Titolo: Sweetest perfection and vanity fair
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Daniele De Rossi/Marco Borriello, Osvaldo, Gaia De Rossi
Rating: R
Conteggio Parole: 2390 (
fidipu)
Avvertimenti: angst, slash, Slutsvaldo, Sborriello
Note: Questa è ufficialmente la seconda cosa più brutta e meaningless che abbia mai scritto.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ Sweetest perfection and vanity fair.
La bocca di Marco sa di caramelle alla panna.
Daniele lo scopre un pomeriggio di marzo che piove da impazzire e lui non ha niente da fare, allora chiama uno ad uno tutti i suoi amici e i compagni di squadra per trovare qualcuno con cui annoiarsi e, alla fine, si ritrova splendidamente stravaccato sul divano di casa di Marco a guardare un film. Discutono sottovoce della scollatura della protagonista, senza neanche poi tanta attenzione, e a un certo punto, tra il terzo e il quarto omicidio, Daniele decide che il profilo di Marco è molto più interessante delle inquadrature noiose e della recitazione più che posticcia.
Marco se ne accorge dopo un po’, che Daniele lo sta fissando, e subito sembra che il respiro gli rimanga bloccato in gola, per qualche ragione, e che non gli riesca neppure di farsi una risata o domandargli perché cavolo non si rimette a guardare il film, che poi è la ragione per cui è venuto fin qui, no? Daniele si sporge senza neanche rendersene conto, perché è un po’ l’unica cosa che abbia davvero avuto voglia di fare da due ore a questa parte, e quando gli sfiora le labbra non c’è nessuna esplosione di fuochi d’artificio, solo uno sparo dalla televisione che li fa sobbalzare entrambi.
Daniele ride, nervoso, a corto di fiato, e quando fa per allontanarsi - gli è saltato fuori posto qualcosa, dentro, a metà strada tra il cuore e il cervello, come un ingranaggio ficcato di traverso nella gola che gli suggerisce, meschino, che è una pessima, pessima idea, che cazzo sta facendo, ma s’è impazzito del tutto? - Marco sgrana gli occhi, spaurito, e d’istinto gli preme una mano sulla guancia, e la propria bocca contro la sua.
Sa di caramelle alla panna, quando Daniele trova il coraggio di muoverglisi contro e cerca la sua lingua, la curva del suo palato, e c’è un’intensità terribile nel modo in cui bacia, come se fosse sicuro che non risuccederà, e volesse imparare la forma, il sapore delle labbra di Daniele meglio che può, e lasciargli addosso un segno, magari un livido, un graffio piccolissimo, in quest’unico momento che gli regala. Daniele si allontana quel poco che basta a riprendere fiato, e un attimo dopo lo sta baciando di nuovo.
*
Daniele ha le dita appiccicose di zucchero filato, e Gaia al suo fianco sta diventando sempre più incontrollabile, man mano che si addentrano nella sezione dello zoo riservata agli animali carini. Pinguini, lontre, orsacchiotti al disotto dei tre anni di età, cerbiatti e delfini e dovunque Daniele si volti è un tripudio di bambini in brodo di giuggiole davanti alle gabbie, e la sua principessa non è che faccia eccezione.
In tutta sincerità, Daniele non potrebbe essere più contento di stare sprecando la sua giornata libera vagando a casaccio tra iceberg di plastica e piante tropicali quasi prostrate dal peso di fiori enormi e coloratissimi.
E poi succede, perché era inevitabile che succedesse: Gaia dà uno strillo quasi ultrasonico e prende a saltellare istericamente su e giù, aggrappandosi ad una manica della maglia di Daniele e tirandola forte.
«Papà, papà, papà!!» continua a ripetere, gli occhi sgranati e un indice puntato verso una gabbia altissima poco più in là. «Papà, guarda!»
