Fic: Sudden Sense Of Urgency

Feb 04, 2010 23:26

L’acqua è talmente gelida che Mario ha come l’impressione di aver perso sensibilità su tutta la superficie della pelle. L’ultima cosa che ha sentito, prima di uscire dal campo, è stata la voce del mister strillare qualcosa di troppo fastidiosamente simile a “fatti una doccia fredda” per poter essere ignorato, ed è stato solo facendo appello a quel po’ di autocontrollo che ancora gli era rimasto in corpo che è riuscito a frenarsi dal girare su se stesso, tornare verso di lui e saltargli addosso per pestarlo a sangue.
Non ha mai capito quale sia il problema fra lui e il mister, sicuramente è qualcosa che ha a che fare con due caratteri incompatibili, forse era vero quel discorso sulla tensione sessuale irrisolta che faceva Zlatan ridendo come un cretino e prendendolo platealmente per il culo prima di allontanarsi troppo per poterselo permettere ancora, comunque non è una cosa che Mario abbia mai voluto comprendere a fondo perché innegabilmente c’è qualcosa che lo blocca, quando si parla di Mourinho. In ogni momento della sua giornata in cui l’allenatore è presente nella sfera di cose che lo circondano, Mario è arrabbiato. Qualcosa nella sua persona lo irrita profondamente, e se già è un sentimento tanto forte quando non ne conosce il motivo, può solo immaginare quanto potrebbe arrivare ad essere devastante se solo arrivasse a spiegarselo anche parzialmente, perciò, per quieto vivere e con buona pace di tutti, ha sempre lasciato perdere.
Negli spogliatoi, da solo, è rimasto a lungo in silenzio, seduto sulla panca davanti alle docce. Lo schermo acceso, nella stanza accanto, ha riempito l’aria della telecronaca di Scarpini, e lui è rimasto ad ascoltare i suoi compagni per niente tranquilli, chiusi in difesa e in qualche modo vincitori nonostante tutto. Guardando il vuoto, s’è ripetuto mentalmente che l’assist per il gol-vittoria l’ha fatto lui. Che dovrebbe andarne orgoglioso, che non dovrebbe comportarsi così - come se tutto fosse sempre una battaglia e perciò fosse suo pieno diritto ringhiare e prendere a unghiate in faccia il mondo - però poi ha pensato che, cazzo, quell’assist sarà stato sufficiente a vincere una partita, ma non ad obbligare Mourinho a concedergli due secondi in più per riprendersi dal dolore della botta prima di ripiegare in difesa. Due secondi, non una vita e mezzo, cazzo. Come fa a non infuriarsi?
Quando ha sentito i suoi compagni entrare nello spogliatoio, stanchi ma soddisfatti, s’è tolto di dosso tutto e s’è infilato in doccia, senza rivolgere una parola a nessuno. È rimasto lì sotto il getto d’acqua ghiacciata, mentre loro sfilavano al suo fianco uno dopo l’altro, lo guardavano con palese preoccupazione e poi s’allontanavano con un sospiro sconfitto. È ancora lì adesso che sente la vocina di Davide farsi strada oltre il ticchettio delle gocce d’acqua sulla ceramica del pavimento e raggiungere le sue orecchie, chiamandolo per nome.
Per un attimo, sorride: la voce di Davide è ancora un po’ infantile, ma più che altro nel modo in cui la utilizza, non certo per il timbro. Per questo, è un po’ ridicolo parlare di vocina, e Mario si scrolla di dosso il pensiero chiudendo l’acqua e scuotendo il capo, consapevole di stare bagnando anche lui.
Davide non si lamenta. Si piazza nella doccia al suo fianco, getta indietro l’asciugamano ed armeggia con le manopole per ottenere l’acqua all’esatta temperatura che desidera, restando un po’ sotto il getto prima di decidersi a parlare.
- Ho chiesto al mister se potevo aspettarti. - dice, - Mi ha quasi mandato a quel paese. È molto arrabbiato.
- Lo sono anch’io. - fa presente Mario, ed ora che la tensione è scivolata via dai suoi muscoli, ed ora che l’acqua non picchia più e resta cristallizzata in goccioline finissime sulla sua pelle, comincia a sentire freddo.
- Sì, ma tu non hai ragione di esserlo. - risponde tranquillamente Davide, insaponandosi diligentemente ovunque e tornando a lasciarsi investire in pieno dal getto d’acqua poco dopo. - Per cos’è che sei sclerato in quel modo?
- Ma cazzo, Dade, - comincia lui, gesticolando come fa sempre quando cerca di spiegare al mondo i mille e più motivi per cui è evidente che lo odia, - hai visto come mi hanno pestato per tutta la partita? Guarda qua, cazzo! - dice, indicando la crosticina sulla fronte, - Tutti i figli di puttana che giocano nelle altre squadre di questo campionato di merda saranno contenti solo quando riusciranno a spaccarmi la testa in due e camminare coi tacchetti sul mio cervello, cazzo.
- Ci sono andati giù pesante, è vero. - minimizza Davide, - Ma non è per quello che ti sei arrabbiato.
- Infatti, mi sono arrabbiato perché niente di quello che faccio è mai abbastanza, Dà. Stavo giocando bene!
- Ah. - lo interrompe Davide, sciacquando via il sapone e spremendo un po’ di shampoo sul palmo della mano, - Quindi ti sei arrabbiato per la sostituzione. Volevi continuare a fare la primadonna in campo e t’ha dato fastidio che il mister non te l’abbia permesso. È questo il punto.
- Per come la metti tu, - ringhia Mario, stringendo i pugni lungo le cosce, - sembro una testa di cazzo.
