Titolo: Blue is just a state of mind
Autore:
el_defeFandom: RPF - Inter FC
Personaggi: José Mourinho/Zlatan Ibrahimović (Jobra!)
Rating: VM18
Warning: Slash, Fluff, varie ed eventuali
Conteggio Parole: 1.635 (Word)
Note: Prequel, sequel e vattelapesca di
Green is not your enemy e
Red is your best ally. Senza quelle, è giusto una Jobra più tenera del solito. Conoscendo quelle già scritte... pure.
Disclaimer: Finto fintissimo, non sono una zoccola intellettuale, infatti nessuno mi paga, forza José \o/
Introduzione: Allora resta.
Blue is just a state of mind
«Servirebbe a qualcosa minacciare di sbatterti fuori squadra fino alla fine del campionato?» brontolò, ignorando i rivoli d’acqua che scorrevano lungo i capelli ed il viso di Zlatan. «Comincio ad irritarmi.»
«Non è un comportamento che vedo adatto a te» rispose, la voce impigrita dal caldo e dalla fatica di un allenamento stretto tra la morsa afosa di un fine settembre torrido in maniera quantomeno atipica e i carichi di lavoro già elevati per l’imminente inizio del girone di Champions. «Non ti si addice.»
«Evidentemente mi conosci ancora troppo poco.»
«Per forza» ribatté, tagliente, e si spruzzò altra acqua dalla bottiglina, versandosene più sulla pelle che tra le labbra. «Non mi permetti di farlo.»
José alzò gli occhi al cielo, tentando di mostrarsi quantomeno esasperato. «Spremiti a cercarne il motivo, se ci riesci, zingaro.» Vide le labbra di Zlatan stringersi fino a formare una linea dirittissima e quasi invisibile, ma se ne curò l’attimo necessario per voltargli le spalle e avviarsi verso la prima tettoia disponibile, alla ricerca del refrigerio dell’ombra; lo svedese lo raggiunse senza fatica, in tre o quattro falcate robuste, e adeguò all’istante il passo per seguirlo come un’ombra.
«È un gioco come un altro, portoghese.» José riuscì a immaginarsi con facilità il sorriso beffardo che lo contraddistingueva, anche senza poterlo guardare. «E quando gioco, mi impegno e non mi accontento di vincere. Voglio trionfare.»
«Almeno su questa cosa siamo d’accordo.» Affrettò il passo per raggiungere il resto del suo staff, costringendo Zlatan a deviare dai suoi passi e scambiare due chiacchiere con Dejan o con Adriano all’interno del centro sportivo, prima di tornare a casa.
«Hai intenzione di evitarmi ancora a lungo?»
«Non ti sto evitando.» Zlatan sbuffò sonoramente e José fu costretto a chinare il capo, seppur impercettibilmente. «D’accordo, ti sto evitando. E ho almeno sei buone ragioni per farlo, mi sembra anche inutile fare i loro nomi.»
«Se non vuoi davvero, perché non te ne vai?» lo sfidò, afferrando il polso di José appena un istante più tardi per togliergli moralmente ogni possibilità di seguire il suo consiglio: lo accarezzò con il pollice lentamente, rafforzando la presa in maniera quasi inavvertibile quando lo sentì dibattersi nella sua stretta, e gli sfiorò la guancia con l’altra mano. «Qui non ci vede nessuno, Zay.»
«Sei peggio di una ragazzina innamorata» si lamentò, strattonando via il braccio. «E non chiamarmi così!»
Per tutta risposta, Zlatan lo baciò con un’irruenza quasi incontenibile; José si sentì barcollare, o forse era l’intero mondo a oscillare paurosamente mentre lui tentava di tenere i piedi ben piantati per terra e di trovare un motivo - un solo dannatissimo motivo - per spingere via Zlatan, fuggire dalla Pinetina e prendere il primo aereo per Londra o per Oporto per poi gettarsi ai piedi di un qualsiasi presidente di una qualsiasi squadra di calcio senza top player innamorati persi di lui. Il mugolio soddisfatto che gli sfuggì mentre la lingua di Zlatan lambiva la sua, quindi, fu semplicemente la dimostrazione del fatto che non c’era nessuna giustificazione valida per respingerlo, o quantomeno nessuna che non fosse puramente razionale e quindi puramente errata da ogni altro punto di vista che non comprendesse la presenza piacevole del corpo di Zlatan pressarlo contro il muro di quello stanzino.