Daniele le sorride, innamorato perso, e poi guarda, perché quando mai è stato capace di non accontentare la sua bambina?, e, oh, ma certo, i koala, che a lui sembrano nient’altro che topastri paffuti, ma Gaia li adora ed è più o meno per colpa loro che ha insistito tanto per venire allo zoo - così tanto che Tamara ha perso la pazienza e ha acconsentito a lasciarla da Daniele per una mattinata in più, perché se c’è una cosa in grado di terrificare Tamara oltre ogni ragionevole limite sono gli animali, liberi o in cattività o imbalsamati o anche soltanto disegnati che siano.
E, insomma, finalmente Gaia ha trovato i koala e Daniele è contento per lei, davvero; ed è contento pure per sé, in realtà, perché guardando meglio si accorge - e per qualche ragione non se ne stupisce neppure, - che c’è Marco, lì davanti alla gabbia, che ficca un dito tra le sbarre con la stessa aria concentrata di quando deve calciare un rigore all’ottantasettesimo minuto; Marco, che se lo guardi bene, con quel taglio di capelli assurdo che ha ultimamente, non fai fatica ad immaginare che abbia un paio di parenti koala, magari qualche cugino.
«Guarda chi altro c’è,» dice Daniele, allora, che, per la cronaca, si sta pure sentendo in qualche modo più bendisposto nei confronti dei dannati marsupiali. Gaia distoglie lo sguardo dalle pallottole di pelo grigio abbarbicate agli alberi giusto per un momento, e quando riconosce Marco, zio Marco, dà un altro strillo, e senza neppure aspettare il permesso di papà corre via, andando ad appendersi ai pantaloni di Marco. Lui sobbalza, spaventato, ma subito si china a prenderla in braccio senza il minimo sforzo, e quando Daniele li raggiunge la sta viziando di carezze e Gaia pare essersi dimenticata di tutto il resto.
«Oh, Dani,» dice Marco, guardandolo da sopra la spalla della bambina. «Ciao, ehi.»
Daniele non riesce a trattenere un sorriso stupidissimo, e si nasconde le mani nelle tasche dei jeans, scuote un po’ la testa.
«Ciao,» riesce a scollare, dopo un momento, e se solo non avesse le mani impiastricciate - perché ha voluto prendere lo zucchero filato, comunque? Perché non una cosa normale, tipo un cornetto o un panino al formaggio o un pacchetto di caramelle alla panna, per dire, per dire, per dire? - si allungherebbe a toccarlo, ad accarezzargli una guancia, pure se ci sono due miliardi di famiglie lì attorno e Marco è un uomo, è un suo compagno di squadra, e, Daniele, certe cose sono fuori luogo - e fuori tempo, fuori dal mondo, - persino dentro casa, soprattutto negli spogliatoi, perciò figuriamoci in mezzo ad uno zoo.
Marco esita ancora un attimo, come se volesse dire qualcosa, ma Gaia cattura di nuovo la sua attenzione e neanche un minuto dopo sono tutti e due lì che, come se fosse la cosa più divertente del mondo, fanno le boccacce ai koala, ridacchiano e indicano i culetti pelosi, le pance rotonde, i nasi che onestamente Daniele trova bruttissimi, e non è che sia geloso, per carità, andiamo, chi mai nel mondo sarebbe geloso di un koala?
*
Daniele è geloso dei koala. Non in senso assoluto, Dio, per carità, circoscriviamo, ché già nel contesto specifico è una cosa abbastanza brutta, che Daniele De Rossi sia geloso di una manciata di marsupiali puzzolenti; Daniele è geloso del modo in cui, anche due ore dopo, mentre stanno tornando a casa, Gaia sta ancora cinguettando di felicità perché ha visto quegli stupidi animali che non hanno fatto altro che guardarla con i loro occhioni neri e sbadigliare e masticare pigramente foglie di eucalipto sintetico, ecco.
