Titolo: Il Rodolfo e la Bestia
Fandom: RPF Basket
Personaggi/Pairing: Rudy Fernandez/Ricky Rubio, Marta Fernandez, la famiglia Rubio, JCN, Danilo Gallinari
Rating: PG
Conteggio Parole: 3713 (
fidipu)
Avvertimenti: AU, kitten!fic, crack, slash
Prompt: Altrove @
Cow-T 2, come al solito su
maridichallenge.
- Fandom!AU @
auverse. [
tabella]
Note: Dio, lo so che avevo promesso 4K per questo prompt, pena un limonamento Gasolvarro al quale non mi sarà permesso di assistere, ma perdonatemi se vi dico che ho ancora un paio di cose da postare e che, nel complesso, le 4K le supero abbondantemente. Dai. #TOGASOLVARRO
- *ride*
- Tra l'altro, il giorno in cui scoprirò come settare la sostituzione automatica di Word a quello che dico io, sarà un bel giorno.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ Il Rodolfo e la Bestia.
Viveva, or non è molto, in una terra della Catalogna, che non voglio ricordare come si chiami, un bachiller di quelli che hanno le gambe lunghe, le mani grandi, i pantaloni larghi e le scarpe pesanti, e passano il tempo ad infilare palloni arancioni nell’abbraccio di ferro di un cerchio sospeso a mezz’aria. Ricard era il suo nome, ma solo sua madre lo chiamava così, peraltro solo quando combinava guai; infatti, erano anni che tutti lo conoscevano semplicemente come Ricky. Era un giovanotto di bell’aspetto, sicuro di sé, ma arrogante ed egoista, e mai una volta aveva dovuto cambiare le proprie lenzuola, o cucinarsi il pranzo.
Durante una fredda, freddissima notte d’inverno, un vecchio, gobbo mendicante bussò alla porta della sua casa, che più che una casa era quasi un castello. Era davvero tardissimo, e già tutti dormivano; soltanto Ricky era rimasto sveglio, acciambellato sul divano sotto una coperta fatta a mano da sua madre, per guardare in diretta una partita dell’NBA. Quindi, fu costretto ad andare ad aprire.
Fece con comodo, naturalmente, perché gli pesava abbandonare il tepore in cui s’era accoccolato, e, quando finalmente aprì la porta, non riuscì a trattenere un brivido a vedere l’inquietante figura del vecchio, ricurva sotto un mantello fradicio di pioggia e illuminata a intermittenza dal balenare dei tuoni.
Il mendicante, con una voce fine e gentile, chiese al giovane Ricky l’onore di una partita a pallacanestro con lui. Gli offrì persino una splendida, rarissima rosa rossa e blu, in cambio di quel piccolo favore, ma la tormenta di pioggia gelida e vento imperversava, e l’intervallo della partita stava per terminare, per cui Ricky rise, sprezzante, e disse al vecchio di ritornare quando il tempo si fosse aggiustato.
- Ma per allora potrei essere morto! - protestò il mendicante, sgranando gli occhi sotto il cappuccio liso; Ricky per un momento esitò, ma infine scosse la testa, e richiuse il pesante portone.
Il vecchio, allora, - che in verità, in verità vi dico, non era davvero un vecchio, e neppure un mendicante, e neppure brutto, né niente, semmai il contrario, - sospirò, affranto; si scrollò di dosso il dilavato e graffiato mantello e si stiracchiò, ergendosi in tutta la sua notevole statura. Un battito di ciglia rivelò il vero aspetto del suo volto, e, se Ricky avesse potuto vederlo, di certo persino il suo cuore avrebbe avuto un tremito; sotto le spoglie del mendicante, infatti, si celava nient’altri che il Re di Spagna, il leggendario Juan Carlos Navarro, che, a prestar retta ai mormorii della corte, aveva un po’ questo vizietto di gironzolare per il Paese a sfidare ragazzini.
Per punire la crudeltà con cui Ricky aveva negato ad un povero vecchio il suo ultimo desiderio, Juan Carlos scagliò un incantesimo sul castello, trasformando il principe in un’orribile Bestia, e l’intera sua famiglia in suppellettili svedesi dai colori sgargianti. Juan Carlos stabilì, inoltre, che Ricky sarebbe potuto tornare umano solo se avesse vinto un confronto uno contro uno prima che la rosa incantata fosse sfiorita.
Juan Carlos se ne andò, quindi, canticchiando tra sé un motivetto allegro, incurante del diluvio di pioggia, del vento fortissimo che sradicava alberi tutt’attorno a lui.