«Ti voglio» sussurrò, tirando il fiato a un’ombra di distanza dalla sua bocca. José non rispose: si avvicinò nuovamente a lui, sfiorandogli le labbra con le proprie in un bacio molto più sottile e quasi innocente - se di innocenza fosse stato possibile parlare nel loro caso - prima di tornare al suo posto e fissarlo negli occhi leggermente stretti di Zlatan, che brillavano di speranza e di bisogno.
«Non so più cosa fare, con te» ammise. «Non so cosa fare con noi.»
«Potresti arrenderti.» Gli sfiorò la fronte con le labbra, ridacchiando senza freni quando José ricominciò a riversargli addosso un torrente di ammonimenti, borbottii e quelle che suonavano inequivocabilmente come imprecazioni nella sua lingua madre. «Avrai pure vent’anni più di me, ma sei ancora un bambino su certe cose» sussurrò, l’attenzione rivolta ad eventuali rumori sospetti nello spazio immediatamente attiguo prima di uscire.
«È molto più facile di quel che sembra, se ti rilassi.»
José allentò il primo bottone della propria camicia. «Scusa tanto se sono nervoso» brontolò. «Non passo il mio tempo libero a infilarmi negli alberghi con chicchessia, men che meno con un altro uomo e quel che è ancora peggio con un mio giocatore.» Distolse lo sguardo dal fianco nudo di Zlatan che faceva capolino dal lenzuolo che si era buttato malamente addosso, ma non poté farlo una seconda volta quando lo sentì sospirare e lo vide alzarsi di scatto, accompagnato da un grandioso scricchiolio delle molle del letto, e raggiungerlo.
«Credo sia soltanto questione di venire a patti con la coscienza.» Gli baciò il collo, aspirando il suo profumo fino a saziarsene. «Tu mi piaci.»
«Aha.»
«Io ti piaccio» aggiunse, e disfece il secondo bottone della camicia di José, discostandone abbastanza i lembi per potervi infilare una mano senza problemi e seguire la traccia calda della sua pelle abbronzata. José assentì in silenzio, quasi non volesse compromettersi dicendolo ad alta voce. «E la cosa comincia e finisce qui.»
José lo costrinse a ritrarre la mano e terminò di sbottonarsi la camicia, sfilandosela e ripiegandola con cura su una poltroncina. «Credi davvero che la cosa finisca qui, zingaro? Mi conosci ancora meno di quel che pensavo» disse, ridendo di una risata un po’ vacua. Zlatan lo osservò con un’espressione a metà tra il genuinamente sorpreso e il divertito mentre si puntava a terra sulle ginocchia e afferrava il bordo dei suoi boxer per tirarli giù in un colpo, premendo con una sorta di bacio sul suo sesso.
«No, decisamente non ti conosco abbastanza» rabbrividì, e il suo sorriso era molto più incline alla gentilezza che alla strafottenza quando incontrò il suo sguardo.
«Mi scuserai, ma per me è la prima volta» sussurrò, lasciando che crescesse contro le sue labbra che si storsero in un ghigno. «Ma se mai ci sarà una prossima volta, prometto di fare meglio di così.»
Zlatan chiuse gli occhi e li riaprì subito al contatto della lingua di José sulla sua pelle sensibile, espirando profondamente, e accarezzò i suoi capelli a lungo, seguendo il ritmo che egli stesso scandiva senza osare forzarlo o accelerarlo - e le sensazioni inebrianti che si irradiavano dal suo bassoventre erano già intense abbastanza da fargli cedere le ginocchia, fino a costringerlo a mordersi le nocche di una mano per non gridare il suo piacere ad un intero albergo. Gli occhi si strinsero ancora quando l’orgasmo salì a stringergli la gola in un gemito e si espanse in ogni fibra del suo corpo; quando, scosso da un fruscio, li schiuse nuovamente e i colori tornarono a rioccupare il proprio posto, José non era più ai suoi piedi, ma se ne stava sdraiato sul letto, apparentemente addormentato con le braccia dietro la testa e i pantaloni ancora indosso: respirava tranquillamente e con calma, senza nascondere la sua eccitazione, evidente al di sotto della stoffa, né un accenno leggerissimo e quasi irrilevante di un sorriso. Zlatan sogghignò a sua volta, avvicinandosi a lui e baciandogli le palpebre chiuse.
