Titolo: Trapped between two bruised lungs
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Alessandro Del Piero/Claudio Marchisio, apparizioni minori di Gigi Buffon e Sonia Del Piero
Rating: R
Conteggio Parole: 10'000 (
fidipu)
Avvertimenti: AU, slash, angst/fluff, UST (same ol', same ol')
Prompt: Jolly (professione!AU) @
auverse. [
tabella]
Note: Ok, questa volta Alex è un fotografo e Claudio un ragazzo problematico. Sort of. Mi sento in dovere di avvertirvi che alla storia manca un pezzetto - una spiegazione, nello specifico, e ok, il porno, e un finale chiuso (LOL chiuso, come se fossi capace), - però che devo fare, voleva nascere settimina, mica potevo tenermela. La sorella arriverà, giuro non come la medical!AU. Questa l'ho plottata.
- Per chi non lo sapesse, la Ve'cel esiste davvero, ed è la linea di abbigliamento di Chaz dei Linkin Park. *ride* In effetti fanno solo tipo t-shirt (e credo non abbiano una collezione nuova da almeno tre-quattro anni), ma è un nome figo e quindi l’ho usato, inventandomi il resto di sana pianta fdjhfhdjks.
-
Questa qui è la sciarpa che, a un certo punto, indossa Claudio. Ve la mostro perché le mie descrizioni fanno notoriamente capire tutto meno quello di cui sto parlando, per cui.
- Potrete anche odiarmi, alla fine di questa storia, ma mai quanto mi odio io. #whydoievenbother
- Il titolo è ovviamente dovuto alla Florence + The Machine, anche se il bruised ce l'ho messo io perché sdgnnnn. <3
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ Trapped between two bruised lungs.
Cristo santo, Gigi l’ha fatto di nuovo.
Alex non è uno con l’incazzatura tanto facile e, generalmente, quando pure capita che perda la pazienza, non è che alza la voce o diventa violento, ma Gigi, oh, Gigi ha la capacità sovrannaturale di appiccare il fuoco ad ogni singola terminazione nervosa di Alex semplicemente esistendo, perciò lui, ora come ora, ha una voglia incredibile di schiantare una chiave inglese sulla mandibola del suo migliore amico - e collega; Dio, chi gliel’ha fatto fare di mettersi in società proprio con Gigi, comunque? È una domanda che Alex si pone perlomeno sei volte al giorno, tutti i giorni, da dieci anni, e non è ancora riuscito a trovare una spiegazione convincente.
Avanza a passo di marcia nello studio, il bicchierone di caffè saldamente in mano e la mini reflex appesa al collo che gli sbatacchia contro il petto, e, davvero, l’inconveniente principale dei loft open space è che, come entri, proprio non c’è modo di non guardarti intorno e notare tutto, pure il minimo dettaglio fuori posto. In un appartamento normale, Alex sarebbe riuscito ad arrivare fino al proprio ufficio, si sarebbe tolto il cappotto, si sarebbe sistemato, avrebbe fatto due chiacchiere con Sonia e per un’altra mezz’ora avrebbe potuto coccolarsi nell’illusione di avere, per una volta, una giornata di lavoro normale; e invece no. Invece, siccome hanno uno stracavolo di loft open space, gli è bastato aprire la porta e alzare gli occhi per rendersi conto che, Cristo santo, Gigi l’ha fatto di nuovo. Di nuovo.
Non è che Alex sia uno stronzo insensibile ai problemi delle persone, eh, per carità; al contrario, cose tipo le bande di delinquentelli e la tossicodipendenza tra i minorenni lo intristiscono molto e gli stanno a cuore, però una cosa è devolvere in beneficenza il dieci percento dei suoi introiti annui, - ed è un dieci percento bello congruo, eh, - e un’altra è andare in giro per i centri di recupero a pescare ragazzini, dargli una ripulita e pretendere di metterli a lavorare come modelli.
Seriamente, Alex è un po’ stanco di sguazzare nell’inesperienza più irrecuperabile. Gli piacerebbe, per una volta, riuscire a fare il proprio mestiere con gente competente; non chiede poi molto, eh, mica sempre - giusto un servizio ogni tanto! E invece no, e accidenti al giorno che non s’è scelto un socio un po’ meno misericordioso e filantropo di Gigi Buffon.
«Oh, Alex! Buongiorno!»
Eccolo, appunto, l’incarnazione diretta di Madre Teresa.
Alex si ferma un po’ bruscamente, fa mezzo giro su se stesso e si sforza, si sforza, si sforza di sorridere.
«Ciao, Gi’,» dice, e, se solo gli sguardi potessero uccidere, ora si troverebbe a doversi cercare un nuovo collega. «Quelli sono i ragazzi per la Ve’cel?»
Gigi fa un sorriso a quattromila denti.
«Precisamente. Vieni, dai, che te li presento.»
