Titolo: The Unspeakables, S01E05 - Like A Ghost, I'll Be Gone
Autrice:
lisachanoando (
lizonair)
Beta: La
melting_lullaby, che con straordinario sprezzo del pericolo beta fic su fandom che non conosce e non le interessano dal 1906.
Capitolo: 5/25.
Riassunto: Mario e Davide vengono mandati negli Stati Uniti, e più precisamente al numero 112 di Ocean Avenue ad Amityville, nel glorioso stato di New York, perché c'è un problema con la famosa casa teatro di un sanguinoso pluriomicidio nel 1974 e di una serie di fenomeni paranormali di varia natura negli anni successivi. Dopo un periodo di riposo di quasi quarant'anni, la casa sembra essersi improvvisamente risvegliata, e i nostri due agenti preferiti sono in missione per cercare di capire perché.
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Mario Balotelli/Davide Santon, Davide Santon/Zlatan Ibrahimovic, José Mourinho e PABLO DANIEL OSVALDO. Oh yeah.
Generi: Avventura, Romantico, Introspettivo.
Rating: NC-17.
Avvertimenti: Slash, AU.
Wordcount: 9365
Note: (Sembra un filler ma non è, serve a darci un po' di porn.) Scritta per la
sesta ed ultima settimana del COW-T #5, Missione 3. Il prompt era, tipo, "vi buttiamo in faccia Single Ladies di Beyoncé, poi voi fatene quello che volete", ed io ho scelto di prendere il singolo verso che poi è il titolo di questo capitolo e, be', appunto, farne ciò che volevo. Cià.
THE UNSPEAKABLES
1x05 - Like A Ghost, I’ll Be Gone
L'uomo si muove veloce, passando da una stanza all'altra con la sicurezza di chi conosce a menadito la planimetria dell'edificio, sulle labbra un sorriso soddisfatto e lieve, sullo sfondo una litania di frasi in inglese volutamente prive di senso, "summer makes this side of the hill glow, the grass is greener than anywhere else around, the buildings sing, their colors mix up in perfect harmony at sunset and the texture of the air is so different you can almost feel it on your skin as you walk down main street on a Sunday afternoon", mentre spalanca le lunghe tende bianche che partono dal soffitto e scivolano fino al pavimento in cascate impalpabili ricoperte di ricami minuscoli, che proiettano geometrie imprevedibili sulla parete di fronte.
Mario lo segue con gli occhi, aggrottando vistosamente le sopracciglia e sbuffando ogni due minuti.
- Ma quando se ne va? - sibila a Davide dopo una mezz'ora, quando stanno per salire al piano di sopra, seguendo l'agente immobiliare in questo tour non richiesto attraverso la casa al numero 112 di Ocean Avenue ad Amityville, New York.
Davide sospira, sistemandosi lo zaino sulle spalle mentre imbocca le scale, sulla scia dell'agente immobiliare che, cinguettando insensatezze, li accompagna a visitare il piano superiore.
- Spero presto, - risponde, - Se gli sento dire un'altra volta che il suono dell'acqua scrosciante sul cesso di ceramica al piano di sopra sembra una sinfonia scritta da un grande compositore europeo di fine secolo scorso, lo prendo a pietrate in faccia.
Mario gli lancia un'occhiata interrogativa, inarcando un sopracciglio.
- Quand'è che avrebbe detto una roba del genere?
- Poco fa, no? - risponde lui, scrollando le spalle, - Non l'hai sentito? Fra un "l'aria invernale da queste parti è meno fredda di quanto non si possa pensare" e un "si respira aria di amicizia vera fra le villette che costeggiano questo viale".
- ...non ho idea di cosa tu stia parlando. - ribatte Mario, basito.
Davide si ferma a metà della rampa, mentre l'agente immobiliare, già giunto a destinazione, decanta i meriti curativi e rilassanti quasi sovrannaturali del parquet in camera da letto.
Ci mette un po' a capire. Poi realizza.
- Tu non conosci l'inglese. - dice.
Mario annuisce.
- Chi avrebbe dovuto insegnarmelo? - domanda innocentemente.
- Non lo so, - risponde Davide, - Tipo le scuole elementari.
- Va be', ma che c'entra. - sbuffa Mario, contrariato, - A scuola io non riuscivo mai a imparare niente.
- Ah, questo giustifica tutto.
- Intendo, - insiste lui, lanciandogli un'occhiataccia offesa, - Che non potevo stare dietro alle lezioni come avrei dovuto. I miei hanno cominciato ad addestrarmi quando avevo tre anni.
Davide riprende a salire le scale, sulle labbra l'ombra di un sorriso intenerito.
- Davvero? - domanda, - Così piccino?
- Già. - annuisce Mario. Poi lo guarda. - Credevo fosse la norma.
- Non all'Accademia, no. - scuote il capo Davide, - In realtà, nella maggior parte dei casi, i figli degli stessi agenti non vengono a conoscenza del lavoro dei loro genitori finché non compiono sedici anni. Iniziano gli studi accademici mentre concludono la scuola dell'obbligo, e poi vanno avanti. Quantomeno, questo è quello che è successo a me. - dice, stringendosi nelle spalle, - Ma certe famiglie funzionano diversamente, sono più somiglianti a clan, a tribù, che a famiglie vere. Quella dei Balotelli non è nemmeno una famiglia, non è più neanche una stirpe, è una scuola.
- Guarda che non mi serve che mi spieghi come funzionano i miei genitori, ci ho vissuto, sai? - borbotta Mario, infastidito. Davide scoppia a ridere.
- Immaginavo che cominciaste ad addestrarvi presto, - riprende, cercando con gli occhi l'agente immobiliare ed individuandolo mentre cerca di attirare la loro attenzione dal fondo del corridoio, agitando con veemenza un braccio, - Ma non pensavo così presto.
- Per la verità io sono stato un'eccezione. - spiega Mario, seguendolo mentre raggiunge l'agente immobiliare nella stanza dalla quale li stava salutando, e la sua voce allegra torna a riempire l'aria di incomprensibile chiacchiericcio in lingua straniera, - In genere i miei non accettano studenti con meno di sei anni. Io però ero figlio loro, per cui...
- Ti immagino, - ride Davide, - Rotondo e sbilanciato dal pannolino, che rotoli giù per le colline mentre loro cercano di insegnarti le arti marziali.
- Io non rotolavo, - borbotta Mario, arrossendo, - E non ero rotondo.
- Non dire sciocchezze, - ride ancora Davide, - Tutti i bambini sono rotondi. È una cosa carina.
Mario sbuffa, guardando altrove.
- A me non piacciono i bambini. - mugugna.
Per un attimo tacciono entrambi. Nessuno dei due smette di seguire l'agente immobiliare, nessuno dei due abbandona la stanza o la casa, ma entrambi vorrebbero. Non hanno ancora parlato per bene di quello che è successo durante la séance organizzata da José e Yolanthe, non hanno ancora parlato della conferma della gravidanza di Mahalath, di ciò che implica per loro. Per Mario.
Mentre il silenzio li avvolge soffocandoli, Davide ci pensa su per la prima volta da quando sono partiti da Milano, e realizza che probabilmente non è un caso se si trovano lì adesso, a chilometri da casa, soli e con nessun altro con cui parlare a parte loro stessi. Probabilmente suo padre li ha mandati lì apposta. Che poi la scusa fosse un pericolo concreto o meno era una questione quasi irrilevante.
- So! - l'agente immobiliare si ferma di fronte all'ultima finestra della casa, dopo aver spalancato le tende anche lì, e si volta verso di loro con una mezza piroetta. La luce del sole che passa gelida attraverso l'ampio vetro alle sue spalle fa brillare i suoi capelli biondi e il colletto perfettamente inamidato della sua camicia bianca. - Do you like the place? Are you satisfied with it?
