Bey Blade!»
«Jacob e l’Uomo in Nero--»
«--Harry e Draco. Ron e Viktor Krum--»
«Luca e Giulio.»
Ad onor del vero, Luca incespica genuinamente, sull’ultimo suggerimento: non è una farsa, il modo in cui aggrotta le sopracciglia, perplesso perché non riesce a collegare i due nomi ad una coppia sufficientemente nota di personaggi; quando, finalmente, il suo cervello si ricorda che due più due fa quattro, nel nostro universo, avvampa visibilmente, e tira a Carlo un meraviglioso calcio a distanza negli stinchi.
«Razza di coglione,» borbotta, mentre Carlo sogghigna, malignamente soddisfatto, e si massaggia la gamba offesa. «Pensavo fossi mio amico, non andare a sbandierare i miei segreti ai quattro venti.»
«Come se ci fosse bisogno di me perché qualcuno si accorga del modo in cui lo-- mmmphhh!!» e quella era una specie di grido d’aiuto, soffocato dal cuscino che Luca gli ha tirato addosso.
«Vuoi stare zitto?!» sibila, gettandoglisi addosso e tentando di costringerlo al silenzio con la crudele arma del solletico; Carlo scoppia in un attacco di risatine isteriche, si contorce sulla poltrona come in preda alle convulsioni e finisce per cascare a terra di culo, ancora ridendo. L’intero appartamento, ora, li sta guardando, e sembrano tutti sommamente divertiti dal momento di ludico infantilismo, ad eccezione di Giulio.
Giulio si pianta a gambe larghe e pugni sui fianchi a due centimetri dalla testa di Carlo riversa sul pavimento, e guarda entrambi con una durezza da madre insultata.
«Ho detto che non si tromba,» dice, e Carlo inevitabilmente scoppia a ridere, e con lui tutti quanti gli altri, così nessuno sente le deboli proteste di Luca. Maledizione.

*

All’inaugurazione si presenta così tanta gente che Giulio comincia a considerare seriamente l’idea di diventare agorafobico. Se il gruppo di persone era grande, all’inizio, adesso l’appartamento è stipato con una quantità vergognosa di ragazzi e ragazze, roba che non si vede neppure ai concerti gratuiti durante l’estate, e Giulio, davvero, Giulio non pensava che ci fossero così tanti suoi coetanei alla disperata ricerca di un posto tranquillo dove rifugiarsi. Certe volte sa essere davvero splendidamente idiota, Giulio, non c’è dubbio.
Carlo, naturalmente gettato sulla poltrona che ormai è diventata sua di diritto, dal momento che la seduta porta già l’impronta del suo culo, della base della sua schiena e di tutte le altre parti del suo corpo che riesce a strizzarci dentro, con la sua postura improbabile, - e Giulio non riuscirà mai a capire come ha fatto a corromperla in tre cazzo di giorni, Dio santo, Carlo ha palesemente dei poteri, - lo guarda da dietro una bottiglia di birra e fa un occhiolino complice, per dirgli, sta andando alla grande, fratello, complimenti.
E sta, in effetti, andando alla grande.
Davvero c’è un sacco di gente, ben oltre le più rosee aspettative di Giulio. Ci sono persone della sua scuola, qualcuno che ricorda di aver incrociato per strada e persino il commesso della sua libreria preferita; sarebbe interessante sedersi a parlare con ognuno di loro, e scoprire esattamente come hanno fatto a sapere dell’evento di stasera, se hanno trovato il volantino o l’adesivo e dove, o se qualcuno gliene ha parlato, e allora chi, e poi perché hanno deciso di venire, cosa ne pensano del disastro di arredamento che Giulio e i suoi Sedici - quelli che si sono presentati il primo giorno, cioè, gli apostoli, come ha scherzato Virgilio, - sono riusciti a mettere insieme, saccheggiando cantine e mercatini delle pulci e qualche discarica, forse, ma non è che abbiano voglia di mettere i manifesti su quest’ultimo particolare.
