Titolo: Ca doit se sentir, faut pas se mentir, la vie c'est aussi la guérison.
Autore:
janetmourfaaill. (
lachesilie)
Beta:
chia25.
Fandom: RPF - A.C. Milan.
Personaggi e pairing: David Beckham, Mathieu Flamini. (Davini. \O/)
Rating: PG13.
Warning: Slash, fluff.
Word count: 2016.
Disclaimer: Fintissimo, mai successo, non so manco cos'è.
Note: Roba ambientata tipo *controlla* domani, o giù di lì, a Helsinki, dove David sta essendo - oh gesù - ricoverato per essere operato a breve. Vi ciucciate un prevedibilissimo papiro inaugurale in merito - sì perché sto inaugurando il Davini. \O/ Se non sono gioie queste allora non so.
Il titolo è tratto da una canzone che non ho mai sentito in vita mia, "Mental", di un gruppo che non ho mai sentito in vita mia, i Grand Corps Malade. Non ho idea del genere e ho francamente un po' paura di scoprirlo, quindi se v'interessa cercatevela voi.
Dedicata a
miss_hale, e mica lo devo spiegare il perché.
Ca doit se sentir, faut pas se mentir, la vie c'est aussi la guérison.
Ci sono tante cose che fanno sentire Mathieu a casa.
L'odore della Fondue - non una a caso, quella di sua madre che sa fare solo lei e grazie al cielo perché lui la detesta, ma che lo riporta indietro nel tempo come neanche una fotografia o un filmato riescono a fare - le sigarette di suo padre, le Gaulouises, il miagolio pigro del suo gatto senza nome - che in realtà un nome ce l'ha ma ognuno in famiglia lo chiama in modo diverso, sicché ormai è semplicemente Chat - i vicini sudafricani dalle pessime abitudini alimentari, le margherite appena fuori il vialetto che sono sempre troppo giallognole e decisamente poco belle da vedere, la macchina di famiglia che non usa più nessuno da anni, visto quant'è vecchia, ma che continuano a chiamare così più per abitudine che per altro. Mathieu non va spesso a casa, possono passare mesi prima che vi faccia ritorno e non sempre quando capita si sente a proprio agio; viaggiare gli piace, Milano gli piace, essere indipendente e libero da legami troppo vincolanti, asfissianti, Dio quanto gli piace. E questo perché sentirsi a casa per lui va al di là del varcare una soglia, dell'abbracciare sua madre che ogni volta ha quella rughetta in più sotto gli occhi e sulla fronte ad accoglierlo, delle imprecazioni di suo padre davanti al suo altalenante Sochaux, del trovare il piatto pronto in tavola ore e ore prima di quanto probabilmente si degnerebbe di mangiare di solito.
Ci sono cose che lo fanno sentire a casa senza effettivamente esserlo e prescindono dalla presenza di famigliari e di stanze, momenti, ricordi evocativi. Una di queste cose, è David.
- ...glione. -
Stava dicendo? Sì, ecco, una di queste cose è David. Lui e quei suoi occhi chiari così rilassanti, il suo sorriso sereno, il suo italiano pietoso, lui e il suo--
- Sto parlando con te, idiota. -
Mathieu aggrotta le sopracciglia ed esibisce una smorfia, palesemente contrariato, mentre abbassa gli occhi sull'uomo in questione e gli rivolge uno sguardo tra il perplesso e lo svampito. - Oh. Sei sveglio. -
- Ti ho chiamato ben due volte, Mathieu. - Grugnisce David, tirandosi malamente su senza smettere di guardarlo male. Mathieu rimane fermo per qualche istante poi sorride, enigmatico, dandogli una mano a sistemarsi meglio sul cuscino. - Scusa, avevo la testa altrove. - L'altro alza gli occhi al cielo senza curarsi minimamente di mascherare il proprio malumore. - Sono contento di vederti. - Ma il suo viso dice tutt'altro e la sua ironia sfuma in un verso di dolore a cui Mathieu non si è preparato, e in seguito al quale sbianca completamente senza sapere cosa fare o dire.
