Titolo: Questione di domande
Autore:
el_defeBeta:
chia25Fandom: RPF Calcio - Fiorentina 2010/11
Personaggi/Pairing: Siniša Mihajlović/Adrian Mutu (Mitu). Più bonus Giovanni Becali, Consuelo Matos Gomez e gente randomica citata per le sue attività. E Gonza, il cagnone mascotte del ritiro di Cortina.
Rating: VM18
Warning: slash, angst, sesso in moderate quantità e in generale tutto ciò che succede in un harmony dei miei
Word count: 3.352 (FDP)
Note: Mmmm. Tutti si chiedono perché tra due persone del genere, che si sono odiate per anni, sia improvvisamente scoppiato l'amore. Io so dare una sola spiegazione del fenomeno, perché la mia testa è impostata così di default.
Questione di domande
Adrian non ha neppure provato a nascondersi, se non altro perché non gli si addice per nulla comportarsi in un modo del genere: semplicemente ha riflettuto un po’, il giorno in cui era sembrato chiaro a tutti che Cesare sarebbe andato ad allenare la nazionale italiana e che il nome che correva di bisbiglio in bisbiglio in ogni angolo del gruppo, quello del predestinato a succedergli, era sempre lo stesso, e aveva deciso che, qualsiasi reazione ci fosse stata da parte sua, non sarebbe cambiato granché. Gran parte dell’indifferenza che provava per il suo possibile arrivo a Firenze non dipendeva affatto da lui, o dall’addio di Cesare o dal campionato completamente rovinato, anche se Adrian era riuscito ad addossarsi una considerevole parte del fallimento della sua squadra a dispetto delle rassicurazioni di chi aveva continuato a stargli vicino (quasi tutti, in realtà); né tantomeno si sentiva distrutto o finito da una squalifica che sentiva di non meritare, o da una multa che sapeva di non meritare.
Semplicemente, dell’arrivo di Mihajlović al posto di Cesare gli importava davvero poco più dello zero, e soltanto perché sarebbe stato il suo allenatore - almeno fino a quando Giovanni e Victor non si fossero attivati per trovargli una squadra quantomeno decente, in un campionato decente, e che potesse pagargli un ingaggio decente, nel caso Abramovič e i suoi dannati metodi da mafioso italoamericano l’avessero avuta vinta alla fine.
Così, quando maggio è arrivato a portarsi via una stagione andata in malora, accompagnato da una primavera quasi estiva e dall’indifferenza totale dei tifosi ancora fedeli alla squadra, Adrian non ci ha pensato più di una volta: ha scelto una destinazione a caso, facendo girare il piccolo mappamondo sul mobile bar, e ha pensato che Miami fosse comunque un’alternativa migliore del puntino in mezzo all’Atlantico beccato per caso.
La conferenza stampa di Mihajlović dura più del previsto, tante sono le domande che gli fanno. Sperare che nessuno faccia cenno a lui in sua presenza è pura utopia anche per Adrian, e altrettanto irreale sarebbe aspettarsi qualcosa di più di qualche parola di circostanza da parte sua sul passato da gettarsi alle spalle.
«Sbagliai io tanti anni fa, lui fece il suo ed io sbagliai. Ci siamo chiariti, per me è un bravissimo ragazzo ed un grandissimo giocatore. Dobbiamo ancora parlare del suo futuro, ma mi piace, ha un carattere focoso come il mio, mi piacciono quelli con gli attributi» gracchia la registrazione in cattiva qualità caricata su Internet (seriamente, se il mondo sapesse quanto pessima può essere una connessione al web nella patria della tecnologia, riderebbe di gusto), e Adrian aggrotta le sopracciglia, torvo: per quanto possa apprezzare la divisione delle colpe decisamente sbilanciata dalla parte di Mihajlović per sua stessa dichiarazione, e debba ammettere che sta andando ben oltre la convenienza con le sue parole - con apprezzamenti che forse nemmeno merita, perché capisce da solo che avere le palle non è automaticamente sinonimo di fare sempre la scelta giusta - non ricorda di aver neanche lontanamente parlato con lui per chiarirsi.