Prima di seguirlo, Alex sospira; beve un lungo, lunghissimo sorso di caffè e butta il cappotto sulla prima superficie orizzontale che vede. Si prepara mentalmente ad affrontare un’altra giornata brutta, infernale, angosciante, interminabile e pure frustrante, ma la verità è che quest’ennesima infornata di ragazzini smunti è un po’ meno peggio del solito, e Alex ne è molto sorpreso.
Gigi, accanto a lui, incrocia le braccia al petto e sorride, tutto tronfio.
«Non fare quelle smorfie, che sei inquietante,» bofonchia Alex, stringendo un po’ gli occhi e inclinando la testa per capire se c’è qualche speranza di illuminare quella biondina imbronciatissima in modo da farla sembrare anche solo vagamente meno cattiva.
Gigi ridacchia, sbatte le mani per attirare su di sé l’attenzione di tutti e Alex è costretto a constatare che, ora che hanno l’aria un po’ meno sperduta e annoiata, d’accordo, probabilmente è il gruppo migliore con cui abbia lavorato negli ultimi due anni o giù di lì - e si tratta di una mezza dozzina di tizi e tizie a malapena maggiorenni che, nella migliore delle ipotesi, Gigi avrà raccattato in metropolitana perché gli piaceva il colore delle loro scarpe o il loro accento o chissà che. Dio, che cosa triste.
«Ragazzi, questo è Alex,» dice Gigi, battendogli una pacca su una spalla. Alex fa un cenno appena, distratto dal modo in cui uno dei ragazzi - forse il più magro di tutti, - si mordicchia le labbra; lo sta immaginando con addosso quell’impermeabile chiaro avvitato sui fianchi, un jeans stretto, i capelli un attimo più spettinati, e, sì, d’accordo, ha trovato la sua faccia principale per il catalogo, - con degli occhi così, come faceva a sceglierne un altro?, - speriamo solo che non sia un cretino totale. «È il fotografo, per piacere fate tutto quello che vuole. Probabilmente vi chiederà pure di respirare come dice lui, e voi dategli retta, purtroppo è bravissimo.»
Una risatina collettiva e incerta attraversa il gruppo di ragazzi come un brivido; Alex sospira.
«D’accordo, facciamo un giro di prova per farvi familiarizzare col set e poi vediamo come procedere.»
*
Qualcuno deve aver messo una buona parola per Alex perlomeno con un paio di divinità sparse lassù tra le nuvole, perché anche le prove sono infinitamente meno tragiche di quanto lui avesse temuto. Dovrà rimanere in studio fino alle dieci di stanotte, se spera di andarsene a dormire con almeno una decina di scatti utilizzabili, ma è comunque un miglioramento rispetto al solito, roba da stentare a crederci, davvero.
Gigi è rimasto a ronzargli attorno per tutta la mattinata, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere la smorfia compiaciuta che ha sulla faccia, e Alex è riuscito a tollerarne la presenza solo perché tentare di rimediare all’inesperienza dei ragazzini è, chiaramente, un impegno che richiede tutta la sua attenzione. Ci sono giusto un paio di irrecuperabili, e finiranno facilmente relegati sullo sfondo di quei pochi scatti di gruppo che chiedeva la committenza; gli altri sono bene o male tollerabili, e ad avere un po’ di tempo potrebbero pure diventare dei professionisti in piena regola. Alex, in particolare, è piacevolmente sorpreso dal fatto che il ragazzo con gli occhi azzurri, quello che gli era piaciuto subito, quello che Dio, Dio, Dio se esisti ti prego fa’ che non sia un deficiente perché con quella faccia e quegli occhi potrebbe salvarmi da solo l’intero servizio, sia stato graziato dalla Natura da quel tipo di timidezza che, in camera, diventa sorprendentemente affascinante.
D’accordo, il fatto è che è veramente bello, sottile come uno spillo ed elegante e poi è adorabile il modo in cui discretamente tenta di sottrarsi all’obiettivo, ogni volta che lo spingono sul fondale. Alex si permette di fargli due serie da una quindicina di scatti continui, mentre stanno ancora provando, pizzicandolo mentre guarda fuori campo, e mentre si stringe nelle spalle, mentre si morde le labbra e arrossisce e si strofina una mano tra i capelli, e, Dio, c’è una parte di lui che vuole solamente mandare tutti a casa e allestire una mostra solo con quelle fotografie.
Chiaramente è un proposito peggio che pessimo, e Alex scuote la testa, come se tanto potesse bastare a liberarsene. Il ragazzo la prende come una critica alla sua postura un po’ meno che perfetta, e subito raddrizza la schiena, le guance che diventano decisamente più colorite. Alex alza la testa dal mirino, gli fa un sorriso.
«Scusami, ero sovrappensiero,» dice, arricciando un po’ il naso. «Stai tranquillo, stai andando benissimo.»
Il ragazzo arrossisce ancora, abbassa gli occhi, si morde la punta della lingua. Alex è velocissimo a zoommare sul suo viso, e scatta altre quattro foto in rapidissima sequenza.
La cosa peggiore è che non riesce neanche a sentirsi davvero in colpa.