Davide forza sulle labbra un sorriso cordiale, annuendo lentamente.
- For a few days, it will do.
L'agente immobiliare annuisce soddisfatto.
- Perfect! - dice, - I will head downstairs and arrange the documents.
E sta per passare al fianco di Davide, diretto verso la porta, quando questa si chiude di schianto, senza che nessuno l'abbia toccata.
L'uomo si ferma come congelato sul posto, rabbrividendo visibilmente.
- Ci siamo... - sospira Mario, roteando gli occhi.
La maniglia della porta comincia a tremare, come se qualcuno stesse cercando di aprirla dall'esterno.
- God... - l'agente immobiliare arretra, ma la sua paura non è quella di qualcuno che non ha mai visto verificarsi un evento simile e non credeva nemmeno che una cosa simile fosse possibile, quanto piuttosto la paura di qualcuno che ha già visto questo tipo di eventi verificarsi parecchie volte, che non è ancora riuscito ad abituarsi ma è sulla strada per farlo, ma che allo stesso tempo sperava che non accadesse niente -- almeno non adesso.
Davide gli appoggia una mano sulla spalla, stringendola con fare rassicurante.
- Don't worry, - dice, - It's okay. You're safe.
- What...? - borbotta il tipo, voltandosi a guardarlo con stupore.
- No, ma ti pare? - dice Mario, aggrottando le sopracciglia, - Almeno non fare il principe azzurro di 'stocazzo. Che poi sei una persona insostenibile, la parte non ti si addice.
- I principi azzurri sono tutti insostenibili, rivedi la tua definizione del termine. - ribatte lui senza muovere un muscolo.
- I don't understand... - balbetta l'uomo, probabilmente più turbato dal loro battibeccare di quanto non lo sia dalla porta che, nel mentre, continua a tremare. E continua a farlo con forza sempre maggiore, finché il tremito non diventa uno sbattere continuo, finché quasi la porta non si solleva dal pavimento, abbastanza da permettere loro di notare che c'è un'ombra che si muove al di là del pannello, un'ombra enorme, immobile, che minaccia di entrare da un momento all'altro.
E poi, improvvisamente come ha cominciato a muoversi, la porta si ferma.
L'agente immobiliare, una mano premuta con sollievo contro il petto, sospira rumorosamente.
Davide, invece, resta teso.
- Non rilassarti. - spiega a Mario, - L'attività paranormale si manifesta sempre in almeno due modi differenti. Suono e tatto, olfatto e vista, non importa il tipo di combinazione, ma è sempre una combinazione.
- Let's... - dice l'agente immobiliare nel mentre, avvicinandosi lentamente alla porta, - Let's head downstairs, I think we had enough of...
La conclusione del suo discorso è coperta da un boato, come di pareti che si sbriciolano durante un terremoto. La casa resta in piedi, ma la porta trema ancora, e poi, lentamente, attraverso il buco della serratura comincia a scorrere un liquido denso come muco e dall'aria appiccicosa, nero come la notte. Puzza di fogna, di decomposizione avanzata, di morte e di abbandono.
- Ew! - urla Mario, facendosi indietro.
L'agente immobiliare salta come se l'avessero punto con uno spillo, strillando a voce altissima mentre agita le braccia sopra la testa.
Il quadretto è divertente, e Davide ride fra sé mentre si avvicina alla pozzanghera nera e puzzolente e si accuccia a meno di un passo da lei. Sente gli occhi stupiti di Mario e dell'agente immobiliare addosso, ma non lo disturbano mentre, con estrema calma, tira fuori dalla tasca della giacca un sacchetto di plastica trasparente ed una bacchettina di plastica sterile ancora conservata nella propria confezione. La estrae fischiettando, nel silenzio assoluto piombato sulla stanza dopo il boato, e la intinge nella sostanza vischiosa, lasciandola sgocciolare per qualche istante prima di riporla nel sacchetto e chiuderlo ermeticamente.
Dopodiché, si volta a guardare l'agente immobiliare che, bianco in volto, lo fissa senza dire una parola.
- It's perfect, - dice, - We love it. We're gonna have a great time.
*Mario e Davide disfanno le valigie senza scambiarsi una parola. Sullo sfondo, la voce di Mourinho che li aggiorna sulla situazione attuale.
Sono stati messi sul primo aereo per New York dopo un'introduzione brevissima, e il dossier che Mourinho ha consegnato loro non è che una lunga lista di segnalazioni della sezione Monitor, lista che Mario ha guardato con occhi pallati per una ventina di minuti prima di ammettere che non aveva neanche idea del punto dal quale cominciare a leggerla per tentare di capirla. Davide l'ha preso in giro, ma la realtà dei fatti è che si tratta di una lista di valori talmente specifici che anche lui avrebbe avuto bisogno di molto più tempo di quanto non gliene fosse stato concesso, per decifrarla.
- La villetta al 112 di Ocean Avenue ad Amityville è stata teatro dell'efferato omicidio della famiglia DeFeo nel 1974, - spiega Mourinho con voce atona, leggendo le informazioni dal fascicolo di fronte a sé, - Senza alcun motivo apparente, il tredici novembre di quell'anno il figlio maggiore dei coniugi DeFeo, Roland Junior, alle tre e quindici del mattino si è svegliato e ha massacrato i genitori, il fratello minore ed entrambe le sorelle. Poco più di un anno dopo, i coniugi Lutz acquistarono l'edificio e vi si trasferirono con le tre figlie della signora Lutz, fuggendone poi terrorizzati meno di un mese dopo, a seguito del ripetersi di una quantità di fenomeni paranormali di intensità spaventosa. Per la verità, - continua Mourinho, scettico, - La testimonianza dei Lutz è l'unica esistente che affermi la presenza di tali fenomeni ad Amityville. Dal 1976 ad oggi l'edificio è stato venduto ed acquistato parecchie volte, ma mai per motivi legati al paranormale. Ha anche subito una serie di restauri, per cui non si trova in condizioni di degrado, cosa che in genere favorisce l'insediarsi di presenze sovrannaturali quando attratte da un catalizzatore sufficientemente potente. Per qualche anno si è fatta strada fra gli studiosi del paranormale la possibilità che la casa sorgesse su un cimitero indiano, ma non sono mai state rinvenute prove sufficienti a corroborare la tesi. Il vostro compito è capire cosa sta succedendo da quelle parti, perché dopo un periodo di riposo di quasi quarant'anni, la casa sembra essersi risvegliata. Nel corso degli ultimi due mesi, sono state raccolte segnalazioni di ogni tipo, apparizioni, strani rumori nella notte, luci sospette. A ciò si aggiungono le rilevazioni dei nostri uffici -- cali di tensione immotivati e poi singolari esplosioni di energia, inspiegabili manifestazioni elettromagnetiche. Il mese scorso, durante un violento temporale, il vento attorno al perimetro della casa ha soffiato per quasi due ore in senso contrario rispetto a quanto facesse in tutto il resto del quartiere.
- Ah, l'aria diversa della domenica pomeriggio. - scherza Mario, il quale ha insistito per ottenere la traduzione precisa di ogni frase pronunciata dall'agente immobiliare mentre presentava la casa, subito dopo l'incidente da lui prontamente ribattezzato come "questa casa ha la tosse e perde muco dalle serrature. Ha chiaramente il raffreddore". Davide ride.
- La casa è in vendita da quasi un anno, - conclude la registrazione, - E nessuno si è ancora fatto avanti per acquistarla. Buona fortuna, ragazzi.
Il file audio termina subito dopo. Per allora, entrambe le borse sono state svuotate, e Mario e Davide si voltano a guardarsi l'un l'altro quasi contemporaneamente, dai lati opposti del letto.