Inspira, sbattendo le palpebre e portandogli istintivamente una mano al petto come al volerlo trattenere - ma non va da nessuna parte, non può farlo e quella consapevolezza lo ricolma di sollievo e angoscia al contempo. - Non sembrerebbe. - Gli risponde dopo un po', pianissimo, quasi come se temesse di poterlo svegliare. Si lascia sottoporre nuovamente a quello sguardo glaciale ma anche questa volta non reagisce, anzi si fa ancora più serio e lo guarda con una consapevolezza che poco prima non avrebbe saputo dove trovare. - Stai male, Davìd? Ti do un bacio? -
Mathieu è quel tipo di persona che tendenzialmente non va mai per il sottile. E, quando ci prova, puntualmente sbaglia qualcosa. O forse, si dice mentalmente David strabuzzando gli occhi e spalmandosi una mano in fronte come solo quell'uomo è in grado di fargli fare, è semplicemente troppo genuino - o in alternativa fuori di testa - per far caso agli effetti che le sue parole hanno sugli altri.
Su di lui, in particolare.
- Mathieu. - Poggia il capo all'indietro rifiutandosi di guardarlo, perché improvvisamente avverte un senso d'imbarazzo latente. - Punto primo: certo che sto male. Sto malissimo, se vogliamo essere precisi. Punto secondo, non è dandomi un... - abbassa notevolmente la voce, inducendo Mathieu ad avvicinarglisi con un'espressione paragonabile a quella di un bambino davanti a un pezzo di Lego parlante che gli rivela di non voler giocare con lui. - ...non è così che risolverai la questione. -
Come previsto Mathieu alza gli occhi al cielo e sorride con quella sfacciataggine che porta David all'esasperazione. - Non so di cosa parli. - Fa spallucce, ostinandosi a tenere la sua mano sinistra sul suo petto - E David non lo ammetterà ma è un calore a cui si sta abituando e sa già da ora che, quando per un motivo o per un altro dovrà allontanarla, sentirà freddo e non gli piacerà, sarà un dispiacere che andrà a sommarsi a tutte quelle pessime sensazioni che da tre giorni a questa parte lo tormentano, giorno e notte. Soprattutto di notte. - Mathieu. - È la seconda volta che richiama la sua attenzione e lo fa col medesimo tono esausto di prima, anche se questa volta non riesce a impedirsi di guardarlo a sua volta. - Siamo a Helsinki. Tu non sai nemmeno dove sia, Helsinki. Mi sto ancora chiedendo come tu abbia fatto a raggiungermi senza bisogno di una scorta. Due, se vogliamo andare sul sicuro. -
Mathieu storce il naso, per nulla toccato da quelle accuse. - Ho preso il primo volo diretto. Sono venuto da solo. Volevo sapere come stavi. - Tace per qualche secondo, come immerso nei propri pensieri, prima di proseguire. - Anzi no, non volevo saperlo. Per quello ci sono i giornali, c'è il Mister, c'è un sacco di gente. Io volevo vedere come stavi. -
David si volta a guardarlo di nuovo e puntualmente si pente di farlo, perché alle volte guardare Mathieu è come un risucchio. Non è il tipo da esprimersi in chissà quali modi complicati, lui, non è il genere d'uomo che fa richieste e pretende, lui che è sposato a una donna che non ama e che non lo ama, una donna a cui prende la mano per strada davanti a mezzo mondo per poi lasciarla andare non appena fanno ritorno a casa. Non sa nemmeno se considerarsi un buon padre, non sa se lui e Victoria sono dei bravi genitori. Non ha pensieri troppo profondi, non si fa troppi problemi, lui ha una sua vita e quella è da troppo tempo per pretendere di farci chissà che cosa, dopotutto ha le sue soddisfazioni e ha i suoi soldi - sì, i suoi soldi, suona male ma è qualcosa d'importante e David ha profonda stima dei suoi soldi, perché lo rendono l'uomo che è e gli permettono di sentirsi sicuro ovunque vada, a qualsiasi condizione, anche ora che è gravemente ferito e non sa quando potrà tornare a giocare, a quali condizioni e al fianco di chi. E per che cosa. No, lui queste domande non se le fa, non è abituato.
Ed è guardando Mathieu che gli viene da chiedersi, come sempre, se non è un uomo troppo superficiale. Se non si è abituato troppo bene, se tutto il suo benessere sia in fin dei conti meno scontato di quanto gli piace pensare. Arriverà il giorno in cui anche la presenza di Mathieu perderà la sua naturalezza, arriverà il momento in cui davvero non verrà a trovarlo perché lui di ancore non ne ha, di figli non ne ha, di donne a cui render conto e di immagini pubbliche da preservare non ne ha - non come lui, almeno, non quanto lui. E come diceva sempre qualcuno che al momento non ricorda: chi non ha ancora non ha nave, e chi non ha nave non ha meta. E senza meta o non si parte, o si parte per non tornare.