*
«Allora, che mi dici?» domanda Gigi, e ovviamente sta gongolando, il bastardo. Alex sospira, svita la macchina fotografica dal cavalletto, la collega al portatile spalancato su un tavolino poco più in là e si lascia cadere sullo sgabello buttato lì davanti. «Fantastici, no?»
«A malapena,» sbuffa Alex, tamburellando distratto sul ripiano mentre il computer processa, scarica e archivia le fotografie. Gigi s’imbroncia, lui sospira. «D’accordo, un paio non sono neanche tanto male,» concede, e Gigi subito attacca a sogghignare. «Però ne abbiamo parlato, Gi’. Dio, non puoi continuare a propormi gente che prendi a caso dai marciapiedi--»
«Non li ho presi mica dai marciapiedi!» insorge lui, incrociando le braccia. «Cioè, non tutti. Le ragazze sono tutte di un gruppo di teatro, sai? Sono pure brave. E Sopracciglio gioca a calcio nella mia parrocchia, è un ragazzo rispettabilissimo. In realtà,» e sorride, e Alex sa già dove andrà a parare e gli viene la pelle d’oca. «In realtà, l’unico che ho effettivamente trovato in strada è quell’Occhi Azzurri che ti piace tanto.»
Alex vorrebbe rispondere che non è a lui che piace, Occhi Azzurri, ma chiaramente all’obiettivo, però decide di lasciar cadere la questione, non è che Gigi ci abbia mai capito granché, di certe cose.
Il computer bippa sommessamente, per avvisarlo che ha fatto il pieno di foto. Alex visualizza le anteprime e si mette a scrutarle una per una con aria critica, la fronte aggrottata, aprendone qualcuna di tanto in tanto; quelle che non gli fanno particolarmente schifo finiscono in una cartella a parte, quelle che piacciono a Gigi le cancella senza pietà, e poi arrivano agli scatti che ha rubato a Occhi Azzurri e, beh, ciao.
Gigi fischia, ammirato, quando Alex ingrandisce un primo piano in cui Occhi Azzurri guarda in giù, la luce diretta sul viso che gli rende gli occhi tanto tersi che sembrano grigi, le labbra rosse dischiuse, i capelli stropicciati e tirati all’indietro in una nuvola color nocciola.
«Beh, porca miseria, capisco l’appeal,» ridacchia Gigi, impressionato, e Alex lo manderebbe a quel paese, sinceramente, ma Occhi Azzurri, nella foto subito successiva, ha le guance arrossate, le labbra lucide, gli occhi sgranati - sono quasi verde acqua, ora, - e sembra che abbia appena baciato qualcuno fino a rimanere senza fiato e persino Gigi - Gigi, che sebbene adori qualificarsi come stilista è la cosa più eterosessuale di questo universo, - persino Gigi trattiene il fiato, deglutisce così a fatica che Alex lo sente.
Santo cielo, pensa Alex. Santo cielo, nient’altro.
*
Alex non deve fotografare nulla di trascendentale, le collezioni della Ve’cel sono sempre piuttosto semplici e altrettanto minimalisti sono i cataloghi e, considerando anche il compenso, beh, d’accordo, magari Gigi non ha avuto proprio un’idea del cazzo a uscirsene anche stavolta con dei dilettanti disperati. Alex continua a non essere precisamente entusiasta del poco raccomandabile bacino demografico da cui attinge ragazzini, - la compagnia di teatro di cui ha parlato, per esempio, è quella messa su dal centro di recupero di Vinovo, sono andati a vedere la prima del loro spettacolo di Natale e Alex se le ricorda, le ragazze, una per una; è un fotografo, e se essere fisionomista non è proprio indispensabile per il suo mestiere, quantomeno è d’aiuto, - ma, porca miseria, gli ha procurato Occhi Azzurri, perciò per oggi non ha intenzione di lamentarsi.
Non più del necessario, comunque.
«Gi’, siamo pronti?» chiede, a voce alta, controllando per l’ennesima volta le impostazioni di esposizione sulla macchina fotografica.
«Quasi!» gli urla Gigi, di rimando, dall’altro capo dell’appartamento. Alex non s’intende di abbigliamento, non più dell’uomo comune, in ogni caso, ma proprio non riesce a capire perché gli ci voglia tanto a sistemare una manciata di t-shirt addosso a dei ragazzi che non hanno mai vestito nient’altro in vita propria. Avessero dovuto illustrare un catalogo per Classico, allora sì che sarebbe stato legittimo tenerli in guardaroba pure due ore a testa, ma, miseriaccia, il capo più complicato che hanno è un jeans pieno di buchi, non si tratta di annodare cravatte e intrecciare alamari.
Finalmente, le prime modelle - due delle ragazze del teatro, - gli compaiono alle spalle, dirigendosi verso il fondale; una è scalza, e indossa un pantalone strettissimo, quadrettato di rosso e nero, e un top nero con una delle tipiche stampe schizzate e confusionarie della Ve’cel; l’altra, invece, ha degli stivali alti al ginocchio, una minigonna di jeans con tre dita di stoffa nera cucite al bordo inferiore, e una t-shirt molto aderente, rosso cupo. Stanno chiaramente morendo di freddo, ma nessuna delle due osa aprire bocca.