Mario si schiarisce la voce, e poi abbassa lo sguardo.
- Bene, - dice, - Come procediamo?
Davide sospira, passandosi una mano fra i capelli.
- Temo di non poterti offrire nessuna avventura, stavolta. - dice.
Mario inarca un sopracciglio.
- Quando mai l'hai fatto?
Davide si volta a guardarlo, imbronciato.
- Maccosa, - sbuffa, - Abbiamo inseguito una regina dell'Inferno, scoperto un'enorme donna falena nel comasco e catturato un vampiro neonato al Cimitero Monumentale, - elenca, - Come osi insinuare che ti abbia tenuto lontano dall'azione e dall'avventura?
Mario gesticola a mezz'aria, dissipando le sue parole come fossero sbuffi di fumo.
- Allora?
- Be', - sospira ancora Davide, sedendosi sulla sponda del letto ed accavallando le gambe, - Quello di osservare l'attività paranormale di una casa è un incarico piuttosto noioso. Non possiamo fare altro che stare qui seduti in attesa che accada qualcosa, e sperare che si incarni in un fenomeno specifico abbastanza da poter essere identificato e neutralizzato. È una roba un po' statica, ecco, anche se è una cosa importante, non fraintendermi, perché è importante mantenere il livello spirituale degli oggetti inanimati sotto un certo limite, o finiscono per animarsi.
Mario strabuzza gli occhi, guardandolo con sconcerto.
- Come, prego?
- Mai sentito parlare di Case Dionea? - domanda Davide con un sorrisetto.
Mario aggrotta le sopracciglia, infastidito.
- Devi proprio? - borbotta, - Farmi pesare ogni volta che tu sai qualcosa e io no?
- Continuo inutilmente a sperare che fartelo notare prima o poi contribuisca a farti sentire in difetto e ti costringa ad aprire un libro, - spiega Davide, stringendosi nelle spalle, - So di essere un illuso, ma un ragazzo può sognare.
- Stai zitto e spiega cos'è una Casa Dionisiaca.
- Dionea. - ride Davide, - E come faccio a spiegare se mi dici di stare--
- Oh buon Dio, Davide.
- Okay. - dice lui, cercando di smettere di ridere, - Okay. La Dionaea muscipula è una pianta carnivora. Probabilmente la più famosa, perfino tu devi averla vista, quantomeno nei cartoni animati, o nei film dell'orrore. È quella con una bocca molto simile a quella umana, - spiega, imitandone il movimento aprendo e chiudendo le mani, - Presente?
Mario annuisce.
- Bene. - annuisce anche Davide, - Queste piante funzionano alla stregua di tutte le altre piante della stessa specie. Attirano le loro prede, per lo più piccoli insetti, grazie al colore rosso acceso delle loro trappole, e poi si chiudono attorno a loro per nutrirsene. Una Casa Dionea funziona praticamente allo stesso modo: è un edificio che ha assorbito energia spirituale a sufficienza da sviluppare una coscienza propria, non strettamente maligna né benigna, ma sufficiente da renderla una cosa viva. E cosa fanno le cose vive? Mangiano. - scrolla le spalle. - Le Case Dionea attirano le loro prede nei modi più svariati, utilizzando illusioni o costruendo leggende. Alle volte si auto-alimentano, nel senso che la prima preda scomparsa finisce per attirarne una seconda sulle tracce della prima, e una terza sulle tracce della seconda, e così via.
Mario lo guarda con sgomento, deglutendo a fatica.
- E come facciamo a sapere che anche questa non è una di queste Case Dinastia?
- Dionea! - ride Davide un'altra volta, scuotendo il capo. Ritrovarsi ad ammettere che l'ignoranza abissale di Mario ha smesso di infastidirlo per davvero già da qualche tempo è molto meno difficile di quanto non avrebbe mai creduto possibile. - Le Case Dionea non funzionano come le tue "case col raffreddore". La maggior parte dei fenomeni paranormali che producono sono visibili solo dall'esterno. La casa stessa non ti dà l'occasione di verificare se tali fenomeni si ripetano anche all'interno, perché nel momento in cui ti richiudi la porta alle spalle ha già cominciato a digerirti.
Mario rabbrividisce, i lineamenti del volto tesissimi.
- Schifissimo. - borbotta con una smorfia disgustata.
Davide ride ancora, piano.
- Sei un impiastro. - dice.
Mario sbuffa, incrociando le braccia sul petto.
- Che fai, ricominci?
- No, no. - Davide si alza in piedi e gli sorride, - E poi ho fame. Mangiamo?
Mario impallidisce, fissandolo sconvolto.
- E se poi la casa ci avvelena?
- Corriamo un rischio maggiore che ad avvelenarci siano i tramezzini che abbiamo comprato al 7-Eleven. - ridacchia Davide. Poi lo afferra per il colletto, trascinandolo fuori dalla stanza, - Andiamo, dai. Qui perdiamo solo tempo.
Ma in realtà non ne è poi così sicuro.
*Davide apre il contenitore di plastica dei tramezzini e un intenso afrore di uova sode e tonno si diffonde istantaneamente per la cucina, costringendo Mario a tapparsi il naso ed emettere un gemito disgustato. La casa, per protesta, scricchiola.
- Mado', - borbotta Mario, - Scommetto che questi tramezzini non li mangerebbe nemmeno lei. - dice, indicando il soffitto con un gesto circolare.
Davide sospira.
- La colpa è mia per aver provato ad introdurre nel tuo cervello minuscolo più concetti di quanti non fosse attrezzato per ospitarne. Quindi praticamente due.
Mario aggrotta vistosamente le sopracciglia, infastidito.
- Grazie, eh.
- Ti ho detto che questa non è una Casa Dionea, Mario, non mangerà noi e non mangerà i tramezzini e non mangerà genericamente niente in assoluto perché non ha fame.
- Ho capito! - sbotta Mario, - Cristo, stavo facendo una battuta. Ha ragione tuo padre, non hai nessun senso dell'umorismo.
Stavolta è Davide ad aggrottare le sopracciglia.
- Ah, sì? - dice.
- Non farmi il muso duro come se mi stessi alleando con tuo padre per la tua rovina, - sbuffa lui, - Lo sai che sono dalla tua parte.
Davide guarda altrove e non risponde. Non vuole parlare di roba troppo personale, sia che riguardi suo padre o che riguardi il loro rapporto. È una cosa troppo complessa e hanno lasciato che interferisse col loro lavoro già fin troppe volte, devono smetterla. Continua a pensare che prima o poi arriverà un momento in cui potranno prendersi una pausa, sedersi comodi da qualche parte e discutere di quello che sta succedendo senza che lui senta prudere le piante dei piedi dalla voglia di fuggire di corsa il più lontano possibile, ma in realtà è perfettamente consapevole del fatto che quel momento potrebbe anche non arrivare mai. D'altronde, lui e Zlatan non hanno avuto bisogno d'altro che di un momento di calma per saltarsi addosso, e lui e Mario, da quel punto di vista, sono già così avanti col programma che c'è solo da temere che il primo momento di calma sarà il momento in cui faranno la pazzia e finiranno per sposarsi a Las Vegas, o qualcos'altro di ugualmente stupido.
Scuote vigorosamente il capo, posando i tramezzini sui piatti di plastica ed offrendone uno a Mario. Dice di non volerci pensare, ma poi è esattamente quello che finisce per fare.
