Titolo: A Christmas' Call Melody (Tidings of comfort and joy)
Fandom: RPF Real Madrid/Dinamo Kiev
Personaggi/Pairing: Andrij Shevchenko/Ricardo Kakà
Rating: R
Conteggio Parole: 1331 (OOo)
Prompt: Inverno, Natale per il
XMas Tree Party di
Fanworld.
- RPF Calcio, Andrij Shevchenko/Ricardo Kakà, "Non sei cambiato affatto" per il
p0rn fest #4 di
fanfic_italiaAvvertimenti: angst, slash, PWP
Note: *imbarazzatissima* La mia prima 22/7 ;_;! Spero non sia tremenda, spero riusciate a riconoscerli almeno un po' D:
- Un pensiero (non di numero, naturalmente) e la dedica, immancabilmente, vanno a
lamechante, perché loro, nella mia testa, sono suoi, e poi perché è una donna dolcissima e asdfghjkl;asdfantastica, oh. Buon Natale, Andrij Marti ♥
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ A Christmas' Call Melody
(Tidings of comfort and joy.)
Natale è un periodo dell’anno che, se potesse, Andrij salterebbe a piè pari: se potesse, sarebbe più che contento di poter andare a dormire il due, il tre dicembre, e risvegliarsi direttamente il dieci gennaio, scansandosi rimpatriate e cene e messe e veglie - anche, soprattutto tutte le rimpatriate, le cene, le messe e le veglie degli altri, quelle a cui lui non partecipa, ogni anno con una scusa diversa, per il semplice motivo che Natale è il periodo dell’anno che Andrij detesta di più, lui che non è capace di detestare neppure i vicini di casa casinisti.
Il problema del Natale, manco a dirlo, sono i ricordi che porta con sé. Andrij è un uomo semplice, sebbene sia uno stracazzo di calciatore, sebbene sia Andrij Shevchenko, una specie di leggenda vivente; è un uomo semplice, la sua testa funziona a incastri e associazioni elementari di idee e quindi per lui Natale è, semplicemente, Ricardo. Natale è Ricardo che lo guarda da tutti gli angoli delle strade imbiancate di neve e rimpinzate di luminarie, di addobbi, di presepi senza Bambinello, «perché il Bambinello si mette la notte del ventiquattro,» gli spiega, ogni volta da capo, la voce gentile di Ricardo, dal fondo dei suoi ricordi.
Natale è una crudeltà gratuita, per Andrij, il ricordo continuo e costante di una cosa meravigliosa che non ha saputo custodire - perché era ancora un ragazzo, perché, forse, neppure si rendeva completamente conto dell’importanza di quello che aveva. Natale è una punizione, Ricardo direbbe per il loro peccato, Andrij pensa che sia per la propria stupidità: una vendetta del mondo, che gli fa pagare a prezzo triplicato la maledetta codardia che gli impedisce anche solo di chiamare Ricardo e chiedergli come sta, incantarsi un po’ sul suono lontano della sua voce.
Quest’anno, è Ricardo a chiamare. Quando il cellulare comincia a squillare, nel bel mezzo dei preparativi della cena della vigilia, e Andrij bacia Kristen su una tempia, a mo’ di scuse, per scappare in camera a rispondere, ha il cuore in gola: sono anni - sette, e Andrij sorride per il numero sempre troppo familiare - che Ricardo ha la sua suoneria personale, sempre la stessa, ed è assurdo sentirla così, dal nulla, a Natale, perciò Andrij trema, pensando al peggio, sollevando il cellulare dal comodino.
Osserva per un attimo lo schermo pieno del suo numero di telefono, sente un groppo arrampicarglisi dallo stomaco verso la gola a guardare il gigantesco ‘22’ con cui lo ha memorizzato, e alla fine risponde, e gli sembra di essere morto, per quanto si sente assurdamente felice.
«Ricky,» gli sfugge, subito, e la risata deliziata che gli risponde, dall’altro lato della telefonata, gli dà i brividi e la pelle d’oca.
«Ciao, Andrij. Buon Natale,» naturalmente, Ricardo, cosa avrebbe potuto dire? Andrij sbuffa, contento, e si siede sul bordo del letto, assicurandosi con un’occhiata di aver chiuso la porta.
«Grazie,» mormora, e gli costa più di quanto possa ammettere razionalmente con se stesso. «Buon Natale anche a te.» In sottofondo sente un sacco di rumori e chiacchiere, abbastanza lontani da fargli supporre che Ricardo si sia allontanato di una cinquantina di passi da una qualche festa estremamente affollata - il che non è affatto da Ricardo, andare alle feste, per di più la sera della vigilia, perciò Andrij si acciglia. «Ricky, ma dove sei?»
«Dove sono? Uh, si sente il rumore anche così, vero?» chiede Ricardo, e Andrij lo sente allontanarsi ancora un poco. «C’è la cena con la squadra,» sospira, con il tono di chi è stato contrariato dalla cosa, ma ha dovuto farsene una ragione. «Ci sono tutti i figli, le mogli, le fidanzate e i genitori che il Real Madrid abbia mai potuto concepire.»
Andrij ridacchia.