Alex tenta di far loro un sorriso rassicurante, e va ad alzare il riscaldamento.
*
Non va troppo troppo troppo troppo male, la sessione; nello specifico, la preoccupazione principale di Alex è il fatto che Gigi è uno scemo e non sa organizzarsi, per cui si ritrova con l’intero gruppo di ragazzi che ciondola per lo studio in attesa del proprio turno davanti all’obiettivo. Non sono affari suoi se i modelli si annoiano, naturalmente, ma non riesce a non essere un po’ preoccupato - e se rompono uno dei suoi obiettivi? E se si mettono in testa di andarsene a sballarsi nel suo bagno? E se succede qualcosa? No, no, e se rompono uno dei suoi obiettivi?
E poi, non è riuscito a fare a meno di notare che Occhi Azzurri non è ancora emerso dal guardaroba. Dubita che Gigi si stia prendendo particolare cura di lui, dal momento che è lì che fa il simpatico con i suoi nuovi pupilli perlomeno da un’ora, perciò, ecco, è un’assenza che proprio non si spiega.
Alex sospira, e si rende conto di non avere la minima idea di quello che ha scattato negli ultimi cinque minuti.
«A posto così,» dice ai due ragazzi che, sotto i riflettori, stanno molto adorabilmente ridendo. «Direi che possiamo fermarci per un po’, grazie.»
Gigi annuncia che sta scendendo a prendere la pizza per tutti, e che gli farebbe piacere un po’ di compagnia; Alex sistema con cura il copriobiettivo, e aspetta che i ragazzi siano andati a pascolare lontani dalla sua preziosa attrezzatura prima di avviarsi verso la distesa di paravento alti fino al soffitto che separano l’ala trucco dal resto dello studio.
«Sonia?» chiama, scostando una tenda di perline e strizzando gli occhi nella penombra soffusa del nuovo ambiente. «Sonia, ehi, sei qua?»
«E dove vuoi che vada?» gli risponde Sonia, da qualche parte più avanti, oltre le svariate decine di costumi e le scaffalature di alluminio, rimpinzate di documenti e cosmetici. Alex si fa largo tra le parrucche di lustrini, e arriva a intravedere la luce forte e bianchissima di una delle postazioni della truccatrice.
«Sonia, mi manca un modello, non è che l’hai visto?» domanda, cercando di mascherare come meglio riesce la preoccupazione nella sua voce, ma è un pochino difficile, considerando che sta tentando di emergere dall’abbraccio a tradimento di un gigantesco elefante peloso. Perché diavolo Sonia lo abbia conservato, Alex ancora non l’ha capito.
«Che modello, tesoro?»
«Eh,» Alex si ferma a pensare, si strofina una mano tra i capelli. Ce l’hanno, questa brutta abitudine di non chiedere i nomi. «Alto, occhi azzurri...?»
«Uh, sono qua,» dice la voce gentile, imbarazzata di Occhi Azzurri. Alex finalmente raggiunge l’unica toeletta illuminata e, sì, ok, Occhi Azzurri è seduto lì, con Sonia che, per qualche ragione su cui Alex non osa mettere becco, gli sta spalmando del fondotinta sul polso.
«Ah,» sospira Alex, e abbozza un sorriso. «D’accordo. Sonia, pensi di liberarlo prima di notte?»
Sonia nemmeno alza gli occhi da quello che sta facendo, ma riesce comunque a farlo sentire una schifezza d’uomo.
«Lo libererò quando avrò finito, tesoro,» commena, vagamente stizzita. Alex china rispettosamente la testa, Occhi Azzurri arriccia all’insù un angolo delle labbra e Alex pensa distrattamente che dovrebbe sorridere di più - soprattutto quando è davanti al suo obiettivo, per dire.
«Prenditi tutto il tempo che ti serve,» dice, senza la minima traccia di sarcasmo. Stavolta, Sonia l’occhiataccia gliela scocca apertamente.
«Non preccuparti, non c’è pericolo,» replica. Alex ridacchia, guarda Occhi Azzurri.
«Non perdere le speranze, prima o poi ti lascerà andare,» gli dice; Occhi Azzurri subito arrossisce, ma, prima che possa rispondere, Sonia dà un brivido di raccapriccio e lo sgrida, ordinandogli subito di smettere di arrossire ché altrimenti dovrà truccarlo tutto da capo.
Occhi Azzurri, naturalmente, arrossisce ancora un pochino.
*
«Allora, lo mettiamo sotto contratto oggi o, sai, ieri?»
Alex sobbalza, spaventatissimo, e quasi rovescia la macchina fotografica - paraluce, cavalletto da quindici chili e tutto. Si volta di scatto, con gli occhi sgranati e una faccia assassina, e Gigi, il cielo abbia pietà di lui perché Alex non ci pensa nemmeno, si risolleva e ridacchia, compiaciuto.