- Non dici niente? - sospira Mario. La sua voce è bassa, incerta. Davide si volta a guardarlo e, nel notare la sua espressione contrita, si sente in colpa. Gli si stringe lo stomaco in una morsa che fa quasi male. Vorrebbe essere in grado di spiegarsi. Di spiegare a Mario, soprattutto, perché devono tenersi lontani da una strada che alla lunga porterebbe solo complicazioni per entrambi, farebbe solo male a entrambi. Ma anche quando prova a spiegarlo a se stesso si sente un imbecille, un piagnone e un codardo. Come può pensare di spiegarlo a Mario, ed in modo che lui lo prenda sul serio, se non riesce a convincere nemmeno se stesso?
- Non so mai cosa dirti. - risponde più sinceramente che può, arrampicandosi su uno degli sgabelli attorno al tavolo e prendendo il proprio tramezzino in mano, osservandolo intensamente come non fosse davvero sicuro di volere cominciare a mangiarlo. - Non so cosa ti aspetti da me.
- Be', non lo so! - sbotta Mario, - Onestà, credo!
- Ma ci sto provando! - insiste lui, - A meno che tu per onestà non intenda che devo starci per forza solo perché me l'hai chiesto--
- E perché evidentemente ti piaccio!
Davide serra le labbra, guardandolo duramente.
- Non darlo per scontato.
- Non lo do per scontato, ti dico quello che vedo.
- Quello che vedi! - sbuffa lui in una mezza risata acida, - Quello che hai visto sono io che ti allontano ogni volta che provi a baciarmi! - si interrompe all'improvviso, fissando il vuoto per qualche istante, - Dio, non posso crederci che stiamo veramente parlando di questa roba... cosa siamo, adolescenti?
- Mado', che- che rottura di cazzo sei con tutti questi paletti, Davide! - geme Mario, esasperato, - Hai tutti questi preconcetti ridicoli in testa, sul lavoro non si parla, se parliamo dei nostri sentimenti siamo ragazzini, ma cosa vuoi?! Come possiamo mai provare a capirci se ogni volta che tentiamo di parlare tu te ne esci che è una roba troppo da ragazzini e non vuoi farlo?
- Dio... - Davide mette giù il tramezzino, la fame gli è passata del tutto. Si alza in piedi, allontanandosi dal tavolo. - Mario, non ce la faccio.
- E poi prendi e scappi come un imbecille! - Mario si alza a propria volta, seguendolo, - Di nuovo! Fai sempre così! Appena ci avviciniamo un attimo scatti indietro come un elastico del cazzo! Di cosa hai paura?
- Io non ho paura di niente. - risponde Davide, cupo, imboccando le scale.
- Sì, certo, però stai scappando.
- Non sto scappando, Cristo santo, - Davide ringhia, salendo al piano di sopra senza mai voltarsi a guardarlo, - Mi sto allontanando da te perché non ti sopporto.
- Ma spiegami perché! - quasi grida Mario, frustrazione e stanchezza che si mescolano nella voce, - Non fai che spingermi via, ma non mi spieghi mai perché! Non so cos'ho fatto di male! A parte, naturalmente, non essere Ibrahimović!
Davide spalanca la porta della camera da letto ed entra velocemente, voltandosi poi con altrettanta fretta.
- Dio, non tirarlo in mezzo! - grida, chiudendo la porta.
La mano di Mario ne ferma la corsa, impedisce alla serratura di scattare. Spinge in avanti e Davide indietreggia mentre la porta si riapre a pochi centimetri dal suo viso. Al di là della soglia, Mario lo fissa, gli occhi scuri lucidi di rabbia, il fiato un po' grosso.
- Lasciami entrare. - dice.
Davide deglutisce e scuote silenziosamente il capo.
- Lasciami entrare. - ripete Mario, ostinato.
- Non capisci, - bisbiglia Davide, scuotendo nuovamente il capo, - Non posso.
- Stronzate. - Mario avanza di un passo, dentro la stanza e verso di lui, - Lasciami entrare.
- Sei già dentro. - dice Davide, e poi trattiene il fiato.
- Non qui. - Mario scuote a propria volta il capo, lentamente, mentre la sua voce si abbassa di tono, si fa più soffice. Le sue mani si chiudono attorno all'ovale del viso di Davide, mentre copre la distanza fra di loro. - Qui. - dice in un sussurro, chinandosi a baciarlo.
Davide si lascia sfuggire un gemito arreso mentre piega lievemente il collo, seguendo il movimento di Mario. Stringe le mani attorno al tessuto della sua maglietta, sentendo la pressione dei muscoli sotto i polpastrelli per un istante prima di richiuderli contro il palmo della propria mano. Ne sente subito la mancanza e si odia per questo, per essere così debole e così stupido. Mario è una sua responsabilità e lui dovrebbe proteggerlo, dovrebbe dirgli "stammi lontano, Mario, non sono neanche lontanamente nella situazione adatta per cominciare questa cosa, non farò che ferirti, Mario, Mario, la notte che ci siamo baciati sono uscito e sono stato a letto con una succube caduta, Mario, una donna, e a me le donne neanche piacciono, ma l'ho fatto perché era bionda e bianca e semplice e disponibile ed era la cosa più distante da te che potessi trovare senza dover davvero cercare, ed ora tu stai qui e mi baci, Mario, continui a baciarmi, e non sai che questa cosa non può che finire malissimo, che sarai costretto ad andartene, o sarò costretto a farlo io, perché è così che vanno le cose, è così che finisce sempre, le cose sono belle e perfette e ti cambiano la vita e poi, inevitabilmente, finiscono, e qualcuno va via, ed un cuore resta spezzato, ed io non voglio che sia ancora il mio, e quindi farò tutto quello che mi sarà possibile perché sia il tuo. Sarà il tuo, Mario, ed io non voglio, ma sarà così. Se non ti fermi. Se non ti fermi," ma Mario non si ferma. Mario non ci pensa. Come sempre, se ne frega, e forse se ne frega perché Davide non è davvero in grado di spiegargli quello che sta accadendo. Ma forse, da un altro punto di vista, Davide non è in grado di spiegargli quello che sta accadendo perché non vuole davvero che lui si fermi.
Mario lo spinge verso il letto quasi bruscamente, come spaventato che lui possa cambiare idea. Davide geme ancora, aggrappandosi alle sue spalle per non cadere quando inevitabilmente inciampa. Poi Mario lo spinge ancora, e stavolta Davide si lascia cadere. Rimbalza appena sul materasso e lo accoglie il profumo di bucato fresco delle lenzuola, e lui chiude gli occhi, mentre Mario gli si arrampica addosso, muovendosi lento e fluido come una pantera, le labbra che scivolano sul suo petto attraverso il tessuto della maglia che indossa, e per un istante gli sembra quasi di trovarsi ancora in camera loro, alla Fondazione. Stringe le braccia attorno alle spalle forti di Mario, schiudendo le gambe. Lo sente ricadere fra le sue cosce, premersi contro di lui con un gemito di gola che gli vibra sulla pelle nel punto in cui Mario lo sta baciando, appena sotto l'orecchio, ed è una vibrazione che si spande dentro tutto il suo corpo, quasi trasportata dal flusso sanguigno.
Qualcosa di caldo si stringe attorno a loro, li avvolge due volte come un nastro e poi si chiude con un nodo strettissimo. Attraverso le palpebre chiuse, Davide ne vede solo il bagliore dorato, e le sue labbra si distendono in un sorriso sollevato mentre ruota i fianchi, andando incontro al movimento di quelli di Mario, che è quasi incapace di trattenere il gemito stupito che gli sboccia sulle labbra quando le loro erezioni si strusciano l'una contro l'altra attraverso il tessuto pesante dei jeans.
La casa scricchiola intorno a loro, cigola, protesta, i cardini gemono, le finestre si spalancano e poi si richiudono col suono di uno schiaffo che si abbatte contro i vetri, ma loro non si fermano. Lo sentono accadere, sentono le ombre farsi avanti, ma è come se quel nastro dorato li proteggesse, come li racchiudesse in un bozzolo di luce pura all'interno del quale l'ombra non può entrare.
