Titolo: I hate days like this.
Autore:
janetmourfaaill. (
lachesilie)
Beta: Ah no.
Fandom: RPF - ACF Fiorentina.
Personaggi/Pairing: Alberto Gilardino, Adrian Mutu. (Gilutu? Mutino? Giladrian? Fate un po' voi)
Rating: VM16.
Warning: Angst. Slash.
Word count: 1013.
Note: Avevo già intenzione di scriverla ma dopo la dedica di
chia25 ho ben pensato di mettermici a quest'ora, avendo io perso il lume della ragione. Sebbene sappia che una fanfiction di per sé serva a ben poco, la posto ugualmente. Comunque, vista la situazione, ci voleva.
Storia partecipante al
p0rn fest col prompt “RPF Calcio (AC Fiorentina), Adrian Mutu/Alberto Gilardino, abbraccio”.
Credits a Mika per “Rain”, che manco mi piace, ma quando una è scema.
Per
chia25, interamente e ovviamente.
I hate days like this.
Da ragazzino si è sentito dire un'infinità di volte che l'amicizia reale, profonda, sa sostenere ogni tipo di silenzio. Due amici capiscono quanto il loro legame sia davvero forte solo se, in un qualsiasi deprimente pomeriggio della loro vita - magari col tempo di merda di turno, mal di testa, recente litigio con le rispettive ragazze o anche solo malumore generico, senza particolari motivi - riescono a starsene in silenzio, ognuno preso dai propri pensieri, senza sentirsi minimamente in obbligo di dirsi alcunché.
Seduti su una panchina o sul divano, in mezzo alla gente o da soli, tra uno sbadiglio e un altro. In silenzio.
Ad Alberto tutta questa storia è sempre sembrata una cazzata epocale, perché insomma, l'amicizia si misura su un sacco di altre cose e il silenzio all'epoca era indubbiamente l'ultimo dei suoi problemi se si trattava di amicizia.
Sono passati tanti anni dall'ultima volta che ha visto Teo, il suo più caro amico d'infanzia. Non sa perché all'improvviso gli sia venuto in mente quel ragazzino coi denti sporgenti e la risata argentina, e si stupisce molto perché gli capita raramente di ripensare a certi suoi episodi riguardanti l'adolescenza.
Non è il tipo da mettersi a ripensare ai vecchi tempi, lui. È sempre stato abituato a guardare avanti.
- Dov'è Consuelo? - Quando finalmente parla la sua voce suona leggermente distaccata, come se il motivo che lo trattiene lì, in quel salotto poco illuminato, fosse ignoto a lui per primo. Adrian, a pochi metri da lui, gli rivolge uno sguardo turbato e in quel momento Alberto non se la sente di aggiungere altro dolore a quella sua espressione. Lo guarda camminare avanti e indietro, mentre lui se ne resta seduto, imperturbabile.
E la verità è che quel silenzio non ha nulla di profondo, di amichevole, di sereno, e non dà garanzia alcuna oltre a ulteriore silenzio e ulteriore incertezze e ulteriore disagio. Rimanere in silenzio non è bello, mai. Non può esserlo.
- È finita, Albi. - Adrian, il suo Adrian parla col vetro in gola, frammenti taglienti che scendono giù fino al petto lacerando ogni dove. Non è dolore, non è angoscia. È il tono di un ragazzo che si accorge di essere adulto all'improvviso, di avere responsabilità a proprio carico quando fino al giorno prima c'erano solo i propri vizi con cui pareggiare i conti. C'è una sorta di arroganza, laddove dovrebbe esserci vergogna e tristezza - ma è un'arroganza dilaniante, di quelle che nascono per coprire quanto di più dolente vi è al di sotto di quelle mille cappe di orgoglio.
Ed è un momento - uno di quegli istanti che passano lenti come un sole che cala eppure mantengono la loro frenesia, Adrian è in piedi a guardarlo e subito dopo è inginocchiato su di lui con gli occhi saldamente chiusi.
Alberto lo trae a sé, chinandosi sul suo capo e avvolgendolo in un abbraccio stremato, stanco, colmo di infiniti dolori a cui nessuno dei due può porre rimedio in alcun modo. Sospira, trattenendolo e sentendosi uccidere per l'ennesima volta da quel silenzio pastoso, marcio, che non ha niente, niente, niente di giusto. Perciò continua ad abbracciarlo e in quell'abbraccio tenta di calare parole e minacce e rimproveri e scuse, perché a dirlo non ci riesce e quasi non gli riesce nemmeno pensarle, tutte quelle cose. Le mani grandi sulla sua spalla e la sua nuca, prima di sollevargli il viso e baciarlo - ma gli sembra quasi di essere baciato e non di baciare, di lasciar fare tutto a lui, in realtà.
Non smette di abbracciarlo anche quando Adrian cerca di divincolarsi per muoversi meglio su di lui; continua a tenerlo stretto, come se lasciarlo andare significasse lasciare andare anche se stesso. Adrian inspira profondamente, vicinissimo al suo collo, premendosi contro il suo corpo con una forza quasi allarmante. Alberto gli permette finalmente di far scivolare le mani su tutto il proprio corpo, sentendole soffermandosi più volte sulle cosce e il basso ventre, e solo dopo lo lascia abbassarsi con foga sui pantaloni per liberarlo da quell'ostacolo. Ed è estenuante il modo in cui prende a masturbarlo, con violenza e necessità, mentre tra i singhiozzi nuovamente riprende a baciarlo. Alberto ansima e si lascia andare alle improvvise scariche di brividi che quei movimenti gli provocano, spingendosi contro di lui e mormorando il suo nome a bassissima voce.
Un piacere totale, un'ondata di calore, mentre viene tra le sue mani e gli morde un angolo della bocca, sopraffatto dall'intensità di quelle carezze. Rimane fermo per pochissimo, poi ribalta le posizioni e lo libera in fretta dai jeans, entrando in lui come una scarica elettrica, tra respiri così veloci e accavallati da suonare come un'unica incontenibile raffica di vento.
Spinge con più insistenza e vede Adrian spalancare gli occhi lucidi prima di gridare il suo nome e ancorarsi a lui, raggiungendo il culmine e lasciandosi abbracciare di nuovo, esausto.
Ancora silenzio e quell'odore secco nell'aria; pareva quasi di aver penetrato anche lei più e più volte, impregnandola di sudore, frustrazione e dolore.
Alberto si gira e ritorna alla posizione iniziale, prendendo Adrian tra le braccia e stringendolo con decisione - erano gli abbracci a curare quei momenti. Erano mani sulla schiena, erano un allacciarsi di corpi, quelle erano le prove di un'amicizia salda. Il silenzio non era cosa loro, non era puro, non era voluto.
Non era.
- E dimmi tu se questo non è molto ma molto meglio di quello che ti prendi di solito. - Sprezzante e aspra, la voce di Alberto spezza nuovamente quella falsa quiete e riesce comunque a suonare protettiva, ansiosa, quasi ironica. Un amico un po' ferito e un po' ammaccato, ma pur sempre un amico.
Adrian si aggrappa a lui e si nasconde contro il suo petto, lasciandosi accarezzare il capo tra un sospiro e un altro, tra un'imprecazione e una preghiera.
Sul suo viso le lacrime non fanno in tempo ad asciugarsi, sono scie nervose e continue che non conoscono tregua e lo travolgono completamente, più forti e acide di qualsiasi droga.