[RPF] And keep me warm (8/14)

Dec 23, 2011 22:28

Titolo: And keep me warm
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Steven Gerrard/Xabi Alonso
Rating: PG14
Conteggio Parole: 867 (fidipu)
Avvertimenti: (hints) slash, fluff, random, OOC
Prompt: 18. Qualcosa sul personaggio che hai scritto più spesso @ Kyalendario (♥
el_defe)
Note: Sì, no, boh, sono molto poco ispirata. Still, mi siete mancati.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.

~ And keep me warm.

Xabi passa per Liverpool per caso, e decide di fermarcisi un po’ come uno potrebbe fermarsi un momento dal fruttivendolo, una mattina che torna da lavoro e ci sono questi grappoli d’uva bianca che sembrano gioielli, per quanto sono belli, e deve assolutamente comprarli perché, andiamo, sono perfetti. E Xabi è un calciatore, ehi; quando hai abbastanza soldi, è fin troppo facile che il mondo intero diventi poco più di un quartiere in cui ritrovarti a vagare a caso, di continente in città, fosse davvero anche solo per comprare la frutta.
No, d’accordo.
D’accordo, a Liverpool ci va con tutta l’intenzione di andarci. E sarebbe stato un po’ difficile ritrovarcisi per caso, no? Anche con tutti i soldi del mondo, non è che i biglietti aerei sono capaci di sviluppare una volontà autonoma e prenotarsi da soli.
Xabi va a Liverpool, e non è per il fish ’n’ chips e non è perché Fernando - o Pepe, magari; sì, è più giusto Pepe, in effetti, - sta avendo un altro figlio. Ci va, perché gli manca. È la cosa meno razionale che abbia mai fatto, probabilmente.
Chiede a Stevie d’incontrarlo in quella caffetteria sul lungofiume dove ormai nessuno più si stupisce di vederlo comparire, di tanto in tanto, come dal nulla, a ordinare un macchiato alla nocciola e rintanarsi al tavolo più appartato, quello proprio davanti alla vetrina che grazie al cielo è a specchio, e da fuori non lo si può spiare. È una posizione strategica, chiaramente, che Xabi ha scelto, sette anni fa, dopo aver attentamente studiato le alternative a disposizione; da lì, vede Stevie arrivare mentre sta ancora attraversando la strada, e ha tutto il tempo di fare l’abitudine al ritmo vertiginoso che prende il suo battito cardiaco, e al fatto che, di punto in bianco, non riesce più a respirare bene.
Quando finalmente Stevie entra nel locale, Xabi si accorge che ha la faccia di uno che ha visto un fantasma. Gli sfugge un sorriso, così, per abitudine, e poi, magari, gli piace troppo che Stevie gli sorrida subito, di rimando - è un sorriso un po’ esitante, un po’ spaventato, ma comunque un sorriso.
«Xabs,» mormora, mettendosi in tasca i guanti - rossi - e infilandosi a sedere sulla panca di fronte a lui, scivolando di lato verso la vetrina. Si sarà inarcato all’ingiù, il legno, per tutte le volte che Stevie ci si è sistemato. «Pensavo-- pensavo che fosse uno scherzo.»
Xabi scuote la testa, sorride dietro l’orlo della sua tazza.
«Mi sono permesso di ordinare anche per te,» dice, il suo inglese ancora senza un’increspatura - Stevie sogghigna tra sé, come se Xabi potesse non accorgersene, poi, - quando una cameriera si avvicina a portare un secondo caffè.
«Grazie,» le dice Stevie, distratto, guardandola appena. Beve, si lecca le labbra, non la smette di fissare Xabi come se si aspettasse di vederlo sparire, o di vedere la sua faccia staccarsi per rivelare, al di sotto, quella di Pepe, in realtà, o Dio solo sa che cosa. Comunque, non ci crede che ce l’ha davvero davanti, così, a casaccio, come se ancora abitasse in fondo alla strada.
Xabi potrebbe - vuole - dirgli tantissime cose. Troppe, probabilmente, e siccome non riesce proprio a sceglierne una da cui cominciare, se le tiene tutte per sé. Fruga, allora, con una mano sotto il cappotto - un doppiopetto elegante, marrone scuro, che ha appoggiato sulla panca accanto a sé, il più lontano possibile dal caffè, - cerca una tasca, tira fuori un rettangolo di carta. Stevie lo guarda, curioso, mentre lo fa scivolare sul tavolo verso di lui, col dorso all’insù.
«È per te,» dice Xabi, il labbro inferiore stretto tra i denti. Stevie esita - una cartolina non può esplodergli in faccia, vero?, - poi la prende, impicciandosi un po’ perché quella non ne vuole sapere di tirarsi su dal legno. Impreca un po’, alla fine la convince a staccarsi, e ne osserva, perplesso, sul davanti, la fotografia un po’ troppo colorata di una spiaggia tropicale, disseminata di ombrelloni arancioni e palme e complessi residenziali bianchissimi contro il cielo celeste.
«Sei stato in, uh, California?» domanda, perché, no, non gli risulta. Xabi, infatti, scuote la testa. «Xabs. Xabi, non ti seguo.»
«Nemmeno io, in realtà,» sorride Xabi, e distoglie lo sguardo dalla sua faccia, imbarazzato, guarda di fuori. Stevie aggrotta la fronte, preoccupato perché, oi, chiaramente Mourinho ha fatto qualcosa di strano a Xabi, tipo il lavaggio del cervello, e l’ha fatto impazzire. «La vendevano all’aeroporto, a Madrid,» spiega, gesticolando appena. «L’ho vista e non so perché, ma ho pensato di portartela.»
«Non... non ci hai scritto niente,» gli fa notare Stevie, mostrandogli il dorso bianco della cartolina. Xabi si stringe nelle spalle.
«Non ci sono mai stato, Stevie, in California,» dice, e sembra così perso, Dio santo, solo perché ha fatto una cosa senza pensarci, di cuore, per una volta, che Stevie ha quasi voglia di mettersi a ridere e prenderlo in giro per sempre. «Che ti dovevo scrivere?»
«Potevi inventarti una storia,» sogghigna, grattandosi il naso. Quindi, Xabi è venuto a Liverpool senza motivo. Almeno due ore tra check-in e volo, senza motivo. «Non è difficile, Xabs, mentire.»
«Non ho abbastanza fantasia, lo sai,» mormora Xabi, sconsolato. Stevie beve un sorso di caffè. Si sente stranamente di buonumore.

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