Non appena abbassa lo schermo del portatile, ancora lievemente infastidito, nota che lo schermo del cellulare voltato a faccia in giù sta illuminando la scrivania. Vi trova ben tre messaggi, tutti dallo stesso numero: Mi dispiace disturbare le tue vacanze, ma ho bisogno di parlarti, anche se non urgentemente, e Fai addebitare la chiamata al destinatario, quando sei libero da impegni familiari e personali; e ancora, PS: il numero l’ho avuto dalla società, so che avrei dovuto chiedertelo ma non ce n’è ancora stata occasione. Adrian compone il numero senza pensarci, uscendo in terrazza per sorvegliare Consuelo e le bimbe ancora in spiaggia, sotto l’ombrellone, e sobbalzando quando la voce di Mihajlović risponde quasi immediatamente.
«Ciao. Grazie per esserti liberato presto.»
«Mmmm. Non c’è di che. Veramente non è che ho molto da fare.» Adrian si gratta la punta del naso, perplesso dal silenzio dall’altra parte della telefonata transoceanica. «E comunque ho visto i messaggi solo adesso, tutto qua.»
«Volevo chiederti scusa.»
«H-Eh?» balbetta Adrian, sconcertato, ma Mihajlović continua a parlare imperterrito e non riesce a interromperlo con una nota così debole.
«Insomma, oggi c’è stata la conferenza stampa e mi hanno chiesto di te. A quel punto ho-»
«L’ho vista» ribatte con scarso entusiasmo. «È già su Internet.»
«Oh.» Una pausa brevissima, poi una risatina leggera e altrettanto fugace. «Be’, ottimo. Allora avrai sentito che non sono stato proprio sincero, sulla questione.»
«Ci avevo pensato, sì» ammette Adrian, diviso una volta di più tra l’irritazione e lo sconcerto. «Ma mi hai chiamato per questo, mister Mihajlović?»
«In verità sì.»
«Ah. Okay.» Adrian torna ad accigliarsi: fissa per un po’ una nuvola passeggera che copre il sole, il braccio di Consuelo che spunta da sotto l’ombrellone, e molti altri particolari senza imprimerne nessuno bene nella sua testa. «Ci devo… be’, ne riparliamo quando sarà il momento, Mihajlović. Non ora.»
«Adrian?»
«Mh?» risponde, riscuotendosi dal suo stato.
«Siniša andrà più che bene» dice con un’altra risatina.
Adrian ghigna. «Sono in vacanza, mister… almeno per qualche giorno» commenta, staccando chiamata e telefonino. Ha voglia di un bagno.
«Non mi sembra affatto una buona idea.» Giovanni Becali tenta di essere quanto più conciliante possibile, quasi sia desideroso di compiere ogni sforzo possibile perché Adrian metta da parte le considerazioni sul riflesso che la sua decisione avrebbe sul portafogli di entrambi. «Non devo ricordarti io che Román ti sta col fiato sul collo e i della Valle subito appresso, no? Devi pensare a te e alla tua sicurezza, oltre che alla tua carriera.»
«Io le cose voglio ripeterle una sola volta. Una.» La risposta di Adrian, più che infastidita, è ormai decisamente arrabbiata. «Fai saltare tutte le offerte. Se le cose si mettono male, possiamo sempre pensarci verso la fine del mercato.»
«Non possiamo pensarci verso la fine del mercato, Adrian, le società vogliono concludere prima di-»
«Non me ne fotte un cazzo!» sbraita. «Chiudi tutto o ti chiudo io, sono stato chiaro?»
«Tu stai sragionando. Pensa a tua moglie, alla tua famiglia! Vuoi rischiare di mandarli in mezzo a una strada, se il Chelsea ti fa pignorare pure le mutande?»