E quel che è peggio, perché c’è qualcosa di peggio, per quanto possa sembrare incredibile, è che Marco, che li ha chiamati dalla sua macchina un istante dopo che si sono salutati, e Daniele l’ha messo in vivavoce e forse avrebbe fatto meglio a dare il cellulare a Gaia così da mantenere segreta la loro conversazione koalomane, è praticamente nelle stesse condizioni, un po’ perché asseconda la bambina e un po’ perché, sospetta Daniele, pure lui è genuinamente succube dell’adorabilità di quell’inutile specie animale.
Per cui, Daniele è geloso dei koala.
È geloso per tutto il tragitto fino a casa di Tamara, è geloso quando accompagna Gaia su per le scale e lei si butta tra le braccia della mamma ricominciando da capo a parlare di come e quanto e perché vuole assolutamente un cucciolo di koala per fargli le treccine al pelo e mettergli lo smalto e fare merenda con lui con tè e pasticcini, e continua ad essere geloso quando Gaia lo saluta con un bacio distratto, quando torna in macchina e si accorge che gli manca sentire la risata solare di Marco riempire l’aria, è geloso per tutto il tempo, così tanto che gli viene da prendersi a schiaffi perché, Dio santo, sono dei koala, e continua ad essere geloso, geloso, geloso finché non ha Marco premuto addosso, contro la porta di casa, e lo sta baciando e può essere ragionevlmente sicuro che, perlomeno adesso, Marco ai koala non ci sta pensando.
A Daniele, mentre gli accarezza la pelle morbidissima del bassoventre, i muscoli tesi e definiti sulla schiena, il rilievo delle vertebre più in su verso il collo, - a Daniele dispiace soltanto che lo zucchero filato abbia smesso di rendergli appiccicose le dita, perché sarebbe magnifico se potesse, soltanto toccandolo, incollare a sé Marco.
*
Capita ogni tanto che a pranzo, in ritiro a Trigoria, compaia una crostata di amarene, una torta alla Nutella, un po’ di paste sfuse, e nei giorni dei dolci Daniele è sempre un po’ più contento, forse perché, poi, trova più facilmente il coraggio di presentarsi sulla porta della stanza di Marco e Leandro, appena Leandro se ne va a giocare a carte da Nico, e Marco, insomma, è sempre contento di lasciarlo entrare.
*
La prima cosa che Marco nota di Osvaldo, è il fatto che ha un odore insolito, agrodolce, identico a quello dell’elefantino di legno ambrato che Fabio ha comprato da una bancarella sulla spiaggia, l’estate scorsa. Ed è giusto, in qualche modo, che sappia di una cosa così assurda, perché Osvaldo lo guardi e ha in tutto qualcosa di strano, come se ci fosse capitato per sbaglio, in una divisa da calciatore, perché lui, veramente, voleva fare il pirata. E Marco se lo immagina facilmente, Osvaldo con gli stivali di pelle e cinque dita di risvolto, con la camicia di pizzo stropicciata sul petto, il gilet coi bottoni saltati, la carabina ficcata nella cintura e una collana di teschietti al collo.
Marco ci pensa, a Osvaldo vestito come Johnny Depp, e ci pensa così tanto che, dopo due giorni che lo conosce, sta già facendo una lista mentale di tutto quello che gli serve per la sua prossima festa di Carnevale. Quasi ne parla con Fabio, una sera che avrebbe voluto invitare Daniele a cena ma ha perso coraggio all’ultimo minuto, ma si morde la lingua perché lo sa già che quel coglione di suo fratello gli riderebbe dietro per una vita o due.
*
Daniele riesce ad essere contento di quello che ha, di quello che si è preso perché ci è praticamente inciampato su e piombato addosso per forza di cose: è contento di potersi chiudere in una stanza buia con Marco, una volta ogni tanto, e baciarlo e sapere che non si ritroverà in ospedale a fare le parole crociate con le palle fuori uso perché ci si è beccato una ginocchiata da record. Ci riesce, davvero, a stare tranquillo e a stare bene e gli piace tenersi stretta quest’illusione un po’ scemotta di avere una specie di relazione con Marco.
