Fic: Don't you know that you're toxic?

Jan 22, 2011 23:15

Titolo: Don't you know that you're toxic?
Beta: liz, che è l'amore sempre ♥
Rating: 18+
Pairing: Dejan Stanković/Davide Santon, estabilished!Dejan Stanković/Cristian Chivu
Warning: PWP, AU, slash
Word Count: 2,147 (FDP)
Disclaimer: Non si vuole offendere nessuno, è tutto finto ed è tutto gratis. Santa Britney per il titolo... wut, non guardatemi così.
Prompt: "RPF CALCIO Davide Santon/Dejan Stankovic, ius primae noctis" per il p0rn fest di fanfic_italia
A/N: Sono viiiiiiiiiiiiiiivo. \o/ E ho ripreso a scrivere, finalmente.
Intro: Laddove Deki è a un esame dalla laurea dopo innumerevoli anni di fuoricorso e, tra un lavoro occasionale e l'altro, dà pure lezioni private alle matricole.


DON'T YOU KNOW THAT YOU'RE TOXIC?

Quando Dejan aprì la porta, scalzo, mezzo assonnato e con solo un paio di jeans indosso, Davide si ritrovò ad essere il campo di battaglia di un conflitto tremendo tra la sua coscienza, che lo rimproverava aspramente di essere andato a scocciarlo alle undici di mattina, e i suoi ormoni, che danzavano la ola dal momento stesso in cui quel torso nudo aveva fatto la sua comparsa nel campo visivo di Davide.

«Ciao» disse timidamente, la gola improvvisamente secca quando si ritrovò di fronte a un riflesso particolarmente imbarazzato di se stesso nell’ampio specchio che c’era nell’ingresso. «Temo di stare disturbando.»

«Ma no, ma no» lo rassicurò lui, soffocando uno sbadiglio mentre si stiracchiava e tendeva le braccia verso il soffitto; lo abbracciò, invitandolo ad entrare. «Pensavo fosse già tornato Cristi, abbiamo fatto un po’ tardi stanotte e mi sono messo la prima cosa che ho trovato per aprire» aggiunse con un sorriso allusivo. Davide abbassò la testa, ricambiandolo. «Com’è che sei venuto di mattina, comunque? Non hai corsi?»

«Il professore non è venuto» rispose, grattandosi la testa e sbirciando la sua pelle nuda solo per il minimo indispensabile. «Ha assegnato la provetta tra quattro giorni, dobbiamo portare una relazione su uno Stato del periodo e sul suo ordinamento giuridico.»

«E scommetto che sarà pieno di tesine su Magna Charta, Sacro Romano Impero e francesi, mentre tu vuoi continuare a fare il genietto.» Davide annuì; sui volti di entrambi si aprì un sogghigno complice. «A cos’è che pensavi?»

Davide ridacchiò. «Serbia. Scommetterei le palle che non c’ha pensato nessuno.»

«Un’idea da genietto estroso, direi. C’è qualche secondo fine di un omaggio per me?» ammiccò verso di lui mentre Davide si sedeva. Si diresse verso gli scaffali che troneggiavano in soggiorno, tra l’angolo cottura e la finestra; lo sguardo di Davide si appuntò sulla schiena di Dejan mentre si accovacciava per prendere un paio di libri dall’ultimo ripiano, lì dove la linea della colonna vertebrale, appena visibile, veniva spezzata dall’orlo dei jeans e dall’elastico bianco delle mutande, e alzò lo sguardo di scatto prima che si voltasse e tornasse al tavolo. «Questo te lo posso anche lasciare, è in italiano, ma non c’è molto sul Trecento. Di quest’altro prendiamo qualcosa che posso tradurti all’impronta» spiegò, aprendo i libri e sfogliandoli brevemente per trovare il giusto periodo storico.