Adrian sta per gridare ancora, quando Consuelo gli poggia una mano sul braccio, facendolo trasalire lievemente; si volta a guardarla, notando il suo sguardo un po’ spaventato dall’andamento della conversazione, salita di tono per tutto il tempo, e si sente in colpa per questo. «Hai tutto oggi, o ti licenzio» dice a voce più bassa, interrompendo la telefonata. «Ehi» le sussurra, prendendole la mano. «Ho svegliato le bambine?»
«No. Ero solo preoccupata, non ti fa bene innervosirti così.»
«Hai ragione.» Adrian l’abbraccia, appena intimorito dal suo tono netto. «Vorrei che finisse tutto presto. Non ne posso più di questa situazione, ma non riesco a pensare di poter andarmene da Firenze, adesso.»
«Hai…» Consuelo è incerta, ma prende coraggio man mano che la frase va avanti da sola e si fa strada dalla gola alle labbra, «non sarebbe meglio… se… potresti rinunciare e lasciare tutto.»
«Non posso» ribatte brusco Adrian, respingendola. «E non chiedermelo mai più.»
«Capisco» risponde amaramente Consuelo. Mentendo ad entrambi, perché non capisce.
Per quanto siano state distensive le dichiarazioni finora rilasciate, più di uno trattiene il respiro in attesa delle nuove evoluzioni della faccenda, se non altro perché è la prima volta che Adrian e Siniša si trovano così vicini: Siniša saluta tutti i presenti uno per uno, rivolgendo a ognuno una stretta di mano, qualche volta un sorriso, più spesso qualche parola pronunciata con cura a bassa voce. Quando arriva il turno di Adrian, le persone col fiato sospeso triplicano di colpo. Siniša lo fissa, più che negli occhi, alla base degli stessi, sfuggendo direttamente il suo sguardo mentre gli stringe la mano che gli viene porta con diffidenza; quando gli si avvicina per una parola, però, Adrian non riesce a resistere oltre.
«È okay. Basta.»
Siniša lo squadra con sospetto, rilassandosi soltanto quando un sorriso flebile si apre sulle sue labbra, ed è pronto a trasformare il suo movimento a metà in una sorta di abbraccio, una stretta fugace che si conclude con una pacca sulla spalla.
Tra le persone che tirano il fiato, c’è lo stesso Siniša. E, anche se non lo ammetterà mai, anche Adrian; attende che il suo nuovo allenatore si presenti e saluti amici, colleghi e sconosciuti, e non si stupisce quando si avvicina nuovamente a lui e gli chiede di seguirlo. Lungo il tragitto Adrian si ferma e contempla il salone del bar, desiderando una chance di poter parlare lì anziché in una camera o in un luogo comunque chiuso, una possibilità che però non gli è concessa - sa che, se i ragazzi lo vedessero lì, prima farebbero tanto d’occhi e poi lo tampinerebbero fino a sapere ogni parola della conversazione con quello che, fino a prova contraria e fino a prima delle vacanze, pareva essere uno dei suoi arcinemici.
Siniša lo scorta fino alla sua camera, sedendosi con lui a un tavolino quasi identico a quelli del bar, accanto alla terrazza che dà sui monti - ed è come essere all’aperto, grazie alle vetrate aperte e alla bella serata, dopotutto. «Le persone cambiano» mormora il serbo, tra sé e sé.
Adrian si sente bene. Non è nell’ufficio di Cesare a non prestare attenzione a una reprimenda paterna delle sue per il tempo necessario a illuderlo che qualcosa sia rimasto nella sua testa, no: è in una stanza del Cristallo ad ascoltare Siniša (sì, cervello, quello che ha detto e fatto e- ma sono passati tanti anni, forse ha ragione lui, le persone cambiano) che, a parte quelle tre parole, non dice assolutamente nulla. Ad ascoltare il silenzio, se mai sia possibile farlo: il silenzio è discreto, si fa i fatti suoi, e dunque è un amico - di sicuro, almeno, lo è più di Mihajlović, che parla poco e lo fissa molto in un modo che ad Adrian non piace granché.