Giulio sarebbe mostruosamente felice di poter conoscere ogni singola persona che vede - a quella ragazza con i dreadlocks arcobaleno, per esempio, vorrebbe chiedere cosa diavolo ci trova di interessante nel coglione con la puzza sotto al naso con cui sta parlando da almeno tre quarti d’ora, e a lui, invece, vorrebbe domandare se è davvero tanto snob quanto vorrebbe dare a vedere, - e, mentre butta giù il suo quarto drink annacquato, si convince che verrà - e verrà davvero - il giorno in cui saprà riconoscere ogni singola faccia che attraverserà la porta sempre aperta dell’Officina.
Alla fine hanno deciso di chiamarla così per davvero, Officina 116, per gli amici Cazzeggiolandia, perché è la cosa migliore e meno imbarazzante che sia venuta loro in mente nei dieci minuti di brainstorming mentre la commessa alla copisteria sbuffava, impaziente di mandare in stampa i loro cinquanta flyer (Giulio ha scoperto che la cortesia è un optional riservata alle spese superiori ai venticinque euro); e non è male, come nome, carino e ad effetto, anche se nessuno capisce perché esattamente debba essere un’officina.
Una ragazza anche discretamente carina glielo chiede, e Giulio potrebbe perdere tempo e sangue e vita ad arrovellarsi il cervello per spiegare come questo luogo di nullafacenza e socializzazione servirà a forgiare un futuro migliore e bla bla bla, ma i deliri di onnipotenza gli vengono meglio quando è ubriaco. La invita alla vasca degli alcolici, allora, ma lei ride e gli rivela, come se fosse un gran segreto, di non essere quel tipo di ragazza. Giulio la guarda, fa una smorfia.
«Neanche io sono quel tipo di ragazzo,» spiega. «Se per ‘quel tipo di ragazzo’ intendi eterosessuale, cioè.»
La ragazza scoppia a ridere - «Milena,» si presenta, «ma mi chiamano Maya,» e Giulio deve mordersi la lingua per non fare una battuta notevolmente secchiona di cui potrebbe pentirsi per il resto della sua esistenza, dal momento che presuppone una conoscenza quantomeno decente di Schopenhauer e una buona dose di senso dell’umorismo, e rischiare di passare per nerd maleducato è proprio l’ultima cosa di cui ha bisogno, in questo momento, - e allora lo segue, per accompagnamento, specifica, perché davvero non beve. Giulio fa un’altra smorfia, Milena ride di nuovo e sembra davvero simpatica; lo abbandona a metà strada, però, perché la ragazza coi dreadlocks arcobaleno le salta al collo e precipitano entrambe sul divano strillando, a quanto pare non si vedono da una vita o qualcosa del genere.
Milena, da sopra la spalla della ragazza, fa a Giulio un sorriso colpevole, ma lui agita una mano.
«Posso sopravvivere,» dice, Milena ride, è tutto nella norma. Giulio allora decide di poter procedere, facendo attentamente lo slalom tra i miliardi di persone intasate nel corridoio, salutando quando lo salutano, sorridendo quando gli sorridono, sghignazzando quando per gioco qualcuno lo palpa, e alla fine arriva sano e salvo nel bagno, perché la vasca degli alcolici è davvero la vasca da bagno che hanno riempito di ghiaccio e bottiglie.
Sta contemplando l’idea di sperimentare un innovativo mix di birra e aranciata - è la sua serata, può permettersi anche questo genere di pazzie altamente sconsigliabili, in fondo, - quando sente un colpo di tosse fin troppo familiare a due centimetri da lui. Si volta, maledicendo in tutti i modi Carlo e il suo mettiamo musica classica a un volume vergognosamente basso, altrimenti la gente non riuscirà a fare conversazione, e vorrebbe dirgli è precisamente per questo che volevo Dave Grohl a strillarmi nelle orecchie, razza di coglione, perché non ho nessunissima voglia di fare conversazione con questo qui, e poi fa violenza su se stesso per costringersi a sorridere a Luca in maniera quasi amichevole.