«Nervosetti, eh?»
«Nervosetti un corno, Gi’,» esclama Alex, senza fiato, tirandogli una manata contro la coscia. «Le persone normali si concentrano, quando lavorano, non puoi comparirmi alle spalle così!» Gigi ridacchia di nuovo, vispo e arzillo e contento, e Alex sbuffa, torna a guardare Occhi Azzurri - che si chiama Claudio, comunque, e con addosso quel trench chiaro con cui l’aveva immaginato Alex è semplicemente letale e sì che lo metteranno sotto contratto e, d’accordo, magari Alex era un po’ più che solo concentrato su di lui, magari era disperatamente incantato a fissarlo attraverso il mirino, ma questo comunque non giustifica la cazzonaggine di Gigi, davvero. «Scusami, e scusa pure quest’idiota. Ti dispiace se ne facciamo ancora un paio, per sicurezza?»
«No, no, va bene,» mormora Claudio, e si stringe un po’ nelle spalle, si guarda attorno. «Faccio, uhm, una faccia a caso?»
Alex ride, risistema l’inquadratura.
«Ti stai sposando,» dice; pk, questa come gli è venuta in mente? Claudio, comunque, sgrana gli occhi, sorpreso, le mani sui risvolti del trench, e Alex scatta. «La chiesa - o il municipio, come preferisci, - è piena di fiori dell’esatta sfumatura di bianco del vestito di tua moglie,» Claudio arrossisce, gli tremano le ciglia, Alex scatta. «E tua moglie è bellissima, radiosa, ha un profumo buono di casa,» Claudio guarda in camera, dev’essere la terza volta che capita, schiude le labbra; Alex scatta. Claudio sorride un po’, sposta il peso da una gamba all’altra, e Alex scatta. «È la donna più bella di tutte e quando le hai chiesto di sposarti non ti aspettavi che dicesse di sì, non osavi sperarlo e adesso - puoi fare una piroetta? Piano, per favore, ecco, perfetto,» Claudio fa un giro lentissimo su se stesso, mostrando il profilo sottile delle gambe, le spalle, la linea dritta del naso; Alex scatta, scatta e scatta ancora quando Claudio lo guarda, con la coda dell’occhio, un po’ incerto. «E adesso è tua, e sei l’uomo più felice del mondo,» conclude, con un sorriso, e scatta. Claudio sbuffa, divertito, e Alex scatta; Claudio china un po’ la testa, non resiste all’urgenza di sistemarsi una ciocca arricciata di capelli dietro l’orecchio, e Alex scatta. Gli sorride, da sotto in su, e Alex scatta di nuovo. «Va bene, penso che siamo apposto.»
Claudio annuisce, e tutt’a un tratto sembra dieci volte più spaesato. Si guarda attorno, con gli occhi sgranati, e si accorge che tutti gli altri modelli si sono già dileguati da un pezzo. A soccorrerlo arriva Gigi, che gli piazza le mani sulle spalle e lo scuote un po’, sorridendo contento.
«Splendido lavoro,» dice, mentre Alex, per la decima volta oggi, collega la macchina fotografica al computer. «Davvero magnifico, Claudio. Vieni, andiamo a toglierti di dosso questa roba - e anche il trucco, sì, vieni.»
Lo porta via verso il guardaroba, e Alex non alza gli occhi dallo schermo del portatile, perché non sa come salutare; è una cosa stupida, ma non ha proprio idea di come dovrebbe guardare Claudio, né di cosa dirgli, perciò non scolla lo sguardo dall’infinità di fotografie che gli ha scattato e si convince di essere contento così.
Passano perlomeno tre quarti d’ora prima che un discreto colpetto di tosse alle sue spalle lo costringa a prendersi un momento di pausa e guardarsi attorno. Lo studio è buio e vuoto, e Claudio si dondola un po’ sulle punte dei piedi, imbarazzato.
«Ale, sto, uhm, sto andando via,» dice, accennando alla porta. «Gigi è già sceso, lascio... lascio acceso il riscaldamento, sì?»
«Ah, sì, ti ringrazio,» Alex, complimenti, riesce a fare un sorriso più o meno sereno.
«Ci... ci vediamo domani, allora,» tenta Claudio, ancora, e si tira giù le maniche del cappotto, nervoso.
«A domani,» dice Alex, e mentre lo guarda annuire e poi andare via si dice che, beh, non è stato poi così difficile, tutto sommato. Passa praticamente tutta la notte sveglio a editare foto di Claudio, ma non è stato poi così difficile.
*
Tre settimane più tardi, Claudio è sulla copertina e, a dir la verità, anche un po’ dappertutto all’interno del prossimo catalogo della Ve’cel, e Mosca è tappezzata di sei per tre che pubblicizzano parquet e, su quel parquet tirato a lucido più che i pavimenti di un museo, beh, c’è sdraiato lui, pallido e innocente in una posa che chiunque altro avrebbe reso oscena e lui veste con un candore infinito.