«Le persone cambiano» ripete ancora Siniša, e Adrian un po’ si spazientisce, perché interrompe qualsiasi suo tentativo di andare oltre quella frase.
«Non io. Io sono sempre la solita testa di cazzo» dice, godendosi la sua espressione stupefatta quanto basta e scoppiando a ridere senza rimorsi. E una volta rotta nuovamente quella sottile crosta di ghiaccio tra loro, parlano fino ad oltrepassare abbondantemente l’ora di cena, rischiando di perdere ogni speranza di mettere qualcosa nello stomaco.
«Tira e beccala.»
«Non vale» si lagna Adrian, senza neanche troppa convinzione. «Ho finito ora il riscaldamento. Ed è lontana. E sei in vantaggio sleale, sei più bravo di me a centrare la porta» aggiunge, indicando la sua tenuta rossa e bianca.
«Chi ha parlato di porta? Centra la traversa, sempre se ne sei capace.»
Adrian tira d’istinto e di rabbia, colpendo la palla con quello che, più che un movimento del piede, è uno sbalzo d’orgoglio; ma la traiettoria è troppo alta e poco arcuata, e la traversa neanche la sfiora. Siniša, dal canto suo, fa il suo tiro dopo neanche dieci secondi, centrando l’incrocio dei pali con violenza.
«Fai meglio di così» lo sfida Siniša, e nel giro di un quarto d’ora sulla malcapitata porta piovono tiri su tiri, punizioni lontane, vicine, centrali, laterali; Siniša colpisce la traversa altre due volte, la sfiora molte altre, mentre i tiri di Adrian finiscono sempre in rete o alti a perdersi al di là del campo: una sola volta - la penultima - riesce a centrare la traversa, e per giunta dopo il rimbalzo perde improvvisamente potenza e ballonzola fino in rete. Subito si volta verso Siniša, rivolgendogli un’espressione a metà tra il frustrato per essere stato battuto e di sottile fierezza per essere riuscito, secondo il suo parere, a fare meglio di lui: quando si avviano verso la tribunetta, stracolma di gente che chiama i nomi di tutti, incitandoli e acclamandoli, riesce pure ad accettare la presa in giro leggera di Siniša, che gli concede una finta vittoria.
«Questa proprio non me l’aspettavo» commenta Stevan a bassa voce, ma Adrian ridacchia e fila via, senza dargli neppure la benché minima soddisfazione. Si volta a guardare Siniša, più indietro, e lo sguardo che gli restituisce è un’occhiata che non è abituato a vedere in occhi diversi dai propri.
Purtroppo o per fortuna, non è uno sguardo isolato: Adrian si ritrova a sorprenderlo così spesso che comincia a chiedersi se piuttosto Siniša non voglia essere notato, anziché passare inosservato; in contrasto con la discreta riservatezza che gli ha rivolto fino all’inizio del ritiro, le occhiate di Siniša sono allo stesso tempo fameliche e timorose - a questo punto, secondo Adrian, non è paura di essere scoperto, ma è paura del suo stesso desiderio; e ha tutte le intenzioni di sapere perché.
«Perché non dirmelo?»
«Avresti pensato che avrei avuto un secondo fine nel cercare chiarimenti e perdoni.» Siniša si siede sul letto, lasciando ad Adrian la sedia. «Mi sbaglio, Adi?»
Lui riflette un poco, prima di scuotere la testa con decisione. «L’avrei pensato.»
«Non c’è più gusto a ottenere subito la ragione, con te.»
Adrian si stringe nelle spalle di fronte al suo sorriso esitante, mettendosi poi ad osservarlo con aria fintamente distratta: l’attesa di Siniša è nervosa, certo, ma non per le catastrofi che potrebbero accadere se lui facesse trapelare questa faccenda o se altri lo facessero per lui - il divieto di divulgare chiacchiere da letto di qualsiasi natura all’infuori della squadra, pur se mai formalizzato, è valido addirittura da prima del suo stesso arrivo, figuriamoci da quello del serbo; né tantomeno gli sembra che soffrirebbe molto in caso di una scenata da parte sua. Alla fine della sua valutazione si raddrizza sulla sua sedia, scacciando via il disagio e aggrottando appena la fronte. «Non lo so» dice semplicemente.
