[RPF] Pressure cooker pick my brain (8/14)

Sep 06, 2010 19:47

Titolo: Pressure cooker pick my brain
Fandom: Real Madrid/Liverpool FC
Personaggi: Xabi Alonso/Steven Gerrard, menzioni di Fernando Torres/Sergio Ramos, Pepe Reina (♥♥♥♥), Jamie Carragher, José Mourinho(/Zlatan Ibrahimovic)
Rating: PG14
Conteggio Parole: 2068 (W)
Prompt: Gelosia @ bingo_italia  [ cartellina]
Note: Ok, questa fic è stramba. Perché l'ho scritta prima in inglese e poi l'ho tradotta in italiano (e si vede), e risente (abbastanza) delle letture di questi ultimi mesi - non solo ficwriter d'oltreoceano, ma anche Eoin Colfer, Cicerone (sì, Cicerone influenza il mio inglese D:), Dantuccio e i testi delle canzoni dei Beatles. Perciò abbiate pieta, chiedo solo questo XD
; Titolo e tutto © Green Day.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ I commenti sono l'amore. I lurker sono il male.

~ Pressure cooker pick my brain.

Xabi vuole andare a Liverpool. Fa il suo piccolo annuncio due giorni prima dell'inizio della liga, durante l'allenamento mattutino: tutti smettono di muoversi e lo fissano, Sergio sgrana gli occhi così tanto che non sarebbe una sorpresa vederli rotolare su e giù per il campo.
"Vuoi andare- dove?" chiede, in un soffio, e Xabi si volta verso di lui e ripete, praticamente inespressivo:
"Vado a Liverpool." Però, quando lo vede rabbrividire e agitarsi nervosamente, si acciglia e aggiunge: "È solo una visita. Per un paio di giorni." E a quel punto la tensione evapora, e Xabi pensa che i suoi compagni di squadra debbano essere davvero ancora molto addormentati (per la verità pensa stupidi, ma non è una cosa carina), se hanno pensato che stesse suggerendo un suo imminente trasferimento.
Mourinho si limita a guardarlo male - però è ovvio che vorrebbe prenderlo a parte e urlargli in testa di non dire stronzate, col cazzo che ti faccio saltare due giorni di allenamento subito prima della partita d'esordio, a meno che tu non voglia essere sbattuto a calci in culo fuori dalla squadra. Xabi, però, non stava chiedendo il suo permesso, ha soltanto fatto un annuncio, e Mourinho è troppo furbo per pensare di mettersi a fare il prepotente con Xabi Alonso (per di più, ha la testa che gli scoppia per un'emicrania che lo tormenta tipo da sempre (anche se sono passate solo tre ore e un'impossibile telefonata a Barcellona), e non è dell'umore adatto. Si rassegnerà all'idea di perdere il suo miglior centrocampista in Inghilterra per un paio di giorni, proprio come si è rassegnato all'idea di perdere un attaccante svedese molto a caso in Italia, e forse per sempre).
Perciò, Xabi se ne parte.
Arriva in Inghilterra a notte fonda, e a dargli il benvenuto c'è un simpatico temporale. Naturalmente non riesce a trovare uno straccio di taxi, grazie mille, e prende seriamente in considerazione l'idea di camminare per (circa) quattrocento isolati, dall'aeroporto fino all'albergo, sotto il peggior diluvio di sempre, prima di recuperare la ragione e chiamare Fernando.
El niño sembra estremamente sorpreso dalla notizia che Xabi è a Liverpool - "Che? Stai scherzando?" chiede, e Xabi ridacchia per il suo neanche-tanto-sottile accento scozzese, e, "No," risponde, "sono serio. E sto annegando. Per favore, Nando, puoi darmi un passaggio?", - però ride, e otto minuti dopo Xabi è seduto nella sua auto, ad inzuppargli il sedile e sorridere.
"Ciao, Nando," dice. "Come stai?"
Fernando (è pallido, le lentiggini violentemente scure sulla sua pelle bianca, la lieve abbronzatura che s'era preso subito prima e dopo il Mondiale ormai completamente sbiadita, e Xabi si dice che non può essere una buona cosa) lo fissa e basta, come se non riuscisse a credere a quello che vede. La pioggia fitta solletica il tettuccio dell'auto, e per un po' il rumore sottile delle gocce che precipitano sul metallo copre il silenzio.
Alla fine, Fernando scoppia a ridere.
"Oh Dio, Xabi, scusa, ma sono convinto di stare sognando," dice, e il ghigno di Xabi si allarga. "È bello vederti, comunque. Mi sei mancato, io ti sono mancato?"
"No, veramente no. Ci siamo visti nemmeno due settimane fa, Nando."
"Beh, tu mi sei mancato," ribadisce Fernando, e s'imbroncia con fare molto drammatico. Xabi ride.
"Sto scherzando, Nando," dice, piano. "È ovvio che mi manchi." Dice, "Però a Sergio manchi più che a chiunque altro." Nota che, non appena nomina Sergio, le dita di Fernando stritolano il volante, e sorride. "Manca anche a te, no?"
Fernando si stringe nelle spalle, e poi curva le labbra in un sorrisino.
"Mi mancava in Africa, quando lui scendeva in campo e io restavo in panchina."
Xabi vorrebbe dirgli, Lo so. Vorrebbe dirgli, sai, è per questo che sono qui. Vorrebbe dirgli, sai, Nando, certe volte siedo nella mia camera da letto, a Madrid, e non riesco a respirare perché vorrei essere qui. Perché vorrei essere a Liverpool. Sono nella mia cazzo di stanza e vorrei soltanto tornare a casa, e questo non ha senso, perché sono a casa, sono a casa, ma il mio cuore no.
Vorrebbe dirgli, Nando, sono così geloso di te che certe volte ti odio.
Invece gli dice, "Mi ha dato questo," dice, "per te." E apre lo zaino che si è strizzato alla meno peggio tra le ginocchia, e ne estrae la scatola che Sergio gli ha consegnato in aeroporto. "Mi ha detto, per favore, dallo a Nando da parte mia. Per favore. Aveva quell'espressione lì, sai."
E Fernando lo sa; lo sa così bene che riesce a stento a staccare gli occhi dalla scatola, impacchettata in un'allegra carta da regalo arancione, con un enorme fiocco giallo appiccicato in cima. D'improvviso si sente così triste che vorrebbe soltanto scappare da qualche parte e piangere.