Sotto il rombo cupo del tuono, per tutta la notte echeggiò il miagolio disperato della Bestia.
* * *
In un villaggio vicino viveva, ormai da qualche tempo, il giovane Rodolfo, che tutti però chiamavano Rudy, perché Rodolfo è un nome palesemente brutto e da vecchio, e ritenevano, inoltre, che fosse un ragazzo molto strano, perché la sua famiglia veniva dalle isole, e si sa che tutti quelli che vengono dalle isole sono per forza strani. Rudy, tuttavia, non era infastidito da questi bisbigli; al contrario, li trovava divertenti, e molto di compagnia (non esistevano ancora le televisioni e i lettori mp3, sfortunatamente, perciò uno doveva arrangiarsi come poteva, per ingannare un po’ il silenzio), perciò un bel giorno si era messo d’impegno, ed era riuscito a scolorire la zazzera di capelli color nocciola che gli cresceva incontrollabilmente sulla fronte in un bel biondo dorato, e quello sì che aveva fatto mormorare la gente.
Rudy amava molto il suo cane Max, ma soprattutto la pallacanestro, e, quando aveva un pallone tra le mani, non si accorgeva di nulla, neppure di Gallo, l’idolo di tutte le ragazze e i ragazzi e gli uomini e le donne e i polli e le pollastre e, soprattutto, di tutti i pulcini. Gallo pensava che Rudy fosse il più bello non solo del paese, ma del mondo intero, - persino con quel ciuffo giallo appeso tutto storto sulla faccia, sì, - e aveva deciso che, un giorno, sicuramente si sarebbero sposati, perché Rudy era perfetto e lui voleva solamente farlo felice, e palesemente nessuno ci sarebbe mai riuscito meglio di quanto poteva lui. Rudy, dal canto suo, riteneva che Gallo fosse un ragazzo simpaticissimo, ma non aveva mai pensato a lui che come ad un amico che fa la faccia di un’anatra in tutti i ritratti.
Rudy aveva anche una sorella, Marta, una ragazza sveglia, molto più di quel pigrone inutile di suo fratello, e che era bravissima a costruire cose; un giorno, finalmente, riuscì a perfezionare una curiosa macchina per raffreddare l’acqua.
- Rudy! - gridò, quando lo strano marchingegno si mise in moto. - Rudy! Vieni subito qui!
Rudy, naturalmente, stava tirando a canestro in cortile, e accorse in tutta fretta, sgranando gli occhi davanti alla nuova invenzione della sorella, che sputacchiava fumo e tremava.
- Che cos’è? - domandò, sospettoso. Marta sorrise, entusiasta.
- Togliti le scarpe, - ordinò, e Rudy, sebbene perplesso, obbedì senza fare storie, perché aveva imparato da bambino che non era una buona idea, discutere con sua sorella. - Metti i piedi lì, - aggiunse lei, e indicò un gran catino pieno d’acqua, collegato alla macchina da un gran numero di tubi.
Rudy aggrottò le sopracciglia, si stropicciò il ciuffo, ma non osò dire nulla. Marta lo guardò, impaziente, e lui, con tutta la cautela del mondo, saggiò con l’alluce la superficie dell’acqua.
- È fredda! - strillò, saltando via, e non era semplicemente fredda, oh, no, era gelata!
Marta scoppiò a ridere e lo abbracciò, trionfante, poi lo cacciò via, perché doveva smontare la macchina e impacchettarla per la fiera. Max, che sonnecchiava in un angolo, sbuffò, poco contento per tutto quel trambusto, e voltò la testa dall’altra parte.
Marta partì all’alba, il giorno seguente. Rudy dormiva scompostamente sul divano, e Marta gli sorrise, prima di avviarsi; era convinta di poter vincere il primo premio, e diventare famosa, ricca, rispettata in tutto il regno.
Ben presto, tuttavia, Marta si accorse di aver sbagliato strada - non c’erano indicazioni, naturalmente, perché nessuno viaggiava mai tanto, in Spagna, se non per i tornei di pallacanestro, e allora intere carovane si affidavano alla casta dei tassisti, che, naturalmente, era piuttosto gelosa delle proprie mappe.
- Andiamo per di qua, Felipe, - disse Marta, rivolta al cavallo, ed entrarono in un gran bosco rigoglioso, ma talmente fitto da oscurare completamente la luce del giorno. Ad un tratto, degli ululati minacciosi spaventarono il povero Felipe, che s’impennò; Marta cadde dalla sella, e da dove giaceva, sul sottobosco morbido di foglie e muschio, si accorse che erano circondati di lupi.
