Sep 15, 2016 18:32
Il vecchio che vive nel palazzo davanti al nostro deve essere stato un mago. O così diciamo.
Esce sul balcone perlopiù per dare da mangiare agli uccelli. Posa il cibo e poi, furtivamente ma con grazia, rientra. Subito dopo i volatili arrivano a frotte. Si cibano, si attardano, volano via. Lui esce di nuovo e pulisce, con quei gesti da mago da cabaret che sono il suo marchio di fabbrica. Se lo incontrassi per strada e avesse le braccia legate non lo riconoscerei. Ma lo riconoscerei a cento metri di distanza, se sollevasse una mano.
Lo vedo al mattino, a volte, mentre sciacquo la tazza del caffè. A volte esce sul balcone e basta, senza apparente ragione, se non per dispensare la dose quotidiana di mani svolazzanti che disegnano opere d’arte nell’aria. A volte penso sia stato un direttore d’orchestra. O forse solo un musicista che, invecchiando, ha passato alle mani la musicalità che prima comandava le sole dita, o la sola voce, o magari solo le orecchie.
Vado adesso alla finestra e lo vedo comparire dietro il vetro. Fa uno sbrigativo gesto, come se stesse dicendo a un uccello: «Su, muoviti!» E poi scompare. Forse non parla con gli uccelli, ma con tutti noi qui fuori. Per questo ce lo immaginiamo cresciuto nella DDR, e immaginiamo quest’enorme fraintendimento: noi che guardiamo lui credendo gesticoli nella nostra direzione; lui che gesticola perché pensa di essere osservato. Chi lo sa? Qui tutte le ipotesi sono parimenti credibili: il mago, il direttore d’orchestra, il musicista, il paranoico. Direi anche «Il pazzo e basta.», ma qui non ci sono pazzi e basta. Si è sempre anche qualcos’altro.
Torno alla finestra mentre lavo quattro pesche tabacchiere (le adoro, e qui abbondano) e lui non c’è. Peccato. Ma ci sarà dopo.
Nell’ultimo anno in Italia uscivo sul balcone per fumare. A volte, sul balcone a sinistra al piano superiore, sedeva un vecchio coreano, lui e la sua bellissima pianta la cui specie ignoro. E lui mi ignorava, perlopiù, se non per qualche raro sorriso lieve nei rari momenti in cui distoglieva lo sguardo dall’orizzonte.
Il vecchio è morto, lasciando la moglie a vivere sola nell’appartamento. Durante le pause-sigaretta ci salutavamo: un lieve cenno della mano accompagnato da un sorriso, poco più di quello che accadeva tra me e il marito.
Queste persone non sapevano, non sanno, e forse non sapranno mai, quanto siano importanti per la mia vita quotidiana. Lo sono più di quelle con cui scambio parole - dal proprietario della panetteria sottocasa con cui ci si scambiano convenevoli di cuore all’insegnante di tedesco che mi fornisce chiarificazioni fondamentali. La loro importanza risiede proprio nell’anonimato. Siamo una persona chiunque l’una per l’altra, e in questo essere chiunque condividiamo l’intimità più insospettabile: quella della quotidianità. Quando poi viene apertamente riconosciuta con un sorriso e un saluto, a manifestarsi è il presupposto del convivere civile in senso positivo: ci si può aiutare a vicenda a far iniziare bene la giornata anche non conoscendosi. Basta un sorriso, o un cenno della mano.
Non so e probabilmente non saprò mai a chi siano rivolti gli aggraziati gesti del vecchio tedesco. Se stesso, gli uccelli, noi, il mondo. Ma, intanto, ce ne fa dono. E io ogni tanto torno alla finestra nella speranza di vedergli disegnare nell’aria una grazia che in un’altra vita sarebbe acclamata da una folla - e forse lo è anche in questa, solo che non lo so.
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