Titolo: To look into you eyes and see you looking back
Autore: brilu
Beta: nessuno, lamentatevi pure!
Fandom: RPF- FC Barcelona/Inter FC
Personaggi/Pairing: Josè Mourinho/Zlatan Ibrahimović
Rating: G
Warning: Slash, future!fic
Disclaimer: Questa creazione non è a scopo di lucro. Non si vuole offendere o essere lesivi nei confronti delle persone reali raffigurate.
Note: Ambientata nell'estate del 2012. Dedicata a
lisachanoando, buon compleanno! *_*
TO LOOK INTO YOUR EYES AND SEE YOU LOOKING BACK
Dopo mesi di trattative e di percentuali che si abbassavano di giorno in giorno era arrivato l’annuncio ufficiale. José Mourinho era il nuovo allenatore del Barcellona.
***
Una sala colma di giornalisti, più di 500 persone assiepate per sentire le prime parole dello Special One da neoallenatore. Con una puntualità che si sarebbe definita svizzera - qualche giornalista il giorno dopo avrebbe detto “certamente non svedese”- Josè era arrivato insieme a Laporta, pronto a rispondere a tutte le domande, sulla nuova squadra, sulla vecchia, su Eto’o e anche su Zlatan se proprio avesse voluto sciorinare due o tre frasi di circostanza per far contenti i suoi tifosi.
Non lo aveva ancora incontrato. Era a Barcellona da una settimana e non lo aveva neanche chiamato, si sentivano di più quando erano in due nazioni diverse che a pochi chilometri di distanza. A guardare la realtà dei fatti il nome di Zlatan era scivolato sempre più in basso nel suo elenco delle chiamate ricevute da quando era stato ufficializzato il suo passaggio al Barcellona, quasi che il suo arrivo invece di renderlo di buon umore, come aveva sempre sostenuto che fosse quando era ancora solo un’idea, lo infastidisse, lo rendesse quello Zlatan scocciato, da “mal di pancia”, che tanto gli aveva fatto saltare i nervi nel suo ultimo anno all’Inter.
Il silenzio accanto a sé gli suggerì che probabilmente il suo nuovo presidente aveva finito il discorso e che toccava a lui parlare. Guardando avanti a sé vedeva i giornalisti, le telecamere e i fotografi, tutti in attesa di uno dei suoi discorsi memorabili, quelli che avevano fatto la fortuna dei programmi sportivi italiani che erano sempre riusciti a parlare per giorni se non settimane anche di una singola frase, girandola e voltandola a seconda del servizio che volevano fare.
La sua nuova partita nel Grande Slam dei campionati di calcio, come li chiamava lui, stava per iniziare e stavolta conosceva bene l’ambiente di gioco, tutto sarebbe andato esattamente come voleva lui. E infatti dopo trenta minuti di domande martellanti, alzandosi dal suo posto per uscire dalla sala, Josè poteva dirsi soddisfatto di quanto era stato detto, certo che i giornalisti avrebbero festeggiato per i numerosi titoli che gli aveva praticamente offerto su un piatto d’argento, primo su tutti quel “ Ibra sa quello che voglio da lui” che avrebbe sicuramente dato ampio spazio al ricongiungimento delle due stelle ex Inter e che faceva ben sperare i tifosi riguardo Ibrahimovic, un gran calciatore di certo, ma mai davvero tornato ai livelli di capocannoniere di Serie A.
Avrebbe fatto dimenticare a tutti i cules di essere “El etierno traductor”, sarebbe diventato Speciale anche per loro e avrebbe fatto trovare alla squadra il suo Genio.