Davide schiude le labbra e geme a pochi millimetri dall'orecchio di Mario. Lo sente rabbrividire sotto la punta delle dita quando le spinge oltre il colletto della maglietta, a sfiorargli la nuca e l'inizio della schiena, e lo stomaco gli si stringe in una morsa carica di eccitazione ed aspettativa quando sente i gesti di Mario farsi più svelti e impazienti, le sue mani vagare lungo tutta la superficie del suo corpo e poi fermarsi sui suoi fianchi.
La casa urla, sembra che le pareti stesse stiano intimando loro di fermarsi se non vogliono finire schiacciati, ma Mario non sembra curarsene. O più probabilmente, pensa Davide, confuso e intenerito al tempo stesso, più probabilmente decide di ignorarlo perché non lo capisce, e infila una mano oltre l'orlo dei suoi jeans, stringendola attorno alla sua erezione, masturbandolo velocemente.
Davide si scioglie in un gemito teso e bagnato, che lascia scivolare lungo la spina dorsale di Mario in un invito a dargli di più, e Dio, è da quando Zlatan è andato via che nessuno lo tocca, e tutto il suo corpo si anima e canta sotto il tocco ruvido delle dita di Mario, sotto la gentilezza un po' tremante e incerta con cui il suo pollice si muove in gesti circolari attorno alla punta del suo cazzo teso.
- Smettila... - si forza a dire, camminando a occhi chiusi sulla linea sottilissima che separa il piacere dal tormento, e quando Mario solleva lo sguardo acquoso e sofferente su di lui, e lui vede le sue labbra tremare in una preghiera muta, "non fermarmi", si affretta a stringergli il volto fra le mani, a premere le proprie labbra contro le sue, a baciarlo, sussurrandogli addosso, - Non fermarti, scopami.
Mario trattiene il respiro per più di qualche secondo, e a Davide viene da ridere. Lo bacia ancora, lentamente, accarezzandogli il collo.
- Rilassati. - dice.
Mario annuisce velocemente, infilandosi una mano in tasca. Recupera il portafogli e ne estrae un preservativo, prima di gettarlo via. Davide ride, osservandolo cadere dal letto e planare sul pavimento con un tonfo.
- La casa potrebbe nascondertelo per un po'. - lo avverte.
- Potrebbe mangiarselo? - domanda Mario, premendogli addosso baci affamati mentre scarta il preservativo e tira giù i pantaloni in un gesto spiccio, per indossarlo.
Davide ride senza fiato, scuotendo il capo.
- Questa casa non mangia, Mario, te l'ho già detto. - risponde, più dolcemente di quanto vorrebbe.
- Allora non m'importa. - taglia corto Mario. Chiude le mani attorno ai suoi fianchi e per un secondo non fa che premere con forza le dita sulla sua pelle, lasciando l'impronta arrossata dei propri polpastrelli sulle sue anche. Poi stringe il tessuto dei suoi pantaloni, e li tira giù con forza. Davide solleva il bacino per lasciarglielo fare e scalcia via i pantaloni quando se li ritrova stretti attorno alle caviglie. Pensa distrattamente che vorrebbe essere nudo, vorrebbe sentirlo meglio, ma quando Mario gli schiude le gambe, entrambe le mani sulle ginocchia e i bicipiti tesi nello sforzo del gesto imperioso, decide che non gl'importa, che va bene così. Gli sta bene la frenesia di quell'istante, scopare come fosse una sveltina, gli vanno bene le mani che s'infilano sotto i vestiti perché non c'è stato tempo di toglierli. Non era così con Zlatan, non era mai così con Zlatan, Zlatan lo spogliava sempre, lo accarezzava a lungo, si spogliava assieme a lui e premeva i loro corpi nudi l'uno contro l'altro perché potessero impararsi a memoria, perché la loro traccia fisica potesse imprimersi indelebile nella memoria tattile dell'altro, ma è giusto che con Mario sia diverso, è bello che lo sia, e Davide accoglie l'erezione di Mario dentro di sé inarcando la schiena e gettando indietro il capo mentre la casa protesta tremando violentemente, offesa e oltraggiata dal loro affronto, dalla decisione deliberata di ignorarla per concentrarsi esclusivamente l'uno sull'altro.
Mario si spinge dentro di lui, una mano ancora chiusa attorno alla sua erezione mentre con l'altra cerca un appiglio e lo trova nella testiera del letto, alla quale si aggrappa per bilanciarsi mentre si solleva appena sulla ginocchia, solo per spingere con forza ancora maggiore. Davide sobbalza, esplode in un gemito improvviso che apre solo la strada a tutti quelli che seguono, che gli rotolano copiosi fra le labbra ogni volta che sente l'erezione di Mario farsi strada dentro il suo corpo, ed è più per quello, per i pezzetti di lui che Mario conquista istante dopo istante mentre si scava una nicchia tutta propria dentro di lui, che Davide sussulta e viene, è più per quello che non per le dita scure che ancora lo trattengono stretto in pugno, che ancora lo masturbano, che continuano a farlo anche dopo l'orgasmo, per navigarlo fra le ultime ondate di piacere che lo scuotono, prima di sparire del tutto, lasciandolo senza forze.
Resta sdraiato sulla schiena, ansimante, mentre Mario si solleva e rotola prima su un fianco e poi accanto a lui. Sente il suo respiro forte e un po' tremolante, la spalla destra che con ogni ansito si solleva e sfiora la sua. Poi lo sente irrigidirsi all'improvviso, e quando apre gli occhi, prima ancora di guardare lui, guarda il soffitto, e vedendolo muoversi capisce cosa ha spaventato Mario, e cerca la sua mano, la trova e la stringe, parlandogli a bassa voce per calmarlo.
- Non preoccuparti, - dice, mentre il soffitto si trasforma in una pozzanghera di fango nero come la melma colata giù dalla serratura qualche ora prima, e facce enormi e deformate dal dolore affiorano in superficie, spalancano le labbra in urla che riecheggiano per tutta la casa e gocciolano quella sostanza vischiosa sui loro corpi, - È normale.
- Come fa... - deglutisce Mario, - Come fa quella cosa ad essere normale?
Le facce diventano via via sempre più grandi, le orbite oculari, spalancate su un abisso vuoto, sembrano sciogliersi sui loro visi, e poi si chiudono del tutto mentre dalle labbra ancora aperte fanno capolino denti lunghissimi e appuntiti, neri come la pece, che continuano a crescere, crescere, arcuati come i canini di una tigre preistorica, e quasi li sfiorano.
Davide trattiene il respiro. Può sentire addosso il fiato di quelle creature.
- La nostra energia, - spiega piano, - Ha sprigionato le forze della casa. Ma la casa non può assorbirla, non è così che funziona. - stringe con più forza le dita attorno alla mano di Mario, - Rilassati. Appena ci saremo calmati, andranno via.
Tremando come una foglia, Mario si fida di lui. Chiude gli occhi e respira piano, le labbra dischiuse, la mano stretta attorno alla sua. Davide lo imita, chiudendo gli occhi a propria volta, adattando al suo il ritmo del proprio respiro.
Le voci si fanno più deboli. Poi scompaiono del tutto. Quando Davide riapre gli occhi, il soffitto è tornato normale. Si volta a guardare Mario e lo trova già con gli occhi fissi su di lui. Stringe le labbra in una linea perché vorrebbe parlare ma non sa se può, e col cuore che gli martella fortissimo nelle orecchie Davide solleva una mano e gli accarezza il viso.
- Non adesso, okay? - chiede implorante, - Dammi qualche giorno.