Xabi si sveglia e non riesce a ricordarsi com'è che si è addormentato. Sa di essere rimasto a fissare il soffitto per ore, la testa che quasi gli girava, persa tra pensieri e ricordi (il suono della risata di Stevie), e si ricorda di aver controllato il cellulare centinaia di volte, ricorda di essersi mosso sotto le lenzuola, di aver chiuso gli occhi e pregato perché il sonno arrivasse.
Un minuto prima è agonizzante, e il minuto dopo è già mattina, lui si sente un po' meglio e tutto quello che deve fare è farsi una doccia e andare ad Anfield, Fernando ha detto che la squadra si allenerà lì, oggi (che culo, Xabi). Cose facili che qualsiasi uomo al mondo saprebbe fare, e Xabi Alonso non può fallire così miseramente.
Xabi sospira, trascinandosi fuori dal letto, e per un momento desidera essere rimasto a Madrid. Poi il momento passa, e il suo cuore fa le capriole tre volte al solo pensiero che oh Dio, sto per rivedere Stevie.

Anfield è.
Xabi non riesce a pensare ad un aggettivo da aggiungere, non in inglese e neppure in spagnolo. Anfield è. Lì. Grande e silenzioso e gioca a nascondino con la nebbia sottile che ancora aleggia nell'aria. Xabi è immobile nel mezzo del parcheggio, il taxi che l'ha portato fin qui probabilmente è già arrivato al Porto, e lui non riesce a muoversi.
Anfield. Brividi caldi gli corrono su e giù lungo la spina dorsale, e Xabi non riesce a pensare per bene.
È ad Anfield, è a casa. A casa. Dio, che sensazione assurda.
E poi sente una voce.
"Xabs?"
E quando si volta è già troppo tardi, perché Pepe riconoscerebbe le sue spalle tra mille e già gli è saltato addosso, urladno e ridendo e bestemmiando in spagnolo e Xabi lo stringe e basta, sorridendo.
"Coglione, che cazzo ci fai quassù?" chiede Pepe, premendo la fronte su quella di Xabi, e il suo sorriso è quasi accecante.
"Sono venuto a salutare," replica Xabi, ghignando. "Sono il miglior ex compagno di squadra della storia, no?"
"Cazzo sì," ride Pepe, e poi getta un braccio attorno al collo di Xabi e lo costringe a camminare così in direzione dello stadio. Fanno qualcosa come quattro passi, poi sentono un grido estasiato e Carra sta già abbracciando Xabi come se volesse sbriciolargli le costole.
"Dio che bello vederti," dice, strofinando il naso contro il collo di Xabi, e questi ride, dandogli un po' di pacche sulla schiena.
"Mancate tutti anche a me, Carra."
"Lo so," replica Carra, un sorriso triste sul volto. "Ed è un pensiero che aiuta, ma non così tanto." Ed è probabilmente la cosa più dolce che abbia mai detto ad un altro essere umano, perché d'improvviso avvampa e prende a spingere Xabi e Pepe verso lo stadio, ficcandogli le dita nei fianchi e blaterando a voce troppo alta di novità entusiasmanti riguardo la squadra che Xabi deve davverodavverodavvero sapere - per esempio, non è fantastico che Dani abbia finalmente comprato un rasoio nuovo? Sul serio, quello che aveva durante la scorsa stagione lo stava tipo scorticando vivo, non era per niente piacevole, e---
"Dio, Carra, e piantala! Queste stronzate non erano interessanti nemmeno quando erano novità, e sono passate come minimo due settimane da allora."
Xabi congela.
È lì, ad Anfield, sta entrando dalla porta sul retro come qualsiasi altro giocatore per la prima volta da secoli - ha la pelle d'oca sulle braccia, il cuore gli pesta così rabbiosamente nel petto che nello stretto corridoio si sente l'eco, sta praticamente morendo, sopraffatto dalla nostalgia, dalla malinconia e da una rabbia cieca e rossa contro se stesso - e lì, proprio dietro la sua schiena, che sbuffa piano per l'esasperazione, c'è Stevie. Stevie.
