Dubbi esistenziali per momenti annoiati.

Nov 24, 2011 00:53

Nel corso degli ultimi mesi, saltuariamente, durante pause spese sul divano o sorseggiando molto lentamente un molto lungo caffè, mi sono trovata a riflettere con alcune persone su un Leitmotiv della mia vita, un Leitmotiv che non capisco perché sia tale, in quanto non colgo il collegamento tra questo e la mia vita in generale.
Il Leitmotiv è: persone che conosco, frequento, con cui sviluppo quella che socialmente è definibile come "un'amicizia" (ossia: ci si incontra più di una volta ogni sei mesi, in pubblico, sì che il sociale possa prenderne atto), a un certo punto scompaiono.
Con quello "scompaiono" non intendo ovviamente dire con tatto che muoiono, né che vengono rapite, né che fuggono in Tibet e non se ne ha più traccia. Piuttosto, nell'arco di qualche settimana, qualcosa nel loro cervello fa sì che l'opinione alta (o non ci frequenteremmo) che avevano di me si tramuti in qualcos'altro.
Ora, il dilemma è: io non so in che consista questo Qualcos'Altro. Né come mai ciò accada. Né come accada.

Osservo ora, su Facebook, il profilo di una vecchia amicizia che - per l'appunto - scomparve. La vecchia amicizia - B - proviene dal mio stesso liceo, dove ci siamo conosciute, e ai tempi della nostra frequentazione era un'artistoide dalle mille idee. Ora - mi dice Facebook - B è una dedita cristiana con marito e figlio, che vanta un catholic pride e non vuole musulmani in Europa.
...
... Amo l'umanità.
E amo ritrovare persone dopo anni.
Ma, tornando al punto iniziale, non so ancora perché B sparì. Non esattamente. Fonti mi riferirono che aveva conosciuto questo stra-cattolico (l'attuale marito, suppongo), che si era ri-convertita al cattolicesimo e aveva bruciato tutti i lavori artistici fatti perché dettati dal Diavolo. Considerando che io, artistoide allora come oggi, le facevo i tarocchi - o, meglio, io pescavo carte e riflettevo ad alta voce sul loro significato, mentre lei voleva una cartomante che le dicesse come far evolvere il proprio futuro - ho immaginato di essere finita, simbolicamente parlando, nel rogo.
B è riapparsa nel mio campo visivo mandandomi l'invito a una mostra intitolata Teofania, quindi evidentemente all'arte è tornata. E cerco di immaginarmela, B, con quel suo modo fanatico d'approcciare ogni argomento (ha passato un periodo dormendo con un arcano maggiore sotto al cuscino), simile a come la conoscevo, ma semplicemente innestata in una specifica ideologia anziché saltellante freneticamente da una prospettiva all'altra.
Dicono che la maturità sia questo: trovare se stessi e la propria posizione nel mondo.
E chissà che cazzo ci vedeva in me, B.
Chissà che vedeva in me J, che pure sparì - per motivi che conosco un po' meglio, ma che non comprendo o non voglio comprendere.
Importuno l'una e l'altra apparendo nel loro spazio vitale virtuale con il sorriso sornione di chi non ha e non vuole avere tabù. Perché intuisco di essere stata un tabù, o quello che precede un tabù, un trauma. Niente di apocalittico, coevi, non ho sgozzato agnelli davanti a nessuno - è che a volte bastano piccole cose per ribaltare una prospettiva. Suppongo. Ed è anche perché posso solo supporlo che importuno persone come B e J: perché mi piacerebbe veramente capire cosa sia successo nella loro testa.
L'ultima volta che ho stigmatizzato un individuo avevo 15 anni. Quell'individuo è venuto a trovarmi un paio di settimane fa, e mi sono trovata così bene che lo vorrei ancora qui. Penso di averlo stigmatizzato, ai tempi, a causa di quella specie di meccanismo protettivo che fa sì che le persone con cui abbiamo avuto un rapporto molto profondo, quando il rapporto finisce, ci risultino stonate. Ci fanno impressione come una morbosità. Ci fanno impressione perché ci hanno conosciuti troppo, li abbiamo conosciuti troppo, ed è un po' come osservarsi l'intestino a vicenda. Il rapporto è andato a male e anche un po' noi con esso, e l'altra persona è uno specchio che vogliamo credere deformante - come se qualcuno ce l'avesse imposta.
Mi è accaduto, una volta, e poi mi è passato - e al mio secondo rapporto di pari o superiore importanza mi sono sforzata di far sì che non accadesse di nuovo. Il secondo suddetto rapporto è terminato con le mie nocche sullo zigomo del tizio che frequentavo, ma ho tenuto a ribadire - ma nessuno mi ascoltava, né credeva - che non c'era astio da parte mia, non c'era rifiuto da parte mia, che era semplicemente meglio che non ci frequentassimo più. Le nocche sul suo zigomo erano un'esigenza del mio orgoglio, tutto qui. Ricordo, a seguito di ciò, un dialogo con una conoscente che principiò con un suo:
