FIC: RUNNING ACROSS THE FIELDS OF TIME.

Aug 26, 2011 12:05

Titolo: Running across the fields of time.
Autrice: Bibby
Fandom: Liverpool FC, Real Madrid CF
Personaggi/Pairing: Steven Gerrard/Xabi Alonso; nominati Michael Owen, Fernando Torres, Pepe Reina e Alex Curran.
Rating: R
Word count: 3549 (W)
Warnings: FUTURE!fic, lemon, language, angst
Disclaimer: Bugie.
Note: Questa storia non ha molto senso, in realtà xD Credo si capisca che l’ho scritta, diciamo, in mezza giornata? Ma vabbè, era da un po’che non riuscivo a scrivere, quindi non posso lamentarmi. Per Iv, in attesa di quella Schweinski che non riesco proprio a scriverle.


Running across the fields of time.

I may not have the softest touch,
I may not say the words as such,
And though I may not look like much:
I’m yours.
The Script

La leggera vibrazione del cellulare tra le dita - si è addormentato stringendolo in mano, come una dannata dodicenne alla sua prima cotta - lo riscuote dal torpore in cui era caduto attendendo il messaggio. Il tempo di svegliarsi completamente e si fionda a leggerlo, schiacciando troppe volte il tasto avanti e bestemmiando sottovoce quando apre quattordicimila applicazioni assieme. Si sente un po’ stupido nel momento in cui riesce finalmente a leggerlo e tutto ciò che c’è scritto è un semplice “Scendi? X.” - non che si aspettasse qualcosa di diverso.
Facendo attenzione a non svegliare l’altra metà del letto - Alex, sempre lei, sempre bellissima anche con qualche capello bianco e due chili di botox iniettati negli zigomi - si alza in piedi, ruba qualcosa a caso dall’armadio. Va in bagno, si lava i denti, si veste. Si pettina alla meno peggio con le dita, dal momento che non riesce a trovare il pettine e non gli va di mettersi a far casino per cercarlo.
Si dirige verso l’ingresso, prende le chiavi di casa ed esce, chiudendo la porta dietro di sé.
Respira. (Soltanto allora di accorge del suo cuore che gli martella nel petto come un pazzo.)
Percorre a grandi passi il vialetto che lo separa dalla strada, e lo vede. Xabi. Appoggiato al cofano della propria auto, il suo solito sorriso timido che sembra danzargli in volto.
Solo quando poi lo stringe tra le braccia - è diventato così esile, anche più magro dell’ultima volta - si rende conto che è come se, nel tempo trascorso lontani, gli fosse sempre mancato qualcosa, un pezzetto di vita, e solo adesso riesca a sentirsi, finalmente, completo.
Almeno fino a quando Xabi non andrà via di nuovo.

***

Non si sa come sia incominciata, questa loro storia. E’ accaduto tutto così tanto tempo fa che si potrebbe parlare quasi di leggenda. Steven immagina i titoli dei giornali: “Eroi di Istanbul giocano per l’altra squadra.” Peccato (o per fortuna) che nessuno sia mai venuto a saperlo.
Forse, se qualcuno li avesse scoperti, tutto sarebbe andato diversamente; forse Xabi non sarebbe andato via. Forse non l’avrebbe lasciato solo. Steven ci pensa, ogni tanto: sarebbe stato disposto a mandare a puttane carriera, famiglia e tutto il resto, per avere Xabi al suo fianco.
Altre volte, invece, Steven pensa a quei primi anni, quelli in cui bastava aspettare che lo spogliatoio fosse deserto e spingere Xabi in una doccia per illudersi che tutto andasse bene. Gli anni di Rafa, della sua marca di birra preferita stampata sulla maglia. Gli anni di Istanbul, e di quel bacio matto davanti all’intero mondo, che avrebbe conosciuto negli anni a venire gemelli assai più audaci.
Se potesse, Steven vivrebbe in quel periodo della sua vita per l’eternità.