Dal modo in cui trattiene il respiro all'improvviso, Davide sa che non ne è contento. Che avrebbe preferito parlarne adesso, e risolvere qui ed ora... qualsiasi sia il problema. Ma guarda in basso, e poi annuisce piano. Si alza in piedi, tirando su i pantaloni dopo aver gettato via il preservativo.
- D'accordo, - dice, - Appena torniamo a Milano.
Davide si solleva a sedere. Quando parla, lo fa con una voce sottile che non si sentiva usare da un po'.
- Non resti? - domanda incerto.
Mario scuote il capo e non lo guarda. Guarda per terra, invece, dove sa dovrebbe trovarsi il suo portafoglio. Non è lì, però, e lui sospira.
- Ci vediamo domani, - bisbiglia, mentre veloce abbandona la stanza.
*La notte è trascorsa piuttosto tranquilla, tutto considerato. D'altronde, dopo il picco di attività del giorno prima, non è che Davide si aspettasse niente di diverso. Esausta almeno tanto quanto lui, la casa si è limitata ad un chiacchiericcio basso, appena percettibile. Insonne per mille motivi, nessuno dei quali era paura, Davide ha teso l'orecchio ed è rimasto in ascolto, silenziosamente assorto.
C'è qualcosa di strano in quello che la casa ha continuato a ripetere ora dopo ora. Qualcosa sul canto del diavolo, sulle fondamenta dell'universo che tremano. È altamente inusuale che una casa infestata si metta di punto in bianco a chiacchierare della fine del mondo, invece che di morte, paura e vendetta. Forse aveva torto, ieri, mentre diceva a Mario che la casa non poteva assorbire la loro energia. Forse è esattamente quello che è successo, invece.
Cercando di arginare un principio di mal di testa, verso le nove decide che ne ha avuto abbastanza di restare in quel letto a poltrire, e scende al piano di sotto. Il silenzio è irreale. Mario e la casa devono dormire ancora, pensa, scendendo le scale.
E invece no. La casa forse dorme, ma Mario è ben sveglio. Immobile davanti alla porta d'ingresso, l'arma puntata contro un uomo sorridente, le mani alzate nell'atteggiamento di chi lo fa per farti un favore, e non certo perché ha paura di te.
- E insomma, - sorride l'uomo, - Non si può lasciare casa un paio di giorni senza ritrovarsela invasa al ritorno.
Davide estrae l'arma a propria volta, scendendo le scale in un balzo ed affiancandosi a Mario.
- Chi sei?! - tuona, puntando la pistola alla testa dell'intruso.
Quello sorride sfacciato, stringendosi nelle spalle.
- No, dico, vi sembra un modo educato di fare le presentazioni? - li prende in giro, - Non dovreste presentarvi prima voi?
Per tutta risposta, Davide carica il colpo. Dalla pistola si leva un ronzio basso che aumenta esponenzialmente di volume man mano che il proiettile si carica di energia, e il fondo della canna si riempie di luce.
- Va bene, va bene, - ride lo sconosciuto, - Non c'è bisogno di essere così drammatici. Pablo Daniel Osvaldo, - dice, il sorriso che si allarga in un ghigno supponente, - Negromante.
Davide trattiene il respiro, abbassando istintivamente l'arma.
- Non è possibile... - sussurra.
- Cosa? - domanda Mario, agitato, - Cosa non è possibile?
Invece di rispondergli, Davide solleva un braccio e lo appoggia sul suo, costringendolo ad abbassarlo a propria volta. Tiene lo sguardo fisso sul nuovo arrivato, scrutandolo con un misto di curiosità e di apprensione.
- Sei tu la ragione per cui la casa si comporta in maniera bizzarra?
- Bizzarra? - Mario lo fissa, preoccupato, - Aspetta, non avevamo stabilito che la casa aveva il raffreddore e che era perfettamente normale che si comportasse così? - dice. Poi spalanca gli occhi, allarmato. - Non si sarà davvero mangiata il mio portafoglio?!
- Per tutte le potenze infernali e celesti, Mario! - sbotta Davide, mentre il negromante scoppia a ridere a qualche passo da loro, senza minimamente accennare ad allontanarsi o sentirsi anche solo vagamente in pericolo, - Ti ho già detto mille volte che questa non è una casa Dionea!
- Casa Diafana o no, - insiste Mario, - Il mio portafoglio è sparito, e ora tu di punto in bianco te ne esci col fatto che la casa si comporta in maniera bizzarra! Permetti che almeno io mi preoccupi?!
- Ma non c'è niente di cui preoccuparsi, - li interrompe il negromante, facendosi avanti, - O meglio, - precisa con una risatina, - Se questo è il modo in cui tutti gli agenti della Fondazione conducono le loro missioni di questi tempi, allora direi che sì, qualcosa di cui preoccuparsi c'è, ma decisamente quel qualcosa non è questa casa. - Sorride a entrambi, prima di voltare loro le spalle e dirigersi disinvoltamente in cucina. - Facciamo colazione, vi spiegherò tutto.
Davide ripone la pistola nella fondina, seguendolo con un sospiro. Mario gli si affianca, parlandogli a bassa voce, con circospezione.
- Si può sapere cosa sta succedendo, chi è quel tizio insoffribile e perché non gli abbiamo già sparato?
Davide sospira ancora, scuotendo il capo.
- Sai cos'è un negromante, o devo spiegarti anche quello?
- Certo che so cos'è un negromante, grazie tante. - ribatte Mario, aggrottando le sopracciglia, - È uno che riuscita i morti e all'occorrenza ci parla pure.
- Nella concezione pre-medievale del termine, forse. - risponde Davide, piegando le labbra in una smorfia in seguito a un genuino moto di disgusto per la sua ignoranza, - Seriamente, Mario, non sai mai niente e quando sai qualcosa è una definizione vecchia e obsoleta. Quantomeno aggiorna i tuoi riferimenti culturali all'anno Mille!
- Mado', che piaga al cazzo, - geme Mario, annoiato, - Credevo che una sana scopata ti avrebbe fatto bene, ma evidentemente mi sbagliavo. - Davide si ferma in mezzo al corridoio, perfettamente immobile, e per un secondo entrambi non fanno che fissarsi, immersi nel più assoluto silenzio. - Troppo presto? - domanda Mario, titubante.
Davide si volta e riprende a camminare.
- Troppo presto.
Mario sospira, passandosi una mano sul volto.
- Va bene, - dice, - Dunque, questi negromanti?
- Evocatori, - risponde Davide, - Non solo delle anime dei defunti, ma di spiriti, di demoni, di dei, qualsiasi cosa a cui tu possa pensare.
- Come Yolanthe?
- Estremamente più potenti, - spiega Davide, - Inoltre, li si credeva una razza estinta. Questo è il primo di cui sento parlare in vent'anni.
Mario lancia un'occhiata alla figura che li precede.
- Sono pericolosi? - chiede titubante.
Davide annuisce.
- Molto.
Annuisce anche Mario, assorbendo l'informazione.
- Cosa facciamo?
- Non lo so, - Davide scuote il capo, - Per ora, ascoltiamo quello che ha da dire. Decideremo poi.
*- Zucchero? - il negromante sorride cordiale, sollevando il coperchio in porcellana finissima dalla zuccheriera bianca decorata con minuscoli fiori azzurri.
Mario porge la tazza, diffidente.
- Potrebbe essere veleno. - notifica, - Due, comunque.
Osvaldo spalanca gli occhi, fingendosi oltraggiato mentre lo serve. Le zollette piovono nella tazza di caffellatte bollente, e Mario comincia a mescolare mentre Davide gli lancia un’occhiata infuriata, mormorandogli un “imbecille” fra i denti.
- Non vi avvelenerei mai. - risponde l’uomo, offrendo lo zucchero anche a Davide, che invece declina, - A che pro? Se volessi uccidervi, mi basterebbe comandarlo al demone.
