[FIC] And the stars look very different today

Jul 10, 2011 14:03


Titolo: And the stars look very different today
Autore: littledarkrin
Beta: sorella_erba :*
Personaggi/Paring: Bojan Krkić, (marginali) Pep Guardiola, Luis Enrique, DDR che passa lì per caso + nominée Zlatan Ibrahimovic, Andrés Iniesta, Leo Messi
Rating: Per tutti
Avvertimenti: introspezione a go-go, gente che parte
Parole: 860 (W)
Disclaimers: Questa fanfiction non è a scopo di lucro, non vuole offendere o essere lesiva nei confronti delle persone reali descritte (che non conosco e non so cosa facciano nel privato), tutto ciò che è narrato è frutto di fantasia e non si pretende di dare un ritratto veritiero di eventi o personalità.
Note: - Il titolo è preso dalla canzone Space Oddity di David Bowie (che sia con voi!).<3
- sorella_erba, non conta come 3/10, vero? 'ccidenti!


And the stars look very different today

L’erba è più secca di quanto non ricordasse (gli sembra quasi di sentirla frantumarsi sotto i tacchetti dei suoi scarpini) e, se aprisse gli occhi, vedrebbe una distesa meno verde e curata di quella dei suoi ricordi, ma è normale: è appena finita l’estate. Come è normale non riconoscere le parole gridate dalla curva: come si può distinguere qualcosa (fosse anche solo una misera sillaba) in quel marasma di voci che urlano, crescono e s’innalzano intorno alla sua testa e ai suoi occhi chiusi?

*

«Guarda, Bojanito, guarda il campo, non smettere mai di guardarlo.»

C’era stata una volta (non la prima: in quel momento era troppo eccitato per pensare o, peggio, per aver paura, e neanche la seconda, quando si era sentito quasi onnipotente perché, dai, il mister l’aveva scelto di nuovo!), in cui Bojan, prima di entrare in campo, era stato colto da una paura fottuta di non farcela, di fallire e aveva chiuso gli occhi di fronte alla folla, all’erba, ai suoi compagni. 
C’era stata una volta. Poi Pep l’aveva afferrato per le spalle e aveva detto: «Guarda, Bojanito, guarda il campo, non smettere mai di guardarlo»; l’aveva spintonato e lui era stato costretto ad aprire gli occhi per non cadere rovinosamente a terra.

*

Il mister gli si avvicina - o, almeno, quello che Bojan pensa sia il mister, ma non può esserne davvero certo perché si ostina a tenere gli occhi chiusi mentre viene investito dalle urla e dal calore di quell’estate ormai agli sgoccioli - e non gli dice nulla.
Bojan pensa che avrebbe voluto essere rimproverato, pensa che forse un po’ l’ha fatto apposta a chiudere gli occhi, per venir redarguito ed essere costretto a sollevare le palpebre e vedere l’erba del Camp Nou sotto i suoi piedi e vedere Pep, accanto a lui, e Andrés e Leo ad aspettarlo in campo.
Ma il mister non dice nulla.
Ricorda che Zlatan si lamentava perché quello non gli parlava più e che prometteva che non sarebbe finita lì, che lui valeva di più e che quel filosofo non aveva capito un cazzo.
Bojan dà le spalle al campo, a occhi chiusi, per dirigersi verso la panchina, anche se si è scaldato fino ad ora, anche se sa, in qualche remoto anfratto della sua mente (lui sa tutto fin troppo bene ed una consapevolezza così precisa da ferire persino i pensieri), di dover entrare giocare da titolare, ma l’istinto lo porta a voltarsi. A fermarlo è la voce del mister, che non è la voce di Pep, ma la voce del mister, che lo chiama e Bojan, a quel suono, incespica ed è costretto ad aprire gli occhi per non cadere. Quando si volta e vede Luis, che lo guarda sorpreso e un po’ divertito, boccheggia e annaspa, prima di schiudere le labbra in un sorriso che si frantuma subito in una risatina isterica.

*

Il mister aveva parlato poco anche le ultime volte che si erano visti, quando c’era ormai ben poco da dire perché l’accordo, la cessione, il nuovo contratto e tutte le altre beghe erano già state discusse e imposte.
Una volta aveva chiesto:
«Bojanito, capisci?»
E lui aveva annuito, anche se avrebbe voluto dire che non gli importava niente di capire, che voleva restare, anche a costo di diventare tutt’uno con la panchina per anni. Tutto pur di alzarsi, un giorno, alzarsi ed essere improvvisamente importante, indispensabile lì, a Barcellona, e non da qualche altra parte, non in Inghilterra, non in Italia, non a Roma. Ma non era lui a decidere: lui doveva capire, chinare il capo e far buon viso a cattivo gioco.
«Sarà divertente giocare con Totti.»
Pep aveva sorriso, più sereno.
Bojan aveva fissato lo sguardo sul cielo di Barcellona, fuori dalla finestra dello studio di quello che non era già più il suo allenatore. L’azzurro era così chiaro da ferire gli occhi. Il blu, aveva pensato, era un colore che gli sarebbe mancato a Roma, tanto quanto la cadenza familiare della sua lingua e l’erba del Campo Nou, sotto i suoi piedi, e la panchina sotto il suo sedere.

*

Quando entra in campo, sente pizzicare sulla nuca lo sguardo di Daniele. Si volta per osservarlo da sopra la spalla e cercare, inutilmente ma con un sorriso un po’ tirato, di capire se l’uomo sia severo e scocciato o solo preoccupato. Quando l’arbitro fischia il calcio d’inizio, Bojan si volta verso la metà campo avversaria e si muove verso il possessore di palla. Ringrazia di giocare in attacco perché non è costretto a vedere tutte le schiene dei suoi compagni e leggere nomi che non gli sono ancora familiari e trovarsi di fronte una distesa di maglie rosse, solo infinitamente rosse; ringrazia anche che il suo avversario sia tanto veloce da non dargli il tempo di chiedersi dove sia il blu, né di punirsi perché ancora lo cerca (anche se sa, lui sa tutto fin troppo bene ed è una consapevolezza così precisa da ferire persino i pensieri), né di voltarsi a guardare gli spalti e cercare colori, cori e striscioni che hanno riempito i suoi ultimi quattro anni e che sono casa e che non ci sono.

«I'm stepping through the door
And I'm floating
in a most peculiar way
And the stars look very different today

For here
Am I sitting in a tin can
Far above the world
Planet Earth is blue
And there's nothing I can do»
(«Space Oddity», DAVID BOWIE)

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