"Non è necessario diventare un uomo per essere lesbiche."
(Non ero lesbica, ero bisessuale, ma una buona fetta di umanità ha difficoltà a concepire una sessualità doppia.)
Ai tempi non avevo elucubrato abbastanza per risponderle, con la sua stessa logica, un:
"Non è necessario essere un uomo per prendere a pugni qualcuno."
Ma comunque.
Sto divagando.
Dicevamo?...
Ah, sì, la stigmatizzazione.
Dicevo, è dai miei quindici anni che non stigmatizzo qualcuno. Ciò ha conseguenze, ovviamente. Non è un caso che io conosca angeli e porci - se proprio vogliamo riutilizzare le vecchie categorie di "bene" e "male". Conosco convinti umili cristiani con cui darmi alla teologia di domenica, gente che ha sgozzato capretti, geni che dormono tre ore a notte per poi usare il cervello per tutto il tempo della veglia, santoni vegani, pulp alpha-men duri e puri, docili madri di famiglia in analisi dall'adolescenza, e tutta una lunga lista - molti tra voi - e sarebbe molto più facile citare i casi singoli che conosco senza rifarmi a categorie esistenti, perché reality is stranger than fiction, ma enumerarvi così, con le stramberie che vi caratterizzano, vi farebbe sentire delle bestie da baraccone. Probabilmente vi sentireste feriti. Insomma, qualche cosa sulle persone in questi anni l'ho capita. Ho capito, ad esempio, che non importa quel che dico e faccio in anni all'interno di un rapporto: se adesso qui dicessi che ho un amico che si masturba infilandosi una lampada al sale accesa nel culo, pur senza fare il suo nome, costui si sentirebbe ferito. Vai a sapere perché. Vai a sapere perché rivelare di sapere una determinata cosa, senza però rivelarla al mondo (ossia: senza fare nomi, né riferimenti che possano collegare la menzione alla persona), può offendere una persona. Ferirla. Tradire la sua fiducia. Anche se è stata questa persona a dirtelo e tu non hai minimamente sfiorato la sua fama pubblica. Vai a sapere il perché.
C'è da dire che non ho mai ben compreso la parola "offesa" - e con essa il verbo "offendere". È un verbo strano, perché per realizzarsi richiede che il destinatario riconosca l'azione come "offensiva". Un verbo strano, in cui l'intenzione del mittente può contare o meno, ma solo a posteriori.
È difficile offendermi, fottutamente difficile. Di solito a offendermi sono questioni generali, ma quel che mi dà sui nervi di norma non è l'offesa in sé, bensì l'incoerenza di una certa (il)logica. Insomma, cos'è un'offesa? Conosco la parola, il significante, ma nella mia testa non esiste concetto che funga da suo significato.
Rivelare di sapere una determinata cosa e le sue conseguenze (gente offesa, ferita e quant'altro) è un altro vecchio Leitmotiv, che però riesco a ricollegare alla mia vita. Per questo in questo blog c'è un'intera tag nominata "Lokasenna". Purtroppo linka a un solo post. Ci ho messo un bel po' a decidere che "Lokasenna" valeva quello spazio - valeva più del mio mero amore per La Lokasenna.
Consiglio sempre la lettura della Lokasenna - la poesia - e non perché sia particolarmente importante conoscere i pettegolezzi sugli Dei norreni, ma perché Loki - "Lokasenna" significa "invettiva di Loki" - è, o dovrebbe essere, il Dio negativo per eccellenza - eppure ciò che rivela nella sua invettiva è presumibilmente vero. Le accuse che porta, i modi in cui smaschera gli altri Dei, non sono dagli Dei smentibili - e questo rivela un quadro, una mitologia, in cui anche il più negativo degli Dei reca con sé delle verità - e forse è perché le rivela che viene castigato.

La co-esistenza di questi due Leitmotiven all'interno dello stesso post potrebbe suggerirmi che sono in qualche modo collegati. Ma forse no. Forse semplicemente collego tutto a tutto per hobby, noia, ossessione. Comunque, anche fossero collegati, credo sinceramente non me ne fregherebbe un cazzo. E la cosa mi solleva. Perché se dessi lo stesso peso ad entrambi i Leitmotiven mi troverei nella scomoda posizione in cui pare stia il 95% delle persone che conosco, ossia: dover scegliere tra socialità e limpidità. Assaggiare i compromessi - che possono avere diversi sapori, possono presentarsi come il miglior piatto da ristorante da guida Michelin che sempre avete voluto gustarvi - ma in cui è stata aggiunta della sabbia, e scricchiolerà tra i denti a ogni boccone.

(Amen.)

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