Ci riesce, finché non ci riesce più, e naturalmente è colpa di Osvaldo, che ha un odore come di chiesa affumicata di incenso, e Daniele lo capisce subito, che Osvaldo significa guai - che Osvaldo significa che Marco se ne va.
La finestra estiva di calciomercato, però, come s’è aperta così si richiude, e Marco - le sue caramelle alla panna che Daniele non ha mai visto e sta cominciando a pensare che non esistano, che la bocca di Marco ne abbia il sapore perché sì e basta, perché è il suo naturale, - rimane a Roma. Daniele prova a parlargli una, due, trecento volte; duecentonovantotto perde coraggio, e le altre due finisce a spingerlo contro un muro e baciarlo finché non hanno più fiato.
*
Fabio - Marco alla fine ha ceduto e gliene ha parlato, del pirata Osvaldo, e sì, ovviamente sì che Fabio ha riso così tanto da capitombolare giù dalla sedia, - si è sbagliato alla grande, non è vero che la pelle di Osvaldo sa di rum - non è un babbà, d’altra parte, vorrebbe dirgli Marco; è normale e giusto e, insomma, grazie a Dio che la sua pelle non sa di rum.
Non sa di nulla in particolare, in effetti. Marco chissà che s’aspettava - no, niente, non s’aspettava niente. Non ci ha mai pensato, a che sapore avrebbe avuto la pelle di Osvaldo sulla sua lingua. Mai, neanche una volta, e se è un po’ sorpreso è soltanto perché, beh, Osvaldo lo guardi e siccome ha quegli occhi, quel sorriso, quei lineamenti per cui la parola che Marco cerca così disperatamente è esotici, siccome ha quel corpo e quel modo di fare, è automatico supporre, in assoluta, completa innocenza, che ogni cosa di lui sia intossicante quanto le sue esultanze - che abbia, per dire, il sapore del caramello, o di una spezia pregiata, e invece nulla, è una pelle normale, con un retrogusto appena di cloro perché figurarsi se Osvaldo, dopo gli allenamenti con la squadra, non va anche ad ammazzarsi di fatica in piscina.
E, insomma.
Marco schiude le labbra attorno ad un gemito che proprio non gli riesce di trattenere, mentre Osvaldo si spinge con un po’ troppa fretta dentro di lui, premendogli forte le spalle giù contro il materasso, e pensa che è strano, si sente un po’ deluso. Si sente anche tremendamente male, ogni volta che muove un poco la testa e sul comodino vede la radiosveglia verde ramarro che gli ha regalato Daniele due settimane fa, ma quello è un pensiero ancora più pericoloso del fatto che, forse, ultimamente un pochino ha fantasticato, ma solo in astratto, su come poi magari sarebbe stato, lasciarsi mordere l’interno tenero di una coscia da Osvaldo, e sciogliergli i capelli.
*
Daniele non ha neanche bisogno di guardare il modo in cui ora Osvaldo ronza attorno a Marco in cerchi strettissimi, per sapere cosa diavolo sia successo tra loro. Lo capisce, ed è come se l’avessero preso a cazzotti nello stomaco e, beh, che bello, no?
Compra un barattolo di panna spray, e pensa che d’ora in poi si dovrà accontentare di quella, e non sa decidere se si sente più depresso, confuso, incazzato o disperato. Porta di nuovo Gaia allo zoo, appena ha un pomeriggio libero, e capisce di non aver ancora capito niente quando ci trova Marco, davanti alla vasca dei delfini, stavolta.
Non riesce, sinceramente, a sorridergli, però il cuore gli impazzisce e magari è un buon segno, magari no, ma c’è il chiosco dello zucchero filato, lì accanto, e Daniele forse una lezione l’ha imparata.