***

Xabi ha cambiato profumo, constata Steven, strofinando il naso contro il suo collo e mugolando di approvazione quando ritrova una traccia dell’odore della sua pelle sotto l’aroma della nuova colonia.
- Niente più Hugo Boss, eh? - chiede, corrugando appena la fronte.
Non ha detto “ciao”, non ha detto “come stai?”, né “tutto bene?”, non l’ha mai fatto e non ce n’è stato mai il bisogno. Non si aspetta nemmeno che sia Xabi a farlo. Anzi, il giorno che lo spagnolo gli chiederà se è tutto a posto in famiglia anziché chinarsi a baciarlo, be’, quello sarà il giorno in cui Steven capirà che tra loro è tutto finito.
- Sì, non ti piace? - replica Xabi, sciogliendo l’abbraccio in cui erano ancora stretti e portando allo stesso tempo una mano a sfiorargli la guancia, come se non volesse interrompere del tutto il contatto fisico.
Steven è colto dai brividi a quella mezza carezza, e per questo ci mette qualche momento a formulare una risposta.
- No, mi piace. Solo che certe cose non dovrebbero cambiare mai. - Tipo me e te.
Xabi gli regala uno sguardo che è una conferma. Solo perché ho cambiato profumo non vuol dire che cambierà niente tra noi.
- E’ Guilty di Gucci, comunque. - specifica lo spagnolo.
Steven annota mentalmente: sarà di sicuro il suo prossimo acquisto. Da nascondere sul fondo di un cassetto e tirare fuori le notti che la nostalgia si fa insopportabile.

***

Una notte in albergo, forse in Italia, trasferta internazionale.
Xabi è appena uscito dalla doccia, ha i capelli umidi e i pettorali umidi e le cosce umide di vapore, e un minuscolo asciugamano stretto in vita. (Qualcosa si inumidisce anche nei piani bassi di Steven.)
Steven, venticinque anni di spavalderia e cazzate riuscendo sempre a farla franca, lo guarda - quasi incantato. Si avvicina e scioglie il nodo dell’asciugamano, che precipita a terra con uno schiocco sordo.
Sente le guance farsi rosse e per un momento teme che Xabi lo stia pre prendere a cazzotti, teme di aver frainteso tutti gli sguardi troppo lunghi e gli abbracci troppo stretti e i sorrisi troppo timidi, teme di esserseli addirittura immaginati.
 Teme che per una volta qualcuno gi sbatterà la porta in faccia, fin quando Xabi non afferra l’orlo della maglia che indossa, invitandolo a liberarsene a sua volta - l’ombra di un sorriso sulle labbra sottili, come un raggio di sole che fa capolino tra le nuvole.
Allora Steven capisce di averla passata liscia anche questa volta.
Finscono a segarsi a vicenda seduti sul pavimento di marmo, in silenzio, le natiche congelate e il membro caldissimo nelle mani dell’altro.
Ecco come è cominciata, Steven se ne ricorda all’improvviso, seduto al posto del passeggero nella macchina che Xabi deve aver noleggiato, mentre sfrecciano per le vie deserte di Liverpool. La consapevolezza che da quel giorno sono passati quasi vent’anni lo colpisce come uno schiaffo in pieno viso.

***

La sagoma dei Docks appare loro davanti, un po’ indistinta per colpa dell’oscurità e della nebbia.
Passano sempre la notte in casa di Xabi, lo stesso appartamento in cui abitava quando giocavano in squadra assieme e che chissà per quale motivo non ha mai venduto. Steven non è mai riuscito a capirlo.In realtà, nonostante questa specie di rapporto che si trascinano dietro da anni, ci sono cose di Xabi che per lui rimarranno sempre un mistero.
Steven non conosce il perché dei suoi silenzi, quelli terribili che lo colgono dopo il sesso e sembrano togliergli l’aria dai polmoni; non capisce il suo amore per Liverpool, così gratuito e grato insieme, a lui incomprensibile perché offuscato dal suo stesso, molto più viscerale e meno ragionato. Non capisce, allo stesso modo, il suo orgoglio di basco, e probabilmente non comprenderà perché se ne sia andato.
Tuttavia, Steven conosce il battito del suo cuore, da sempre in sincrono col proprio, per quella strana magia che un tempo li legava anche sul campo. Conosce il sapore che hanno le sue labbra di prima mattina ed il modo in cui gli si stringe inconsciamente addosso nel sonno, a notte fonda. Conosce la sfumatura che i suoi occhi prendono durante l’orgasmo, mille volte più intensa di qualunque altra Steven abbia mai scorto in un essere umano, e tanto gli basta.
Non gli serve di più: ha imparato ad accontentarsi - forse è stato proprio Xabi, col suo amore ramingo, ad insegnarglielo.

