[RPF] Dall'Inferno alla Bellezza (Saviano, Fazio)

Nov 30, 2010 01:24

Titolo: Dall'Inferno alla Bellezza
Fandom: RPF Vieni Via con Me/Vieni Via col Fandom/VV(cm)F
Personaggi/Pairing: Roberto Saviano, Fabio Fazio (slash if you squint) (??) (XD)
Rating: PG13
Conteggio Parole: 344 + 825 + 225 (OOo)
Prompt: Innocenti Evasioni - Lucio Battisti (3:34), How Many More Times - Led Zeppelin (8:25), I'm a Believer - The Monkees (2:25), per la Poker challenge di settenote  
Note: Il titolo è un fallimento totale, non guardatelo neppure. L'ho scritta, inoltre, ancora coi postumi dell'ultima puntata (e di un clasico devastante *coff coff*), che mi ha distrutta a livelli subatomici, perciò abbiate pietà di me, delle cazzate che vado blaterando in giro e di qualsiasi altra cosa.
- Le citazioni dalla canzone cui si ispira ogni drabble seguono la drabble stessa perché sì, oh.
- Tutta per chibi_saru11  e Naripolpetta (di cui ignoro le coordinate LJiane, shame on me forever and a day) e faechan  e shariaruna  e raxilia5running  e chiunque altro abbia lasciato un pezzo di sé col Faviano. Vi amo. *si estingue*
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.

~ Dall'Inferno alla Bellezza.

È mercoledì e settembre è quasi finito, così dice il piccolissimo calendario che hai appeso sopra la testata del letto; tutti i giorni fino a ieri sono sbarrati con croci dei colori e delle forme più varie - tra tutte spicca quella che hai messo sul quindici, è enorme e spessa e viola e ci sono dei brillantini che ammiccano pallidi nella semioscurità della camera, perché quel giorno lì eravate da tutt’altra parte dello stivale, la famiglia che abitava nell’appartamento accanto non era terrorizzata da te e dal tuo nome e ti lasciavano giocare a colorare con i loro figli, Michele e Giulio, di quattro e cinque anni. E Giulio aveva questo pennarello fantastico, viola e gigantesco e col glitter, ti ha detto, pronunciandolo la gl come se fosse stato aglio, e ti sei un po’ commosso, lì per lì, ma solo perché sono passate troppe croci sul calendario dall’ultima volta che hai visto casa tua, la tua famiglia, la tua città.
Perciò, è mercoledì, settembre è quasi finito e non c’è davvero niente d’insolito in questo, perché è quello che succede tutti i mesi, alla fine del mese: il mese finisce. Logico, sensato, è un’informazione che puoi accettare tranquillamente anche stando seduto in mezzo alla stanza completamente vuota, perché un computer, una valigia e un cellulare non riempiono una stanza, in cui hai vissuto nelle ultime due settimane.
Eppure c’è qualcosa di insolito, di estremamente anomalo, in questo mercoledì di fine settembre: c’è Robbi, sulla porta della tua stanza, che sghignazza, alle dieci e mezzo del mattino, quando normalmente alle dieci e mezzo del mattino Robbi è tutto meno che in vena di dar sfogo a qualsivoglia sentimento; Robbi è là sulla porta che ti guarda e sghignazza e poi si fa da parte e tu, appollaiato sul bordo del materasso perché una sedia non ce l’hai ancora, col portatile sulle ginocchia perché un tavolo ancora non ce l’hai, da dietro la sua schiena vedi spuntare il profilo tondo della testa di Fabio, e poi il suo sorriso un po’ timido, e oh.

Che sensazione di leggera follia
sta colorando l'anima mia
Ma come mai tu qui stasera
ti sbagli sai non potrei
non aspettavo ti giuro nessuno.