Il campanello trillò due volte mentre Dejan stava comparando i due volumi, strappandogli un «Finalmente» borbottato, ma carico di soddisfazione; andò ad aprire, ignaro del fatto che lo specchio alle sue spalle fosse stato già un paio di volte un alleato insospettabile di Davide. Il ragazzo alzò gli occhi verso l’ingresso, riconoscendo Cristian, il coinquilino romeno e il ragazzo di Dejan, fuoricorso almeno tanto quanto lui a causa del solito esame di Diritto che una buona metà dei laureandi del vecchio ordinamento non riusciva a superare se non per incomprensibili congiunzioni astrali. Davide spostò silenziosamente la sedia di qualche centimetro, trattenendo il respiro quando constatò che Cristian era avvinghiato a Dejan e lo stava salutando in modi che decisamente poco avevano a che fare con la parola; notò la conversazione tra loro subito dopo, anche se non poteva sentire alcunché, e il disappunto quasi esasperato di Cristian. Passarono parecchi minuti prima che entrassero entrambi in soggiorno.

«Ciao, Davide» lo salutò, dandogli una pacca sulla spalla. «Questa è roba tua,» tornò a rivolgersi a Dejan, posando un sacchetto del supermercato su uno degli sparuti ripiani liberi della cucina, «ma la prossima volta, principessa addormentata o no, il culo per fare la spesa lo alzi tu.»

«Quanta poesia» commentò il serbo, sarcastico. «Resti a pranzo?»

«No, vedo Matrix. Anzi, dovevo essere lì dieci minuti fa.» Dejan passò una mano tra i capelli di Cristian, lisciandoli, e ottenne in cambio un altro bacio profondo, seppur più fugace; lo sguardo del serbo incrociò per un istante quello di Davide, ma non disse niente e lasciò andar via Cristian, prima di avvicinarsi al tavolo e studiare per un lungo momento i quaderni e i libri aperti e il ragazzo che, in silenzio, aggiungeva frasi qua e là in un testo già abbastanza ben sviluppato. Restando alle spalle di Davide, si chinò appena, abbastanza da sfiorare con la propria guancia la sua, e lo vide fremere.

«Cosa c’è?» pigolò Davide, perdendo completamente il filo di ciò che stava scrivendo sull’espansione dei regni serbi minori; per tutta risposta, Dejan appoggiò le labbra sulla sua guancia e lo strinse da dietro in un abbraccio morbido, saldo quel tanto che bastava per non poter essere equivocato e tuttavia non abbastanza da impedirgli di sfuggirgli facilmente, se solo avesse voluto. Davide serrò le mani sull’avambraccio di Dejan, ma non tirò né fece nulla per liberarsi; sembrava paralizzato dalla paura - Dejan, correttamente, intuì che temeva la sua reazione, perché l’aveva scoperto.

«Lo so dal primo giorno, come mi guardi» mormorò al suo orecchio, facendo saettare la lingua per solleticarne il lobo. «Calmati, va tutto bene.»

«Tu... Cristi...» farfugliava Davide, ma Dejan soffiò un «Shhh» che la sua pelle intese come un invito, rabbrividendo di piacere, e che spense qualsiasi luce tra i suoi pensieri. Davide perse interi frammenti di ciò che stava succedendo.

Si ritrovò in piedi, costretto contro il muro e lasciando che il suo corpo assecondasse le carezze di Dejan che si insinuavano al di sotto della maglietta, cercando i suoi fianchi ed il suo petto; un attimo dopo, accoglieva la sua lingua tra le proprie labbra, quasi in lacrime perché era fin troppo impacciato per potergli nascondere ancora che era la sua prima volta di tutto, che aveva passato tutta una vita - breve, certo, ma non per questo poco importante - a contemplare ciò che non avrebbe potuto avere: il capitano della squadra d’istituto, che non perdeva occasione per trastullarsi con la sua bambola dalle tette grosse, o il suo migliore amico che intendeva assolutamente restare tale, o... o il ragazzo tanto gentile che si offriva per lezioni e preparazioni per gli esami di storia di cui, effettivamente, non aveva poi così tanto bisogno.

