titolo Fool that I am
fandom X Factor
personaggi Team Morgan, e in particolare Noemi, Morgan e Matteo ♥
pairing hints Matteo/Morgan ovvero M2 ovvero ZOMGSOCANON!
rating G
conteggio parole 2030 (W)
timeline dopo la quarta puntata \o/
prompt Unspoken words @
iosonosara [
qui]
note
; Doveroso ringraziamento, wubbing, love e squishing per
maharetishtar. La colpa è tua, maMMaha.
; Questo potrebbe anche essere classificato come RPS, a pensarci bene.
; Il titolo è da una canzone dei Kula Shaker (~ Fool that I am, appunto), che ormai sono l'OST ufficiale di questa ship XD
; C'è una citazione, opportunamente segnalata, da Cecilia Dart-Thornton.
; UST. Ovvero Unresolved Sexual Tension. UST UST UST UST, dappertutto.
disclaimer Non mi appartengono, non esistono, ma tutto ciò non è mai accaduto, non ci guadagno.
~ I commenti sono l'amore. I lurker sono il male.
~ Fool that I Am.
Martedì sera, Morgan rimane a cena. È un evento sensazionale, ci sarebbe da festeggiare, ma martedì sera significa il giorno dopo la clamorosa litigata tra Morgan e Matteo, e davvero nessuno ha voglia di essere allegro. Noemi è assurdamente felice per la presenza di Andrea Rodini: lui ed Enrico, da bravi salvatori della patria, hanno tirato su dal nulla una discussione eccezionale, e riescono a stemperare magnificamente la tensione che, altrimenti, si potrebbe usare come condimento.
Morgan è seduto a capotavola; alla sua destra Rodini, poi Noemi, e Andrea. Di fronte a Noemi è seduto Enrico, e alla sua destra c’è Matteo: tutto come al solito, ma, sfortunatamente, il tavolo è rettangolare, e questo fatto implica che Matteo si ritrovi alla sinistra di Morgan - che non lo guarda, che non parla, e sbrana il pollo come se quel povero pennuto avesse offeso il suo cappello o i Duran Duran.
Noemi vorrebbe davvero dire qualcosa: costringerebbe Matteo a fare un sorriso e Morgan a metter via la testardaggine, una volta per tutte.
Rimane in silenzio, però, perché non ha la forza né la voglia di gestire la guerra mondiale che le sue parole scatenerebbero.
Quando la cena finisce, comunque, Morgan sembra molto soddisfatto.
“Ottimo,” commenta, e Noemi non riesce a trattenere un sorriso. “Chi è il cuoco?”
C’è un minuto di imbarazzatissimo silenzio, e lì per lì Noemi è fortemente tentata di svelare personalmente il mistero, ma Matteo si fa coraggio e solleva spontaneamente una mano, gli occhi fissi sul piatto.
“Io,” mormora, pianissimo, e gli si legge in faccia che avrebbe preferito impiccarsi piuttosto che parlare, stasera. Morgan si volta verso di lui con una lentezza devastante, come se gli stesse facendo un enorme favore a concedergli la propria attenzione. Non dice nulla, si limita ad annuire brevemente, innaturalmente rigido, lui che intorno a Matteo è sempre iperattivo, felice, sorridente.
Matteo ancora non osa guardarlo.
Morgan rimane a cena anche mercoledì.
Noemi pensa che forse è Rodini a costringerlo a restare, e vorrebbe chiederglielo, ma non così, non davanti a tutti, anche se oggi l’atmosfera è vagamente più rilassata: Matteo è stato male per tutto il pomeriggio e si è categoricamente rifiutato di riemergere dalla propria stanza per cena.
Rodini ed Enrico stanno parlando con molto pathos di come lo sbarco in Normandia abbia condizionato la scena musicale internazionale, e Noemi davvero non riesce a capire cosa ci sia da infervorarsi tanto. Persino Morgan, il campione delle conversazioni assurde, sembra perplesso, ma a Noemi piace pensare che stia così per via dell’assenza di Matteo.
Andrea - Giops -, accanto a lei, continua a mangiare, imperturbabile.
Quando le portate si sono esaurite, Morgan fissa lo sguardo negli occhi di Noemi.
“Noemi,” dice, “dal momento che io non so nemmeno tenere in mano una padella e non voglio dar fuoco a tutto, me lo faresti un tè?”
Noemi è a dir poco entusiasta all’idea di avere un po’ di privacy con il suo sconvolto caposquadra, perciò accetta volentieri, e lo precede in cucina. Morgan si arrampica su uno sgabello e Dio, ha un’aria affranta, neanche i Bastardi avessero distrutto un pianoforte e bruciato la discografia di de André davanti ai suoi occhi.
Noemi prepara il bollitore e poi si ferma a guardarlo, in attesa.
Morgan aspetta finché la tazza azzurra - la preferita di Matteo, ma lui non può saperlo e Noemi deve mordersi a sangue la lingua per non ridacchiare - non viene gentilmente posata davanti a lui, calda e fumante. È solo allora, col tè che scotta troppo e un buon odore di bergamotto tra le dita, che si fa coraggio.