In fretta, la fanciulla si tirò in piedi e liberò il cavallo dallo zaino che conteneva il marchingegno. Gli assestò una pacca su un fianco, quindi, e Felipe nitrì di nuovo, spaventato e irritato a un tempo.
- Va’ via, torna da Rudy! - lo incitò Marta, e, quando il cavallo scappò, lei si mise a correre nella direzione opposta, lo zaino sulle spalle. Non avrebbe saputo dire quanto aveva corso, ma ad un certo punto riuscì a seminare il branco di lupi, e giunse, col fiato corto e le gambe che le cedevano, ad un altissimo cancello, che si rivelò aperto.
Non le sembrava una buona idea, varcarlo, perché in fondo al viale vedeva una casa talmente enorme da sembrare un castello, e questo genere di cose non promettono mai niente di buono, specie quando sono nascoste in mezzo a un bosco infestato di lupi, però di certo non avrebbe potuto tornare indietro, per cui sospirò, e spinse.
La grande casa le sembrava abbandonata: non c’era neppure una finestra illuminata, e tantissima edera verde smeraldo pioveva sull’intera facciata. Anche il portone era aperto, e Marta decise che non avrebbe avuto tanto senso, esitare ancora, perciò superò anche quello.
- C’è nessuno? - chiese, educatamente, una volta entrata nel palazzo. La sua voce echeggiò nell’amplissimo ingresso, rimbalzò sui marmi lucidi e s’inerpicò su per l’enorme, principesca scalinata proprio lì di fronte. Marta si guardò attorno, sorpresa, e si domandò dove mai fosse finita.
- Certamente, madamoiselle! Benvenuta! - disse una voce.
- Chi ha parlato?! - esclamò Marta, voltandosi di scatto; non c’era nessuno, ma vide un candeliere, e lo afferrò, brandendolo come un’arma. - Fatti vedere!
- Ma sono qui! - rispose il candeliere. Marta, sorpresa, quasi lo lasciò cadere.
- Santo cielo! - sbuffò, spaventata. Sui tre stoppini delle candele comparvero delle belle fiammelle gialle, e il candeliere le sorrise, educato.
- Il mio nome è Marc Rubio, signorina, e sono al vostro servizio.
Prima che Marta potesse rispondere, tuttavia, si udì un ticchettare frenetico, e, guardando in basso, la ragazza vide una teiera che saltellava verso di loro.
- Oh, Marc! Non essere sciocco, tesoro, sai cosa succederà se tuo fratello la trova qui? - soffiò la teiera; il candeliere - Marc - alzò gli occhi al soffitto.
- Mamma, ma non capisci? - disse. - Finalmente ci siamo! Questa fanciulla è qui per liberarci dall’anatema!
Naturalmente, quello era il castello in cui viveva Ricky. Marta non aveva mai sentito parlare di lui, per cui seguì Marc e sua madre fino alla cucina e, davanti ad una rinvigorente tazza di tè e ad un ancor più gradito piatto di biscotti, si fece spiegare tutta la storia.
Da quando Juan Carlos aveva scagliato il suo incantesimo, - ma ancora né Ricky né la sua famiglia sapevano che si trattava di lui, sebbene la rosa, con una voce sorprendentemente baritonale, avesse rivelato, poco dopo, tutti i dettagli della punizione, - Ricky si vergognava terribilmente del suo aspetto, e aveva ordinato che nessuno potesse vederlo, né tantomeno sfidarlo. I suoi familiari avevano per settimane tentato di spiegargli che, così facendo, era lui ad impedire che la maledizione venisse sciolta, ma Ricky sapeva essere tremendamente testardo, e non ne aveva voluto sapere di ragionare.
- Passa le sue giornate a piangere e farsi le unghie sugli arazzi, - sospirò la teiera sua madre. - E intanto la rosa sta sfiorendo e, oh, tesoro, ancora un goccio di tè?
Marta annuì, masticando pensosamente un biscotto.
- C’è bisogno di qualcuno che voglia giocare a basket con lui, allora? - chiese, e Marc annuì, sconsolato.
Marta sorrise. Aveva un’idea.