«Mourinho aveva detto che sareste rimasti ognuno a casa propria,» obietta, e sente Ricardo trattenere il fiato, perché è un po’ come se Andrij avesse ammesso di tenerlo ancora strettamente d’occhio, che poi è vero, e gli fa male, in qualche modo, rendersi conto che per Ricardo non potrebbe essere altrettanto ovvio.
«Stava mentendo,» risponde, alla fine, Ricardo, lentamente, e Andrij percepisce e vede il suo sorriso come se ce lo avesse davanti. «Mente in continuazione, in realtà. Andrij,» e la sua voce è improvvisamente morbida, è, improvvisamente, quella di due anni fa a Milano, e ancora prima, quella del loro primo incontro, del primo gol in rossonero di Kakà. «Sono felice che non... che ti importi ancora.»
Andrij si passa una mano sul viso, una specie di schiaffo al rallentatore, e sospira.
«Mi dispiace di averti costretto a dubitarne,» dice, l’italiano che gli fa sembrare ogni sillaba più lunga e dolorosa e, allo stesso tempo, più giusta di quanto sarebbe mai stata in ucraino, in spagnolo, in qualsiasi altra lingua del mondo. Ricardo trattiene ancora il fiato, sorpreso, e ad Andrij sfugge un sorriso triste e perso; stanco, stanchissimo, si lascia cadere all’indietro sul materasso, e con gli occhi fissi al soffitto lo solletica il pensiero che questo letto, Ricardo non l’ha mai neppure visto.
Vorrebbe mostrarglielo, allora. Con lo stomaco contratto in un nodo tremendo, Andrij pensa che vorrebbe poter avere Ricardo tra le mani, ora, tra le gambe; vorrebbe poter avere quei suoi occhi immensi su di sé, il suo sorriso lieve e imbarazzato. Vorrebbe baciarlo, fino a togliergli il respiro, fino a fargli dimenticare qualsiasi esitazione e qualsiasi parvenza di controllo: vorrebbe baciarlo e vederlo rilassarsi lentamente nel piacere di una sensazione troppo calda per non essere anche perfettamente giusta.
Vorrebbe stringergli le dita sui fianchi, sfilargli la maglietta e vederlo rabbrividire per il freddo sottile di Kiev, che è come una valanga di spilli che neppure il riscaldamento e i doppi vetri riescono a sciogliere: vorrebbe baciargli il collo e scendere piano, assaggiare ancora i suoi muscoli dorati e sentirli tendersi sotto di lui. Vorrebbe potersi ubriacare ancora della sensazione di Ricardo, caldo ed eccitato sotto le sue mani, che s’inarca contro di lui mordendo un gemito tra le labbra, ripetendo il suo nome, senza fiato, implorandolo con gli occhi di prendersi tutto, tutto, tutto, tutto di lui.
Vorrebbe spogliarlo ancora, premersi contro il suo corpo nudo e sentire le sue gambe fargli subito spazio, schiudersi con tutta l’innocenza del mondo ed invitarlo timidamente in avanti. Vorrebbe poterlo baciare, di nuovo, per sempre, mentre si lascia accogliere dal suo calore intossicante - mentre si spinge dentro di lui con gentilezza e invadenza, bevendo i suoi gemiti imbarazzati e i suoi brividi e, di lui, ogni cosa.
Vorrebbe, soprattutto, abbracciarlo, dopo l’amore, e chiedergli un perdono che sa di avere già, incondizionatamente, eppure ha bisogno, di nuovo, di domandarlo, ha bisogno di sapere di averlo meritato. Vorrebbe sentire il sorriso indulgente di Ricardo contro una tempia, di vedere la sua espressione imbarazzata ogni volta che Andrij lo guarda con la stessa devozione che lui riserva al suo Dio.
Andrij riapre gli occhi che non s’era neppure reso conto di aver chiuso, per seguire meglio l’immagine di Ricardo bello e suo sotto di lui, e, ascoltando il respiro appena affannato del Ricardo vero, a infiniti chilometri di distanza da lì e terribilmente vicino al suo orecchio, sa che la stessa idea, la stessa voglia ha abbracciato e tiene stretto anche lui. Si tira su a sedere, riesce quasi a sorridere.
«Mi manchi,» dice, quando avrebbe voluto dire tutt’altro, parole più dolci, magari, e altrettanto vere, sicuramente, ma gli pare che questa sia la sola cosa che importi. «Certe volte... certe volte neppure ce la faccio, Ricky.»
«Non sei cambiato affatto,» osserva Ricardo, con una punta di soddisfazione, e poi, più gentilmente: «Chiamami,» bisbiglia, tanto piano che Andrij pensa non voglia farsi sentire da nessuno che non sia lui, neppure da se stesso. «Puoi chiamarmi, quando succede così, io... anche tu mi manchi, Andrij. Sempre, troppo.»
«Chiamami, allora,» gli dice Andrij, con un filo di voce, quasi implorando, e sente il cuore improvvisamente leggero quando Ricardo ride.
«Va bene,» dice. «Lo prometto. Buon Natale, Andrij.»
«Buon Natale, Ricky.»