***

Un’altra cosa che Steven conosce dannatamente bene è il rumore che fa la serratura della porta di casa quando Xabi gira la chiave nella toppa. (Il cigolio dei cardini che si fa ogni anno più forte.)
- Dovresti metterci un po’ di olio, Xabs… - dice, e si volta verso lo spagnolo che si è fermato sull’uscio per farlo passare avanti. Lui e le sue manie da galantuomo.
Poi, d’improvviso, si ricorda di non averlo ancora baciato e rimedia con tutta l’irruenza del caso, spingendolo contro lo stipite e affondando i polpastrelli nei suoi fianchi magri.
- Stevie. - mormora Xabi, scostandosi appena.
Steven gli morde il labbro inferiore, con forza, per la pura e semplice voglia che ha di farlo.
- Xabs. Ehi. -
- Vacci piano, - ridacchia il basco - ho il terrore che questo posto caschi a pezzi da un momento all’altro.
- Esagerato! - Steven scuote la testa, e ride a sua volta - Non avrà più di… -
- Quarant’anni. Quando ci sono venuto ad abitare io ne aveva già venti. -
- Non sono abbastanza perché una casa possa crollare, Xabi. Soprattutto non se ti spingo un po’ più forte contro la dannata porta. -
- Forse però siamo noi, no? Siamo noi che non abbiamo più vent’anni. - Siamo noi che rischiamo di crollare a pezzi. 
Steven molla la presa sui suoi fianchi ed entra in casa. Non risponde nulla, perché in ogni caso non saprebbe cosa dire.
E’ vero, non hanno più vent’anni.  Lui ne ha quarantaquattro, Xabi uno di meno. E’ che il tempo è trascorso così in fretta che a lui sembra di esserne stato travolto, e poi lasciato indietro.
Steven conosce la sensazione, ha passato una vita intera ad essere lasciato alle spalle come un giocattolo rotto. Forse però è colpa sua. Forse è lui che non sa correre abbastanza.

***

Il primo è stato Michael, quando aveva pochi anni e quasi più sogni dei gol di Mickey in Premier, quell’anno.  Sogni su cui fantasticavano insieme da anni, dai tempi dell’accademia, quando ogni loro tiro in porta non valeva ancora migliaia di sterline. Sogni che poi, quando Michael se n’è andato, Steven ha dovuto realizzare da solo.
Dopo ce ne sono stati molti altri: Sami, John Arne, Nando. Lexie e Lilly, quando ormai Steven non aveva più compagni di squadra ma solo amici con cui giocare a calcetto una volta ogni tanto, entrambe trasferitesi ad Oxford per l’università.
E Xabi, ovviamente. Anche se, malgrado tutte le lacrime e i nodi alla gola e la disperazione, il suo non è stato davvero un addio. Perché Xabi, in un modo o nell’altro, è ritornato sempre.

