Fic: Hello, I said hello

Jun 28, 2010 03:51

Titolo: Hello, I said hello (I want to love you forever)
Autrice: waferkya
Fandom: RPF... boh, AC Milan LA Galaxy/Real Madrid
Personaggi: David Beckham, Iker Casillas, altri veramente-veramente poco importanti
Pairing: Beckham/Casillas (Becksillas! ♥)
Rating: PG16
Conteggio parole: 1253 (W)
Note: Stavo ammazzando il tempo con questo malvagissimo gioco online e ho provato il bisogno fisico di scrivere di un portiere.
; Il titolo è abilmente trafugato ad Elton John (~ Harmony).
; Doverosa dedica all'estremamente pucciosa ary_true , che questo possa essere l'inizio di una lunga e luminosa bromance anche per noi *_*! *coccola*
; Oh, tecnicamente si tratta di una serie di drabble di varia lunghezza, con prompt armonia (@ it100 ). Non sottilizziamo.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia (pffffft! Si vedano le note di chiusura per altri dettagli); nessuno mi paga un centesimo.
~ I commenti sono l'amore. I lurker sono il male.



~ Hello, I said hello.
(I want to love you forever)

Madrid, 2005
Questa la prende, ne hai la certezza nell’istante stesso in cui il pallone comincia ad allontanarsi dal tuo piede e saetta su, verso il cielo nero come se fosse d’inchiostro. E non lo sai solo per via della nottata, che non sembra essere dalla tua parte - ti ha già parato una quantità infinita di tiri, stasera, come il sorrisino compiaciuto che gli campeggia sul volto non fa che ricordarti continuamente, - e non è neppure soltanto pessimismo; sai che la prenderà, lo sai e basta, con la stessa sicurezza con cui sai che ti prenderà in giro da qui finché campi.
E naturalmente, un attimo prima il pallone è talmente lontano e alto e bianco da sembrare un’altra stella sopra il Bernabéu, e un attimo dopo è intrappolato tra le mani di Iker.
Il tonfo sordo della parata riecheggia sugli spalti deserti, è un lamento un po’ lugubre e un po’ snervante assieme; poi, però, c’è solo la risatina divertita di Iker, che ti sbeffeggia senza vergogna dal suo tempio in fondo al campo.
“E trentotto!” ride, restituendoti il pallone con un cross un po’ a cazzo di cane che devi rincorrere per parecchi metri prima di riuscire ad intercettarlo; quando finalmente riesci a fermarlo, ti volti verso il tuo portiere e sollevi le sopracciglia in un’espressione eloquente - ma è un’assurdità, Iker è troppo lontano e non esiste che riesca a vederti. Eppure, lo senti ridere più forte, e poi scrolla le spalle. “Dai, Spice Boy,” sfotte, “arriviamo a quaranta parate e poi tutti a casa.”

Madrid, 2009
Iker scoppia a ridere nell’istante in cui oltrepassi la porta degli spogliatoi, e quella voce petulante che è la tua coscienza comincia a blaterare un mantra di te l’avevo detto che era un’idea del cazzo, ti sei reso ridicolo, sei soddisfatto? Dio, ma non ti vergogni? Ma c’è qualcosa, nel modo in cui Iker getta via la maglietta che aveva in mano e ti si lancia addosso, che ti suggerisce che forse non hai davvero fatto una cazzata senza senso.
“Oè,” soffia, sciogliendo un po’ l’abbraccio e beandosi del sorriso idiota che t’illumina tutto, “ma non ce l’hai una casa?”
Ti porta indietro con sé di più o meno una vita, con quella frase e con la smorfia furbetta e soddisfatta che gli arriccia le labbra; non riesci a trattenerti dall’abbracciarlo di nuovo, più forte di prima, e sorridi quando lui ride ancora, strusciandosi appena percettibilmente contro il tuo collo.

Johannesburg, 11 giugno 2010
“Che cavolo ci fai qua?”
Come sempre, ogni volta che ti vede quando meno se l’aspetta, Iker sta ridendo: lascia cadere il borsone, curandosi molto poco dei suoi effetti personali, e ti viene incontro a braccia spalancate, apparentemente incapace di trattenere una gioia incontrollabile che lo porta ad appendersi al tuo collo non appena sei a portata di salto.
“Dio, Becks,” mugola, fregandosene altamente del fatto che sei un uomo ferito e che per tenerlo su stai mettendo in serio pericolo la tua guarigione, la tua carriera, la tua vita - però, siccome importa pochissimo anche a te, del tuo piede un po’ malandato e tutto il resto, non è certamente credibile che se ne preoccupi lui, che ha poco più che aria fritta, dentro al cranio. “È bello vederti, stronzone.”
Si stufa, dopo un po’, di essere il tuo koala improvvisato - probabilmente c’entra qualcosa il fatto che è appena diventato lo zimbello della sua Nazionale, - e smonta dalla tua presa con agilità sorprendente, se consideri che era da un bel pezzo che non faceva pratica. Manda a cagare un paio di compagni di squadra - Carles e Xabi, nello specifico; li saluti con un sorriso pacifico e loro ti accordano tutta la solidarietà di cui sono capaci, scoccando ad Iker un’occhiata divertita ed esasperata, - e poi ti trascina lungo il corridoio, fino alla sua camera, e si sbatte la porta alle spalle, e poi si sbatte la tua fronte contro la propria.
“Mi manchi,” borbotta, e se ti bacia non ci fai caso, non più del necessario, perché ormai sei perso del tutto a ripercorrere i contorni del suo viso con le dita, ad impararli da capo, a ritrovare ancora con la stessa naturalezza di sempre quell’angolo di pelle morbida dietro l’orecchio che lo fa tendere contro di te e gemere piano.