«Mi vuoi?»
«Impara a conoscermi in fretta» sussurrò, e Zlatan riconobbe un tono diverso nella sua voce. Lo spogliò in fretta, esitando soltanto quel tanto che bastava per seguire i suoi desideri: si ritrovò una manciata di secondi più tardi con la schiena umida di sudore contro il materasso e le gambe allargate a fargli spazio mentre lo penetrava, e desiderò soltanto di poter fare l’amore con lui per tutta la notte e oltre.
«Marmellata d’arance sul toast e caffè nero.»
José ignorò l’invitante menu voltandosi dall’altra parte in un mugolio frustrato, che divenne un gemito di vera e propria rassegnazione quando Zlatan lo rivoltò energicamente dalla sua parte, pizzicandogli un capezzolo per buona misura e costringendolo a scattare a sedere. «Sei una piaga.»
«Se non facessi così non ti sveglieresti mai, Jojo.»
«Se non mi costringessi alle maratone notturne fino alle tre non avrei bisogno di una sveglia del genere» ribatté acidamente, arrendendosi poco dopo alla fetta di pane tostato che premeva contro le sue labbra. «Chi paga il servizio in camera?» aggiunse con la bocca piena, sorridendo al gesto di Zlatan che raccoglieva una goccia di marmellata con la punta della lingua.
«Io, Jojo. E mentre tu dormivi saporitamente, ho preso una copia del Times, una del London Daily e una del Sun.»
José batté gli occhi un paio di volte, afferrando un’altra fetta di pane dal carrello posto di traverso accanto al letto. «Spero vivamente che tu abbia preso il Sun soltanto per farci gli aeroplanini di carta.»
«No, voglio arrotolarlo per bene per sculacciarti, perché la carta non lascia inchiostro» rise, spiegando il giornale alla pagina dello sport e mostrandogli una sua foto con la sua quarta Champions’ League in carriera (“… con quattro team profondamente diversi per storia, blasone, caratteristiche tecniche e campionato d’origine, il che rende l’impresa di José Mourinho una delle più gloriose della storia del calcio moderno - nonché irrinunciabile biglietto da visita per le tante squadre interessate a pagare il suo faraonico ingaggio…”) e l’ennesima illazione sul suo passaggio al Real Madrid - la centoventunesima in dodici anni, per quel che José poteva ricordare.
«Hai rilasciato un’intervista interessante» commentò, corrugando le sopracciglia. «E decisamente non veritiera da cima a fondo. Non ti è mai piaciuto il sushi, perché mai dovresti aver rilasciato dichiarazioni in un ristorante giapponese?»
José dischiuse le labbra per rispondere, ma si trattenne. Poco dopo, le stesse labbra erano chiuse intorno al lobo dell’orecchio di Zlatan, e appena aperte nel più bel sorriso che lo svedese ricordasse. Più bello di quello del giorno prima e di quello ancora precedente, almeno.
FINE
Noticina: giusto quel paio di secoli dopo la mia ultima Jobra che risalirà tipo, uhm, al P0rn Fest? XD Comunque sia, ero in blocco "vero" da una settimana (nel senso che anche se ho postato/scritto roba in realtà la suddetta roba era da sistemare e non da scrivere) e "ufficiale" da due giorni (nel senso che non ho scritto *NIENTE* in due giorni, neanche una parola, e per i ritmi dell'ultimo anno e mezzo è una novità niente affatto piacevole). E, be', ho sempre voluto chiudere il ciclo iniziato con Green e Red - il Blue ci stava bene, vero?
&neverdies;, sempre e comunque. ♥
(Tutta di Lizzi perché voleva del Jobra e nessuno glielo dava.)