«Sono indiscreto se ti faccio una di quelle domande che non vanno mai poste a un collega?» gli chiede, ponendolo implicitamente di nuovo a suo pari.
«Dopo di te.»
«Stankovic.» Siniša è perplesso di fronte all’improvviso scoppio di risa di Adrian e mette su un’espressione di gelida indifferenza, chiedendo silenziosamente lumi del suo comportamento.
«Oh Dio, dovevo aspettarmelo. Non ce la posso fare» risponde, calmandosi a malapena dalla crisi di ilarità. «Cristian ci resterebbe di merda, se sapesse che voi due… insomma.»
«Se parliamo dello stesso Cristian» commenta Siniša, puntando le mani sul materasso, «lo sa. Deki è fatto così, ho sentito gente dire di tutto su di lui. Tutte balle colossali. Deki ha una natura un po’ particolare da assecondare: io lo so, Cristi lo sa, ed è assai probabile che lo sappia qualcun altro.»
«Di cui non vuoi parlarmi perché non sono affari miei» osserva Adrian, e Siniša annuisce convintamente. «Però… ecco, non è che ci sia stato chissà cosa con Cristian. No, non è che ci sia stato chissà cosa con chicchessia, insomma. Un paio di settimane con Cristian, una volta ogni tanto S- qualcuno qui…»
Stavolta è il turno di Siniša di ridere, e quello di Adrian di sentirsi vagamente offeso. «Be’, se dobbiamo metterci pure i rapporti occasionali, la mia lista non finisce più. E devi aggiungerci anche Cristi.»
«Cosa?» esclama l’altro, sgranando gli occhi di fronte alla sua aria divertita.
«Ti interessano i dettagli?»
«Che cosa- no, certo che no! Sono solo… stupito. Non immaginavo.» Si perde in quel silenzio che soltanto pochi giorni prima aveva trovato così familiare e piacevole, e ora è freddo sulla lingua e caldo sugli zigomi e pesante da mandare giù. «Non lo so, Siniša.»
«Posso aiutarti a decidere?» ribatte, alzandosi dal letto e chinandosi su di lui: appoggia brevemente le labbra umide su di sue, rabbrividendo al contatto proprio come fa Adrian, e quasi con la stessa intensità. Siniša si allontana in fretta da lui, reclinando appena il capo nello stesso istante in cui l’altro annuisce in un gesto altrettanto lento.
«Le persone cambiano» ricorda, lieto del suo assenso.
«Non tu» obietta Adrian, stringendo i capelli radi sulla sua nuca. «Tu sei lo stesso stracciaballe di sempre, solo più in là con gli anni.»
«Non è una cosa carina da dire.»
«Guarda che sei migliorato.»
Siniša alza le mani, cercando di nuovo le sue labbra. «Sono vecchio, allora.»