***
- Così sei arrivato- quelle tre parole lo bloccarono sulla porta del suo nuovo ufficio, la mano ancora attorno alla maniglia e la testa bassa. La sua voce era chiara e tranquilla, senza quell’inflessione un po’ roca e distorta data dal telefono, calma, come se non fosse almeno un anno che non si vedevano di persona, un anno in cui tutto ciò che c’era stato tra loro erano state lunghissime telefonate e silenzi altrettanto lunghi. Alzò gli occhi molto piano, li fece scorrere sulla sua figura lentamente, lo memorizzava un po’ alla volta, come quella mattina a Milano quando le loro strade si erano incrociate e una piccola scossa li aveva uniti. Quando arrivò al suo volto non si curò tanto del sorriso, che comunque non era così enorme come si era aspettato, ma corse subito agli occhi. Gli occhi di Zlatan che aveva sognato e che gli avevano fatto più male di quanto si fosse mai immaginato, che brillavano per lui e che aveva maledetto quando erano diventati freddi e duri mentre gli diceva che era fatta, se ne andava. Ora più li guardava più gli si stringeva il cuore al pensiero che non riusciva più a leggerci dentro come una volta, che quella scura profondità gli era insondabile, che era passato del tempo, troppo tempo, dall’ultima volta che si erano fermati così a lungo l’uno di fronte all’altro e che si erano concessi il lusso di guardarsi negli occhi per davvero ed essere solo loro.
- Sono arrivato da una settimana. Ti ho chiamato.- il tono non curante con cui aveva pronunciato quelle parole e aperto la porta dell’ufficio, attendendo che Zlatan lo superasse per entrare e poi richiudendola subito dietro di sé, non si accostava all’espressione annoiata, quasi piccata che aveva in viso quando si sedette sulla poltrona in pelle dietro l’imponente scrivania. Lo svedese dal canto suo si era letteralmente abbandonato sulla prima sedia che aveva trovato, sprofondando nella seduta e allungando le gambe davanti a sé quasi a sfiorare quelle dell’uomo di fronte a lui. Per un attimo era rimasto a fissare il piano della scrivania davanti a sé, domandandosi come diavolo facesse José ad avere già il tavolo pieno di scartoffie dopo neanche una settimana, poi il portoghese aveva appoggiato le braccia incrociate sul legno lucido e Zlatan si era perso sulle sue mani, sgraziate come sempre, ma proprietarie di così tanti ricordi che ormai erano belle ai suoi occhi.
- Tempo fa avresti minacciato Laporta pur di farmi arrivare qui- le mani si mosserò non appena iniziò a parlare e Zlatan le abbandonò per guardarlo negli occhi, continuando ad ostentare la sua calma a dispetto della domanda che ponevano gli occhi di fronte a lui.
- Molte cose cambiano.
- Molte cose, ma non tutte le cose - continuando a guardarlo negli occhi José ghignò quando vide una smorfia simile alla sua allargarsi sul viso dello svedese. Si era aspettato una reazione migliore alla notizia che sarebbero di nuovo stati fianco a fianco sul campo, pensando che nonostante tutto avrebbe ricostruito l’intesa con il suo zingaro quasi istantaneamente, sia sul lavoro che fuori. Aveva imparato ad aspettarsi di tutto da lui, era capace di infuriarsi e mandarlo al diavolo in tre lingue per poi nel giro di dieci minuti se lo ritrovava spalmato addosso a soffocarlo di baci e nutrirlo dei suoi gemiti, però stavolta la sua solita strafottenza era rimasta distante, nulla di quel contatto fisico che sembrava fosse il loro ossigeno, che li aveva guidati l’uno contro l’altro fino allo scoppio della tempesta tra loro, devastante e necessaria, alimentata di continuo da una pacca su una spalla, un cinque battuto al momento dell’entrata in campo o un assalto negli spogliatoi prima di tornare a casa. Era sempre lui, eppure perché erano ancora lì seduti?
- Sei il solito stronzo. Torni ad allenarmi dopo tre anni e sei convinto che ci salutiamo e bam! Tutto come prima? Beh, sei fuori strada.- lo sguardo di José si era fatto di pietra e forse era stato quello che aveva impedito a Zlatan di continuare, o forse il fatto che avesse detto il tutto in spagnolo e che se ne fosse reso conto nello stesso istante del portoghese che si era fatto ancora più immobile se possibile. Ma quando parlò lo fece anche lui in spagnolo.
- Se vuoi ridiventare il giocatore mediocre di questi anni fa pure, ma non lo sei e anche dovessi lasciare in panchina Messi e Pedro per tutto il campionato tu tornerai ad essere tu. Qualsiasi altra questione non è in discussione al momento. Abbiamo avuto più di mille kilometri di distanza di cui parlare e non lo abbiamo fatto, non ho intenzione di farlo ora che siamo nella stessa stanza.