***

- Ci sono un paio di birre in frigo, le ho prese prima di passare da casa tua. Ne vuoi una? -
Steven scuote la testa in segno di diniego; gli piace la birra, ma, oltre al fatto che sono le due passate, non ha voglia di stordire i propri sensi. Gli servono tutti e cinque, per imprimersi bene Xabi nella testa e conservare il suo ricordo, almeno fino al loro prossimo incontro.
- Allora possiamo vedere qualcosa, la tele è un po’ vecchiotta ma credo di avere il lettore DVD ed un paio di film carini. - Xabi si aggira per la stanza, indeciso sul da farsi.
- Xabs. Sono le due e mezza di notte e tu domani devi tornare nella fottuta Spagna. Vuoi davvero passare la notte a vedere per la centesima volta Casablanca?-
- Veramente pensavo di vedere…-
-Shh…- lo zittisce Steven, posandogli un indice sulle labbra - Andiamo in camera. -
Il dito scorre giù fino al mento, lungo il collo, sul petto ancora coperto dalla camicia. Risale fino al primo bottone, lo rimuove dall’asola con l’aiuto del pollice.
Xabi respira forte, Steven si ferma e lo bacia piano. E’ quasi dolce, solenne, come se fossero vestiti eleganti in piedi di fronte un altare, e ci fossero amici e parenti a festeggiarli, coprendoli di riso e confetti.
Magari in un’altra vita, pensa distrattamente Steven, magari non sarebbe tanto male.

***

Probabilmente sì, si può risalire a come tutto è cominciato, ma è difficile capire come mai questa loro storia vada avanti. Sono passati tanti anni, Xabi se ne è andato. Una relazione a distanza può durare uno o due anni, al massimo tre, ma non quindici, non una vita intera.
Forse c’entra il fatto che loro due abbiano avuto, da quell’agosto del 2009, ben pochi momenti assieme. E’ come se i loro incontri furtivi e brevissimi abbiano fomentato l’amore al punto giusto, impedendo che si spegnesse proprio quando era sul punto di farlo. Tutta questione di tempismo, già.
O forse non c’è mai stato nessun amore. Forse lui e Xabi sono solo due amici a cui piace ritrovarsi di tanto in tanto - una o due notti l’anno, di nascosto da tutti - e scopare assieme in memoria dei vecchi tempi.
Steven non sa se lo ama, non è mai riuscito a darsi una risposta e comunque non sarebbe mai capace di confessarglielo. Sa solo che da quando ha appeso gli scarpini al chiodo - in bacheca una Champions, una FA Cup, due Premier e un mare di rimpianti - Xabi è l’unica cosa per cui continua a svegliarsi ogni giorno.
Per quanto possa suonare banale, patetico o grottesco, Xabi è l’unico elemento che si rifiuta di entrare a far parte del ciclo monotono che è diventato la sua vita. Senza di lui, Steven stesso verrebbe inghiottito dalla routine nel giro di un istante.

***

- Mi sei mancato. - sussurra Xabi, ansimando forte.
Steven solleva lo sguardo per osservarlo in volto e stringe di più le labbra attorno alla sua erezione. E’ un po’ il suo modo di rispondere “Anche tu.”
Chiude gli occhi, continua a succhiare. E’ rassicurante, in qualche modo: Xabi potrà anche cambiare profumo, taglio di capelli o chissà cos’altro, ma il suo sapore rimarrà lo stesso di sempre.
Il basco continua a gemere, in maniera sempre più rumorosa, sempre meno controllata. Steven avverte una sua mano stringerglisi attorno alla nuca, ma senza esercitare alcuna pressione. E’ più una carezza leggera, che riesce a farlo sentire voluto - è piacevole.
Con una mano gli accarezza i testicoli, consapevole che quel gesto condurrà Xabi oltre il limite.
Steven si forza a tenere gli occhi aperti , deciso ad osservarlo mentre smarrisce ogni controllo. E’ così bello, il suo Xabi, le labbra socchiuse e gli occhi serrati, contornati da mille minuscole rughe, qualche filo bianco tra i capelli castani. Sembra che il tempo gli sia passato addosso per accarezzarlo.
Sente la voglia appesantirgli le membra, il proprio membro tendersi attraverso i boxer che ha ancora indosso; sente anche una tristezza strana stringergli lo stomaco, il pensiero che questa potrebbe essere l’ultima volta che gli viene in testa a torturarlo, spietato.
Lascia che Xabi si liberi nella sua bocca e gli accarezza il ventre con la punta delle dita fin quando non si è calmato del tutto. Vorrebbe dirglielo, ora, “ti amo”, anche se non è sicuro di provarlo per davvero, solo per il fatto che non sa se e quando avrà di nuovo l’opportunità di farlo.
Invece resta in silenzio, poggia il capo sull’addome di Xabi e lascia che il suo respiro via via più regolare lo culli per un po’.