* * *
Al villaggio, intanto, Rudy stava sconfiggendo per l’ennesima volta Gallo a Monopoli, e Gallo, dal canto suo, non faceva che innamorarsi di lui ancora di più ad ogni tiro di dadi. L’idillica partita, però, fu interrotta dall’arivo di Felipe, trafelato e drammaticamnete solo. Rudy balzò in piedi, spaventatissimo, e tentò di calmare il cavallo.
- Dov’è Marta? - chiese, mentre Felipe scalpitava, riuscendo soltanto a far agitare anche lui. Rudy ci mise un po’ a ricordarsi che difficilmente il cavallo avrebbe potuto rispondergli in maniera comprensibile; quando se ne rese conto, raccolse da terra il suo pallone da basket, e, risoluto, balzò in sella all’animale. Cavalcò impavido verso il tramonto, e Gallo rimase lì in piedi, a salutarlo agitando una mano, completamente perso.
Max si grattò pigramente dietro un orecchio, e si rimise a dormire.
* * *
Marta abbracciò Marc e sua madre un’ultima volta, prima di caricarsi lo zaino sulle spalle e prepararsi ad andare.
- Sarò di ritorno tra due giorni con mio fratello, - promise, sorridendo. Naturalmente, proprio mentre stava per sgattaiolare via dal castello, in cima alle scale comparve un’ombra terribile, nera come la notte: Ricky si era svegliato.
* * *
Rudy e Felipe arrivarono al castello a notte fonda.
- Sei sicuro che sia lì dentro? - domandò il ragazzo, scrutando dubbioso l’inquietante palazzo. Felipe sbuffò, nitrì, e, quando si rese conto che Rudy non aveva intenzione di smontare di sella, lo disarcionò senza troppe remore.
Massaggiandosi il fondoschiena offeso e con un’occhiataccia al cavallo, Rudy si mise sottobraccio il pallone, e varcò il cancello. Poco lontano dal portone trovò una fibbia arancione sgargiante che proveniva dallo zaino di sua sorella, e questo servì a fargli coraggio e, insieme, a terrorizzarlo.
Tutti i corridoi del castello erano bui, terribilmente silenziosi. Un sacco di tizi in divisa da pallacanestro lo scrutavano severamente dai ritratti appesi alle pareti, e Rudy rimase per un po’ fermo ad osservare il più grande di tutti, un dipinto che s’allargava per più di cinque metri e raffigurava un momento dalla partita con cui Juan Carlos Navarro s’era conquistato il titolo di Re di Spagna.
Rudy fischiò un po’ tra i denti, impressionato, e grattò con un’unghia un angolo del quadro.
Davvero niente male, pensò, e stava soppesando la possibilità di portarsi via perlomeno un paio dei quadri più piccoli, quando un rumore proveniente da poco lontano attirò la sua attenzione.
Rudy si fece coraggio, perché avrebbe potuto trattarsi di Marta e, se voleva schiodare quelle croste dalle pareti, di certo avrebbe avuto bisogno del suo aiuto; costrinse le proprie gambe a muoversi, e poi, quando svoltò l’angolo e scrutò nella penombra, a stento riuscì a trattenere uno strillo.
No, vabbè, d’accordo, strillò per davvero.
- Ma sei un amooooooooooore! - esclamò, slanciandosi verso il gattino nero che stava sculettando in corridoio verso le scale. La bestiola si voltò di scatto, fissandolo sgranando gli occhioni, e quello fu il colpo di grazia, per Rudy, che aveva un debole terribile per gli animali, e ancor di più quelli piccini e carini. Lo raccolse, allora, con tutta l’attenzione del mondo, - santo cielo, il micio era tanto piccolo che gli sarebbe bastata una mano a tenerlo, - e se lo avvicinò al viso, sbaciucchiandolo senza il minimo ritegno e facendogli i grattini sulla schiena.
Il gatto tentò di opporre resistenza, graffiandolo e soffiando e in generale lagnandosi a pieni polmoni, ma era un cosino talmente piccolo che persino affondando interamente gli artigli nelle mani di Rudy gli faceva poco più che il solletico, perciò era una battaglia persa in partenza.
- Ma che bella polpettina pelosetta e incazzosa che sei, - lo sbeffeggiò Rudy, baciandolo tra le orecchie e premendo il naso contro il suo pelo. - Ti va di accompagnarmi a cercare la mia sorellina, hm? Ma sì che ti va, ma certo che ti va, awwww, sei carinissimo~
E continuò a tormentare la bestiola per tutto il tempo - i familiari di Ricky, attentamente nascosti dietro le colonne e gli arazzi e sotto le librerie, seguivano ogni suo passo e lo fissavano, terrorizzati, e non sapevano come intervenire; d’accordo, magari Marc era anche un po’ supremamente divertito, - finché, finalmente, non giunse nelle segrete, dove era rinchiusa Marta.
