Titolo: I will paint you in silver
Autrice:
adorerdollylux (
melungeoned)
Traduttrice:
ary_trueBeta/Pre-lettori:
jen_jm, che io amo moltissimo per avermi aiutato tanto. ♥
Fandom: RPF - Nazionale Spagnola ♥
Personaggi: Sergio Ramos, Fernando Torres (Sernando ♥)
Rating: PG-13
Word Count: 1742 nella versione originale, 1761 nella traduzione ♥
Intrduzione: Saint-Denis, France, 3 Marzo 2010, cinque del mattino. La Spagna è in Francia per un'amichevole internazionale.
Link alla storia orginale:
QuiNote: Anche questa l'ho tradotta uno sproposito di tempo fa. Penso di non aver niente da dire, perché tutti ormai sanno in che misura amo le storie di Michelle ♥ Solo, godetevela.
Sergio bussa alla porta della stanza dell’albergo come se non fossero le cinque del mattino.
Al suo bussare segue un silenzio tanto lungo da fargli ripetere nuovamente il gesto. Sente un brontolio in risposta che gli pare di Villa e quindi replica il più silenziosamente possibile.
“Nando, apri. Sono io.”
“Ramos, è di nuovo un attacco di sonnambulismo? Farai meglio a non essere nudo, questa volta.”
Sergio sospira ruvidamente, esasperato, e fulmina Villa con lo sguardo attraverso il legno.
“Nando.” La sua voce suona imbronciata e supplicante e Fernando sta aprendo la porta, in neanche trenta secondi. I suoi capelli sono sparati in tutte le direzioni possibili e i suoi occhi sono gonfi di sonno. Possono entrambi sentire Villa mormorare qualche maledizione mentre torna a dormire alle spalle di Fernando e Sergio non può impedirsi di sorridere, a quel punto.
“Ciao.”
Fernando inspira improvvisamente, cercando di trattenere lo sbadiglio che segue, ma fallisce completamente. Sergio gli sorride e stringe la coperta piegata che tiene tra le braccia, mentre quello inarca un sopracciglio in una domanda silenziosa.
“Vieni sul tetto con me.”
Fernando lo fissa, come se fosse un po’ tardo.
“Eh?”
“Dai, è davvero bello qui fuori e abbiamo ancora qualche ora di sonno a disposizione e si vedono tutte le stelle e c’è la luna piena e poi non venivamo in Francia da un sacco di tempo e-“
“Cazzo, Fer! Vai e chiudi questa fottuta porta!” Il tono di Villa è più piagnucolante che non astioso e quindi Fernando esce nel corridoio, chiudendosi la porta alle spalle e osservando sospettosamente Sergio.
“… Va bene.”
Sergio lo prende per un Sì entusiasta e cominciano a percorrere insieme il corridoio scuro, i piedi coperti dalle calze che si trascinano lungo il tappeto.
*
Fernando è sorpreso quando si rende conto di come Sergio abbia pianificato tutto, di come abbia steso diverse coperte sul tetto del hotel, insieme a diverse pile di cuscini e a un paio di felpe (come se si fosse aspettato di vederlo scivolare fuori dal letto senza maglia). Lo guarda e Sergio sorride osservando la sua opera, e i suoi occhi scintillano, ma sono stanchi.
Intreccia un solo dito con uno dei suoi e attraversano il tetto senza parlare, in silenzio anche quando si sistemano sul comodo materasso di coperte. Fernando cerca di lisciarsi i capelli, sistemandoli e appiattendoli contro la sua testa e Sergio a quel punto si tira su, distendendosi su un fianco, sporgendosi per incasinarglieli nuovamente, cercando di riprodurre l’effetto originale senza riuscirci per bene.
Fernando sfugge al suo tocco e quando prova a riavvicinarsi ai suoi capelli viene bloccato per i polsi dall’altro, che li spinge giù, contro le sue stesse cosce, scuotendo la testa con disapprovazione.
“Lasciali così, Fer. Sono carini.”
“Carini,” mormora Fernando, le guance che si arrossano un po’ mentre tenta di contrastare la stretta di Sergio, i capelli ancora sconvolti che lo fanno sentire in imbarazzo e un po’ agitato. “Sono ridicoli.”
“Sono solo io. Non mi interessa come ti sistemi i capelli, lasciali così.”