- Forse perché lo sei? - chiede Davide, inarcando un sopracciglio e voltandosi a guardarlo con aria scettica.
La reazione di Mario è istantanea: stende le braccia, lo afferra per le spalle e lo schianta di schiena contro la parete bagnata della doccia, sostituendosi al suo corpo sotto il getto d’acqua tiepida e poi avvicinandosi a lui abbastanza da poterlo guardare dritto negli occhi, ed abbastanza da non capire se è l’acqua o la sua vicinanza a restituire al suo corpo il calore perduto.
- Vaffanculo. - gli soffia sulle labbra, e poi lo bacia con la solita irruenza di quando non ci vede più dalla rabbia, stringendolo forte, mordendolo e lasciando ovunque segni evidenti del proprio passaggio - quelli che, più del freddo di Milano, lo obbligano ad andare in giro con la maglia dolcevita sotto tutto il resto anche quando esce con gli amici.
Il fatto è, e Davide lo sa, che Mario è uno che accumula, accumula, accumula, e poi sente il bisogno fisico di esplodere e scaricare. E non è importante che si lasci gravare sulle spalle anche cose che non avrebbe nessun motivo di considerare come offese o richieste personali: Mario è convinto che il mondo lo odi - anche perché il mondo non gli ha ancora dato prova del contrario - e, dato che è così, ogni cosa che succede è un problema di primaria importanza. Fra lui e il mister, fra lui e la squadra, fra lui e l’Italia, fra lui e l’universo.
Davide schiude le labbra e anche le cosce per evitare di farsi troppo male, ha accettato molto tempo fa questo ruolo all’interno della vita di Mario, e non è un ruolo che gli sta stretto, così come non è un ruolo che lo infastidisce, perché è l’unico essere in tutto l’intero mondo da cui Mario non si senta attaccato. Non sa bene come sia potuta succedere una cosa simile, quale fosse la congiunzione astrale che vegliava sulle loro teste la prima volta che i loro occhi si sono incrociati, quale dio fosse lì a propiziare la loro unione ed altre cazzate simili, sa solo che a livello chimico qualcosa fra i loro corpi è scattato, e adesso vivono in simbiosi.
Non è ancora chiaro cosa Mario faccia per Davide, per ricambiare tutto ciò che Davide fa per lui, ma Davide, di questo, non s’è mai lamentato. Si fa prestare una giacca di tanto in tanto, ha preteso di conoscere tutti i suoi amici e di farsi tagliare i capelli da Teo, poi un giorno l’ha guardato ed ha preteso di fargli tatuare il suo nome addosso. “Adesso?”, ha chiesto Mario. “Adesso”, ha risposto lui, ed ora c’è il suo nome sul suo avambraccio sinistro, nero su nero, quasi invisibile, ma persistente.
A Mario, le sue, non sono mai sembrate richieste esagerate. Forse cambierà idea se mai un giorno Davide dovesse sorridergli e proporgli di andare a vivere insieme ed adottare un trilione di bambini ghanesi, ma anche in quel caso non è poi tanto sicuro che riuscirebbe a guardarlo con indifferenza e rispondergli “ma sei fuori”. Il loro rapporto è un tacito scambio di concessioni, e può funzionare solo in questo modo.
Davide si lascia sollevare in alto, la sua schiena striscia contro la parete senza attrito, aiutata dall’acqua che ancora piove su entrambi. Mario lo guarda dritto negli occhi, lo bacia e poi si ritrae, e continua a guardarlo fisso, quasi volesse sfidarlo, quando se lo tira contro ed entra dentro di lui, reggendolo saldamente per i fianchi mentre Davide incrocia le gambe dietro la sua schiena e poggia le mani sulle sue spalle, affondando le unghie nella sua pelle. Mario grugnisce di qualcosa di troppo spaventosamente confuso fra dolore e piacere per poterlo davvero identificare, e continua a guardarlo negli occhi seguendo il movimento lento e un po’ dondolante dei propri affondi dentro il suo corpo. Le labbra di Davide sono dischiuse, si lasciano sfuggire gemiti osceni e invitanti, Mario lo bacia solleticando la sua lingua con la propria perché non riesce a farne a meno, e quando stringe il pugno attorno alla sua erezione e comincia a masturbarlo lo fa solo perché la voce di Davide che sale di tono ed anche di volume implorandolo di andare avanti è la soddisfazione più enorme che s’è preso questa serata, più dell’assist, più di tutto.
Viene dentro di lui con un ringhio di gola, e schiaccia Davide fra se stesso e il muro perché non vuole lasciarlo andare, non vuole neanche permettergli di poggiare di nuovo i piedi a terra. Nasconde il viso nell’incavo del suo collo e respira forte, cercando di domare il proprio cuore. Davide gli accarezza la nuca con la punta delle dita, stringendolo come volesse proteggerlo da tutti i mali del mondo.
È un momento che dura pochissimo: quando entrambi riescono a tornare abbastanza lucidi da rendersi conto di dove sono, Mario lascia andare Davide e Davide smette di stringerlo come fosse il suo unico scudo in mezzo a una battaglia campale. Non si guardano nemmeno, Mario passa a Davide il suo asciugamano e ne cerca uno per sé. Si rivestono in silenzio, ma uscendo dallo spogliatoio Mario sorride, e Davide è un po’ più felice - la loro partita, comunque, l’hanno vinta entrambi.

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