E poi si ascoltò, un suono inintelligibile, rauco e vicino alla supplica, mentre stringeva il bordo del tavolo con una mano come se avesse dovuto reggervisi e improvvisamente l’aria calda della stanza accarezzava le sue gambe nude, con la stessa dolcezza con cui Dejan insisteva con la propria lingua a lambire il suo sesso per tutta la sua lunghezza. Non aveva detto più nulla, da quando gli aveva intimato il silenzio, e adesso che accoglieva la sua erezione nella propria bocca, fino a quando il bordo delle sue labbra non ne sfiorò la base, non ne avrebbe avuto più l’occasione: e neanche Davide aveva detto alcunché, a parte i suoni sconosciuti che sfuggivano dalla sua gola, perché non avrebbe comunque potuto esprimere ciò che stava provando in altro modo.

Dejan allungò una mano ad accarezzargli il sedere, schiudendo le sue natiche e stimolando il bordo della sua apertura con un dito, senza smettere di occuparsi dell’erezione di Davide, che ricordò solo due istanti ancora: la leggera fitta di fastidio quando quel dito oltrepassò un limite che aveva ritenuto invalicabile per chiunque altro, e l’immensa fitta di piacere quando lo stesso dito sembrò spegnere l’ultimo interruttore del suo controllo, in un modo o nell’altro.

Un tremito scosse violentemente il suo corpo mentre, con un gemito, il suo orgasmo si riversava esplosivo nella bocca di Dejan; d’un tratto, Davide sentì le gambe molli e deboli e il sangue che improvvisamente rifluiva tutto insieme nella sua testa, permettendogli di nuovo di pensare - e di arrossire con violenza, mentre cercava di sistemare le ciocche di capelli con cui aveva giocherellato così a lungo. Le dita di Dejan uscirono da lui con gentilezza, solleticandolo appena e liberandolo dalla leggera sensazione di fastidio che l’opprimeva; fece il gesto di pulirsi la bocca con il dorso dell’altra mano mentre si rialzava (e sorrise mentre lo faceva, certamente solo per il gusto di vederlo ancora più sconvolto) e sciacquava le mani nell’acquaio nell’angolo.

«Va meglio, adesso?» chiese a Davide, vedendo che non si era mosso da dove si trovava e che si reggeva al bordo del tavolo come se ne dipendesse dalla sua stessa vita; gli tirò su i boxer e i pantaloni, aiutandolo a sistemarsi, e gli accarezzò la guancia caldissima con le dita non ancora asciugate, attendendo che annuisse.

«Sì» soffiò appena. «No. Boh.» Abbassò lo sguardo, prima di gettargli le braccia al collo e posare ancora una volta le proprie labbra su quelle di Dejan, che rispose al suo bacio con calma, assecondando la sua timida iniziativa; il serbo non si oppose quando, sciogliendo l’abbraccio, Davide prese ad accarezzargli i muscoli delle braccia, e poi il petto ed i fianchi, fino ad armeggiare con la cerniera dei pantaloni e stringere le dita sottili della mano sul suo sesso che, eretto, svettava fino a sporgere oltre l’elastico della biancheria. Davide deglutì, imbarazzato e spaventato, e lasciò andare la presa per un solo istante, cercando gli occhi di Dejan.

«Tranquillo, non me la prendo mica» commentò, lasciando che Davide estraesse la mano dai suoi pantaloni e successivamente riallacciandoseli. «Già dovrò spiegare a Cristi un bel po’ di cose, e anche se non mi dispiacerebbe... be’, vorrei evitare di dirgli che non appena si è convinto sono andato subito fino in fondo.» Scrutò l’espressione di Davide, attonita e dispiaciuta insieme, e scoppiò a ridere. «Piccolino, Cristi sa benissimo che tutti e due non volevamo altro che io mettessi le mani nelle tue mutande, è inutile che ti fai venire i sensi di colpa dei rovinafamiglie!» esclamò, senza smettere di ridere e ignorando che lo stupore del ragazzo era addirittura cresciuto.