“Matteo come sta?” chiede.
“Male,” risponde Noemi, fissando il pavimento. Improvvisamente le viene voglia di cioccolato, quindi si volta, ispeziona uno ad uno tutti gli armadietti, ed è già al terzo biscotto quando Morgan parla di nuovo.
“Male come?”
“Male.” Come uno che si è visto aggredire in diretta nazionale da un amico. Come uno che sta passando un periodaccio e non ha nessuno con sé. Come uno deluso, distrutto, umiliato. Come uno che è si è costretto a strapparsi via dalla propria famiglia per inseguire un sogno, e adesso non sopporta più il peso di questa responsabilità, ma non può appoggiarsi a nessuno, perché non c’è nessuno, per lui: non un amico di vecchia data, né l’amico nuovo ed eccentrico e codardo, incontrato tra una traduzione di Jim Diamond e una cover di David Bowie. “Male come uno che ha passato due ore in bagno a vomitare.”
Morgan annuisce, quasi sovrappensiero.
Beve un sorso di tè, Noemi lo guarda, mordendosi le labbra per contenere il fiume di parole in cui vorrebbe annegarlo.
“Però dovrà pur mangiare qualcosa,” commenta Morgan, gli occhi fissi sulla tazza omai vuota, e Noemi quasi cede alla tentazione di spaccargli il cranio a scodellate.
Giovedì mattina, Noemi è piacevolmente sorpresa di trovare Matteo vivo, vegeto e un po’ pallido, che fa colazione con latte e biscotti nella tazza azzurra, e vorrebbe parlargli della mezza conversazione della sera prima con Morgan, vorrebbe suggerirgli di correre a cercarlo, sorridergli, abbracciarlo.
“Buongiorno,” gli dice, invece.
Matteo borbotta qualcosa, Noemi ride, arriva Enrico, e anche giovedì comincia a girare.
Giovedì li ha uccisi: a cena sono tutti esausti, stremati da una giornata di merda in cui Morgan non si è fatto vedere, Rodini è diventato, improvvisamente e del tutto inaspettatamente, una specie di tiranno severissimo, bastardo e intransigente, mentre Matteo ha passato più tempo a rotolarsi sul pavimento per le fitte allo stomaco che a provare il suo nuovo brano.
Insomma, a giudicare da come si stanno mettendo le cose, questa quinta settimana sarà peggio di quella appena passata, che pure è stata un Inferno niente male.
Noemi sta cominciando a stancarsi di questa situazione, davvero. Le manca quel bel clima rilassato che ha imparato ad associare al Team Morgan. Le manca la squadra super-unita che ride delle reazioni esagerate di Matteo. Le manca Morgan che va in giro fluttuando a cinque centimetri dal pavimento, colmo di gioia. Le mancano le jam serali, le manca che Rodini sia simpatico, accomodante, folle abbastanza da mettersi a imitare Louis Armstrong. Le mancano, più di ogni altra cosa, i duetti di Morgan e Matteo, e le conversazioni impossibili all’ora di cena.
Chissà cosa mai direbbe Elisa, se ci vedesse ora, si chiede.
“Buonasera, ragazzi,” saluta Rodini, e poi si abbandona stancamente sulla solita sedia. Dietro di lui, compare Enrico, pallido come un cencio, e Noemi si lancia istintivamente verso di lui, domandandogli ehi, cosa c’è che non va?
Enrico abbozza un sorriso.
“Il peggio è passato,” mormora.
Noemi lo guarda, confusa, e lui accenna ad una enorme teglia che Rodini portava con sé e ha abbandonato sul tavolo senza troppi riguardi.
“Che cos’è?” chiede Andrea, rizzando la schiena e allungando il naso, curioso.
“Oh, già. La manda Morgan,” spiega Rodini, agitando una mano. Noemi nota un milione di cose, nel suo tono stanco e dietro le poche, spiccie parole. Morgan non verrà a cena stasera. Morgan ha mandato questa teglia di solo Dio sa quale immangiabile obbrobrio per scusarsi e, forse, perché è preoccupato per Matteo.
“Apro?” chiede proprio Matteo, esitante.
“Apri, apri,” interviene Enrico, che ha un’espressione così soddisfatta che Noemi non sa se baciarlo o picchiarlo.
Matteo afferra la carta stagnola che ricopre la teglia e ne solleva un lembo, quasi avesse paura che la misteriosa pietanza possa esplodere. Si concede una sbirciatina e poi aggrotta le sopracciglia.
“Andrea, le hai poi finite, quelle melanzane grigliate che erano in frigo?” chiede.
“No, certo che no, erano un quintale!”
“Bene. Prendile un po’, vuoi? Morgan ci manda una torta di ceci.”
Enrico ridacchia, contento, poi sorride a Noemi. Le si avvicina, fregandosene dello sguardo sospettoso di Matteo.
“È un piatto tipico livornese,” mormora, talmente piano che il battito d’ali di una farfalla a Taiwan si sarebbe sentito più facilmente.