Mathieu lo sta ancora osservando, in attesa, e all'improvviso David si ritrova a chiedersi quando diavolo in vita sua si era soffermato a pensare su tutte quelle cose contemporaneamente e così a lungo. - Ho fame. - Biascica, a mezza voce, portando distrattamente una mano a massaggiarsi la gola, per poi lasciarla scivolare pigramente su quella di Mathieu. Questi sorride - l'ennesimo sorriso che gli vede fare da quando si è svegliato, senza contare quelli che senz'altro si è fatto da solo, perché Mathieu è così, si accontenta di poco e fa contenti gli altri con poco. - C'è il tuo pranzo, lì, ma dev'essere gelido. Da quant'è che non mangi? -
David scrolla le spalle, afferrando al volo un pezzo di pane e addentandolo senza troppa convinzione. - Ieri sera ho mangiato qualcosa, credo. Non ricordo che cosa, però. -
- Ieri sera non c'ero io a spronarti. - Trilla Mathieu, evidentemente di ottimo umore, avvicinandogli con una mano un bicchiere d'acqua e stando ben attento a non allontanare l'altra dal suo petto. David sorride impercettibilmente, approfittando della sua momentanea distrazione per sollevare gli occhi al cielo. - Lo sai - inclina un po' il capo verso destra, quando il francese riporta lo sguardo su di lui. - Sto male. -
Mathieu inarca le sopracciglia, attendendo il resto della frase che però non arriva. Sbuffa leggermente, allora, fingendosi esasperato. - Lo so, l'hai già detto, Davìd. Cosa posso fare? Mi hai già detto che non si risolve la questione con un... - L'altro lo interrompe senza troppe cerimonie, scoppiando a ridere. - Non mi hai mai ascoltato, mai, nemmeno una volta da quando ci conosciamo. Non intenderai iniziare adesso, spero. -
E sono questi i momenti che sostituiscono senza indugio alcuno una cena di famiglia, uno zerbino un po' consumato, un compleanno in compagnia, una torta fatta in casa, un lampadario troppo vecchio per non essere profondamente amato nonostante la polvere e la dubbia esteticità. Mathieu non ha bisogno di sentire gli odori caratteristici della sua città, della sua stanza, o di dormire nello stesso letto in cui ha dormito durante tutta la sua adolescenza lamentandosi con sua madre perché, maledizione, quelle molle sono un insulto alla sua schiena e un giorno o l'altro gliela devasteranno completamente, e per allora ci andrà poi lei a giocare al posto suo in campo - sempre che David glielo permetta, schiena rotta o no. In fin dei conti David è quel tipo di uomo da cui pretendere nient'altro in più di quanto lui stesso sia disposto a dare. E, casualmente, la cosa a Mathieu non crea problema alcuno.
Si avvicina a lui e lo bacia, lo bacia con quella serenità che si porta dietro da una vita e che non è un peso né un premio, è semplicemente qualcosa che fa parte di lui e che gli piace trasmettere, quando può, quando gli viene concesso, quando gli viene espressamente richiesto. Lo bacia a lungo e intanto sorride tra le sue labbra mentre lo sente sorridere a sua volta, perché forse un po' fanno ridere davvero, perché il motivo per cui si trovano lì è così serio che paradossalmente c'è da ridere, tra una carezza e un altra, tra un respiro e un altro. C'è da ridere.
Lingua contro lingua e quel sapore di pane che inspiegabilmente non disturba, è quasi piacevole. Gli sfiora lo sfregio sulla guancia che ora sembra molto più insignificante di quanto gli fosse parso sul momento, quell'imperfezione spudorata su un volto che se non sa a memoria è solo per pigrizia, lì, appena sotto gli zigomi, forse gli brucia ancora o forse non più.
- Tu non mi ascolti mai. - Se lo sente dire remotamente, voce e risata in un tutt'uno piacevole come poco altro al mondo, e nel mentre lui poggia la fronte contro la sua e lo bacia ancora a fior di labbra, brevemente, per poi rispondergli con un'impertinenza tutta sua, che sa di buono e di casa e di tante altre cose che a spiegarle perderebbero ogni senso. - Quando lo vorrai davvero lo farò. -
Uno sbuffo e poi quasi non se ne rende conto; distoglie la mano dal suo petto per cingergli il collo, e David non lo sente quel freddo che pensava avrebbe sentito, non sente nulla se non calore sommato a calore, quanto di buono c'è in un abbraccio e in un bacio senza altri pensieri da correlare a quei momenti.
E, improvvisamente, è come essere a casa.