«Sono stato... cos’è che sono stato, allora?» gli chiese infine, cercando di nascondere il suo sentirsi ferito e di tenere ferma la voce. «Un diversivo?»

Dejan smise di ridere e lo guardò con occhi serissimi, restando vicinissimo a lui; Davide sentiva il suo fiato caldo insistere sulle sue labbra e non riusciva a tenere la testa diritta nel suo sussulto di dignità già spento, anziché china su di lui. «Cos’è che vorresti essere, Davide?» gli chiese, e Davide ebbe l’impressione che il suo sguardo gli girasse intorno, trapassandolo poi senza pietà; che giocasse con lui, nonostante conoscesse le risposte alle domande che gli poneva. «Vorresti essere un diversivo per i miei pomeriggi noiosi? Vorresti che ti trascinassi in camera mia per perdere quel poco di verginità che ti ho ancora lasciato?» Gli sfiorò le labbra con un dito, comprensivo. «Vorresti che lasciassi Cristi e mi fidanzassi con te?» Sorrise gentilmente, e nel suo viso improvvisamente illuminato Davide poteva vedere una sorta di aspettativa. «Non farò nessuna di queste cose. Per il resto, puoi fare quello che vuoi.»

«Non- non voglio che tu lasci Cristi, è gentile con me, e poi vi amate» farfugliò Davide, lasciando scemare la fitta di gelosia che l’aveva assalito. «Vi vedo, quando siete tutti e due qua. Però io sono cotto del tutto, Deki, io sento che mi sono innamorato, quindi non so come si fa.»

«Siediti, mh?» Davide si sistemò di traverso sulla sedia dove fino a poco prima stava studiando, mentre Dejan si accovacciò di fronte a lui, stringendogli un ginocchio. «Potrebbe sembrarti un po’ complicato, ma... quando ho detto a Cristi che mi piacevi - sì, piccolino, non è che vada a succhiarlo in giro proprio a tutti, sai?» si interruppe, facendolo ridere, «be’, Cristi non ha fatto una piega. Sa che mi capita, anche se di solito non passo per ragazzi appena diciottenni.» Dejan fece una pausa. «Ho sognato di avere una famiglia, dei bambini, ma non ho mai sentito di essere il tipo da attirare qualcuno; e comunque, a parte Cristi, nessuno mi ha mai detto che si era innamorato di me. Non so se ti durerà questa cotta, ma nel caso... lo cito testualmente, eh, “anche se ti divido con mezza dozzina di persone, quello che mi resta mi basta e avanza, visto che neanche riesco a dirti di no”.»

«Significa che non mi stai mandando via?»

«Significa che non ti sto mandando via» annuì Dejan, compiacendosi del sorriso larghissimo di Davide. «Anche perché, in primo luogo, potremmo dividerci te. Ammetti che sarebbe interessante» lo incalzò quando si rese conto dell’allusione e, istintivamente, era arrossito per la vergogna e rabbrividito per un sottile piacere. «E secondariamente, perché non voglio avere sulla coscienza il tuo esame. Quindi adesso ti scordi di cazzi vari e mi stai a sentire, una buona volta.» Dejan trascinò una sedia accanto a quella di Davide e vi si sedette. «Guarda qui,» disse, passando un braccio sulla sua spalla per picchiettare l’indice su una cartina geografica, «quando fu emanato il Dušanov Zakonik, il regno di Serbia aveva raggiunto la sua massima espansione...»

Davide batté lentamente le ciglia, seguendo il dito e aspirando ancora, involontariamente, il profumo della sua pelle: sembrava vagamente più dolce e ne coglieva nuovi accenti, nonostante non fosse più vicino di prima, ma conservava ancora la forza di una bomba che gli scaldava piacevolmente il bassoventre. Concentrarsi era diventato nuovamente difficile.

FINE

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