Titolo: Embrace The Past And You Can Live For Now
Autrice:
lisachanoando (
lizonair)
Beta: No one, no one, nooo oooone /O\
Capitolo: 1/1.
Riassunto: "Per la prima volta, dopo una vita passata a pensare a Davide come ad un essere umano diverso da qualsiasi altro, particolare, riconoscibile fra mille nella folla come portasse con sé un odore privato e penetrante che solo Mario, fra tutti, riusciva a percepire, si ritrovava a realizzare che Davide non era una persona diversa. Era una persona come mille altre. Una persona che, probabilmente, nella folla non sarebbe più riuscito a riconoscere.
Chissà da quanto."
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Mario Balotelli/Davide Santon, OFC/OFC.
Generi: Introspettivo.
Rating: PG-13.
Avvertimenti: Slash, Femslash, Future!Fic.
Wordcount: 1325
Note: Solito tributo della sottoscritta al Santonelli in occasione della
Notte Bianca #9. Cosa accade durante ogni Notte Bianca? Liz scrive Santonelli. E stavolta vale doppio X'D
EMBRACE THE PAST AND YOU CAN LIVE FOR NOW
Il tempo era passato su di loro cancellando ogni traccia della loro vita insieme. Era un’evidenza così schiacciante da costringere quasi Mario a rifuggirne, spaventato. C’era qualcosa di strano, di sbagliato negli occhi di Davide, qualcosa di sbagliato nella sua figura, nell’aria attorno al suo corpo, nei colori dei suoi abiti, nel chiarore così preciso della sua pelle. In ogni centimetro esposto della sua persona, Mario leggeva la propria assenza come fosse scritta su di lui in parole di inchiostro. C’erano lunghi, profondi segni scuri che tracciavano la storia implicita di una vita senza Mario, negli occhi di Davide, nella sua espressione, nei suoi atteggiamenti.
Era straniante. Sbagliato nel modo peggiore. Era come guardare un quadro aspettandosi di trovare un certo dettaglio in un dato posto, e poi trovarlo dislocate altrove, o peggio non trovarlo affatto. Davide era diventato un’altra persona, lontano dagli occhi di Mario, lontano dal calore della sua pelle e dalla carezza delle sue labbra. Non avrebbe saputo dire se fosse cresciuto o meno, era semplicemente diverso, diverso al punto che avrebbe potuto essere un altro.
Eppure era lui. I dettagli non mentivano. I suoi polsi, ad esempio. Le ossa sottili e fragili, gli angoli spigolosi e aspri del suo corpo, il pomo d’Adamo sempre così in evidenza. La sfumatura brillante di quegli occhi grandi e un po’ stupidi, quel modo tutto particolare di piegare la bocca in una smorfia di disappunto improvviso, l’ondeggiare fluido dei fianchi nello spostare il peso del corpo da un piede all’altro.
Era come se qualcuno avesse preso il corpo di Davide, lo avesse svuotato di ciò che lo rendeva Davide e lo avesse riempito con tutt’altra cosa. Era uguale al suo Davide, a quello assieme al quale aveva condiviso gli anni della sua adolescenza prolungata, ma non era lui. Per la prima volta, dopo una vita passata a pensare a Davide come ad un essere umano diverso da qualsiasi altro, particolare, riconoscibile fra mille nella folla come portasse con sé un odore privato e penetrante che solo Mario, fra tutti, riusciva a percepire, si ritrovava a realizzare che Davide non era una persona diversa. Era una persona come mille altre. Una persona che, probabilmente, nella folla non sarebbe più riuscito a riconoscere.
Chissà da quanto.
- Posso offrirti qualcosa, Mario? - domandò Chloe, sorridendo un po’ in imbarazzo mentre si alzava dal divano, chinandosi verso di lui con atteggiamento quasi servizievole, da donna d’altri tempi. Arrossendo a causa della sostanziale scarsa abitudine a frequentare donne come lei, Mario arrossì all’improvviso, scuotendo energicamente il capo. - Oh, andiamo, - rise a quel punto Chloe, stringendosi nelle spalle, - un aperitivo? Le lasagne saranno pronte in una ventina di minuti.
- Va bene. - sorrise Mario, grattandosi la nuca in un gesto nervoso, - Grazie mille.
- Non c’è di che! - trillò Chloe, entusiasta, voltandosi per andare in cucina in un frullare di graziose sottane di pizzo tese a gonfiare la gonna a pois lunga al ginocchio che indossava. Era ancora piuttosto bella, Chloe. Era ancora piuttosto bella ed era ancora piuttosto di Davide, nonostante fossero ormai sposati da qualcosa come quindici anni. Mario aveva visto molto matrimoni invecchiare prima degli sposi, avvizzirsi e poi morire, sbiadendo come il colore dei petali dei fiori secchi. Due di questi, fra i propri. Davide, però, aveva sempre avuto una certa consistenza. Una certa capacità di rimanere fedele a se stesso nel corso degli anni. Supponeva che dovesse essere questo, il segreto. Non è difficile, per una persona, continuare ad amarti, quando resti la persona di cui si è innamorata la prima volta. È più difficile, invece, restare accanto a qualcuno che continua a cambiare giorno dopo giorno, mescolando opposti anche talmente estremi da sembrare addirittura inconciliabili.