Non aveva mai alzato la voce, ne cambiato tono in alcun modo, continuava solo a guardarlo fisso negli occhi, senza mostrare la ben che minima espressione. Quando all’improvviso si alzò dalla poltrona e oltrepassò la scrivania per piazzarsi davanti a lui, però, Zlatan si trovò nell’insolita e strana situazione di dover piegare la testa per guardarlo e non lasciare i suoi occhi, seguendo i suoi movimenti man mano che si avvicinava a lui, fino a quando le ginocchia del portoghese non toccarono le sue. Resistette solo l’attimo necessario a mandare a quel paese tutto ciò che aveva pensato da quando gli avevano comunicato l’ufficialità del passaggio ad adesso. Tutti i ragionamenti su quanto sarebbe dovuto essere diverso da Milano, perché una dipendenza simile non voleva più provarla, perché aveva fatto fatica a superarla anche se infondo non c’era mai riuscito visti i contatti che aveva insistito lui per mantenere, perché a Barcellona credeva di essere maturato abbastanza da poter creare un rapporto normale, senza stupidi non detti o ripicche d’orgoglio inutili, e perché dentro di sé sapeva che era innamorato di quell’uomo a tal punto che gli avrebbe di nuovo permesso qualsiasi cosa se solo si fosse avvicinato di un passo di più.
Si sollevò sulle braccia talmente di scatto che José, colto di sorpresa, fece per indietreggiare, ma lo svedese fu svelto nello stringerlo con il braccio destro attorno alla schiena e non farlo allontanare mentre si avventava sulle sue labbra deciso, cercando il suo sapore quasi con cattiveria e stringendolo fino a sollevarlo da terra nel momento in cui José schiudeva le labbra con un sospiro bollente che gli mandò brividi lungo tutta la schiena.
- Ti odio.- Gli sussurrò sulle labbra nel momento in cui dovette staccarsi per riprendere fiato, prima di baciare nuovamente il sorriso che fu la sola risposta del portoghese.
Non gli importava più di niente. Aveva passato tre anni pensando che decidendo lui per tutti aveva mantenuto il controllo e che la scelta di campo che aveva fatto fosse stata giusta, nonostante i momenti difficili, la casa che faticava a sentire sua, i pensieri che si erano affollati quando dopo sei anni aveva perso un campionato, in parte proprio per il suo andamento disastroso, mentre l’Inter compiva grandi imprese in Europa.
Non era tipo da rimpianti, ma adesso, mentre spogliava José con furia, strappando gli ultimi bottoni della sua camicia e scorrendo le labbra sulla linea della mandibola scossa dalla sua risata, l’unica cosa che riusciva a pensare era come tutto questo era normale una volta e come sarebbe potuto esserlo stato anche per tutto questo tempo. Adesso poteva anche perderlo il controllo, lasciare che delle decisioni non fossero sue, solo averlo lì, sotto le sue mani, quello sarebbe stato abbastanza per ora, perché il controllo, le scelte, la sua indipendenza, tutto quanto in questo istante passava attraverso José, quello che rappresentava per lui e quello che potevano essere insieme, lasciando alcune cose all’altro senza per questo esserne in balia.
A tutto il resto avrebbe pensato domani, dopotutto aveva prolungato il suo contratto per altri tre anni, il tempo per creare un nuovo Barça Ibra-dipendente, lì sì che doveva riprendersi il 100% del controllo, non lo avrebbe lasciato a nessun altro.
Note: Allora l’idea era nella mia testolina già da un bel po’, poi ho rivisto il Gladiatore e le battute “Molte cose cambiano” “Molte cose, ma non tutte le cose” mi hanno illuminato, mi sono parse così Jobra che ho iniziato a scrivere. La cosa interessante è che ho continuato a scrivere ed è uscita tutta in una volta, mai successo, tant’è che sono le tre di notte e la sto postando ora, presa ancora nella frenesia della scrittura.
Comunque tutto questo vuole essere un piccolo regalino per Liz, che è una persona fantastica e che scrive tante di quelle belle cose che per una volta ho voluto provare nel mio piccolo a scrivere qualcosa io che lei potesse e/o volesse leggere. Tantissimi auguri!^^
Ah si, all’interno c’è anche un riferimento ad uno dei capolavori della sovracitata lisachanoando, è piccolino, ma c’è! XD