Rincorrendo con due dita una goccia di sudore che rotola giù lungo la spalla di Iker ritrovi, in qualche modo, la pace. Lui ti si è accoccolato addosso perché era ovvio che lo facesse, d’altra parte non riesce a scollartisi di dosso normalmente, non è che puoi pretendere che, di punto in bianco, mentre siete a letto decida di trasferirsi in Svizzera.
“Non mi hai risposto,” mugola, la bocca premuta contro il tuo collo e la voce un po’ distratta dalle carezze della tua mano. “Che cavolo ci fai qua?”
“Oh, nulla di che,” mormori, distratto pure tu dal modo in cui la sua schiena gioca a nascondino sotto le lenzuola. “Ho sentito che si giocano i mondiali di calcio, da queste parti.”
Iker soffoca una risata e poi si solleva un po’ sui cuscini per guardarti in faccia. Sta sorridendo in quel modo che è soltanto suo, che è soltanto vostro, e che ricordi come se fossi stato a Madrid fino a ieri, e invece è successo un millennio fa. Nell’istante stesso in cui l’hai visto, però, oggi come ogni altra volta, ti è corsa sotto la pelle, come una scarica elettrica, la sensazione di non esserti mai separato sul serio da lui, come se Iker e tutto quello che siete te lo fossi portato su e giù per il mondo, in ogni aereo e in ogni valigia e in ogni partita, in ogni gol che non t’è riuscito e in ogni notte insonne.
Iker è precisamente questo brivido che ti congela ogni cellula urlando sei a casa; è per questo che continuamente lo cerchi, è per questo che attraversi mari e monti e confini di Stati con la stessa disinvoltura di uno che va a fare la spesa solo per vederlo, per dieci o novanta minuti.
E poi, è per il modo in cui preme una risata contenta contro il tuo collo, mordendoti appena, mentre ti sfiora i capelli quasi con curiosità e intanto si muove piano, come a volerti cullare, come a volerti sedurre - come se fosse anche solo lontanamente necessario.

Bloemfontein, 27 giugno 2010
“Me la dici una cosa?” domanda, e tu sei esausto e distrutto e devi ancora decidere se restare a guardare il resto delle partite o tornare in patria col resto della squadra, e sei pure pieno di briciole delle patatine che Iker ti ha praticamente mangiato addosso, quindi in pratica avresti tutte le ragioni dell’universo per metterti a urlare e maledire il mondo, ma sei stravaccato su un divano meraviglioso e hai la testa premuta contro il collo di Iker, perciò sei piuttosto, stranamente in armonia con il tuo io interiore.
“Dimmi,” mormori, quindi, ed è un po’ un caso - ma non per davvero - che la tua bocca tocchi il suo collo così tanto. Iker rabbrividisce appena e si agita un po’, sistemandosi meglio contro di te; sorridi nel sentire le sue labbra contro la tua tempia, chiudi gli occhi, potresti anche addormentarti così e sarebbe l’unica cosa positiva di tutta la giornata, a parte l’abbraccio spettacolare che ti sei preso da questo idiota non appena l’hai incontrato, giù nella hall dell’albergo.
“Alle partite hai addosso sempre lo stesso vestito da giorni, oppure ne hai cinquemila tutti uguali?”

a/n. Allora, che Becks e Iker si allenassero assieme al Bernabéu dopo gli allenamenti regolari, è canon. Ed è canon pure che Iker fosse solito dirgli "Non ce l'hai una casa dove tornare?" - però mi piaceva di più "Non ce l'hai una casa?", quindi ho lasciato così. Così come è canon il fatto che nel 2009 Beckham è andato a Madrid a guardare una partita della sua ex-squadra, e poi si è concesso una visitina negli spogliatoi; in quell'occasione, Iker si è reso tremendamente puccioso dicendogli "Qui c'è ancora posto per te" (per fortuna che il mio cuore ha smesso di funzionare da un pezzo).
Qui (post lockato) c'è tutto quello che ho detto in queste note, però in inglese. :P

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