Mario era quel tipo di persona. Quella accanto alla quale era impossibile restare, ovviamente.
- Quante possibilità c’erano? - chiese Davide a mezza voce, guardando ostinatamente le proprie mani abbandonate in grembo, le dita intrecciate.
- Che le nostre figlie si mettessero insieme? - domandò Mario a propria volta, lanciandogli un’occhiata un po’ allucinata dal presupposto stesso della conversazione, - Poche, immagino. Pochissime. Diciamo che era praticamente impossibile, ma è successo lo stesso.
- Cosa pensi che sia stato? - chiese ancora Davide, rassegnandosi finalmente a sollevare gli occhi su di lui, - Destino?
- Lo sai che non ci credo. - ridacchiò Mario, stringendosi nelle spalle.
- E allora com’è possibile? - insistette Davide, senza cambiare espressione. Sembrava turbato dalla realtà dei fatti, più di quanto Mario non si sarebbe aspettato, più di quanto forse non fosse giustificabile. Era un po’ ridicola quella sua espressione così sconcertata, così addirittura spaventata dalla terribile eventualità che Pia e sua figlia si fossero conosciute ed innamorate. - Come lo spieghi tu l’impossibile?
- Non lo so. - rispose Mario sinceramente, - Non lo spiego? Serve una spiegazione? Insomma, è successo. Spiegarlo non cambierà la realtà. Non cambia il fatto che è accaduto.
- Non voglio cambiare il fatto che sia accaduto! - sbottò Davide, apparentemente offeso, lanciandogli un’occhiata risentita, - Sto solo cercando di capire.
- Guarda, non c’è niente da capire. - rispose Mario, scrollando le spalle, - E sarebbe un errore volerlo fare, anche perché non sono fatti nostri. Voglio dire, le ragazze sono grandi, presto saranno maggiorenni, sanno cosa stanno facendo. Soprattutto, stanno insieme da quanto, tre anni, ormai? Voglio dire, se anche avessimo dovuto porci delle domande, ormai sarebbe tardi.
Davide aggrottò le sopracciglia, le labbra strette in un’espressione carica di fastidio. Per quanto vero fosse ciò che Mario affermava, era altrettanto vero anche il fatto che quella fosse la prima volta che s’incontravano da quando le ragazze avevano cominciato a frequentarsi. Ed era pertanto probabilmente altrettanto vero il fatto che, in qualche modo, questo avrebbe dovuto portarli a porsi delle domande. Se non sulle ragazze stesse, quantomeno su loro due.
- Non ci arrivi proprio, vero? - chiese Davide a bassa voce, le dita pressate contro i braccioli della poltrona, - Sto cercando di dare un senso alla coincidenza del secolo perché non so se posso sopportarla, altrimenti. È… davvero troppo assurdo. - concluse con un sospiro, rilassandosi contro lo schienale.
Mario non riuscì a impedirsi una breve risatina un po’ amara, sospirando a propria volta.
- Lo so. - disse quindi, annuendo brevemente, - Lo so, ci arrivo anch’io. È un po’ strano, vero?
- La prima cosa che ho pensato quando l’ho saputo è stata “non può essere vero”. Dai, queste cose succedono nei film. - disse, gesticolando animatamente, - Nei libri, nelle serie tv, nei cartoni animati, checcazzo, mica nella realtà. Ho pensato “com’è stato possibile? Come!”, ed ero talmente sconvolto che anche cercando di pensarci razionalmente, non ci riuscivo mica. Cioè, Mario… - si concesse un piccolo sorriso, lanciandogli un’occhiata incerta, - Mia figlia e tua figlia. Se il destino non esiste, davvero, qualcuno sta facendo uno sforzo per farci credere che invece esista eccome, e sia pure stronzo.
Mario rise, accavallando le gambe in un gesto finalmente rilassato, mentre ascoltava la risata di Davide fare eco alla propria dopo pochi secondi di incertezza. Guardandolo, sembrava non fosse cambiato niente. C’era ancora quella traccia così fisica e indelebile degli anni trascorsi, quella traccia che aveva scritto addosso a Davide una realtà diversa, una verità diversa. Una traccia che Mario non si sentiva addosso, della quale faticava a comprendere il peso specifico.
C’era anche qualcos’altro, però. Qualcosa di spaventosamente somigliante a una mano tesa a riallacciare due lembi di un filo in un nodo che l’usura, gli strattoni e la distanza avevano sciolto anni prima, silenziosamente, delicatamente, quasi apposta perché nessuno dei due se ne accorgesse ed arrivasse a fermarlo con un dito prima che si disfacesse del tutto.
Come aveva potuto non capirlo prima?, pensò con un sorriso più sereno, mentre Chloe tornava in salotto portando con sé una bottiglia di rosé frizzante, tre calici e qualche stuzzichino su un elegante vassoio da portata.
Era solo il nodo, il problema. Il nodo si era sciolto, ma il filo, quello era sempre lì. Ad affrontare tutto il resto avrebbero imparato poi.