***

Non saprebbe dire precisamente quando è diventato così fragile. Deve essere stata una cosa graduale, altrimenti avrebbe già chiamato trecentomila dottori nel tentativo di farsi rimettere a posto. Non saprebbe dire da quando basta una partitella con gli amici a fargli a pezzi le gambe, o un film strappalacrime a farlo piangere come un poppante.
E’ diventato fottutamente debole, nel corpo quanto nell’anima, e si detesta per questo.
L’unico dottore che ha consultato a riguardo gli ha rivelato con un sorriso canzonatorio il nome della presunta malattia: si chiama invecchiare. Steven non ha più voluto farsi visitare da nessuno, dopo.
A dire il vero non gli importa poi molto, se le rughe sulla sua fronte si sono fatte più numerose e più profonde, o se la sua attaccatura dei capelli non è più avanzata come una volta; è il tempo che scorre a terrorizzarlo. Il tempo che scorre e si porta via le cose.
Da quando i primi sintomi si sono manifestati, Steven si ritrova a pensare a Xabi sempre più frequentemente, al punto che gli viene difficile addormentarsi la notte ed è sempre distratto in ogni cosa che fa. Pensa a Xabi, al suo corpo snello, a come sarebbe potuto essere, ma soprattutto al fatto che, quando saranno troppo vecchi per il sesso, per viaggiare o semplicemente per preoccuparsi l’uno dell’altro, tutto quello che hanno finirà.
E Steven non vuole, non vuole, e soffre e si tormenta, perché ciò che non ha avuto il coraggio di fare ieri - prendere Xabi con sé, dargli tutto l’amore possibile anziché un patetico surrogato - oggi gli pesa sulla schiena come un macigno. Oggi che la fama, la carriera e i soldi non ci sono più, oggi quello che gli resta è solo un rimpianto.

