Nov 04, 2015 17:07
Avrei dovuto capire che per Horton sarebbe servita la Seconda Persona Singolare.
Perché ci sono personaggi così, che non puoi narrare né da dentro né da fuori. Da dentro, soprattutto. Lanci un sasso e non c’è eco, pozzo senza fondo. Il problema con Torchia, il problema con Horton. Il paradosso di narrare interiorità che non si riconoscono come tali.
E dunque, Cody Horton, eccoci qui.
Ti ho lasciato sul divano senza sapere come schiodarti da lì. Cioè, lo sapevo in teoria: con un’esca abbastanza succulenta per la tua raggelata, anelante coscienza. E’ la tua storia. Quella che avrei dovuto scrivere. Ma poi è successo qualcosa.
Che cosa è successo, Cody Horton?
Inutile chiederlo a te. E poi non lo so bene neanche io.
Forse la mia vita è cambiata, e sono riuscita ad andare oltre a te. L’ho detto spesso. Al secondo tentativo, anziché accusare di nuovo come a te è capitato, mi è andata bene. Ho vinto contro il mondo, tu avevi perso. La vita di cui volevo narrare era quella che viene dopo la tua seconda, definitiva, sconfitta.
Forse stare su quel divano di fianco a te mi ha aiutata ad andare oltre. Si sta bene, sull’Horton-divano, se il resto del mondo è peggiore. Sempre questione di relatività. Devo aver assaggiato una briciola troppo amara, su quel divano, e aver deciso di provare a uscire.
Non so che cosa sia successo, Cody Horton.
So che tu sei sempre su quel divano, e che quel divano non scade mai. La narrazione è semplicistica, spesso, e simboleggia tutto. Il secondo tentativo è quello cruciale: se va bene, ti lascerai alle spalle il male; se va male, ci affonderai. La vita qui fuori è più sfumata: basterà qualche amara batosta esistenziale e mi ritroverò con le chiappe sul tuo divano con tanta voglia di una birra.
Ma sai una cosa, Cody Horton?
Forse vale anche il contrario. Forse da quel divano ci si può alzare anche se il secondo tentativo è andato male. Non lo dico per buonismo, che poco si confà a me e soprattutto a te, ma più per straziante speranza. E poi, meglio su quel divano che in una prigione senza uscita. Una stanza circolare e nera e imbottita in cui non si può distinguere la porta. Si è vivi, ma non lo si è. Si impazzisce - ma che accade, se si è bravi abbastanza da sopravvivere a una certa follia?
Trasforma quella prigione in una ruota e te stesso in un criceto, Horton, e domandati per chi la tua follia sta producendo elettricità, per quale mulino stai macinando cereali - o qualsiasi cosa sia necessaria.
Ma la tua storia - quella che non ho scritto - avrebbe dovuto essere diversa.
Prima di lavorare gratuitamente per un ignoto prossimo, ti saresti sacrificato. La morte del vecchio per la vita della bambina, direbbe Sin City. Sulla carta avrebbe funzionato, perché la carta decide chi è cosa. Che tu sei un vecchio senza redenzione possibile in vita, che c’è una bambina veramente innocente che domani non diventerà un mostro. O del cui domani, comunque non si sa. Perché la tua storia sarebbe finita con te, Cody Horton, e forse un’immagine della bambina salvata. Tutto così semplice. Così semplice far finire i pensieri con la nostra morte.
angst,
horton,
spsp