- Non intendevo che le avessi avvelenate tu, le zollette, intendevo che… - comincia Mario. Poi si rende conto di ciò che il negromante ha appena detto, e lo fissa, basito. - Hai detto demone?
Osvaldo sorride e annuisce.
Davide sospira, sorseggiando il proprio caffè mentre si appoggia sollevato allo schienale della sedia.
- È per questo che la casa si sta comportando in questo modo, giusto? - chiede, - Non è infestata dai fantasmi.
- Non lo è mai stata. - ride Osvaldo, divertito, - Anche ai tempi della famiglia Lutz. A possedere il maggiore dei DeFeo, nel Settantaquattro, non fu un fantasma né un demone, ma la schizofrenia. Capita anche ai migliori. - minimizza, scrollando le spalle.
- E le apparizioni? Le testimonianze dei Lutz? Gli studi dei paragnosti? - domanda Davide.
- Meh, - Osvaldo sospira, - Ciarlatani. I Lutz acquistarono la villa poco dopo l’omicidio, ne furono suggestionati, evidentemente. - il suo sorriso si allarga, furbo, - Ma d’altronde, chi può dirmelo meglio di voi? Avete forse mai rilevato attività paranormale nel perimetro di questa casa?
Mario si volta a guardare Davide, che non gli ricambia lo sguardo e continua a fissare il negromante. Regge il suo sguardo per qualche istante e poi sospira, stringendosi nelle spalle.
- Mai. - ammette, - Secondo i nostri archivi, l’unica prova esistente a riguardo è stata fornita dai Lutz con la loro testimonianze. Nessuna rilevazione precisa e scientificamente comprovata, almeno non fino agli ultimi due mesi. E suppongo che questa sia colpa tua.
Il negromante annuisce, sorridendo fiero.
- Una casa in cui è stato compiuto un pluriomicidio, infestata o meno, è sempre una casa in cui è stato compiuto un pluriomicidio, - spiega, - Non c’è niente di meglio del sangue che bagna le pareti per farne una perfetta camera magnetica.
Mario sbatte le ciglia, confuso.
- Cos’è una camera magnetica?
Osvaldo ride ad alta voce, divertito.
- Ma non vi mandano più a scuola, voi Innominabili?
- Nessuno ci chiama più così da decenni, - borbotta Davide, infastidito.
- Davvero? - Osvaldo ride ancora, - Forse frequentate le compagnie sbagliate. In ogni caso, - prosegue, tornando a guardare Mario, - Una camera magnetica, o uno scrigno di evocazione, come veniva chiamato secoli fa, è il luogo nello spazio in cui si costringe un demone, ancorandolo alla realtà terrena per imprigionarlo per un tempo variabile da pochi istanti a per sempre.
- Perché mai qualcuno vorrebbe fare una cosa del genere? - domanda Mario, aggrottando le sopracciglia.
- Per le ragioni più svariate, - ride Osvaldo, - Magari il demone è riuscito ad attraversare il velo fra i mondi, e va imprigionato prima che cominci a possedere innocenti passanti compiendo stragi vari ed eventuali. Oppure è stato evocato per essere ucciso e derubato dei suoi poteri, e più tempo passerà in una camera magnetica più semplice sarà stancarlo e sconfiggerlo assorbendo le sue capacità. - Davide gli lancia un’occhiata, socchiudendo sospettoso gli occhi. Osvaldo si stringe nelle spalle e gli offre un sorriso affascinante, - Oppure, come nel mio caso, l’evocazione ha avuto luogo a semplice scopo informativo.
- …a scopo informativo. - ripete Mario, - Cos’è, stai pensando di farti una piccola vacanza all’Inferno e volevi qualche raccomandazione per un alberghetto caratteristico a buon prezzo?
- Onestamente, devo dire che l’Inferno è estremamente sopravvalutato, come meta turistica.
Mario spalanca gli occhi, fissandolo.
- Ci sei stato?
- Posticino noioso, devo dire. - continua lui, - A meno che non si abbia un kink per le cascate di sangue. Quelle sì sono attrazioni straordinarie.
- Mi prendi per il culo.
- Mario… - sospira Davide, passandosi una mano sulla fronte.
Osvaldo ride, accavallando le gambe.
- Non rimproverarlo, è normale che sia curioso. - lo giustifica, - Certo che sono stato all’Inferno. Il viaggio è, per così dire, incluso nel pacchetto. Tutti i negromanti si concedono un piccolo tour, all’inizio. È una cosa molto istruttiva.
- Mi avete perso. - sospira anche Mario, voltandosi a guardare Davide, - Non avevi detto di non aver sentito parlare di nessun negromante attivo negli ultimi vent’anni?
Davide guarda Osvaldo con evidente preoccupazione.
- È così, infatti.
Osvaldo gli sorride conciliante.
- Non siamo in tanti, è vero, - conferma, - E i pochi ancora in giro conducono vite estremamente riservate. La nostra è una razza che muore. Di generazione in generazione ci facciamo sempre più pochi, e sempre più deboli. Sono pochi quelli fra noi che riescono ancora ad evocare demoni maggiori. Chi ancora riesce, come me, cerca di non farlo. Non si ha mai la certezza del risultato.
- Quindi il demone imprigionato qui… - comincia Davide.
- Oh, è un demone minore. - Osvaldo agita una mano a mezz’aria, - Una di quelle creaturine senza nome che ogni tanto l’Inferno vomita e che rimangono a strisciare all’ombra del Demonio per l’interezza della loro vita.
- Un parassita. - Davide aggrotta le spalle, - Perché evocare una creatura del genere?
Osvaldo sorride, sospirando paziente come dovesse spiegare a due bambini un processo ovvio come quello del sole che sorge al mattino e tramonta alla sera.
- I demoni di questo tipo non riescono mai a passare attraverso il velo fra i mondi. - dice, - Eppure, sono i più informati su quanto succede all’Inferno, a causa della loro vicinanza al Demonio. Sono le sue creature, ne condividono perfino i pensieri- o meglio, li ricevono, ne ricevono una traccia. Sono quasi gusci vuoti, pronti per essere riempiti, o comunque delle antenne in grado di captare tutto ciò che il loro Signore comunica. Sono innocui e pieni zeppi di informazioni, perché non evocare una creatura del genere? - conclude con una risatina.
Davide annuisce lentamente, tornando ad appoggiarsi alla sedia.
- D’accordo. - sospira, - Non ha senso girarci intorno. Sai cosa sta succedendo, vero?
- Ne avevo un sentore. - sorride il negromante, guardandolo con indulgenza, - Non l’ho saputo con certezza fino a quando non ho cominciato a interrogare il demone. Ogni giorno mi dice qualcosa in più. Ci ha messo dieci giorni a dirmi della gravidanza. La settimana scorsa sono riuscito a tirargli fuori di bocca il nome della madre. Ho dovuto allontanarmi per qualche giorno, sapete com’è, per dargli un po’ di respiro. Ma devo riprendere l’interrogatorio quanto prima. Sono a tanto così dal trovare anche il nome del padre.
- Il nome del padre? - Davide aggrotta le sopracciglia, mentre Mario tende i muscoli, seduto immobile al suo fianco, - Perché dovrebbe essere rilevante?
- Non è ovvio? - sorride il negromante, - Il padre è il legame. Ed è mortale, ovviamente, il che lo rende più semplice da manovrare, da usare. Troviamo il padre e troveremo la Regina. Troviamo la Regina e troveremo il piccolo Principe del male che cresce dentro di lei. E se seguiamo il procedimento giusto… - conclude con un sorriso, - Uccidiamo il padre, e uccideremo anche suo figlio.