Luca sembra a disagio quanto lui, perlomeno, e osserva qualcosa di immensamente interessante sulla parete del bagno prima di sospirare e grattarsi la nuca.
«Senti,» esordisce, e improvvisamente non c’è più nessuno attorno a loro - Giulio era piuttosto sicuro di aver visto almeno tre o quattro persone fare la posta a una bottiglia di vodka, dove sono finiti, ora? Dio santo, Dio santo, Dio santo, qual è il senso di avere un appartamento traboccante di gente se resti bloccato in bagno con l’unica persona con cui non hai nessuna intenzione di avere a che fare? E perché Luca si è ritrovato tra i Sedici, comunque? Carlo, è sempre colpa di Carlo; Giulio gli strapperà le palle a mani nude, una volta fuori di qui. «Lo so che non abbiamo cominciato esattamente col piede giusto--»
«Oh, puoi dirlo forte,» sbotta la lingua di Giulio, velenosissima, prima ancora che il suo cervello finisca di registrare le parole di Luca, e Luca sembra sorpreso quasi quanto lui, ma Giulio si riprende più in fretta. «Stai un po’ sottovalutando la portata delle tue sparate, sai,» diligentemente somministrate ogni santo giorno dal primo giorno di scuola di liceo, quando Luca era un ragazzino cattivo e poco istruito e a disposizione aveva un arsenale spaventosamente colorito di insulti, e finché Giulio non è cresciuto di tre spanne e ha perso quelle quattro taglie che gli impedivano di farsi un’autostima. «Mi hai reso la vita un inferno.»
«E-ehi, sto facendo uno sforzo, qui,» tenta Luca, gli occhi sgranati e ingiustamente celesti e Giulio sbuffa appena.
«Lo so,» dice, incrociando le braccia al petto. «Ma non significa che ti devo rendere le cose più facili.»
Luca sembra ponderare seriamente la sua risposta, si coccola la bottiglia di birra che ha in mano come se si stesse chiedendo se ne valga davvero la pena; sospira, alla fine, e sorride.
«Mi sembra giusto,» ammette, e adesso è Giulio che annaspa, sbalordito. «Comunque, scusami. Ero stupido, beh, sono ancora stupido, ma non così cattivo, e mi dispiace, credimi, sinceramente. Mi prenderei a calci in culo, se potessi, ma, sai. È un po’ difficile, fisicamente, però sarà la prima cosa che farò, te lo giuro, quando inventeranno i viaggi nel tempo.» Si ferma, si morde le labbra: «Al diavolo il paradosso temporale,» butta lì, sorridendo da solo, ed è la cosa migliore che potesse dire, perché Giulio ride e si rilassa e gli concede mezzo sorriso.
«Non stai andando troppo male,» dice, e ammetterlo è stato meno peggio di quanto pensasse. Luca sghignazza.
«Buono a sapersi,» annuisce, e poi s’azzarda a porgergli una mano, perfettamente consapevole del fatto che Giulio potrebbe strappargliela a morsi, e avrebbe tutto il diritto di farlo. «Amici?» E non è che Giulio non ci pensi, davvero - nel mobile alla sua destra, peraltro, è custodita una bellissima collezione di oggettini affilati che potrebbero tornargli utili, - però, ehi, lui è meglio di così. E poi è maggiorenne, almeno al minorile lo avrebbero trattato un po’ meglio.
«Vabbè,» sospira, accalappiando la mano di Luca un attimo prima che Luca se la riprenda; è la prima volta che si toccano senza intenzioni palesemente violente, ed è una stretta piacevole, tranquilla, sembra familiare in maniera impossibile e preoccupante, ma non è male. Non è affatto male, e Giulio non riesce a pentirsene. «Amici.»

originale ~ officina 116, originale: introspettivo, » challenge: cow-t, } 2011, originale, › ita, originale: generale

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