Alex si rende conto che è una cosa ridicola, ma non riesce a non essere fiero di lui; Gigi è orgoglioso come fosse suo padre e non si preoccupa affatto di cose frivole come la dignità.
«Ancora un po’ di gavetta e poi vedi come diventi il nostro modello di punta,» gli dice, lo sguardo vagamente perso nel vuoto e un sorrisone cretino sul viso. «Quanto riesci a pensare in grande, Claudio? Dolce & Gabbana? Versace? Ti daremo di più, guardami, credimi, Claudio, ti ameranno tutti.»
Claudio sorride, indulgente, e s’infila un’altra giacca che gli sottolinea magnificamente le spalle strette; non si monta la testa, non si lascia travolgere dalle visioni di grandezza di Gigi e Alex ha l’impressione che sia perché quasi non osa sperare di riuscire a fare qualcosa di buono - ma Alex è soltanto quello che lo osserva per ore ogni giorno attraverso un obiettivo, non è che pretenda di conoscerlo.
In ogni caso, Claudio non ha ancora mai fatto neanche un minuto di ritardo, ogni volta che viene porta il caffè e, quando fa quei sorrisini timidissimi, è come se tutti quanti nel raggio di venti metri avessero questo bisogno compulsivo di fermarsi e sospirare la sua bellezza. Alex è contento di lavorare con lui, anche perché, più o meno intorno alla novecentesima foto, Claudio era a proprio agio abbastanza - o stanco abbastanza per via di tre sessioni interminabili in quattro giorni, tutte di fila, chissà, - da tentare di fare conversazione, e, beh, qualsiasi cosa diventa più piacevole quando hai di fronte qualcuno che ha visto tutte e sei le stagioni di Lost e non si vergogna di ammettere di non averci capito un cazzo.
*
Alex sta mettendo via uno scatolone che è servito per l’ultimo set, una sera, quando Sonia gli si piazza davanti, le braccia incrociate sul seno, e lo guarda dritto negli occhi, che non è mai un buon segno.
«Ehi,» dice lui, tentando di sorridere, e appoggia a terra lo scatolone, perché con le mani libere può difendersi meglio. «Ciao. Ti serve qualcosa?»
«Dobbiamo parlare,» replica Sonia, aggrottando la fronte. Sì, Alex ne aveva il vago sospetto, e adesso sta cominciando a sentirsi un po’ a disagio. Non gli pare di aver distrutto nessuna delle sue preziose trousse, ultimamente, perciò c’è solo una cosa di cui Sonia può volergli parlare, e Alex, in tutta onestà, non ha voglia di scusarsi di nuovo. L’aveva ampiamente avvertita, gliel’aveva detto che non stava attraversando un bel momento ed è stata Sonia a insistere per portarlo fuori a cena e poi lo ha praticamente avvelenato col vino e non è veramente colpa di Alex, quindi, se poi è successo quello che è successo, e non è stato bello.
Si è già martirizzato a sufficienza da espiare i peccati di venti generazioni di serial killer per l’errore di quella sera, e non è che lei può continuare a tenergli il muso per sempre, e a rinvangare regolarmente la cosa.
«Sonia, se è per quella sera, io--»
«Cosa? No, non essere idiota,» Sonia si acciglia di più, gli tira uno schiaffo. «Ti sei già scusato fino a farmi venire la nausea, Alessandro, non metterti in testa di ricominciare. No, volevo parlarti del ragazzo nuovo, quello con gli occhi azzurri... come si chiama, Carlo? Claudio? Clemente?»
Alex s’era rilassato, per un brevissimo momento, ma la sola menzione del nome di Claudio basta a fargli trillare millemila allarmi e ad accendergli un’ansia bruciante nel petto.
«Claudio, si chiama Claudio. Di che si tratta?» chiede, e la sua voce fintamente disinteressata è persino convincente. Sonia si morde le labbra - oh, cazzo. Alex la conosce da tutta la vita e non l’ha mai vista esitare. Oh, cazzo. «So’?»
«Sì, non starmi col fiato sul collo, Dio santo, sto cercando il modo meno brutale di dirlo,» sbuffa lei, guardando dappertutto meno che in direzione di Alex; no, ok, d’accordo, dev’essere qualcosa di grave, tipo di mortalmente grave. Non è che Claudio ha rotto qualche obiettivo? Alex è cotto di lui abbastanza da perdonargliela, eh, ma questo Sonia non può - e non deve - saperlo, mai.
«Sonia, che è successo?»
Lei sospira, si spettina la frangetta.
«Ok, ecco cos’è successo,» dice, e chiude gli occhi, raccoglie i pensieri, e poi guarda Alex dritto negli occhi. «È pieno di lividi, Ale. Ma proprio pieno, e lividi grossi, melenzane brutte... mi ha detto di essere caduto dalla bicicletta, e ok, per la prima settimana gli ho anche creduto, ma poi hanno continuato ad aumentare, capisci?» Arriccia il naso, sospira di nuovo. «All’interno delle braccia, dietro la schiena, sulle cosce... Ale, non sono posti dove ti fai male cadendo dalla bici, e io non ce la faccio più a fare finta di niente e ricoprirlo di fondotinta.»