- Rudy! - esclamò sua sorella, a vederlo, e balzò in piedi. - Presto, le chiavi della cella sono su quel tavolo! Dobbiamo andarcene subito, oh, Rudy, c’è una Bestia terribile in questo castello!
Rudy quasi lasciò cadere le chiavi per lo spavento.
- U... una Bestia? - chiese, e Marta annuì.
- Era un ragazzo, una volta, ma poi un vecchio gli ha fatto un incantesimo, trasformando lui in un mostro e la sua famiglia in pezzi di arredamento... sono tutti molto simpatici, ti dirò, tranne la Bestia, ovviamente, e infatti è per aiutare loro che volevo venire a prenderti, se solo quel ragazzino tremendo mi avesse lasciato spiegare!
- Volevi venire a prendermi? - ripeté Rudy, perplesso, e per un attimo gli venne il dubbio che, magari, avrebbe fatto meglio a lasciare lì sua sorella. Insomma, quella ragazza poteva essere parecchio pericolosa.
- Sì, vedi, l’incantesimo può essere spezzato solo se qualcuno si mette a giocare a basket contro il ragazzo, e poi perde, - spiegò Marta; Rudy le aprì la cella, finalmente liberandola, e la guardò inarcando le sopracciglia.
- E tu hai pensato a me? - chiese, scoppiando a ridere. Marta si ripulì la polvere dai vestiti, scrollò le spalle in un cenno distratto di assenso. - Oh, sorellina. Dovresti saperlo che non esiste persona al mondo che riuscirebbe a battermi in un uno contro uno.
Marta aprì la bocca per replicare qualcosa di sicuramente offensivo, ma il gattino, che s’era infine arreso, piazzandosi dentro la camicia di Rudy e sembrava non avere ormai la minima intenzione di muoversi da lì, diede un miagolio di protesta, scalandogli il petto per ficcare la testa fuori dal colletto e guardarlo male.
Rudy gli sorrise, innamorato, e con un dito lo grattò dietro le orecchie.
- Ho ragione, bimbo, non è vero? - domandò, con la sua voce più stupida. Il gattino miagolò di nuovo, chiaramente in disaccordo, ma Rudy rise. - Lo so, lo so. Appena arriviamo a casa ti faccio vedere come sono bravo. Diglielo pure tu, Marta--
Ma Marta non sembrava aver voglia di dire nulla. Stava fissando il gatto con gli occhi sgranati sul viso pallido, e Rudy si accigliò, perplesso, le ficcò un indice in una guancia per scuoterla.
-Rudy, - pigolò sua sorella, senza schiodare lo sguardo dal micio, che aveva cominciato a lisciarsi distrattamente il pelo. - Rudy, che ci fai con quella Bestia nella camicia?
Rudy, allora, chinò la testa, per controllare di che Bestia stesse parlando sua sorella, e si accigliò ancora un pochino.
- Bestia? Marta, ma è solo un gattino, - disse, e, per sottolineare l’evidenza dei fatti, prese il suddetto gattino per la collottola e lo spinse sotto il naso della sorella, senza curarsi dei soffi offesi e delle zampate dell’animale. Marta fece un balzo all’indietro, coprendosi il viso con le braccia.
- Mettilo via! - esclamò, terrorizzata. - Mettilo via, Rodolfo, o giuro che ti distruggo!
- Va bene, va bene, calmati, - disse Rudy, spalancando un po’ gli occhi per la sorpresa, e si ficcò di nuovo il gatto nella camicia, accarezzandolo distrattamente. - Si può sapere che ti prende?
A Marta le prendeva che, in effetti, il gatto era Ricky, e Ricky era la Bestia, indipercui, il gatto era la Bestia. Quando ebbe spiegato il sottile ragionamento a Rudy, questi si mise a ridere così tanto che gli vennero le lacrime agli occhi, ma sua sorella non stava scherzando.
Rudy abbassò gli occhi sul micio, allora, che, con le zampine piantate sul suo petto, lo guardava severamente.
- Cazzo, - soffiò.
E, beh, sì.