***

- Hai messo su un po’ di pancia. - osserva Xabi, con un mezzo sorriso.
Steven lo guarda malissimo ed entra in lui con due dita un po’ meno riguardosamente del solito. Xabi stringe gli occhi, inarca la schiena, e si lamenta sommessamente.
- Tanto lo so che vuoi farmi incazzare perché ti piace quando vado forte. - ribatte Steven, e tira fuori la lingua, dispettoso.
Xabi, che era steso di schiena sotto di lui, si solleva per mordergli una spalla. Le dita dentro di lui diventano tre.
- E poi - prosegue Steven, continuando a prepararlo - io mi preoccuperei in caso fosse ingrassato qualcos’altro, qui sotto. -
Xabi fa una faccia strana, a metà tra il piacere per i movimenti di Steven e il disgusto alla sua battutaccia.
- Si vede…- incomincia, il fiato già un po’ corto - si vede che ti sei spaccato di porno in mia assenza, Gerrard. Le tue battute… sembrano uscite da un filmetto di quarto ordine.-
Steven allora sorride, non replica nulla, e si china per baciarlo. Esce da lui, per poi recuperare un condom dalla tasca dei pantaloni ed infilarselo in fretta.
- Posso? - chiede, candidamente, e per un attimo si aspetta davvero che Xabi lo rifiuti, come se lo aspettava quella prima notte di tanti anni fa e come gli capita di fare spesso ultimamente, per quella sua insicurezza che lo prende ora, da vecchio, molto più di quanto non facesse un tempo.
- Sì. - assente Xabi, e chiude gli occhi, rilassato, in attesa.
Steven si fa strada in lui piano piano, mille brividi di piacere lo attraversano nel sentire il corpo dell’altro stringerglisi attorno, e all’improvviso è come se gli avessero tolto dalle spalle vent’anni.
E’ di nuovo Stevie G., capitano del Liverpool, e Xabi è il suo compagno di squadra (di centrocampo, di letto - di vita?) e sono di nuovo insieme per dare alla Kop qualcosa per cui cantare, per fare onore alle proprie maglie, ai tifosi, ai loro cuori entrambi ugualmente rossi.
Steven incomincia a spingere ed è incredibile ritrovare quella sincronia speciale che un tempo li univa sul campo da calcio anche adesso - in un letto vecchio vent’anni che cigola terribilmente al più piccolo movimento - nemmeno un po’ scalfita dal passare del tempo.
Xabi, sotto di lui, le gambe strette alla sua vita e una mano nella sua, è bellissimo - ma neanche questa è una novità. Con la mano libera, Steven lo tocca, allo stesso ritmo delle proprie spinte. Lo prende con forza, con una frenesia che racconta fin troppo bene tutti i mesi di solitudine, di ansia, di tristezza.
Fare l’amore con Xabi significa rivelare tutto ciò che non riesce o non ha il coraggio di dirgli con le parole, significa mettere a nudo la propria anima, la propria coscienza, ma a Steven sta bene così. Perché, in quella conversazione fatta di respiri e gemiti e corpi che si incontrano,anche Steven riesce a trovare il suo messaggio. Riesce a percepire la stessa solitudine, lo stesso rimpianto e contemporaneamente la stessa identica felicità che prova anche lui, nel ritrovarsi, nel riscoprirsi un volta di più - cuore, anima e labbra e tutto daccapo.
Xabi viene per primo, con un gemito roco e un po’ soffocato che non sembra nemmeno suo, nemmeno umano, ma di cui Steven si delizia, seguendolo subito dopo con una spinta più profonda delle altre.
Le loro mani, sudate e con le nocche bianche per lo sforzo, sono ancora strette assieme. Dovrebbero mollare la presa, e poi provare a ripulire alla meglio il seme di Xabi sparso sui ventri di entrambi.
Ma sono tutti e due più che decisi ad indugiare ancora un po’.

***

- A che ora hai il volo? - domanda Steven, qualche ora più tardi.
- Alle due, - risponde Xabi, appena svegliatosi, stropicciandosi un occhio - però devo stare in aeroporto per le dodici, sai, il check in e tutto. -
- Bene. Questo vuol dire che possiamo fare colazione assieme. -
Steven fa un sorriso enorme e si rigira nel letto, avvicinandosi di più a Xabi e strofinando la punta del naso contro il suo orecchio. Si sente un po’ come quei cuccioli che fanno mille feste al proprio padrone, prima di essere abbandonati in mezzo a un’autostrada, ma in qualche modo va bene così.
- Xabs. Pensavo a una cosa, mentre dormivi. -
In realtà ci ha pensato ininterrottamente da quando è uscito dal corpo di Xabi e se l’è stretto contro, lasciandolo ad uno dei suoi soliti incomprensibili silenzi.
- Cosa? - chiede lo spagnolo, il tono insonnolito ma genuinamente curioso.
- Che be’… visto che vorrei fare un investimento prima che Alex sperperi tutti i nostri soldi in vestiti e stronzate varie, pensavo che ecco… visto che Nando e Pepe sono lì, e anche tu sei lì… insomma… potrei prendere casa a Madrid. No, non dico trasferirmi, però, visto che le ragazze sono ormai all’università, magari venire qualche mese all’anno sarebbe una bella idea… -
- Stevie. - lo interrompe Xabi, serissimo, e lui all’improvviso si sente un idiota per aver anche solo osato immaginare una cosa del genere. - Credo che sarebbe un’idea fantastica. -
E il sorriso di Xabi è un po’ come una promessa, e sembra dire che, a guardare bene, una possibilità per sistemare le cose c’è sempre. L’importante è saper cercare.

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