Ad Alex viene da ridere, perché, andiamo, è divertente, no? Sonia sta chiaramente scherzando - perché se non sta scherzando allora vuol dire che - oh, oddio, è seria.
È perfettamente seria.
Alex ha la gola secca, gli tremano le mani.
«Sei, uh, sei sicura?» chiede, cauto, spaurito. Sonia fa una smorfia.
«Sì che sono sicura,» dice. «Sono una truccatrice, Ale, non sono scema.»
Alex si passa una mano sulla faccia, si stringe tra due dita la radice del naso. Non riesce a pensare, non ci riesce, non ci riesce, non ci riesce - tutto quello che vede è Claudio, e qualcuno che lo gonfia di botte; magari è suo padre. Dio. Magari è il suo ragazzo. Dio. Magari è il suo - no, niente, Ale, niente.
«D’accordo,» soffia, alla fine, con un filo di voce. Sonia sgrana gli occhi, spaventata, e Alex si sforza di farle un sorriso, le appoggia le mani ai lati del collo. «Stai tranquilla, d’accordo? Sono sicuro che è un malinteso,» si acciglia un po’. «E se non lo è... non ti preoccupare. Mi prometti che stai tranquilla?»
Sonia lo guarda, in silenzio, per un momento lunghissimo. Stringe gli occhi, alla fine, e gli accarezza una guancia.
«Ale, tra noi due non sono io che sto morendo di paura,» dice, poi, quasi con dolcezza. Alex si costringe ad ignorarla, sorride e, quando le passa accanto per uscire dal ripostiglio, Sonia lo trattiene per un polso. «Stai tranquillo.»
Alex è tranquillissimo, veramente; tranquillo come un nuvolone di temporale, come il mare d’inverno, come Topo Gigio tra le grinfie di Megalo. Tranquillissimo, sul serio. Sta solo andando ad ammazzare il suo migliore amico, il suo collega, quel cretino di Gigi.
*
Gigi, naturalmente, cade dal pero in maniera spettacolare.
Alex gli chiede in quale vicolo malfamato abbia pescato Claudio, - si deve mordere la lingua, per evitare di definirlo il suo Claudio, - e Gigi sbatte le palpebre, dice di averlo incontrato in centro. Alex gli chiede, allora, dov’è che abita, e che tipi sono i suoi genitori, e Gigi sbatte le palpebre, candidamente ammette di non averli mai incontrati, e di non essere mai stato a casa sua.
«Non sei tu quello che ha fretta di infilarsi nel suo letto?» si permette di ammiccare, sorridendo, e Alex a quel punto un ceffone glielo azzecca, perché, cazzo. Cazzo.
Gigi lo guarda, sconvolto, pigiandosi una mano sulla guancia offesa.
«Gi’, lo sai che ti voglio bene, ma cerca di non essere un coglione per cinque secondi e ascoltami,» dice Alex, controllando a stento la voce e sporgendosi sulla scrivania di Gigi, perché magari, se gli si avvicina, riesce a far trapelare meglio il messaggio. «Sonia dice che il ragazzo è coperto di lividi. Hai una vaga idea di cosa può significare?»
«Ale, per piacere, calmati,» mugola Gigi, e ancora si tocca la guancia arrossata. «Siediti, ok? Stai esagerando.»
«Sto esagerando?» ripete Alex, sbalordito; Gigi palesemente vede un altro schiaffo in arrivo, perché tira su le mani in segno di pace e si affretta a correggere il tiro.
«Dico solo che non deve per forza essere una roba tragica, ok?» spiega. Alex prende un respiro profondo, poi un altro, e un terzo, e quando il cuore smette di cercare di sfondargli lo sterno si sente improvvisamente svuotato, stanco. Si siede, allora, e Gigi gli porge una bottiglia d’acqua che tira fuori da sotto la scrivania. «Magari fa a botte in quei così, lì, i fight club, l’hai visto il film, no?» Alex annuisce, distratto. «Ecco, quella roba. O magari è veramente un imbranato cronico, che ne sai. O potrebbe giocare a rugby. Senti, ci sono un miliardo di possibilità,» sospira, e si preme i pollici contro la fronte. «Capisco che ti sta molto a cuore, ma cerca di ragionare. Cazzo, Ale, lo sai che mi spavento quando non ragioni.»
E, beh, sì.
Ora che è decisamente più calmo, Alex non fa fatica a rendersi conto che, è vero, è saltato alle conclusioni peggiori senza motivo. È vero, ha esagerato. È vero, si sta rendendo ridicolo.
Oddio, ha preso a schiaffi Gigi. Oddio.
«Oddio,» sbuffa, sorpreso. «Oddio, Gi’, scusami.»
Gigi sorride, agita una mano per aria.
«Eri fuori di te, tranquillo, niente rancori,» dice. «È un po’ terrificante, vederti perdere la calma, questo non te lo nascondo.»