Xabi si morde le labbra, improvvisamente nervoso, e sente Pepe ridacchiare e voltarsi verso il loro capitano (no di Xabi, non più, per via del colore che indossa in campo, ma ancora e per sempre anche il suo, per via del colore del suo sangue) e allora trattiene il fiato, e anche Stevie smette di respirare, e deve aver riconosciuto anche lui le sue spalle. O il sorriso epico sulla faccia di Pepe. O l'ombra di preoccupazione negli occhi di Carra.
"Ehi, capitano," comincia Pepe, ma Stevie lo ignora:
"Xabi?" chiama, e la voce gli si spezza un po' e Xabi rabbrividisce, sono a casa, urla il suo cervello, oh Dio, sono a casa. "Xabi," ripete Stevie, e stavolta si controlla meglio, perciò Xabi si volta e lo guarda e decide che Stevie è troppo lontano: fa un passo in avanti, e lo stesso fa lo scozzese, così ora sono troppo vicini, ma non è un problema, neppure quando il borsone di Stevie sbatte contro il ginocchio di Xabi.
"Ciao, Stevie."
"Ehi," sorride Stevie. "Ti trovo benissimo. Xabs."
Xabi ridacchia piano e china il capo, e questo è il suo un po' timido e un po' imbarazzato grazie per il complimento.
"Beh, noi andiamo nello spogliatoio, se v'interessa," urla Pepe, trascinandosi via Carra. Stevie e Xabi non danno segno di averlo sentito. Stevie non sta respirando dall'istante in cui ha posato gli occhi sull'uomo che ha di fronte, e Xabi sta tentando con ogni mezzo - inutilmente - di riportare il suo cervello all'ordine, e di rimetterlo al lavoro. L'odore di Stevie lo circonda e gli rende difficile pensare - in un modo molto piacevole, d'accordo, ma in ogni caso è in crisi.
"Allora," sospira Stevie, alla fine, sfiorando appena il collo di Xabi con una mano. "Sei stato grandioso, durante il Mondiale."
Xabi alza la testa di scatto, confuso.
"Mi hai telefonato prima e dopo tutte le partite. Io ti ho telefonato nell'istante in cui ho toccato la Coppa," dice. "Perché parlare del Mondiale?"
Il ghigno di Stevie s'allarga, sbilenco e meraviglioso e caldo ed è tutto quello che Xabi abbia mai voluto nella sua intera esistenza.
"Non so," mormora. "Tu perché non mi guardi?"
"Adesso ti sto guardando."
"Sì. Sì, è vero."
Ora ha entrambe le mani attorno al viso di Xabi, e respira di nuovo, direttamente sulle sue labbra. Sono vicini, non abbastanza ma più di quanto non siano da mesi, ed è una bella sensazione. Xabi si sente tutto accaldato e felice e chiude gli occhi e bacia Stevie pianissimo, come sogna di fare da un'eternità, e Stevie risponde al suo bacio con altrettanta lentezza, quasi timidamente.
"Mi manchi," mormora, praticamente inudibile, ma Xabi sente le sue parole affondargli nella pelle come inchiostro; fa male, fa sempre male con Stevie, ed è per questo che è così perfetto.
Lo bacia di nuovo, ed è il suo modo di dire mi manchi anche tu, mi manchi troppo - le sue mani ritrovano la strada per i fianchi di Stevie e Xabi lo tiene lì, fermo, con forza. Stevie vorrebbe dirgli che non ce n'è bisogno; vorrebbe dirgli ehi, Xabi, non vado da nessuna parte. Vorrebbe dirgli, sei tu che sei andato via. Vorrebbe dirgli, ma ti ho perdonato.
Vorrebbe dirgli, tu hai perdonato te stesso? (E sa che la risposta è no. E per questo odia Xabi e ama Xabi e odia se stesso.)
"Quanto rimani?" chiede, invece, le braccia attorno al collo di Xabi e le labbra sulla sua guancia.
"Finché mi vuoi," sospira Xabi, e Stevie sbuffa piano.
"È una bugia niente male," dice, senza astio, e poi inventa un percorso di baci dal mento di Xabi (Dio quanto gli è mancato sentire la sua barba solleticargli la lingua) fino alle sue labbra, rabbrividisce quando le sente schiudersi piano per lui e poi si preme più in là, assaggiando la sua bocca calda e gemendo piano nel bacio. È così maledettamente felice che potrebbe piangere.

rpf calcio: steven gerrard, » challenge: bingo_italia, rpf calcio: fernando torres, } 2010, rpf calcio: jamie carragher, rpf calcio: pepe reina, rpf calcio, › ita, rpf calcio: josé mourinho, rpf calcio: xabi alonso, rpf calcio: sergio ramos

Previous post Next post
Up