* * *
- Io mi rifiuto, - proclamò Rudy, solennemente. La famiglia di Ricky - mamma teiera, papà cornice di ritratto, Marc candelabro e Laia, la sorella minore, pantofola rosa con ponpon giallo canarino e peloso, - tutta raccolta attorno a lui, diede un mormorio sorpreso e affranto; Ricky, accoccolato sul suo grembo, gli scoccò un’occhiataccia, ma continuò a fare le fusa mentre Rudy gli accarezzava la schiena.
- Rudy, non essere assurdo, - obiettò Marta, corrugando la fronte. - Sono solo un paio di tiri.
- Sì, ma dovrei perdere, - disse Rudy, sgranando gli occhi. - E io non perdo mai.
- Ricordati di essere gentile coi vecchi mendicanti, - mormorò Marc, perché, seriamente, io non perdo mai? Era una delle frasi topiche di suo fratello.
Rudy tirò su il mento, altezzoso.
- Io sono sempre gentile con tutti, grazie tante, - disse. E meno male.
Marta si strofinò una mano sulla faccia, esausta.
- Fratellino, io ti scongiuro. Bastano dieci minuti, avrai salvato tutte queste persone e nessuno all’infuori di noi saprà mai che hai perso contro un gatto!
- Ma lo saprete voi, e lo saprò io! - insistette Rudy, testardo. Era una cosa parecchio grave, eh.
- Giuro che non te lo rinfaccerò mai, Rudy. E poi avrai perso di proposito!
- E peggio ancora! Che razza di giocatore è uno che perde di proposito contro un gatto?
A quel punto, Marta non sapeva proprio più che replicare.
La famiglia Rubio s’era già rassegnata a passare il resto dei propri giorni sotto la forma decisamente umiliante di accessori per la casa comprati da Zara con lo sconto del 50% - Ricky, invece, in tutta onestà era piuttosto contento della sua sistemazione felina, - quando, per miracolo, a Rudy venne un’idea che non era totalmente da buttare.
* * *
- Dunque, ricapitoliamo, - disse Rudy, schermandosi il viso con una mano. - Questo è il pallone, quello è il canestro, e quello è il gatto che deve vincere. Tutto chiaro?
- Tutto chiaro, - disse Gallo, sognante. Quando Rudy gli spinse il pallone tra le mani e gli sorrise, lui inciampò nei propri stessi piedi e quasi cadde, sebbene non avesse mosso neanche mezzo passo.
Ricky, acciambellato poco più in là sulle zampe posteriori, oltremodo adorabile con addosso quella divisa formato mignon, inarcò un felino sopracciglio. Cielo, sarebbe stato così noiosamente facile.
E noiosamente facile fu.
Gallo era bravo, per carità, altissimo e con un’ottima mira e, per di più, col vantaggio dei pollici opponibili; purtroppo, però, era anche impossibilmente incapace di non essere maldestro e imbranato davanti a Rudy, per cui, alla fine, Ricky, che il pallone neanche riusciva a sollevarlo, vinse per ventuno a tre. Un trionfo, davvero, e Gallo neppure sembrava dispiaciuto, perché far vincere il gatto era quello che Rudy voleva, no?
D’un tratto, levitò fino al campo la rosa incantata di Navarro; sospesa a mezz’aria proprio sopra la testa di Ricky, cominciò a brillare sempre più intensamente, finché per un attimo tutto il mondo si colorò di rosso e di blu, e Rudy ebbe un inspiegabile bisogno di sventolare bandiere blugranate e levare un crit valent.
Quando la luce si dissolse, i familiari di Ricky erano tornati umani, e al posto del gatto c’era un ragazzo magro, con una gran frangetta nera che gli spioveva sugli occhi e un sorriso furbo, stronzo, arrogante.
Rudy, che s’era innamorato del gatto, per un attimo non capì; poi vide nella smorfia del giovane la stessa fiera indisponenza che aveva conquistato il suo cuore, e finalmente lo riconobbe.
- Mi mancherà farti i grattini, - sogghignò, prima di tirargli addosso il pallone che teneva sottobraccio; Ricky lo catturò senza problemi, con entrambe le mani.
- E chi ha detto che puoi smettere di farmeli? - chiese. Rudy rise, se lo attirò contro per stropicciargli i capelli.
Quel giorno, Ricky e Rudy giocarono a lungo, e poi, quando decisero che forse era giunto il momento di prendersi una piccola pausa, resero pure Marta molto orgogliosa, permettendole di mettere a frutto la sua geniale invenzione, preparandosi un catino di acqua ghiacciata in cui immergere i piedi per un po’ di sollievo.