Sergio sta sorridendo e la sua voce è leggera e bassa, e questo lo fa rilassare un pochino. Si allunga per afferrare una delle felpe, arricciando il naso quando si rende conto che è del Real Madrid.
“Davvero ti aspetti che mi metta addosso questa? Cos’è, uno scherzo?”
Sergio scoppia a ridere, prendendogli di mano la felpa e allungandola per tentare di infilargliela dalla testa. Fernando si scosta e lo spinge via, ridendo a sua volta anche se davvero non vuole mettersi quella dannata cosa addosso.
“È meglio di niente, scusa! Ti aspettavi che ne avessi una dell’Atlético, per caso?”
“Starò senza, grazie.” Fernando sta sorridendo così apertamente da ghignare, mentre si siede dritto, impassibile di fronte alla sconfitta.
Sergio sorride segretamente, uno scorcio luminoso nella luce lunare, mentre si allunga a torcere uno dei suoi capezzoli turgidi e duri. Fernando sospira e sfugge al suo tocco, sedendosi ora nel bordo del loro piccolo letto. Si appoggia sulle mani e osserva furtivamente Sergio. “Quindi, perché hai voluto fare tutto questo?”
Quello scrolla le spalle, mentre il suo ghigno si ammorbidisce in un sorriso pieno di pensieri. Perde del tempo infilandosi una delle felpe, sistemandosela addosso e abbassando le maniche così da coprirsi le mani, lasciando le dita libere di esitare sullo stemma cucito all’altezza del cuore, mentre Fernando sposta lo sguardo, anche se il suo cuore capisce. I loro sguardi si incontrano e Sergio sembra davvero, davvero dolce.
“Mi mancavi. Non è più come prima, credo. E in più sei stato via così tanto, e…” La sua voce si affievolisce, i suoi occhi si illuminano impotenti quando si fissano sulla gamba di Fernando, sul suo ginocchio per essere precisi, non esattamente sicuro di essere grato del fatto che sia coperto così da evitargli l’evidenza dell’operazione. Torna a guardarlo negli occhi, scusandosi silenziosamente, ma Fernando sorride, scrollando le spalle. Sergio continua coraggiosamente. “Sì, mi sei solo mancato, ecco.”
“È stata una stagione strana, Sese,” ammette Fernando, allungandosi nonostante tutto verso la misera felpa che gli sta di fianco, giocherellandoci senza indossarla. “È stata dura. Ed è ancora strano per me che tu non sia più lontano giusto un paio di minuti, sai? Anche se non uscivamo insieme tutto il tempo, era sempre così… così…”
“Lo so.”
Fernando solleva lo sguardo e sorride a vedere quanto è cambiato, ma solo nelle piccole cose, nei tratti leggeri delle sue guance, della sua mascella, nella barbetta che sembra essere l’evidenza della sua maturità in continua evoluzione. I suoi occhi sono sempre luminosi, ma ora sono più calmi, più pensierosi. Fernando non riesce a non chiedersi cosa abbia portato a quella maturità, quali cose precisamente, quali pensieri abbia Sergio per la testa. Li ha persi, in un certo senso.
“Di solito sto bene a Liverpool. La mia vita è lì adesso e mi ci sono abituato e sono felice. Ma quando torno a Madrid tutto diventa semplicemente… più difficile. L’aria ha un odore diverso e sentire la lingua, guidare lungo quelle strade, a volte mi sembra di non essermene mai andato. E tu sei sempre lì, sempre. Il mio costante promemoria.”
Gli occhi di Sergio sono scuri ma brillanti, e trattengono la luce della luna mentre stanno fissi su Fernando.
“Promemoria di cosa?”
Fernando scrolla le spalle e allontana il suo sguardo da lui, fissando i loro piedi, le coperte. Sorride quando si rende conto di quanto tempo deve avergli rubato quella preparazione.
"Di… tutto? Della vita che avevo prima, che forse non era poi così male. Del fatto che ho avuto i miei momenti di felicità, che non è stato tutto una battaglia. Del fatto che non si trattava di me contro il resto del mondo, per quanto io ricordi il contrario. È solo che è tutto così strano, Sergio.” Solleva lo sguardo e scopre che gli occhi di Sergio non lo hanno mai abbandonato. Gli sorride e quello si disseta del suo sorriso. “È così strano che siamo diventati amici. Non… non che siamo diventati amici, ma solo che siamo diventati così grandi amici. Io non faccio così, di solito. Ho i miei amici della mia zona e non vado oltre quelli. Io non… non…”
“Lo so, Nando.”