“Ciao,” gracchi, fissandolo stupidamente mentre lui, ancora fermo sull’uscio, continua a guardarti e sorridere. “Non- non aspettavo visite.”
“Già,” ridacchia, e non hai bisogno di mettere a fuoco la punta rosso porpora delle sue orecchie per capire che è in totale imbarazzo, ti basta il modo in cui sembra non riuscire a smettere di fissarti e avere quell’espressione un po’ scemotta lì, tutto carineria e affetto e occhi enormi. “Buon compleanno,” dice, così piano che quasi non lo senti - con tanta dolcezza che, per un attimo, neppure capisci cosa abbia voluto dire.
“Buon... compleanno,” ripeti, perplesso, e lanci un’occhiatina al calendario - la data di oggi ti fissa, accanto alle sue compagne crocettate, come se volesse prenderti per il culo, ventidue settembre, Cristo, è il tuo compleanno, tanti auguri, Robbè, - da dove una famiglia di delfini eccezionalmente allegra ammicca nella tua direzione. Ti è piaciuto proprio per le illustrazioni, quel calendarietto, e poi per il fatto che ogni data è scritta in piccolo in mezzo ad un quadrato bianco più grande, che lascia un sacco di spazio per annotare roba tipo riunioni, impegni, appuntamenti - tutte cose che non appartengono più alla tua vita da un pezzo, insomma, però, non appena l’hai visto, quel calendarietto, ti sei scioccamente innamorato dell’idea di poter avere un angoletto libero, ecco, perlomeno sul calendario, nel caso ti fosse servito, e hai assolutamente voluto comprarlo. Scelta del cazzo, naturalmente, e in men che non si dica ti sei ritrovato a far scempio di ogni giorno con le tue benedette croci, come fossi nient’altro che un carcerato, ma anche quel cimitero di numeri non fa che ricordarti delle cose che non hai - libertà di espressione, libertà di movimento, libertà anche solo di respirare; amici che vogliano o possano prendersi un caffè la domenica pomeriggio, quando non c’è un cazzo da fare e anche il tempo puttano sembra gocciolare più lento; conferenze e lezioni e seminari da tenere, da seguire, da preparare. Non hai niente, a parte quattro pareti bianche intonacate di fresco e un calendario coi delfini, il tuo portatile gonfio di immondizia che nessuno vuole e Fabio Fazio, piantato in mezzo alla tua stanza con un sorriso idiota e le mani dietro la schiena.
“Buon compleanno,” dice ancora, quasi annuendo, quasi ti dovesse convincere che è il ventidue settembre per davvero. Sei vecchio, Roberto.
“Grazie,” riesci a bisbigliare, gli occhi persi in un punto impreciso dello schermo del portatile - prima che Robbi si palesasse sulla tua porta stavi guardando (che stavi guardando?) una vecchissima puntata del Fatto di Enzo Biagi, e adesso il video è bloccato su di lui che guarda in camera e ti sembra di sentirti trapassato da quello sguardo intenso ed educato. Rabbrividisci. Ti passi una mano sulla faccia, tentando disperatamente di darti un contegno, e, quando guardi Fabio e apri la bocca, le parole vengono fuori da sole. “Grazie per essere passato, non dovevi. Non riesco a immaginare cosa ti abbiano fatto passare i ragazzi, mi dispiace. Però grazie, mi fa piacere vederti.”
Fabio sorride ancora più apertamente, ora, e hai paura che gli si possa strappare la faccia se insiste a scoprire denti. Sei contento, però, davvero, di vederlo, e non solo perché, in generale, vivi piuttosto male l’isolamento - sempre ammesso che un esilio così lo si possa vivere bene, - ma soprattutto perché si tratta di Fabio.
Lo vedi agitarsi irrequieto, spostare il peso del corpo da un piede all’altro, e lo guardi, inarcando le sopracciglia - neppure ti accorgi di esserti strofinato il palmo della mano contro la nuca, e ci fai caso solo quando riabbassi il braccio.
“Che c’è?” chiedi, ridacchiando del suo imbarazzo, e lui fa un respiro profondo e - tira fuori, da dietro la schiena, un pacchettino rettangolare. Oh.
“Non è niente di che,” si giustifica subito, quasi volesse ritirare il regalo che ti offre, ma tu sei più svelto: prima che possa decidere cos’altro balbettare, hai già messo via il portatile, sei già in piedi e prendi la confezione dalle sue mani. “È solo un pensiero. Non ho avuto, sai, molto tempo, dal momento che, beh, devi aver dimenticato di ricordarmi del tuo compleanno,” la frecciatina non ti sfugge e neppure tenti di soffocare una risatina mentre ispezioni attentamente il pacchetto, a meno di dieci centimetri da lui, “però, ecco. Ci tenevo a farti qualcosa. Sai. Siamo colleghi, adesso.” Sembra pensarci un po’ su, lo sogguardi e quasi riesci a vedere gli ingranaggi nel suo cervello stridere gli uni con gli altri. “Più colleghi di prima, voglio dire.”
Ridi di nuovo, appena un po’ più convinto, e con attenzione quasi maniacale stacchi la sottile fettuccia di scotch che ferma la carta agli angoli del pacchetto. Senti Fabio trattenere il fiato mentre scartocci delicatamente la confezione, scoprendo, oh mio Dio, l’astuccio rigido e lucido e meraviglioso di una Mont Blanc.

I'll give you all I've got to give, rings, pearls, and all.

“Tu sei pazzo,” soffi, e Fabio comincia a blaterare cose senza senso sul fatto che si tratta di un’inezia ma era davvero in crisi e altre stupidaggini inenarrabili e l’unica cosa che ti sembra sensata, al mondo, è gettargli le braccia al collo e abbracciarlo. Per la verità pensi che dovresti fare di peggio, dovresti fare di più - forse dovresti baciarlo o dargli una testata, perché, andiamo, una Mont Blanc?, - ma non riesci davvero a costringerti ad allontanarti dalla sua stretta all’inizio incerta e poi fin troppo calda. Fabio ridacchia piano contro il tuo orecchio e fa un sospiro minuscolo che s’infrange sul tuo collo e ti fa rabbrividire.
“Sei pazzo,” ripeti, anche se hai il mento premuto sulla sua spalla e riesci a malapena a parlare e senti la tua voce vibrare nelle sue ossa, attraverso la sua pelle, e tornare indietro a te. “Pazzo.”
Non dice niente, lui, seppellisce la tirata d’insicurezza cronica e sai - lo sai e basta, perché ormai lo conosci e basta, lui e la sua compostezza onnipresente, - che si sta mordendo la lingua per soffocare quel po’ di sarcasmo che ogni tanto pizzica persino lui. Ti allontani appena, allora, e lo guardi, e poi lo baci pianissimo sull’angolo della bocca, e sorridi del suo mezzo sussulto, e poi della sua smorfia contenta.

Not a trace of doubt in my mind,
I’m in love, I’m a believer!

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