Alex scuote la testa, si mette a scollare l’etichetta dalla bottiglia d’acqua.
«Scusami,» ripete, desolato. «Quando Sonia mi ha detto di questa cosa ho subito pensato al peggio, e... insomma.»
Gli costerebbe troppo, ammettere ad alta voce che è vero, a Claudio ci tiene più di quanto sarebbe strettamente consigliabile. Gigi, comunque, pur scemo com’è a quanto pare ha già capito tutto, e se la ride silenziosamente tra sé, decidendo di non infierire - proprio non dev’essergli piaciuto, il ceffone. Alex potrebbe concedersi d’indulgere un po’ più spesso nella violenza, se questi sono i risultati.
«Comunque,» sospira Gigi, e pesca un pastello azzurro da uno dei diecimila portapenne sparsi sulla scrivania, e ci si mette a giocherellare sovrappensiero. «Lo sai che c’è un modo rapido e indolore di toglierti qualsiasi dubbio, no?» Quando Alex non lo degna neanche di un’occhiata, lui sbuffa. «Alex. Vai a parlare con lui, fammi questo piacere.»
Alex si stropiccia gli occhi con i palmi delle mani; non ha dubbi che una sua eventuale conversazione con Claudio sull’argomento sarebbe rapida - estremamente rapida, persino; quanto ci può impiegare, un ragazzo di vent’anni, a sbattergli la porta in faccia? - ma è quell’indolore che non lo convince per niente.
*
Claudio non ha mai, mai, mai fatto ritardo, neanche di mezzo secondo, mai, e oggi sono già passati dieci minuti da quando Alex ha cominciato ad aspettare di vederlo comparire all’ingresso, e ancora niente. E Alex sta andando in paranoia, perché è stato buono e tranquillo a macerare nel suo brodo per tre giorni interi ma adesso Claudio è in ritardo e lui è certo che gli sia successo qualcosa.
Prima di andare a cercarlo in giro per tutte le cliniche e gli ospedali del Piemonte, però, forse è meglio chiedere a Sonia, ché magari Claudio l’ha chiamata per avvisare. Alex si addentra coraggiosamente nella foresta di vestiti di scena, allora, e raggiunge Sonia un po’ più facilmente del solito, tanto è potente la forza della disperazione.
«Sonia, ehi,» saluta, con un sorriso un po’ esitante di cui lei non si cura perché sta dipingendo il muso di una tigre sul viso di una delle ragazze per il set di Armani; ah, giusto, Alex doveva occuparsi di quelle foto. Fantastico, sarà per un’altra volta. «Hai un momento?»
«Parla, Ale, ti sento,» dice Sonia, muovendo appena le labbra, concentratissima sul viso perfetto della modella.
«Non è che hai notizie di Claudio?» chiede lui, un po’ tutto d’un fiato. Sonia si ferma per un momento, si acciglia, e poi riprende a definire i contorni di una sinuosa striscia nera.
«Chi è Claudio?» domanda, imperturbabile. «Lo sai che sono uno schifo coi nomi, amore, descrivimelo se vuoi che ti aiuti.»
Alex si passa una mano tra i capelli, sparandoli in tutte le direzioni.
«Alto,» sbuffa, alla fine, giusto un pochino esasperato. «Occhi azzurri.»
«Sono qui,» sente dire ad una voce un poco divertita alle sue spalle; quando si volta, Claudio è lì che gli fa un sorrisino colpevole e asimmetrico, ed è incredibilmente bello con quel jeans strettissimo e la giacca di pelle e gli occhiali da sole, e a parte un eventuale occhio nero nascosto dietro le lenti scure sembra tutto intero. Alex espira, immediatamente più tranquillo, e poi s’innervosisce, non appena il suo cervello processa con esattezza subatomica quanto Claudio è, beh, bello. «Ciao. Scusate il ritardo, sono venuto in macchina e ho trovato un sacco di traffico.»
«Ah, non ti preoccupare,» ridacchia Alex, la testa leggera, e agita una mano a mezz’aria per scacciare la questione. «Dieci minuti non sono neanche un ritardo,» e poi si morde la lingua, perché, accidenti, adesso Claudio saprà che stava contando; il ragazzo si sfila gli occhiali da sole - niente capillari esplosi né gonfiori sospetti, grazie al cielo, - arrossisce, ma non dice nulla. «Volevo solo essere sicuro di non averti mancato, ecco tutto.»
Scusa più che pessima, Alex non è mai stato granché bravo a mentire, ma Claudio solleva un po’ gli angoli della bocca.
«Ok,» dice. «Vado a prepararmi, allora? Solo che non ho idea di che devo mettermi, Gigi mi ha detto di venire per un servizio ma non mi ha spiegato nient’altro,» e tentenna, incerto, e tanto basta perché Alex torni tutto intero in modalità professionista - beh, tutto intero meno quella parte di lui che, nell’accompagnare Claudio verso il salone principale del loft, appoggia una mano un po’ troppo in basso sulla sua schiena, e gli cammina troppo vicino.
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