Mario trattiene il respiro così improvvisamente che si sente quasi il cambiamento nell’aria. La mano di Davide scatta a stringersi attorno alla sua. Pressa i polpastrelli contro il palmo caldo e un po’ sudato e gli intima silenziosamente di calmarsi, di non comportarsi in maniera troppo ovvia.
- Va bene. - dice quindi, - Grazie per aver condiviso con noi quanto hai scoperto.
Osvaldo ride, perfettamente a suo agio.
- Non vi ho detto neanche la metà. Non sono un idiota.
- No, non lo sei. - annuisce Davide. Lascia andare la mano di Mario ed estrae velocemente la propria arma, sparando così all’improvviso che Mario, spaventato dal gesto, si tira violentemente indietro, rovesciando la sedia e mantenendo l’equilibrio per miracolo mentre il negromante finisce sbalzato indietro, contro la parete, e poi si accascia sul pavimento, inerte, nell’urlo assordante della casa che, scuotendosi tutta, riecheggia di un lamento addolorato.
- Cosa… - mormora Mario, allarmato, - Che… l’hai ucciso?
- No. - risponde Davide, alzandosi in piedi e raggiungendo il negromante, ancora steso a terra, - Il demone è avvolto attorno a lui come una corazza. Non hai sentito quell’urlo?
- L’ha protetto? - Mario aggrotta le sopracciglia.
- Non volontariamente. È obbligato a farlo. Il negromante l’ha evocato e incatenato qui, sono legati. Non ti sei soffermato a chiederti perché si sentisse così a proprio agio nonostante fosse in compagnia di due agenti della Fondazione?
Mario sospira, sedendosi sui talloni proprio al fianco del negromante. Sembra profondamente addormentato, ma la sua espressione è serena.
- Ho dato per scontato che ci ritenesse due imbecilli. - risponde.
- Questo è poco ma sicuro, - commenta Davide, spalancando metodicamente tutti i cassetti della cucina in cerca di qualcosa con cui legarlo. Trova della corda, e la tira fuori, svolgendola. - Ma anche il più imbecille degli agenti è pericoloso, per gente come lui. No, era così tranquillo perché sapeva di non poter morire, non adesso, non in questa casa. Voltalo.
Mario obbedisce, e poi resta in silenzio mentre osserva Davide legare i polsi del negromante con la corda e poi sollevarlo a sedere contro la parete.
- Quest’uomo voleva uccidermi. - dice alla fine, abbassando la voce.
Davide si solleva in piedi, guardandolo per qualche istante dall’alto.
- Non parliamone adesso. - dice, - Dobbiamo portarlo a Milano. Subito. Qualsiasi cosa sappia, deve cantare. E qualsiasi sia la sua natura, non possiamo permetterci di lasciarlo in libertà. È un SCP e come tale va contenuto. È il nostro mestiere, Mario. Viene prima anche della fine del mondo.
Mario annuisce lentamente, sollevandosi a propria volta in piedi.
- Cosa facciamo col demone? - chiede.
Davide si guarda intorno, appoggiando una mano alla parete di fianco a lui. È tiepida e vibra debolmente. Sembra quasi un gatto, e lo costringe a un piccolo sorriso.
- Non possiamo fare niente per lui. - dice, - Solo un negromante può sciogliere le catene di una camera magnetica. Una volta tornati a Milano, chiederemo a mio padre se può mandare qualcuno per liberarlo e ricondurlo a casa. - si volta a guardare Mario, e di fronte alla sua espressione tesa e preoccupata il suo sorriso si allarga. - Toccalo. - lo invita, facendogli cenno di avvicinarsi.
Mario si ritrae appena.
- Perché? - domanda.
- Perché no? - ribatte Davide, - Non è cattivo.
- E le facce sul soffitto? E il muco dalle serrature?
- Non è cattivo, - ribadisce Davide, ridacchiando, - È solo, lontano da casa, in catene e spaventato. Saresti scorbutico anche tu, nella stessa situazione.
Mario borbotta qualcosa di inintelligibile, abbassando lo sguardo.
- Ha rubato il mio portafoglio, - insiste.
Uno degli sportelli della bella cucina in legno color panna si apre all’improvviso, sputando il portafoglio di Mario a pochi passi da lui. Davide ride di gusto, chinandosi a recuperarlo e porgendoglielo.
- Ora fai il bravo, - dice, - Toccalo.
Mario si avvicina titubante, sollevando una mano ed appoggiandola alla parete. La allontana quasi subito, di scatto, ma solo di qualche centimetro. Si volta a guardare Davide, gli occhi che brillano mentre le sue dita tornano a sfiorare la superficie liscia.
- È calda… - commenta a bassa voce, - È- È come se fosse viva.
- Lo è. - annuisce Davide, - È piacevole, vero?
- Mi… mi trasmette una gran calma, - prosegue Mario, - Com’è possibile? Non era così, fino a poco fa.
- Ci è grato. - spiega Davide, intenerito, - Il negromante è incosciente, la sua stretta sul demone si è allentata. Fra poco lo porteremo fuori di qui, e nel giro di qualche ora si troveranno a centinaia di migliaia di chilometri di distanza l’uno dall’altro. Il demone sarà ancora costretto a restare in questo luogo, ma potrà respirare liberamente.
Mario trattiene il respiro, le labbra strette in una linea che trema appena.
- È una cosa straordinaria. - sussurra, - Non mi sono mai sentito così. Non pensavo nemmeno che- che fosse possibile. È diverso da qualsiasi altra cosa che abbiamo fatto fino ad ora.
Davide sorride ancora, allungando una mano verso la sua. Le loro dita si intrecciano naturalmente, tiepide come la parete che entrambi stanno ancora sfiorando. Una corrente calda come la marea notturna attraversa i loro corpi.
Mario ha così tanto da imparare, su questo mestiere. L’idea di passare la vita a insegnargli, per la prima volta da quando si sono conosciuti, non gli pesa nemmeno.
*Mario era esausto, ed ha preferito ritirarsi in camera mentre Davide si recava in ufficio da Mourinho per fare rapporto. Preoccupato dalle loro scoperte e dall’arrivo del negromante ma soddisfatto dal loro operato, suo padre ha ascoltato ciò che aveva da dire, ha letto velocemente il documento che Davide ha redatto sulla via del ritorno nell’aereo privato che la Fondazione ha mandato a prenderli negli Stati Uniti e poi gli ha concesso un paio di giorni di ferie.
- Vorremmo assistere all’interrogatorio del negromante, - gli ha detto Davide, prima di uscire.
Suo padre ha sorriso. Quasi teneramente.
- Vi ho dato due giorni di ferie apposta. - ha detto. Davide ha sentito lo stomaco contrarsi in uno spasmo di tenerezza. Si sente ancora sopraffatto dalla gratitudine. La traccia del demone che gli è rimasta addosso anche dopo aver lasciato Amityville.
Quando rientra in camera, Mario è sdraiato sul proprio letto e si guarda una mano con curiosità. Ogni tanto, il pollice si ripiega sul palmo e lo sfiora esitante, con curiosità.
- Lo sento ancora addosso. - bisbiglia appena sente Davide chiudere la porta, - È così strano.
- Ma è piacevole, vero? - chiede Davide con un sorriso.
Mario annuisce. Poi si volta a guardarlo, abbassando la mano. Non dice niente, si limita a guardarlo dal letto, e Davide sospira, sapendo che stavolta non c’è scampo.
Gli si avvicina, sedendosi sulla sponda del letto, e Mario si tira su a propria volta, guardandolo intensamente.
- D’accordo. - dice, ricambiandogli l’occhiata, - Parliamo.
Mario si morde l’interno di una guancia per qualche secondo. Poi, lentamente, schiude le labbra.