Adrian si ritrova inspiegabilmente impacciato nel cercare l’iniziativa, nonostante tutto: ha bei ricordi delle notti passate con Cristian, ha portato la donna più bella che abbia mai conosciuto ad essere sua moglie, e gli viene istintivamente da sorridere quando ricorda le labbra di Stevan impegnate a portarlo al culmine, ma tutti loro avevano atteso un suo passo, una sua richiesta, la sua voglia di arrivare al piacere con ognuno di loro. Nessuno ha mai cercato le sue labbra, il suo corpo, con tanto desiderio: lo vede, palpitante sotto la pelle calda di Siniša, al fianco del sangue nelle sue vene, tenuto a freno dal controllo che impone ad entrambi e che si mostra ricercando tocchi più lenti, baci più profondi, carezze più caute; e lo sente, non nelle parole e nelle schermaglie verbali messe da parte, ma nei respiri roventi e nel calore del suo corpo pressato al proprio, e nel tocco umido e improvvisamente freddo con cui le sue dita si fanno strada tra le sue natiche, e ancora nella sensazione tremenda che la spinta di Siniša suscita nel suo essere più profondo. Scosso dai lampi di piacere sempre più frequenti ed intensi suscitati dai suoi movimenti - il bacino, le mani, le labbra - Adrian fa fatica a restare ancorato a se stesso, figurarsi a tutto il resto: vorrebbe sentirsi domato, vinto, semplicemente inerte di fronte a un dolore così buono, ma l’attenzione con cui Siniša lo porta vicino al culmine glielo impedisce; e vorrebbe sentirsi forte, abbastanza da prendere per le spalle Siniša e spingerlo via e pestarlo, o contrastarlo e ribaltarlo e sentirlo gemere come faceva Cristian, man mano che entrava e usciva da lui più rapidamente, ma non riesce neppure in questo, perché in qualche modo inspiegabile va bene essere lì, va bene farsi scopare da uno che non ami e che ti ha sedotto e che anni fa ti ha insultato sputato pestato e che ora è il tuo allenatore, e godere.
Adrian arriva all’orgasmo quasi in lacrime: piangerebbe certamente, in silenzio, se solo provasse a parlare e sentisse anche la benché minima incrinatura nella sua voce, e porta un braccio sugli occhi per nascondersi nel caso in cui ciò accade davvero. Il buio forzato lo avvolge, sfumando ogni altra cosa intorno a sé ad eccezione di un calore sottile che attraversa il suo torace dalla spalla al fianco, lì dove Siniša ha appoggiato il suo braccio.
«A cuccia, Gonza» intima Adrian al grosso cagnone nero che si è fatto nuovamente strada attraverso la recinzione fino a raggiungere il ciglio del campetto e decidere che la striscia bianca che lo delimita è l’ideale per fare i suoi bisogni sotto gli occhi divertiti di tutti; Adrian fa appena in tempo a indietreggiare prima che lo zampillo di pipì raggiunga le sue scarpe, alzando gli occhi al cielo perché sia testimone di quanto siano stati poco furbi i ragazzini a fraternizzare con un cane che neanche è loro. Quando torna a correre, non riesce a non far saettare lo sguardo verso Siniša, che discute animatamente con Marcolin, gesticolando per spiegare chissà quale nuova, balzana idea per il loro allenamento; Siniša non si volta verso di lui per tutto il tempo, nonostante le sue occhiate si facciano sempre più lunghe e insistenti man mano che il sole di mezzogiorno si avvicina a segnare la fine degli esercizi del mattino, e Adrian potrebbe quasi pensare di essersi sognato tutto se non fosse certo di essersi svegliato nella sua stanza - mezz’ora più tardi del preventivato, da solo, nudo e avvolto nella coperta strappata via dal materasso, con una voglia pulsante suscitata dal suo odore ancora nettissimo ovunque, perfino sulla sua stessa pelle, al punto da spingerlo a masturbarsi all’istante prima di ficcarsi nella doccia e trovare i segni del suo passaggio e rifarlo ancora.
Nel tempo di un battito del cuore Adrian compone tra le pieghe dei suoi pensieri un’immagine di Consuelo con un’espressione corrucciata, al limite del furibondo, e l’aggiunge all’interminabile fardello di colpe che già sente di possedere da tempi immemori. Lo esamina con calma nella sua mente, tra un piegamento e una corsa, tra una punizione nel sette e una veronica, cercando gli occhi di Siniša e non trovandoli mai, mangiando svogliatamente a cena e chiudendosi in camera. Salvo poi aprire di nuovo la porta quando sente un tocco leggero bussare, sorridendo come un ebete.
FINE
A/N: Niente, tutta di
chia25 perché li voleva, ed eventualmente di chi si aspetta che dopo un inizio così devastante la Viola si scrolli di dosso un po' di sfiga, ecco.