Noemi, però, capisce perfettamente; sorride, e le viene voglia di abbracciare Matteo e dirgli visto? Morgan ti ama, ti adora. Rimane zitta, però, estasiata dall’idilliaca atmosfera che le melanzane e i ceci hanno riportato nel loft. Non è ancora il momento, si dice. Non è ancora il momento.
Venerdì sera Andrea - Giops - è l’unico stressato: pare abbia sfondato le sue scarpe preferite, nel tentativo di scalare il muro della sua camera; Noemi invece ha organizzato un torneo di videogame al quale Enrico e Rodini hanno preso parte con un entusiasmo quasi spaventoso, perciò adesso il loft è pieno di scoppi di risa, esplosioni e lamenti.
Matteo sembrava star meglio e dopo cena è sgattaiolato in sala prove, ansioso di recuperare il tempo perso a vomitare.
Morgan non si è fatto vivo nemmeno oggi - né alle prove, stamattina, né a cena. Rodini ha detto che era in riunione con i capoccioni del programma, poi a pranzo con la Maionchi, e nel pomeriggio aveva degli affari personali da sbrigare.
Noemi non ha creduto ad una sola delle parole del vocal coach, ma non ha detto nulla, si è limitata ad annuire ed è tornata a concentrarsi sul suo pezzo.
A pranzo, ha pensato che forse Morgan ha esaurito tutto il coraggio ed è tornato a scappare.
Nel pomeriggio, si è detta che forse parlare a Matteo sarebbe stata una buona idea - sai, spronarlo a cercare Morgan e parlare con lui, chiarire davvero, una volta per tutte, e tornare il dinamico duo spaventosamente affiatato di un tempo, al diavolo i favoritismi.
Dopo cena, quando è andata nella sala riunioni a recuperare la sciarpa che Enrico aveva dimenticato lì nel pomeriggio, ed è passata davanti alla sala prove, e ha sentito Morgan parlare di somatizzazioni e Matteo ridere, ha sorriso, e ha capito che il silenzio è davvero un incantesimo. (Cecilia Dart-Thornton)
La sala prove è immersa nella penombra, perché Matteo non vuole vedere i tasti del pianoforte e soprattutto non vuole vedere le parole della canzone che lo fissano, quasi arrabbiate, portando una pesante accusa con sé.
Ha perso tanto tempo, e lo sa, e questo lo fa arrabbiare, ma gli mette anche ansia, perciò canta.
Canta ad occhi chiusi, attento ad ogni nota, ad ogni sfumatura della propria voce, per non pensare.
Morgan non ha tempo da dedicargli, Rodini sta impazzendo per star dietro a tutti e quattro, perciò gli tocca tornare il maestro di sé stesso.
A metà della seconda strofa, la sua voce s’incrina. Matteo si piega, le mani premute sullo stomaco, e appoggia la fronte alla tastiera del pianoforte, scatenando una sommossa di doremì evidentemente incazzati.
“Ma che cazzo è,” soffia, ogni singolo muscolo del suo corpo contratto in uno spasmo di dolore.
“Si chiama somatizzazione,” lo raggiunge la voce di Morgan, da un mondo lontano - un mondo in cui lui è un lapislazzulo lavorato, in buona salute, felice, degno dell’ammirazione del suo maestro. “Senti talmente tanto la mia mancanza che traduci questa insostenibile sofferenza psicologica in dolore fisico.”
“E tu perché non sei a rotolarti sul pavimento?” ringhia Matteo, più duramente di quanto vorrebbe. “Sbaglio o hai più rimorsi di me?”
Morgan scuote le spalle.
“Io sono stato temprato da grandi sofferenze,” pontifica, e ha enfatizzato così bene tutta la frase che Matteo non riesce a trattenere una risata. Morgan lo prende come un invito a farsi avanti, perciò invade la sala prove con la sua presenza, e siede accanto a Matteo, sulla panca del pianoforte.
“Forse sei troppo vicino,” mormora Matteo. “Ti sento respirare.”
“Ti infastidisco?”
“No.” No, non mi infastidisci, ma mi fai paura: starti vicino è piacevole a livelli sconcertanti. No, non mi infastidisci, ma mi innervosisci: vuoi farmi la predica? Sculacciarmi? Ricominciare ad ignorarmi? No, non mi infastidisci, mi emozioni, ma, maledizione, non lo ammetterò mai. “No, non mi infastidisci.”
Morgan annuisce, poi comincia a strimpellare il pezzo di Matteo.
“Cantamela un po’, coraggio.”
Matteo si immobilizza, inspira, espira, si preme una mano sul petto, all’altezza del cuore, per impedirgli di schizzare a spiaccicarsi sul muro.
“Sul serio?”
“Sul serio, mi pare ovvio.”
“O-okay.”
Matteo canta, la testa leggera, e stranamente ricorda tutte le parole. Stranamente, non sbaglia una nota. Stranamente, il ginocchio di Morgan premuto gentilmente contro il suo non lo infastidisce, non lo spaventa, non lo innervosisce: lo emoziona immensamente, ma, maledizione, non lo ammetterà mai.