“Sì. E… ed è era dura perché tu… be’.” Fernando indica lo stemma sulla felpa di Sergio, scuotendo la testa mestamente. “Tu e quel dannato club. Tutto quello che odiavo.” Si avvicina a Sergio per rimediare a quelle parole cattive e lui è così dolce, così pronto ad accoglierlo, a perdonarlo. Fernando ora ha la pelle d’oca e Sergio si allunga per prendere una coperta e coprirgli le spalle; quello se la stringe addosso e insieme si avvicinano l’uno all’altro, cercando calore. Stanno seduti così per qualche momento, studiandosi a vicenda, e le dita di Fernando trovano il modo di raggiungere quello stemma, le punte callose delle dita che accarezzano i fili bianchi e dorati.
“Continui a odiarci così tanto?” La voce di Sergio è calda esattamente come il bozzolo che si sono costruiti e Fernando sorride velocemente, sollevando lo sguardo per incontrare il suo.
“Oh, sì.” Ridono, e Sergio scuote la testa mentre si allunga verso Fernando, allungandosi e allungandosi finché può poggiare una guancia sulla sua spalla nuda, il naso che sfiora impercettibilmente il suo collo, scaldando quella pelle quando sospira profondamente. Fernando inclina la testa e poggia la guancia contro quella di Sergio, ed entrambi chiudono gli occhi come Fernando lascia scivolare una mano fino alla sua nuca, le dita lunghe e fredde che scorrono tra quei lunghi capelli castani che stanno crescendo di nuovo, preparandosi per l’estate, la loro estate. Non si muovono per un tempo ancora più lungo, questa volta, anche se il vento notturno dell’inverno francese soffia tra loro e contro di loro, muovendo i loro capelli e costringendoli a stringersi più forte, desiderando calore. La mano di Sergio trova il ginocchio destro di Fernando e allarga le dita su esso, il palmo che rimane sulla rotula mentre la mano trema tutta nel suo ingenuo desiderio di infondere in Fernando calore, mancanza di dolore, protezione e conforto e lui lo sente, lo sente tutto e sospira a sua volta, la bocca molto vicina all’orecchio di Sergio, e per questo non vede i suoi occhi sfarfallare in reazione.
“Prenderei tutto, se potessi. Se questo significasse che tu possa sempre giocare, sempre vincere. Lo prenderei tutto, anche tutte le conseguenze. Tutto, per essere sicuro che tu sia felice.”
“Sergio.” Fernando sembra piccolo, docile, immeritevole come si sente. Gli occhi bruciano per le lacrime ma sono chiusi come quelli di Sergio, ed è grato per questo. Scivolano più vicini senza muoversi davvero, i loro petti gonfi e i loro cuori che battono con più forza mentre si rannicchiano insieme, un braccio dell’uno che trova la vita dell’altro per stringerla. “Nessuno mi parla mai come fai tu. Nessuno mi ha mai trattato come te.”
“Penso che… in un’altra vita, Nando, in un’altra situazione, saremmo stati anime gemelle. Non credi? Non lo senti anche tu?” Sergio lo dice come una confessione, con un tono diverso dal solito, ma è bellissimo, è sicuro e onesto e vero e così bello. Il battito di Fernando raddoppia e teme che Sergio possa sentirlo. Annuisce goffamente, e il movimento li scuote entrambi, sconvolgendo il loro già precario equilibrio e così si muovono, Sergio che sceglie una nuova posizione stringendolo alla vita fino a tirarselo in grembo, le gambe che lo abbracciano in vita e che stanno intrecciate dietro di lui e ora sono vicini quanto due persone possono essere (quanto queste due persone si lascerebbero essere.)
“Sì,” mormora Fernando, stordito dal suo profumo, dalla sua vicinanza, dalla sua familiarità, che gli spezza il cuore. Può sentire la luna brillare su di loro nel suo freddo argenteo e non può stringere Sergio abbastanza forte. “Sì, lo saremmo stati.”